Seguendo da anni numerose
vertenze ambientali in giro per l’Italia mi è spesso capitato di incontrare
problematiche legate alle c.d. industrie insalubri di prima classe e di
registrare come Sindaci e ASL non applichino correttamente la normativa che
disciplina queste attività e come
su questa normativa ci sia un confusione
che spesso e volentieri è voluta.
Vediamo quindi di chiarire
quali sono le industrie insalubri, come vengono classificate, cosa devono fare
i gestori di tali industrie, gli amministratori pubblici e gli enti di
controllo tecnico secondo normativa e giurisprudenza…
LA NORMATIVA E LE MODALITÀ DI CLASSIFICAZIONE DELLE
INDUSTRIE COME INSALUBRI
La classificazione di una
industria insalubre di prima classe è soltanto un atto di ratifica ex lege in
rapporto all’elenco del Decreto Ministeriale 5 settembre 1994 (per l'elenco vedi QUI). In altri termini se l’impresa
in questione svolge una attività o detiene/tratta materiali e sostanze
rientranti nell’allegato I a detto Decreto è
automaticamente classificata insalubre. Quindi le autorità competenti (Asl
sotto il profilo della istruttoria tecnica e il Sindaco titolare della funziona
di massima Autorità Sanitaria sul Territorio) devono limitarsi a prendere atto
di tale attività e applicare le seguenti chiarissime norme del testo unico
sanitario (RD 27 luglio 1934 n° 165):
Art. 216
“Le manifatture o fabbriche che producono vapori, gas o altre esalazioni
insalubri o che possono riuscire in altro modo pericolose alla salute de gli
abitanti sono indicate in un elenco diviso in due classi.
La prima classe comprende quelle che debbono essere
isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni; la seconda, quelle
che esigono speciali cautele per la incolumità del vicinato.
Questo elenco, compilato dal Consiglio superiore
di sanità, è approvato dal Ministro per l'interno, sentito il Ministro per le
corporazioni (ora vedi Ministro
Sanità e più recentemente della Salute n.d.r.), e serve di norma per l’esecuzione delle presenti disposizioni.
Le stesse norme stabilite per la formazione dell’elenco
sono seguite per iscrivervi ogni altra fabbrica o manifattura che
posteriormente sia riconosciuta insalubre.
Una industria o manifattura la quale sia inserita
nella prima classe, può essere permessa nell’abitato, quante volte l’industriale
che l’esercita provi che, per l’introduzione di nuovi metodi o speciali
cautele, il suo esercizio non reca nocumento alla salute del vicinato.
Chiunque intende attivare una fabbrica o manifattura,
compresa nel sopra indicato elenco, deve quindici giorni prima darne avviso per
iscritto al podestà, il quale, quando lo ritenga necessario nell’interesse
della salute pubblica, può vietarne la attivazione o subordinarla a determinate
cautele.”
“Quando vapori, gas o altre esalazioni, scoli di acque, rifiuti solidi o
liquidi provenienti da manifatture o fabbriche, possono riuscire di pericolo o
di danno per la salute pubblica, il podestà prescrive le norme da applicare per
prevenire o impedire il danno o il pericolo e si assicura della loro esecuzione
ed efficienza.
Nel caso di inadempimento il podestà (ora il Sindaco
n.d.r.) può provvedere di ufficio nei
modi e termini stabiliti nel testo unico della legge comunale e provinciale.”
COSA SUCCEDE QUANTO UNA ATTIVITÀ E/O IMPRESA È
CLASSIFICATA INSALUBRE
Quando invece occorre
applicare quanto previsto dal comma 5 articolo 216 sopra riportato (verificare
che l’azienda non rechi nocumento al pubblico) occorre che tale verifica
sia fatta in concreto per dimostrare la pericolosità effettiva o meno dell’azienda.
Non solo ma l’
industria che abbia adottato certi accorgimenti tecnici – o speciali
cautele – che l’abbiano resa meno inquinante, o meno pericolosa, o meno nociva
per l’ambiente esterno ed il vicinato, non perde affatto le
«caratteristiche» di industria insalubre.
Quindi occorrerebbe
predisporre regolamenti e protocolli che monitorizzino in continuo questi
impianti secondo l'evoluzione:
- del contesto del sito in cui operano,
- la normativa ambientale che ne disciplina le emissioni e i rischi
- le tecnologie che li caratterizzano,
- le modifiche nella gestione del ciclo di attività.
- del contesto del sito in cui operano,
- la normativa ambientale che ne disciplina le emissioni e i rischi
- le tecnologie che li caratterizzano,
- le modifiche nella gestione del ciclo di attività.
Afferma la Circolare del 19 marzo 1982, n. 19,
prot. n. 403/8.2/459, Ministero della Sanità - Direzione Generale dei
Servizi di Igiene Pubblica Div. III, pag. 2 u.c: “…la classificazione delle lavorazioni insalubri non può e non deve
rimanere fine a se stessa esaurendosi in un mero automatismo burocratico”
ma occorre: “… un esame
specifico e puntuale (il quale) non può essere realisticamente effettuato - in
dettaglio - che dall’autorità locale”. Il Ministero prosegue affermando: “E’
evidente che qualora da tale esame risulti che le cause d’insalubrità
potenziale, che hanno determinato l’inclusione dell’attività nella Prima classe
dell’elenco, sono state eliminate o quantomeno ridotte in
termini accettabili si applica il caso previsto dal 5° comma
dell’art. 216 T.U.LL.SS.”.
