Il
mio sguardo verso il tema della partecipazione è duplice. Da ricercatore in
diritto ambientale della Fondazione che qui rappresento e da militante ambientalista qui in Liguria in tantissime
vertenze dagli anni 80 del secolo scorso.
Non
rinuncerò, in questa breve introduzione
a questo duplice ruolo anche perché questi due sguardi (da ricercatore e da
militante) non confliggono dentro di me ma anzi mi aiutano ad inquadrare le vertenze sul territorio nella giusta dimensione: politica, istituzionale, culturale e
sociale.
È
indiscutibile che oggi viviamo un’epoca contraddittoria. Da un lato i cittadini
chiedono sempre più di partecipare e i partiti (meglio dire soggetti politici
vista la confusione oggi nella
definizione delle organizzazioni politiche) e quindi le istituzioni da essi
governati, non fanno altro che parlare e dichiarare sulla utilità della
partecipazione. Dall’altro lato nella realtà, soprattutto delle scelte
politiche strategiche e nella amministrazione attiva, il modello di governo che
avanza, insieme alla costituzione materiale frutto di questi anni bui della
democrazia italiana, è quello dichiaratamente: tecnocratico, decisionista,
plebiscitario.
Tutto
questo si riflette anche nei percorsi partecipativi, raramente promossi dalle
istituzioni, dove prevale quasi sempre una logica proprietaria (vedi un es. di
questo concetto QUI) del percorso da parte della istituzione che lo promuove.
Questa
tendenza che chiamerò per
semplificazione espositiva: Partecipazione
Annunciata, contribuisce ad aumentare la distanza tra cittadini e istituzioni e, allo stesso tempo, la
delegittimazione delle istituzioni pubbliche, enti tecnici compresi (basti
pensare in campo ambientale alle Arpa o alle ASL).
Ma
c’è un rischio ulteriore che si pone di conseguenza al quadro sopra descritto e
cioè che i Cittadini Attivi
rimuovano dal loro orizzonte di analisi ed iniziativa la questione del modello
di governo e della riforma delle istituzioni e si chiudano in un neo
corporativismo comunitario e territoriale. Così il cerchio può chiudersi, e quindi gli spazi di azione democratica, tra
un neo autoritarismo plebiscitario e una
società neo-feudale spezzata in tante piccole corporazioni etniche, culturali, identitarie
in modo non inclusivo. Ben peggio quindi del semplice “non nel mio giardino”
che andrebbe peraltro affiancato dal altrettanto diffuso “non nel mio mandato
amministrativo”.
Ricapitolando quindi tre
sono i temi che oggi pone una discussione
sulla partecipazione:
1. Il modo di usare
conoscenza e sapere da parte del potere. Si tratta in altri termini della
questione della qualità del processo decisionale e/o della istruttoria, insomma del
modo con cui si costruiscono le decisioni: su quali dati, su quali analisi, su
quali scenari, su chi elabora tutto ciò sulla base di quali interesse ed
obiettivi.
2. Le regole minime di
garanzie per far pesare la partecipazione dei cittadini all’interno dei
procedimenti decisionali normati da leggi, statuti, regolamenti.
3. La assunzione di
responsabilità dei cittadini attivi su come si sta dentro i conflitti e su come
si guardano le istituzioni da dentro i conflitti (vedi QUI)
Ecco
che, secondo come si daranno risposte a questi tre temi, secondo come verranno affrontati, si deciderà buona parte della scommessa sulla democrazia partecipativa
o meglio deliberativa.
Ma
resta un dato assolutamente incontrovertibile i Cittadini Attivi sono i soggetti decisivi nella risposta alla crisi
della democrazia rappresentativa in atto. Ma lo saranno anche a condizione che
diventino loro stessi pienamente consapevoli della valenza politica
istituzionale del loro ruolo. Ruolo che poi è nella sostanza quello che è stato ribadito dalla Corte Costituzionale nella recente
sentenza n.1 del 2014
(vedi
QUI http://notedimarcogrondacci.blogspot.it/2014/01/la-corte-costituzionale-la-sovranita.html
)
sulla legge elettorale: “la sovranità
appartiene al popolo anche dopo le elezioni”. Lo ricordi il governo nazionale ma anche lo
ricordino i Sindaci eletti direttamente dai cittadini, si quelli che sembrano
stati colti da un virus riassumibile in
questa frase, ormai un mantra per loro, “mi hanno votato e quindi ora per 5 anni
decido io”.
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