Il Consiglio di Stato
con sentenza n°10075 del 16 novembre 2022 (QUI) ha statuito sulla richiesta di risarcimento avanzata dai
ricorrenti appellanti per pretesi danni da loro subiti in conseguenza
dell’attività di raccolta e smaltimento rifiuti svolta presso una discarica a
partire dalla fine degli anni Sessanta del secolo scorso.
La sentenza chiarisce due aspetti rilevanti:
Il primo quando una azione di questo tipo si prescrive.
Il secondo quando la presenza di una attività potenzialmente
inquinante come una discarica possa avere prodotto un danno frutto di una
illecita gestione della discarica.
COSA
CHIEDEVANO I RICORRENTI
I
ricorrenti appellanti, in quanto proprietari di un terreno agricolo, hanno
dedotto che l’esercizio, su un terreno situato nelle immediate vicinanze, di
una discarica di rifiuti, in particolare ad opera delle intimate appellate
società che l’hanno gestita nel tempoi, avrebbe determinato la contaminazione
di tutta l’area circostante, e in particolare innescato un processo di degrado
del loro terreno agricolo, tale da azzerarne sostanzialmente il valore e da
produrre il sostanziale fallimento della loro attività, che si è contratta al
punto da non consentir più loro di far fronte ai mutui contratti allo scopo.
LA SENTENZA
SULLA PRESCRIZIONE DELL’AZIONE RISARCITORIA
Il Consiglio di Stato
nella sentenza qui esaminata ha dato ragione ai ricorrenti sulla questione
della non avvenuta prescrizione della loro azione. Al di là del caso oggetto
della sentenza è interessante riportare la motivazione del Consiglio di Stato.
Secondo il collegio è
chiara in giurisprudenza la distinzione fra illecito permanente e illecito
istantaneo ad effetti permanenti. Il primo consiste in una condotta che
perdura, e che mantiene il bene in condizioni di danneggiamento, con la
conseguenza che il termine di prescrizione “inizia a decorrere solo dal
momento in cui tali condizioni siano state volontariamente eliminate dal
danneggiante ovvero la condotta sia stata resa impossibile dalla perdita
incolpevole della disponibilità del bene da parte di quest'ultimo”.
Secondo il Consiglio di
Stato siamo, trattandosi di una discarica gestita da decenni, nella ipotesi
dell’illecito permanente almeno in termini astratti di principio.
Infatti, secondo i giudici
la condotta lesiva di cui si ragiona è unitaria, ed è rappresentata, dal punto
di vista della parte, nella presunta mala gestione della discarica, che
avrebbe prodotto conseguenze dannose ovvero pericolose nello spazio fisico
circostante. Questa condotta lesiva, sempre in ipotesi, è effettivamente una
condotta protratta nel tempo, che mantiene il bene danneggiato in condizioni di
pregiudizio. Ciò posto, ad avviso del Collegio, la natura di questa condotta
non muta in base alla qualificazione giuridica che si possa dare del bene da
essa offeso; in altre parole, quanto si è detto non muta a seconda che lo
spazio fisico circostante venga qualificato sotto il profilo del bene giuridico
ambiente, ovvero sotto il profilo del diritto soggettivo di proprietà di cui i
ricorrenti appellanti erano titolari: a fronte di una stessa identica condotta,
identica deve essere la disciplina della prescrizione del diritto al
risarcimento, con soluzione oltretutto conforme ad equità sostanziale.
Poiché quindi la
gestione della discarica perdura a tutt’oggi, la prescrizione della azione risarcitoria astrattamente
considerata non sussiste.
LA SENTENZA
SULLA ESISTENZA IN CONCRETO DI UNA DANNO RISARCIBILE
Affermano i giudici che è
del tutto noto che chi richieda il risarcimento per un presunto danno ingiusto
da lui subito debba in primo luogo provare l’esistenza del fatto illecito che,
secondo la sua prospettazione, avrebbe cagionato questo danno.
In particolare, essendo la
discarica autorizzata, l’ipotesi su cui fondare l’azione risarcitoria, poteva
essere che l’attività della discarica abbia cagionato danno per avere
illegittimamente travalicato i limiti impostile dai legittimi atti amministrativi
che ne hanno assentito l’esercizio.
Tuttavia, sulla base delle
prove dedotte in giudizio, questa ipotesi secondo la sentenza in esame non è
dimostrata e questo per i carenti atti e motivi probatori apportati in giudizio
dai ricorrenti:
1. le sostanze
inquinanti sono state ritrovate all’interno del sito della discarica, ma non ne
consta una diffusione all’esterno, in particolare sul fondo dei ricorrenti
appellanti;
2. semplici articoli di stampa su generici fastidi dalla
attività della discarica;
3. un documento di analisi che però è del tutto
decontestualizzato, non constando le precise circostanze di tempo e di luogo in
cui queste analisi sono state eseguite e non essendovi alcuna argomentazione
allegata circa la possibile provenienza degli inquinanti;
4. lo studio
di caratterizzazione della discarica però nulla dice sulla presenza di
inquinanti fuori dal sito;
5. uno
studio sui danni provocati dai gabbiani al tetto della serra gestita dai ricorrenti
appellanti, non certo idoneo a provare una qualche forma di mala gestione della
discarica, dato che, per comune esperienza, il gabbiano è ubiquitario nelle
zone in cui vi siano rifiuti provenienti da insediamenti umani, senza necessità
che questi rifiuti vengano da una discarica mal gestita.
Quindi, conclude la
sentenza: considerato
che nell’ambito della giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo in
materia di diritti vale senza eccezioni la regola civilistica dell’onere della
prova – per tutte, sul punto già C.d.S. sez. VI 4 marzo 2015 n°1052 QUI e 22 novembre 2010 n° 8125 –
la sussistenza del fatto illecito produttivo di danno non è dimostrata, e
quindi la domanda risarcitoria va respinta.
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