Tutto ciò risulta ancora
più necessario quando la attività produce disagi di tipo ambientale e sanitario
ai residenti degli edifici limitrofi.
I POTERI/DOVERI DEL SINDACO PER LE INDUSTRIE INSALUBRI
La giurisprudenza del
Consiglio di Stato chiarisce quale ruolo del Sindaco in materia di industrie
insalubri e come esercitarlo, si veda:
1.Consiglio di Stato Sez. III, n. 4687, del 24
settembre 2013: “Spetta al sindaco, all’uopo ausiliato dall’unità sanitaria locale, la
valutazione della tollerabilità o meno delle lavorazioni provenienti dalle
industrie classificate “insalubri”, e l’esercizio di tale potestà può avvenire
in qualsiasi tempo e, quindi, anche in epoca successiva all'attivazione
dell’impianto industriale e può estrinsecarsi con l’adozione in via cautelare
di interventi finalizzati ad impedire la continuazione o l’evolversi di
attività che presentano i caratteri di possibile pericolosità, per effetto di
esalazioni, scoli e rifiuti e ciò per contemperare le esigenze di pubblico
interesse con quelle dell'attività produttiva “
2. Consiglio di Stato, Sez, V, n. 6264, del 27
dicembre 2013: “Spetta al Sindaco, all'uopo ausiliato dalla struttura sanitaria
competente, il cui parere tecnico ha funzione consultiva ed endoprocedimentale,
la valutazione della tollerabilità, o meno, delle lavorazioni provenienti dalle
industrie cosiddette "insalubri", l'esercizio della cui potestà
potendo avvenire in ogni tempo e potendo esplicarsi mediante l'adozione, in via
cautelare, di interventi finalizzati ad impedire la continuazione o l'evolversi
di attività aventi carattere di pericolosità”.
Come si vede la giurisprudenza è chiara il Sindaco è titolare delle funzioni di controllo sulle industrie insalubri e non può scaricare le responsabilità sulle eventuali omissioni dell'ASL. Questo significa che sta al Sindaco formalizzare richiesta all'ASL di svolgere i controlli e se questa ultima non li svolge o non li può svolgere utilizzare altri soggetti sia pubblici (Istituto Superiore Sanità, Università) che privati (professionisti in epidemiologia ambientale).
IL COMPORTAMENTO OMISSIVO DEL SINDACO NELL’APPLICARE
LA NORMATIVA SULLE INDUSTRIE INSALUBRI NEL SENSO SOPRA ESPOSTO PUÒ ESSERE
GIUSTIFICATO DAL RILASCIO DELLE AUTORIZZAZIONI AMBIENTALI DI SETTORE.
Non solo per quelle con istruttoria più
complessa (AIA) ma anche per quelle relative ad impianti minori ma che
rientrano comunque nelle industrie classificabili insalubri (Autorizzazione
Unica Ambientale: AUA). Infatti il DPR 133/3/2013 n. 59 (Regolamento recante la
disciplina dell'autorizzazione unica ambientale) all’articolo 3 elenca le
autorizzazioni settoriali assorbite dall’AUA:
a) autorizzazione agli
scarichi di cui al capo II del titolo IV della sezione II della Parte
terza del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
b) comunicazione
preventiva di cui all'articolo 112 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152, per l'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, delle acque
di vegetazione dei frantoi oleari e delle acque reflue provenienti dalle
aziende ivi previste;
c) autorizzazione alle
emissioni in atmosfera per gli stabilimenti di cui all'articolo 269 del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
d) autorizzazione generale
di cui all'articolo 272 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
e) comunicazione o nulla
osta di cui all'articolo 8, commi 4 o comma 6, della legge 26 ottobre 1995, n.
447;
f) autorizzazione
all'utilizzo dei fanghi derivanti dal processo di depurazione in agricoltura di
cui all'articolo 9 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99;
g) comunicazioni in
materia di rifiuti di cui agli articoli 215 e 216 del decreto legislativo
3 aprile 2006, n. 152.
Risulta chiaramente dal
suddetto elenco come la lettera della legge non faccia alcun riferimento ai poteri del Sindaco come
Autorità Sanitaria ai sensi dell’articolo più volte citato
sopra. Quindi restano pienamente i poteri del Sindaco in materia di
industrie insalubri.
Quanto sopra vale anche
per altre procedure autorizzatorie minori come la Procedura Abilitativa
Semplificata per gli impianti alimentati da energia rinnovabile o
assimilata. L’articolo 6 del DLgs 28/2011 al comma 2, già citato, prevede che
nella dichiarazione del proponente la PAS si debba dimostrare il rispetto oltre
che delle norme urbanistiche dell’area interessata dal progetto (come esaminato
per la Omissione 1) anche le “norme di
sicurezza e di quelle igienico-sanitarie”.
Stesso discorso per l’autorizzazione unica degli impianti da fonti rinnovabili di cui all’articolo 1 del DLgs 387 del 2003.
Stesso discorso per l’autorizzazione unica degli impianti da fonti rinnovabili di cui all’articolo 1 del DLgs 387 del 2003.
