Il Consiglio di Stato con sentenza n° n. 6758 del 26
luglio 2024 (QUI)
ha considerato legittima la variante urbanistica e la successiva approvazione
di un nuovo Piano urbanistico generale comunale con la quale vietava la costruzione
di un impianto rifiuti in un’area che, prima di detta variante, prevedeva una
destinaziona funzionale una discarica e una cava in attività, area nella
disponibilità della società che voleva ampliare la attività di gestione rifiuti
e coltivazione cava oltre che continuare le attività esistenti. Si smentisce
ancora una volta, da parte della giurisprudenza, la interpretazione letterale
dell’articolo 208 del DLgs 152/2006 per cui l’autorizzazione ad un impianto di
gestione rifiuti una volta approvata costituisce automatica variante alla
pianificazione urbanistica quanto meno comunale.
LA GIURISPRUDENZA PRECEDENTE ALLA NUOVA SENTENZA CHE
CONFERMA I POTERI DEL COMUNE IN MATERIA DI PIANIFICAZIONE URBANISTICA
La sentenza si inserisce in un filone della
giurisprudenza del Consiglio di Stato già analizzato in questo blog QUI,
dove si citava la sentenza n° 4734 del 2019 (QUI) che
in relazione alla proposta di realizzazione di un impianto di trattamento
rifiuti aveva affermato che è la Conferenza dei Servizi la sede dove verificare
l’applicazione di detta automaticità, per cui solo in quella sede si potrà
dimostrare che la applicazione della norma che prevede che la autorizzazione
all’impianto costituisce variante automatica al PUC vigente non comporti
impatti ambientali sociali ed economici non superabili.
Ancora prima si veda Consiglio di Stato sentenza 28/8/2008 n° 4097(QUI)
ha precisato che nella VIA “La conformità urbanistica del progetto alle
previsioni urbanistiche comunali […] costituisce, contrariamente a quanto
prevede l’appellante, elemento indispensabile della valutazione." NON
SOLO, in coerenza con quanto sopra la questione della conformità dell’opera
agli strumenti di pianificazione deve essere intesa nel senso che il
giudizio di conformità deve essere reso con riferimento anche agli
eventuali profili di tutela ambientale.
FATTO OGGETTO DEL CONTENZIOSO CHE HA PORTATO ALLA NUOVA
SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO
Il Comune ha deciso, con apposita variante, di includere
i terreni in questione in una zona vincolata, denominata “Parco Tufarelle”, e
quindi di stabilire per essi un regime urbanistico ritenuto meno favorevole,
con divieto di svolgervi attività estrattiva, di realizzarvi discariche e
depositi di rifiuti e di ampliare le attività esistenti. Successivamente il
Comune ha adottato e approvato un nuovo piano urbanistico generale – P.U.G.,
sostitutivo come tale del piano previgente e della suddetta variante.
In particolare, la variante e il successivo nuovo piano
urbanistico comunale prevede che nelle aree per cui è causa “sono occupate da
impianti speciali (discariche), impianti di trattamento reflui, cave in
attività e cave dismesse”, si consente in modo espresso “l’esercizio degli
impianti esistenti”, proibendone l’ampliamento, come pure il rilascio di
autorizzazioni per nuove cave e nuovi impianti.
Infine il Comune ha adeguato il suddetto nuovo PUG alle disposizioni
del Piano paesistico territoriale regionale, che inserisce le aree in questione
in un ulteriore ambito di tutela, denominato “Ambito di Paesaggio.
I MOTIVI DI CONTESTAZIONE DELLA SOCIETÀ CONTRO LA
DECISIONE DEL COMUNE
Primo motivo
La scelta del Comune di includere le proprie aree nel
parco Tufarelle contrasterebbe con l’effettivo stato dei luoghi, nel senso che
si tratterebbe di aree prive delle caratteristiche naturali e paesistico
ambientali che ne giustificherebbero la tutela; sarebbe poi errata anche perché
si tratterebbe di aree non incluse in alcun parco istituito con legge nazionale
o regionale
Secondo motivo
Uno strumento urbanistico comunale non potrebbe imporre
vincoli di natura paesaggistica o architettonica, ma soltanto rendere
eventualmente più rigorosa la tutela di beni già vincolati nel piano
paesaggistico regionale; di conseguenza, il Comune non avrebbe potuto vincolare
le aree per cui è causa, non tutelate dal piano paesaggistico stesso né da
alcun altro vincolo speciale.
Terzo motivo
Sussisterebbe la violazione dell’art. 208 del d.lgs. 3
aprile 2006 n.152 ed in particolare il comma 6 [NOTA 1] dello stesso. La parte appellante assume che le disposizioni di piano
contestate conterrebbero un divieto di localizzazione di impianti di
trattamento rifiuti e sostiene che al Comune non spetterebbe alcun potere in
materia: ciò sarebbe comprovato dall’art. 208 in questione, per cui il
provvedimento che autorizza alla realizzazione e gestione degli impianti di
questo tipo vale anche deroga agli strumenti urbanistici comunali,
deducendosene che il Comune non potrebbe in alcun modo interferire nella
materia.
LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO
Relativamente al secondo motivo di doglianza della
società: Il Comune con la sua pianificazione può imporre ulteriori vincoli a
quelli previsti dalle leggi speciali (nazionali e regionali)
Il Comune, nell’esercizio della sua potestà di
pianificazione del territorio, ben può prevedere per determinate zone del
proprio territorio vincoli ulteriori e diversi rispetto a quelli previsti dalle
leggi speciali. La pianificazione territoriale si sviluppa per “cerchi
concentrici”, nel senso che le previsioni del piano territoriale di livello
inferiore non possono porsi in contrasto con quelle del piano territoriale di
livello superiore, ma non è precluso al Comune – dato che diversamente verrebbe
nella sostanza negata la sua autonomia- di dotarsi di strumenti di
pianificazione urbanistica con prescrizioni più dettagliate ovvero più rigorose
rispetto a quelle degli atti di pianificazione di livello superiore, giustificate
da aspetti particolari del proprio territorio, che ad esso spetta di
disciplinare in accordo con il principio costituzionale di sussidiarietà
verticale: così la costante giurisprudenza, per tutte Consiglio di Stato. sez. IV 31 agosto
2023 n.8091 (QUI),
e sez. II 14 novembre 2019 n.7839 (QUI).
Relativamente al terzo motivo di doglianza della
società: L’articolo 208 del DLgs 152/2006 non impedisce che attraverso la
conferenza dei servizi la variante imponga una destinazione funzionale diversa
L’art. 208 comma 6 del d. lgs. 152/2006, come già
riportato in precedenza, prevede che l’autorizzazione unica per gli impianti di
smaltimento e recupero dei rifiuti “sostituisce ad ogni effetto visti, pareri,
autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali,
costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico e comporta la
dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori”.
Secondo la sentenza qui esaminata non è corretta
l’interpretazione che la parte appellante propone di questa norma, che a suo
avviso avrebbe spogliato il Comune da ogni competenza in materia. A parte
l’evidente rilievo per cui una così marcata compressione dell’autonomia
costituzionalmente garantita dell’ente locale dovrebbe risultare se mai da una
norma espressa, e non da un’interpretazione, la giurisprudenza ha infatti
chiarito che l’art. 208 comma 6 citato non preclude ai Comuni di individuare,
nell’esercizio delle loro competenze in materia urbanistica, siti non
compatibili con gli impianti di smaltimento rifiuti, perché se così fosse, per
assurdo, non avrebbe senso la norma che ritiene superabili previsioni di questo
tipo attraverso il valore di variante che assume il provvedimento autorizzatorio.
L’atto comunale che incide in materia, quindi non è nullo né illegittimo,
soltanto è possibile che la conferenza di servizi, appunto imponendo una
variante, motivatamente superi la pianificazione del Comune in tal senso: così
in modo espresso Consiglio di Stato sez. IV 10 agosto 2020 n.4991 (QUI).
Relativamente al terzo motivo di doglianza il Consiglio
di Stato precisa ulteriormente i poteri del comune in materia di pianificazione
urbanistica anche con la finalità di prevenire ulteriori degradi ambientali
delle aree di competenza
Afferma in conclusione la sentenza e a prescindere dai
motivi di doglianza sopra richiamati: in materia di pianificazione
urbanistica il Comune è titolare di un’ampia discrezionalità, sindacabile dal
Giudice amministrativo di legittimità nei soli casi di esiti abnormi o
manifestamente illogici. Si deve poi escludere che esiti di questo tipo sussistano
nel caso di specie, per le ragioni che seguono.
Secondo la giurisprudenza di questo Consiglio, infatti
l’imposizione di un vincolo può avere anche il fine di recuperare un’area
degradata, allo scopo di prevenire un degrado ulteriore, e quindi di “salvare
il salvabile”: sul punto specifico, Consiglio di Stato sez. VII 23 marzo 2023 n.2959 (QUI).
Questo comporta che la sentenza in esame respinga anche
il primo motivo di doglianza della società per cui il Comune poteva imporre il
nuovo vincolo attraverso la variante e il nuovo PUG anche se “si tratterebbe
di aree non incluse in alcun parco istituito con legge nazionale o regionale”.
INFINE, SECONDO LA SENTENZA IL CONCETTO DI AREA DEGRADATA
DA RISANARE NON PUÒ LIMITARSI AL SITO DOVE ESISTONO IMPIANTI DA AMPLIARE
Afferma la sentenza: Va sul punto in particolare
osservato che la soluzione scelta rispetta un canone di proporzionalità, dato
che fa salve in modo espresso le attività esistenti, le quali quindi potranno
continuare sino al naturale loro esaurimento. Va poi ulteriormente osservato
che quanto deduce la parte, circa il presunto nessun pregio ambientale delle
aree di sua disponibilità, si fonda su un punto di vista atomistico, che le
considera in modo isolato, anziché, come dovrebbe essere, nell’ambito della
complessiva zona occupata dal parco.
[NOTA 1] “6. Entro
30 giorni dal ricevimento delle conclusioni della Conferenza dei servizi,
valutando le risultanze della stessa, la regione, in caso di valutazione
positiva del progetto, autorizza la realizzazione e la gestione dell'impianto.
L'approvazione sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e
concessioni di organi regionali, provinciali e comunali, costituisce, ove
occorra, variante allo strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di
pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori.”
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