Il
caso trattato dalla sentenza (QUI) riguarda un progetto di gestione produttiva e
recupero in un’area già interessata da precedente attività estrattiva e di
discarica, collocata all’interno di un Parco naturale Locale di Interesse
Sovracomunale (P.L.I.S.).
In
seguito alle pronunce di annullamento degli atti autorizzatori del Tar
Lombardia nn.1533 (QUI) e 1535/2021 (QUI) confermata in appello per inammissibilità (QUI), Città Metropolitana decideva di rinnovare
i provvedimenti annullati dal giudice amministrativo, senza tuttavia aprire una
nuova istruttoria, in quanto si ritenevano sussistenti “i presupposti per
l’applicazione del principio di conservazione del provvedimento amministrativo”
atteso che secondo come riportato dalla
decisione della Città Metropolitana non serviva motivare il rinnovo del
provvedimento per questo avrebbe richiesto solo “una maggiore esplicitazione
dei fatti già acquisiti al procedimento ed emergenti dall’istruttoria” in
precedenza svolta.
I
ricorrenti contestavano in particolare che essendo trascorsi 5 anni dal
rilascio della prima VIA, Città Metropolitana avrebbe dovuto reiterare tutte le
fasi della procedura VIA, in quanto non risulterebbero effettuate nuove
pubblicazioni o consultazioni del pubblico e non sarebbe stata ripetuta la
conferenza di servizi. Il Consiglio di Stato ha deciso che il provvedimento di
VIA aveva ricevuto da parte della Autorità Competente una durata maggiore e
quindi sarebbe scaduto solo nel 2026 per cui il provvedimento poteva essere
reiterato senza avviare una nuova VIA.
Ma
la normativa nazionale, comunitaria davvero legano la possibilità di mantenere
la efficacia di un provvedimento di VIA solo con riferimento alla durata
temporale ex lege o decisa dall’atto finale? È questo il punto che voglio
trattare prendendo dalla sentenza che invece ha altri aspetti che non rilevano
ai fini del post che segue.
La
sentenza ha applicato in modo riduttivo quanto previsto dal comma 5 articolo
25 DLgs 152/2006 (QUI) secondo il quale: “5. Il
provvedimento di VIA è immediatamente pubblicato sul sito web dell'autorità
competente e ha l'efficacia temporale, comunque non inferiore a cinque anni,
definita nel provvedimento stesso,”.
Quindi la interpretazione letterale della
norma su cui si fonda la sentenza è che i 5 anni sono la durata minima del
provvedimento di VIA a meno che lo stesso non prevede un termine più lungo.
È tutto qui come deve essere interpretata la
suddetta norma? Intanto leggiamo tutto il comma 5 che dopo avere
stabilito il termine minimo di 5 anni aggiunge che il provvedimento conclusivo
di VIA può allungare il suddetto termine minimo, ma poi il comma aggiunge: “tenuto conto dei
tempi previsti per la realizzazione del progetto, dei procedimenti
autorizzatori necessari, nonché dell'eventuale proposta formulata dal
proponente e inserita nella documentazione a corredo dell'istanza di VIA.”
Quindi
prima di tutto la sentenza avrebbe dovuto verificare se il termine di 10 anni
deciso nel caso specifico per la durata della VIA fosse coerente con i tempi di
realizzazione del progetto anche nella versione presentata dal proponente.
In
secondo luogo il comma 5 articolo 25 del DLgs 152/2006 aggiunge: “Decorsa
l'efficacia temporale indicata nel provvedimento di VIA senza che il progetto
sia stato realizzato, il procedimento di VIA deve essere reiterato, fatta salva
la concessione, su istanza del proponente corredata di una relazione
esplicativa aggiornata che contenga i pertinenti riscontri in merito al
contesto ambientale di riferimento e alle eventuali modifiche, anche
progettuali, intervenute, di specifica proroga da parte dell'autorità
competente.”
Insomma,
è chiara la ratio della norma per cui la VIA deve valutare l’impatto ambientale
di un progetto rispetto al sito dove deve essere collocato e in modo preventivo
ovviamente. Ora la definizione di impatto ex lettera c) articolo 5 del DLg
152/2006 richiede di valutare la interazione degli impatti sui vari fattori
ambientali interessati: popolazione salute umana, biodiversità, territorio, suolo
aria acqua e clima beni materiali paesaggio, patrimonio culturale.