INDUSTRIE INSALUBRI E POTERI DEL SINDACO : UN NUOVO
RUOLO DELL’IGIENE AMBIENTALE DELLE ASL
Per le questioni
ambientali che si protraggono nel tempo occorre cambiare rotta
Predisporre rapporti
sul potenziale impatto sanitario delle emissioni dall’impianto in oggetto,
vale a dire almeno un confronto tra:
1. Descrizione
delle caratteristiche dell’impianto, dell’area e della popolazione
potenzialmente esposta. Vale a dire: Spazi, locali, impiantistica in base alla
tipologia attività, scarichi e approvvigionamento idrico, gestione acque
meteoriche, emissioni in atmosfera, impianti aerazione, ventilazione meccanica,
condizionamento,valutazione area circostante all’impianto;
2. Valutazione
del possibile impatto dell’impianto sulla salute della popolazione. Si tratta
delle procedure di c.d. “health impact assessment” con le quali, sulla base
delle conoscenze scientifiche disponibili e considerando le relazioni
esposizione-risposta già scientificamente conosciute, si valuta quale potrà
essere l’impatto sanitario atteso dell’impianto sulla salute della popolazione;
3. Valutazione
degli effetti sanitari dell’impianto ormai operativo sulla base dei primi due
punti.
Solo sviluppando i sopra
elencati tre punti si possono comprendere: l’origine delle emissioni
odorigene prevalenti, il rischio reale per la salute dei residenti, l’efficacia
delle misure predisposte fino ad ora dal gestore dell’impianto
INDUSTRIE INSALUBRI E PIANIFICAZIONE URBANISTICA DEL
TERRITORIO COMUNALE
La normativa sulle
industrie Insalubri (ex Testo Unico Leggi Sanitarie del 1934) che deve
uscire dal ghetto per essere invece inserita nella pianificazione
comunale come peraltro confermato da una recente sentenza del Consiglio di
Stato (vedi QUI)
secondo la quale se è vero che normativa nazionale sulle industrie
insalubri (articolo 216 del T.U. n.1265/1934) non prevede un divieto assoluto
di collocazione di queste negli abitati, non è precluso né illogico
fissare con norme regolamentari parametri più rigorosi di quelli rinvenibili
nell’art.216 del T.U. n.1265/1934 al fine di conseguire una più intensa tutela
della salute pubblica (Consiglio di Stato sez. V sentenza n.338/1996).
A conforto di quanto sopra
c’è la giurisprudenza amministrativa in materia. Si veda recentemente
Consiglio di Stato (con sentenza
27/5/2014 n. 2751) ha avuto modo di affermare autorevolmente:
1. l’opportunità di una
diversa ubicazione se l’impianto è sotto i 500 metri dagli abitati
2. la possibilità di
ricollocare l’impianto se non corrisponde ad un adeguato livello occupazionale
comparabile con i rischi ambientali sanitari e i danni economici alle
abitazioni e ai residenti
3. la possibilità di
utilizzare le norme tecniche attuative di un piano urbanistico comunale per
stabilire distanze di sicurezza adeguate (la sentenza fa riferimento a
distanze sopra i 100 metri) per le industrie insalubri di 1^ classe
rispetto ai confini di zone residenziali o da preesistenti edifici destinati a
residenza
UN REGOLAMENTO COMUNALE SULLA GESTIONE DELLE INDUSTRIE
INSALUBRI: CONTENUTI IN SINTESI
1. I Comuni determinano i
criteri di localizzazione e le condizioni per l’attivazione delle industrie
classificate insalubri, nonché la disciplina del relativo procedimento.
2. Chiunque intenda attivare
una fabbrica o un’industria compresa nell’elenco delle industrie
insalubri deve presentare, anche su supporto informatico, istanza almeno
quarantacinque giorni prima di dare inizio alla messa in esercizio degli
impianti .
3. L’istanza deve essere presentata all’Amministrazione Comunale e, in particolare, laddove costituito , allo sportello unico (SUAP), corredata da documentazione idonea a descrivere il ciclo produttivo e dall’elenco delle sostanze utilizzate nel ciclo lavorativo stesso.
4. L’amministrazione comunale si pronuncia sull’istanza entro 30 giorni dalla presentazione della stessa, decorsi i quali l’istante può dare avvio all’attività, fatti salvi i poteri di controllo previsti dalla normativa vigente.
5. Ai fini dell’assunzione delle decisioni, l’Amministrazione comunale si avvale dell’ASL, dell’ARPA e degli organismi tecnici a livello territoriale di cui intenda avvalersi. ASL deve produrre appositi Report di valutazione dell'impianto sanitario potenziale sulla base del contenuto della istanza di cui al punto 3
6. Nei casi in cui non si ravvisi la presenza di tutte le condizioni necessarie a garantire la tutela della salute pubblica, l’amministrazione comunale può vietare l’attivazione dell’industria o, subordinarla all’adozione di particolari cautele e misure atte ad assicurare le condizioni richieste. In quest’ultimo caso, il titolare dell’impianto dovrà fornire, nei termini assegnatigli, opportuna prova dell’adozione delle misure richieste.
7. al regolamento può essere accompagnato un protocollo operativo (da concordare con ASL o in mancanza altri soggetti con competenze di epidemiologia ambientale) per il monitoraggio dell'impatto sanitario delle industrie insalubri una volta installate sul territorio comunale
3. L’istanza deve essere presentata all’Amministrazione Comunale e, in particolare, laddove costituito , allo sportello unico (SUAP), corredata da documentazione idonea a descrivere il ciclo produttivo e dall’elenco delle sostanze utilizzate nel ciclo lavorativo stesso.
4. L’amministrazione comunale si pronuncia sull’istanza entro 30 giorni dalla presentazione della stessa, decorsi i quali l’istante può dare avvio all’attività, fatti salvi i poteri di controllo previsti dalla normativa vigente.
5. Ai fini dell’assunzione delle decisioni, l’Amministrazione comunale si avvale dell’ASL, dell’ARPA e degli organismi tecnici a livello territoriale di cui intenda avvalersi. ASL deve produrre appositi Report di valutazione dell'impianto sanitario potenziale sulla base del contenuto della istanza di cui al punto 3
6. Nei casi in cui non si ravvisi la presenza di tutte le condizioni necessarie a garantire la tutela della salute pubblica, l’amministrazione comunale può vietare l’attivazione dell’industria o, subordinarla all’adozione di particolari cautele e misure atte ad assicurare le condizioni richieste. In quest’ultimo caso, il titolare dell’impianto dovrà fornire, nei termini assegnatigli, opportuna prova dell’adozione delle misure richieste.
7. al regolamento può essere accompagnato un protocollo operativo (da concordare con ASL o in mancanza altri soggetti con competenze di epidemiologia ambientale) per il monitoraggio dell'impatto sanitario delle industrie insalubri una volta installate sul territorio comunale
COME FINANZIARE LA ATTIVITÀ DI
CONTROLLO-PIANIFICAZIONE DELLE INDUSTRIE INSALUBRI: L’ONERE ECOLOGICO
La normativa sul
c.d. onere ecologico nelle pratiche di rilascio dei permessi di
costruire. Tale onere è previsto dall'articolo 19 (L) del testo unico edilizia in
relazione ad attività industriali artigianali. Recita questo articolo 19:
1. Il permesso di costruire relativo a costruzioni o
impianti destinati ad attività industriali o artigianali dirette alla
trasformazione di beni ed alla prestazione di servizi comporta la
corresponsione di un contributo pari alla incidenza delle opere di urbanizzazione,
di quelle necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti solidi,
liquidi e gassosi e di quelle necessarie alla sistemazione dei luoghi ove ne
siano alterate le caratteristiche. La incidenza di tali opere è stabilita con
deliberazione del consiglio comunale in base a parametri che la regione
definisce con i criteri di cui al comma 4, lettere a) e b) dell’articolo
16 [NOTA 1],
nonché in relazione ai tipi di attività produttiva.”
Secondo il Consiglio di Stato (Sentenza 2717 del
2014) questo contributo va interpretato come un onere sull'impatto complessivo
che l'attività autorizzata ha su un territorio. Afferma la sentenza:
1. il
Comune può imporre, ai titolari della attività autorizzata, nuovi oneri di
tutela ambientale anche se sia già intervenuta apposita convenzione tra gli
stessi e la Amministrazione Comunale. Non solo ma questi oneri possono
riguardare ulteriori elementi oltre al trattamento delle emissioni dovute alla
attività industriale e artigianale.
2. L’onere
ecologico può essere imposto anche successivamente al rilascio del permesso di
costruire
3. L’onere
ecologico può essere imposto successivamente alla firma di convenzioni o al
rilascio del permesso di costruire anche nel caso in cui l’Amministrazione
Comunale non lo avesse applicato in precedenza per errore
4. l’onere
ecologico è applicabile anche se la eventuale convenzione tra il privato
concessionato e la Amministrazione non lo prevedeva
5. l’onere
ecologico non è finalizzato ad imporre la copertura di spesa di opere che sono
comunque dovute in quanto realizzazioni di urbanizzazioni primarie“
6. l’onere
ecologico riguarda solo le attività industriali a prescindere dalle dimensioni
(rileva solo l’impatto potenziale e reale su ambiente e salute) e l’assolvimento
dello stesso non comprende quelle opere che sono comunque dovute per leggi
specifiche
7. l’onere
ecologico quindi va commisurato agli effetti inquinanti complessivi che
l’attività industriale produce
Ovviamente la applicazione
dell’onere ecologico sopra descritto dovrà essere, soprattutto nel suo ammontare,
adeguatamente motivato.
Tutto ciò apre una
scommessa importante non solo per le Regioni (che devono fissare ex lege i
criteri per quantificare l’onere) ma anche per i Comuni che dovranno meglio
definire i parametri di qualità e gli obiettivi di prevenzione nella tutela di
ambiente e salute della loro circoscrizione territoriale, attraverso:
a. i
loro strumenti di pianificazione del territorio,
b. la
loro attività di programmazione dei controlli sulle attività esistenti e
le modifiche delle stesse
c. la
loro attività di conoscenza della qualità dell’ambiente e dei rischi presenti
nella loro circoscrizione territoriale di competenza.
[NOTA 1] a) all'ampiezza ed
all'andamento demografico dei comuni;
b) alle caratteristiche geografiche dei comuni;
b) alle caratteristiche geografiche dei comuni;
Salve, sarebbe possibile diminuire l'impatto ambientale delle industrie tramite gli alberi? I più efficienti sono le conifere sempreverdi, il platano autopulente, l'olmo, la magnolia e il frassino. Posizionarli attorno allo stabilimento o addirittura dentro i confini della fabbrica sarebbe ottimale! Una comoda e buona alternativa agli alberi sono le viti rampicanti che piantate alla base delle pareti della struttura possono ricoprirla, decorarla e purificarla da eccessivi inquinamenti!
RispondiEliminaPer favore prendete in considerazione l'idea. Promuovete il green perché il nostro pianeta ne ha bisogno.
Marco da Alba 3458827459
Mi scusi, l'argomento mi interessa molto, ma non mi è chiaro se una azienda già esistente classificata insalubre possa essere sottoposta a VIA (valutazione di impatto ambientale) e se sì in quale caso (se aggiunge processi di produzione a quelli già esistenti, se modifica un processo di produzione o altri casi).