Quindi
devi quanto meno, prima di reiterare un provvedimento scaduto da anni,
addirittura fino a 10 anni (in particolare come è avvenuto nel caso specifico
trattato dalla sentenza del Consiglio di Stato esaminato in questo post) deve
effettuare una verifica per cui la situazione ambientale dell’area interessata
non sia cambiata.
Questo
aspetto deve essere sottolineato a prescindere dal fatto che nel caso esaminato
dalla sentenza del Consiglio di Stato l’annullamento precedente degli atti
autorizzatori riguardava solo alcuni aspetti e non tutti gli atti compreso il
provvedimento di VIA.
Intanto
esiste una norma del testo unico ambientale che permette di valutare cosa è
successo all’ambiente in rapporto agli impatti potenziali del progetto dopo la
sua autorizzazione. Si tratta dell’articolo 28 del DLgs 2152/2006 sulla
verifica di ottemperanza alle prescrizioni contenute nella VIA anche solo dopo
la autorizzazione e non solo dopo la realizzazione dell’opera.
Peraltro,
se il proponente avesse trovato difficoltà a realizzare il progetto la
questione non poteva e non può essere ridotta solo in epoca successiva, a
distanza di anni dalla autorizzazione con la VIA compresa. Non a caso il punto
6 dell’allegato VII alla Parte II del DLgs 152/2006 chiede che lo studio di
impatto ambientale che affianca il progetto debba contenere anche: “informazioni
dettagliate sulle difficoltà incontrate nel raccogliere i dati richiesti
(quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, carenze tecniche o mancanza
di conoscenze) nonché sulle principali incertezze riscontrate.” Senza
considerare che sempre detto allegato richiede (periodo finale del punto 5) che
nello studio di impatto ambientale siano indicati gli effetti nel lungo periodo
degli impatti potenziali del progetto.
Allora
se addirittura in sede di avvio del procedimento si chiede al proponente di
verificare gli impatti di lungo periodo del progetto perché quando addirittura
sono passati anni dalla conclusione della VIA senza la realizzazione del
progetto, prima di confermare la vecchia VIA non si deve fare (a prescindere
dal dato numerico degli anni passati) una valutazione se questi impatti
verificati allora sono cambianti perché cambiato è il contesto ambientale in
cui è prevista la realizzazione del progetto?
Infatti,
tornando all’allegato VII già citato lo studio di impatto ambientale
deve contenere anche “3. La descrizione degli aspetti pertinenti dello stato
attuale dell'ambiente (scenario di base) e una descrizione generale della sua
probabile evoluzione in caso di mancata attuazione del progetto, nella misura
in cui i cambiamenti naturali rispetto allo scenario di base possano essere
valutati con uno sforzo ragionevole in funzione della disponibilità di
informazioni ambientali e conoscenze scientifiche.” Ora se questa
valutazione dello stato attuale e della sua evoluzione del sito interessato del
progetto deve essere svolta in sede di avvio del procedimento mi si spieghi
perché questo non può essere fatto dopo anni della conclusione dello stesso,
nascondendosi dietro dei termini temporali meramente numerici.
È
vero che la norma del comma 5 articolo 25 usare termini temporali ma
subito dopo afferma anche la necessità di una verifica delle modifiche nel sito
interessato accadute negli anni, verifica che a mio avviso per tutti i motivi
sopra esposti deve comunque essere svolta.
A
conferma di quanto sopra espresso sulla necessità di una preventiva verifica prorogare
i termini di realizzazione di un progetto, si veda Corte di Giustizia con
sentenza 9 settembre 2020 causa C254-19 (QUI) che ha affermato: “spetta all’autorità
competente valutare se una decisione di prorogare il termine inizialmente
fissato per la realizzazione di un progetto di costruzione di un terminale di
rigassificazione di gas naturale liquefatto, la cui autorizzazione iniziale è
divenuta inefficace, debba essere oggetto dell’opportuna valutazione
dell’incidenza o valutazione di impatto e, se del caso, se essa debba
riguardare l’intero progetto o una parte di esso, tenendo conto, in
particolare, sia di una valutazione anteriore eventualmente realizzata, sia
dell’evoluzione dei dati ambientali e scientifici rilevanti, ma anche di
un’eventuale modifica del progetto o dell’esistenza di altri piani o progetti.
P.S.
Sul
tema degli effetti di una VIA scaduta vedi, in questo blog, i seguenti casi:
GRONDA DI GENOVA: QUI,
TERZO
VALICO GENOVA: QUI,
RADDOPPIO
FERROVIARIO GENOVA VENTIMIGLIA: QUI,
RIGASSIFICATORE
PORTO EMPEDOCLE: QUI.
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