RispondiEliminaPoi a cosa corrispondono dal punto di vista legislativo e tecnico quelli che lei chiama "impatto sanitario" ed "onere ecologico"?
Il blog è davvero molto interessante, grazie.
Essere classificata insalubre non comporta automaticamente la applicazione della VIA anche nel caso venga modificato in modo sostanziale il processo produttivo aumentando l'impatto ambientale quanto meno potenziale. La applicazione della VIA dipende unicamente dal fatto che l'impianto in questione rientri nelle categorie di progetti contenute negli appositi allegati alla Parte II del DLgs 152/2006. L'impatto sanitario fa riferimento nel caso di opere sottoposte a VIA al fatto che lo studio di impatto ambientale deve contenere per legge anche una valutazione del potenziale impatto sanitario che l'opera prevista potrà produrre sulla salute pubblica della popolazione interessata territorialmente, per poter fare questa valutazione occorre prima di tutto verificare se ci sono criticità esistenti nella salute pubblica di dette popolazioni (ad es. un aumento particolare di malattie o morti correlabili all'inquinamento: es. malattie respiratorie o tumori ambiente correlati). Se le criticità esistono allora lo studio di impatto ambientale deve essere accompagnato da uno studio di impatto sanitario che può essere svolto seguendo le linee guida dell'Istituto Superiore di Sanità o del sistema delle Agenzie per la Protezione dell'Ambiente. Riguardo all'onere ecologico questo è un termine usato daltesto unico edilizia per distinguerlo dall'onere di costruzione relativamente al rilascio del permesso di costruire di strutture relative non ad abitazioni civili ma a impianti industriali, attività artigianali (es. una autofficina). Si tratta, quello dell'onere ecologico, di uno strumento che puòessere applicato a discrezione dei Comuni quando viene rilasciato il permesso di costruire. L'onere serve come parziale compensazione dei potenziali danni ambientali di una data attività inquinante e può essere utilizzato per finanziare sistemi di monitoraggio più efficienti sul territorio comunale ma anche interventi di mitigazione degli inquinanti di singole attività presenti sul territorio comunale. Può essere istituito con apposita delibera di giunta comunale definendo i parametri tecnici per quantificare l'onere.
EliminaBuongiorno vorrei aprire attivita in centro storico ma il comune ha specificato che si possono fare solo assemblaggi negozi di tipo commerciale ma non attività di trattamento metalli perché sono insalubri.
RispondiEliminaConsiderando che l elenco è datato 1994
E oggi 2020 ci sono stati progressi tecnologici per migliorare tipi di lavoro e patto ambientale dunque come si fa ad aggiornare l intero sistema
l'elenco delle industrie insalubri (intese come categorie generali) è inserito in un decreto ministeriale quindi si deve modificare il decreto, non serve una legge che passi dai lunghi tempi del Parlamento ma appunto un intervento ministeriale. Occorre però dire che i Comuni previo parere dell'ASL territorialmente competente valutando il ciclo di attività del singolo stabilimento/negozio può decidere di escluderlo dalla classificazione di industrie insalubre con delibera di giunta o anche ordinanza sindacale. Occorre però una istruttoria tecnica che motivi questa scelta dimostrando la tollerabilità sanitaria della attività in questione.
EliminaBuonasera. Il suo blog è molto interessante. Le vorrei chiedere un chiarimento in merito ad una procedura. Si tratta di un impianto a biometano nell'ambito di un PAUR. Il regolamento d'igiene comunale stabilisce che la distanza minima dalle abitazioni deve essere di 200 m ma ce n'è una a 80 m, 3 palazzine a 230 m, ospedale a 600 m, zone densamente popolate tra i 300 e i 1000 m. Chi deve attestare che vi è assenza di nocumento alla salute dei cittadini e quindi andare in deroga a quel regolamento? Il procedimento PAUR solleva il sindaco dalle sue responsabilità? Il comune può dare parere positivo subordinatamente all'attestazione (da parte di chi?) Dell'assenza di impatto negativi? La ringrazio molto per il tempo che vorrà dedicarmi. Cordiali saluti
RispondiEliminase è un PAUR vuol dire che è sottoposto a VIA e quindi ad AIA. Se è sottoposto a AIA allora il Sindaco ha un potere più specifico che è quello del Parere Sanitario che è obbligatorio in queste procedura e, come insegna giurisprudenza in materia anche del Consiglio di Stato, se ben motivato può comportare il blocco della autorizzazione o se è stato rilasciate la sua revisione. Se invece è un Paur che prevede una autorizzazione ordinaria (non AIA) o una autorizzazione unica ai sensi del dlgs sulle fonti rinnovabili ed assimilate, allora non c'è il Parere Sanitario obbligatorio ma comunque il PAUR non supera i poteri in materia di industrie insalubri del Sindaco, quindi questo può anche tenuto del regolamento di igiene che lei cita e di un parere tecnico di asl o anche di istituto universitario o comunque dipersonale titolato in materia di epidemiologia ambientale contestare il PAUR. Non solo ma in confernza dei servizi se c'è contrasto con gli strumenti urbanistici locali il Comune può sollevare la questione chiedere che venga valutato questo contrasto arrivando a chiedere che non venga applicata automaticamente la efficacia di variante automatica derivante dal PAUR (e in particolare dalla autorizzazione interna al PAUR) ma questa efficacia debba invece essere motivata in conferenza dei servizi. In questo post ho approfondito la questione https://notedimarcogrondacci.blogspot.com/2019/12/autorizzazione-progetto-biodigestore.html#more
EliminaGrazie. studio e poi le rispondo
RispondiEliminaBuongiorno, l'argomento mi interessa molto e le sue risposte chiariscono i dubbi sulla materia. Se posso le chiedevo un opinione sulla classificazione di un'azienda che svolge (principalmente) attività di trasporto veicoli demoliti finalizzati alla vendita per esportazione. Il fatto è che in attesa del trasporto utilizzano l'area della ditta come stoccaggio di veicoli per poi smontarli parzialmente (rimozione delle ruote), caricarli e provvedere alla spedizione. Secondo lei rientra in un'azienda insalubre benché sia iscritta ad attività di autotrasporto??? Grazie delle informazioni che mi fornirà.
RispondiEliminasi tratta di impianto gestione rifiuti (anche fosse solo un mero deposito temporaneo) quindi come tutti gli impianti di gestione rifiuti è classificato come industria insalubre di prima classe
RispondiEliminaSalve, complimenti per la pagina, mi interessa avere riferimento della sentenza citata, che sancirebbe il legame tra industrie insalubri e pianificazione urbanistica comunale, ma i link non è attivo. Potrebbe fornire i riferimenti della sentenza? grazie
RispondiEliminaConsiglio di Stato 27/5/2014 n. 2751 e precedentemente Cons. Stato, V n.338/1996. Interessante anche questa recentissima su cui ho fatto questo post http://notedimarcogrondacci.blogspot.com/2020/12/consiglio-di-stato-applicare-il.html
EliminaSalve. Ennerente ai vignetti con uso di fitosanitari le vorrei chiedere se sono classificati come industrie insalubri di prima classe? E se lo è quali sono gli obblighi di un sindaco nei confronti di una famiglia composto da una persona che soffre di asma acuta grave ( ci sono tutti gli esami clinici che costatano) dove stano per piantare delle vigne doc sul proprio confine. Grazie
RispondiEliminaDirei che i prodotti chimici in agricoltura se usati in modo sistematico costituiscono attività insalubre ai sensi del testo unico leggi sanitarie (si veda la lettera di chiusura punto 46 parte B allegato I al Decreto Ministero del 1994). Quindi si applicano gli articolo 216 e 217 di tale testo unico. Il Sindaco può fare molto: come autorità sanitaria può emettere ordinanza in cui sospende l'uso dei pesticidi se sussiste motivato pericolo per la salute pubblica. Inoltre come capo della amministrazione comunale può proporre alla giunta e al consiglio di approvare un regolamento sull'uso dei pesticidi nel proprio territorio comunale.
RispondiEliminahdfh
RispondiEliminaBuongionro, stanno costruendo due capannoni di galline ovaiole (industria insalubre di 1 classe) a meno di 50 metri dal muro di casa mia. Non esiste regolamento comunale in merito, ma esisterà un regolamento statale o regionale (Emilia Romagna) per stabilire la distanza minima?!
RispondiEliminaintanto essendo industria insalubre anche se non esiste un regolamento comunale specifico che ne disciplina la localizzazione, il Sindaco resta autorità sanitaria e quindi anche utilizzando parere asl può dimostrare la incompatibilità della localizzazione secondo la procedura che individuo anche nel post commentato in questo blog. Inoltre se la procedura di autorizzazione è in corso il Comune può approvare una integrazione alle norme tecniche del piano regolatore e/o del regolamento urbanistico che stabilisca la incompatibilità dell'impianto con la localizzazione prevista dal progetto. Inoltre se l'allevamento supera le dimensioni di legge (40.000 polli) è soggetto ad autorizzazione integrata ambientale e il Sindaco deve rilasciare obbligatoriamente un Parere Sanitario che può imporre forti prescrizioni ma anche la richiesta di rigettare l'autorizzazione. Se è sotto la soglia suddetta l'impianto deve avere una autorizzazione unica ambientale che mantiene intatti i poteri del Sindaco come autorità sanitaria e del Comune sulla conformità urbanistica. Infine il progetto potrebbe essere sottoposto a verifica di assoggettabilità alla Valutazione di Impatto Ambientale se supera questi parametri: c) impianti per l'allevamento intensivo di animali il cui numero complessivo di capi sia maggiore di quello derivante dal
Eliminaseguente rapporto: 40 quintali di peso vivo di animali per ettaro di terreno funzionalmente asservito all'allevamento.
Sono comunque esclusi, indifferentemente dalla localizzazione, gli allevamenti con numero di animali inferiore o uguale
a: 1.000 avicoli, 800 cunicoli, 120 posti per suini da produzione (di oltre 30 kg) o 45 posti per scrofe, 300 ovicaprini, 50
posti bovini;
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaBuonasera, il suo articolo è molto interessante.
RispondiEliminaPer quanto riguarda la classificazione di industrie insalubri di un Autolavaggio a mano, quindi attività artigianale, che ha già l'autorizzazione unica ambientale.
Ci sono delle normative in merito.
Grazie in anticipo
oltre all'aua specifica, occorre verificare cosa dicono gli eventuali regolamenti comunali sulle industrie insalubri nonchè eventuali norme su questa categoria di attività inserite nei regolamenti urbanistici o nelle norme attuative dei piani urbanistici comunali. Inoltre per gli autolavaggi sussiste la norma UNI 11485 http://store.uni.com/catalogo/uni-11485-2013/
EliminaBuongiorno
RispondiEliminaAvrei bisogno di un chiarimento.
Un'industria classificata insalubre, per la quale è stata regolarmente presentata comunicazione alle autorità competenti, deve aprire nello stesso comune una seconda sede, anch'essa inclusa nell'elenco delle industrie insalubri, per eseguire lavorazioni accessorie all'attività principale. è necessario presentare una nuova comunicazione?
Grazie
si perchè è comunque considerata una attività distinta, in termini di impatto potenziale sulla salute pubblica, a prescindere dalla ragione sociale della ditta che la gestisce
EliminaBuonasera,
RispondiEliminavicino la mia casa in campagna, in cui viviamo almeno 4 mesi all'anno con tutta la mia famiglia, bambini compresi, è stato realizzato un impianto di riciclo/recupero [operazione: R3] e di selezione/raggruppamento e di messa in riserva [operazioni: R12 e R13] di rifiuti non pericolosi, in Area di Piano Artigianale.
In questo caso può essere classificata come attività/impresa insalubre?
https://codiceateco.it/categoria/recupero-e-preparazione-per-il-riciclaggio-dei-rifiuti-solidi-urbani-industriali-e-biomasse
EliminaEcco per la precisione di quale attività si occupa l'impresa
gli impianti di rifiuti sono classificati industrie insalubri ex punto 100 sezione B allegato al decreto ministero sanità del 5/9/1994: trattamento rifiuti solidi e liquidi.
EliminaIntanto grazie per la risposta, gentilissimo. Purtroppo l'impianto in questione è vicinissimo alla mia abitazione, circa 40 metri, calcolati non dal perimetro ma dallo stabilimento stesso alle mura di casa mia. Penso che non venga rispettata nessuna distanza di sicurezza! Tutta la mia famiglia è preoccupata, a parte i rumori H24 molte volte sentiamo un cattivo odore, l'area è irrespirabile e siamo preoccupati per la nostra salute ma a maggior ragione per quella dei nostri figli e nipoti. L'impianto è in funzione ormai dal lontano 2008 mentre la casa è una casa di famiglia costruita più di 150 anni fa, con recinzione, piante secolari e dove paghiamo regolarmente l'IMU perché considerata non rurale.
EliminaCosa mi consiglia di fare? A chi posso rivolgermi?
1. Prima di tutto verifiche se nel vostro Comune esiste qualche norma (nel piano regolatore, nel regolamento urbanistica, nel regolamento di igiene) che disciplina la presenza delle industrie insalubri come quella in oggetto. Se esistesse questa norma che contrasta in qualche modo con la presenza dell'impianto potrebbe diffidare immediatamente il Comune a farla rispettare e se il Comune non agisce deve rivolgersi alla Procura della Repubblica competente con apposito esposto.
Elimina2. In secondo luogo se dette norme comunali non esistessero può diffidare il Sindaco (nella qualità di massima autorità sanitaria ex articolo 216 e 217 del testo unico leggi sanitarie) ad intervenire per imporre misure che eliminino il vostro disagio (odori e rumori) . Se il Sindaco non agisce può sempre presentare esposto alla Procura (anche tramite i Carabinieri del luogo) per violazione del codice penale (emissioni odorigene anomale articolo 674 e disturbo quiete pubblica articolo 659) o civile (non rispetto normale tollerabilità delle immissioni odorigene e dei rumori ex articolo 844) .
3. Infine occorre considerare che trattandosi di impianto di gestione rifiuti deve avere una autorizzazione che a seconda delle dimensioni dei rifiuti trattati può essere una comunicazione di inizio attività, una autorizzazione ordinaria (articolo 208 del dlgs 152/2006) una autorizzazione integrata ambientale (titolo III-bis parte II del dlgs 152/2006). In questo caso può diffidare la autorità che ha rilasciato la autorizzazione o ha controllato la comunicazione di inizio attività a far rispettare le prescrizioni ivi previste o chiedere ulteriori prescrizioni se quelle esistenti non fosse sufficienti a tutelare la sua salute e quella della sua famiglia.
Ovviamente in questi casi (soprattutto nella terza ipotesi di azione) sarebbe utile analizzare tutta la documentazione che riguarda questo impianto e farsi assistere da un legale. Ma le prime due azioni può anche svolgerle da solo citando le norme riportate sopra.
Buongiorno gentilissimo dottor Grondacci,
Eliminal’aggiorno sull’evolversi della situazione. Ho controllato, come da sue indicazioni, se nel mio Comune fossero presenti norme che disciplinassero la presenza delle industrie insalubri sul territorio comunale e non ne esistono. Ho interpellato sia l’ufficio igiene che l’ufficio tecnico del Comune e me ne danno conferma, addirittura il responsabile dell’ufficio tecnico smentisce il fatto che quella in oggetto rientra nella categoria di industria insalubre di prima classe (per farle capire come mi continuano a prendere in giro).
A questo punto ho interpellato un avvocato che in passato ha seguito cause ambientali, ho spiegato a quest’ultimo nel dettaglio la situazione ma mi ha fatto intendere che purtroppo rispetto la distanza di sicurezza dell’impianto, circa 40 metri dalla mia abitazione, non si può fare più nulla, nel senso che ormai sono passati troppi anni e se si doveva intervenire si doveva fare subito.
Mi ha comunque rassicurato che possiamo muoverci rispetto la problematica di odori e rumori.
A questo punto le chiedo: è veramente così? Dal momento che l’impianto è stato costruito nel 2008 ormai è tardi per fare causa al comune che non ha tenuto conto della distanza nell’assegnare i lotti?
Preciso che la ditta ha chiesto altri lotti al comune (trattandosi di piano artigianale) per effettuare lo stoccaggio dei rifiuti. Cosa che comunque vorrei evitare che avvenisse…
Preciso anche che il volume di affari negli ultimi 2/3 anni è aumentato a dismisura, la ditta raccoglie rifiuti da circa venticinque comuni diversi e di conseguenza la situazione è peggiorata a vista d’occhio, gli imballi e i cumuli di rifiuti accantonati è sempre in crescita. Pensi che da una ricerca effettuata su internet il sito https://www.informazione-aziende.it/ riporta che il fatturato del gestore durante il 2019 è aumentato del 342,69% rispetto al 2017. Può immaginare quindi come l’aria sia sempre più irrespirabile e di conseguenza il disagio che ci troviamo a vivere con tutta la mia famiglia
diciamo che la risposta dell'avvocato, con tutto il rispetto per il collega, mi pare non esaustiva. Mi spiego la normativa sulle industrie insalubri afferma che gli impianti classificati industrie insalubri di prima classe devono essere tenute lontano dalle zone residenziali (anche da insedimaneto sparso) a meno che non dimostrino di non recare nocumento ai residenti in termini di salute pubblica. Quindi non è l'aspetto temporale che conta ma il fastidio che può essere reiterato nel tempo. Non a caso la giurisprudenza ha affermato che rientra nei poteri dei Comuni modificare la destinazione urbanistica di impianti insalubri anche esistenti prevedendone perfino la ricollocazione se producono fastidi non risolti ai cittadini. Invece concordo con il collega sulla affermazione che a prescindere dalla classificazione di insalubrità se ci sono problematiche odorigene o di altri emissioni/immissioni fastidiose si possa comunque agire in sede legale ma su questo il suo avvocato sa sicuramente come fare. Cordiali saluti
EliminaHo comprato all'asta un cascinale in zona agricola nel 2014 con l'obbligo di cancellazione del vincolo agricolo. Attaccata alla proprietà vi era un allevamento di suini abbandonato. L'ultimo suino allevato risale al 2016. Dopo 12 anni, il Comune di Cavour ha suggerito ad un un'agricoltore che non è il proprietario, di riprendere l'attività . È normale che venga autorizzato a riprendere l'attività senza che rispetti le distanze di 100 metri dalle abitazioni?
RispondiEliminagli allevamenti sono industrie insalubri di prima classe punto 1) sezione C decreto ministero salute 5/9/1994. Non esiste nella legge nazionale una distanza specifica delle industrie insalubri dalle residenze però l'articolo 216 del testo unico leggi sanitarie stabilisce in modo netto che le industrie e attività classificate insalubri devono: "essere isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni" salvo che il gestore della attività dimostri con appositi e precisi interventi preventivi che: "il suo esercizio non reca nocumento alla salute del vicinato" La giurisprudenza ha chiarito che comunque le distanze devono essere effettive fino a ipotizzare la distanza di 500 metri. Inoltre il Comune teritorialmente competenze può regolamentare la localizzazione delle attività insalubri stabilendo le zone dove non devono essere collocate ma anche specifiche distanze. Concludendo anche se il Comune dove lei vive non avesse norme nel piano urbanistico o nel regolamento urbanistico o nel regolamento di igiene comunque in base alla normativa nazionale sopra citata e alla giurisprudenza il gestore dovrà presentare un progetto specifico dimostrando di non creare potenziali emissioni odorigene o di altro tipo. Inoltre gli allevamenti di minori dimensioni richiedono apposita autorizzazione unica ambientale e se superano certi numeri di capi anche la autorizzazione integrata ambientale e la valutazione di impatto ambientale. Mi pare quindi considerato quanto sopra sia difficile che l'agricoltore in questione possa riaprire questa attività nella situazione data
RispondiEliminauna industria di macinazione rocce subentra ad un'altra che aveva ottenuto AUA dichiarando conformità a strumento urbanistico fasulle ,la nuova ditta deve richiedere AUA. Grazie Alpini
RispondiEliminaformalmente l'AUA esistente può essere volturata alla nuova ditta. Però se ci sono problemi urbanistici e/o ambientali allora occorre che prima si appronti una revisione dell'AUA esistente. Inoltre se l'impianto non ha la conformità urbanistica con dichiarazioni false oltre ad aspetti penali, l'AUA è illegittima e può essere annullata in autotutela dall'ente che l'ha rilasciata. Ricordo infine che la attività di cui scrive è classificata industria insalubre di prima classe (punto 83 sezione B Parte I allegato al Decreto Ministero Sanità del 1994) quindi occorrerebbe verificare se crea problemi alla salute pubblica perchè il Sindaco potrebbe attivare i poteri di massima autorità sanitaria sul territorio comunale.
EliminaNon capisco se, per essere classificata industria insalubre di prima classe, è sufficiente detenere una quantità anche simbolica dei materiali riportati in DM 5/9/94 allegato I.
RispondiEliminaNon c'è una soglia minima? è sufficiente detenere anche solo mezzo kg di ammoniaca?
Grazie saluti
non non ci sono soglie per classificarla come insalubre la voce al punto 25 sezione A parte I dell'allegato al DM del 1994 recita : "ammoniaca produzione, impiego, deposito".
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