La Corte Costituzionale
con sentenza n° 141 del 8 luglio 2021 (QUI) ha dichiarato
la incostituzionalità di due norme regionali:
1. la prima che ha abbassato da 800 a 300 metri sul
livello del mare la quota al di sotto della quale gli ecosistemi forestali
governati a fustaia a prevalenza di faggio sono definiti tali.
2. la seconda che al fine di semplificare le procedure
di approvazione della pianificazione forestale aziendale sottopone ad
autorizzazione paesaggistica gli stessi relativamente ad interventi a carico
dei beni ai sensi degli articoli 136 e 142 del decreto legislativo 22 gennaio
2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio. Aggiunge la norma
regionale che tale preventiva autorizzazione paesaggistica si intende acquisita
per tutti gli interventi previsti nei piani stessi e resi esecutivi.
RELATIVAMENTE ALLA PRIMA
NORMA REGIONALE CONTESTATA
La norma impugnata non si
è limitata a modificare una precedente legge regionale che aveva introdotto un
vincolo in assenza di precisi e corrispondenti limiti derivanti dalla
disciplina statale, ma, abbassando la quota altimetrica al di sotto della quale
operano le norme di tutela delle faggete depresse, ha surrettiziamente aggirato
il vincolo posto dalla norma interposta costituita dall'art. 142, comma 1,
lettera g), del d.lgs. n. 42 del 2004 (QUI).
Quest'ultima disposizione
stabilisce che sono comunque di interesse paesaggistico e sono sottoposti alle
disposizioni del Titolo I "Tutela e valorizzazione" della Parte terza
"Beni paesaggistici" del d.lgs. n. 42 del 2004: “... g) i
territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal
fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti
dall'articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227”.
In particolare la Corte
Costituzionale ricorda che l’art. 3 del d.lgs. n. 34 del 2018 (QUI) dopo
aver stabilito che i termini bosco, foresta e selva sono equiparati (comma 1),
distingue a seconda che la definizione di bosco riguardi ambiti rientranti
nelle materie di competenza esclusiva dello Stato (comma 3) o in quelle di
competenza delle Regioni (comma 4). In relazione alle prime, il comma 3
dell'art. 3 definisce bosco di competenza statale: “le superfici coperte da vegetazione forestale
arborea, associata o meno a quella arbustiva, di origine naturale o artificiale
in qualsiasi stadio di sviluppo ed evoluzione, con estensione non inferiore ai
2.000 metri quadri, larghezza media non inferiore a 20 metri e con copertura
arborea forestale maggiore del 20 per cento”. Mentre, in relazione alle seconde
(nel comma 4), prevede che le Regioni: “per quanto di loro competenza e in
relazione alle proprie esigenze e caratteristiche territoriali, ecologiche e
socio-economiche, possono adottare una definizione integrativa di bosco rispetto
a quella dettata al comma 3, nonché definizioni integrative di aree assimilate
a bosco e di aree escluse dalla definizione di bosco di cui, rispettivamente,
agli articoli 4 e 5, purché non venga diminuito il livello di tutela e
conservazione così assicurato alle foreste come presidio fondamentale della
qualità della vita”.
Le regioni possono dunque
intervenire sia sulla definizione di bosco sia su quelle di aree assimilate e
di aree escluse, fermo restando che non possono in nessun caso ridurre il livello
di tutela e conservazione assicurato dalla normativa statale sopra richiamata.
Aggiunge la sentenza della Corte Costituzionale se è vero che nella legislazione statale non esiste
una definizione di “faggeta depressa”, né è fissata una quota altimetrica al di
sotto della quale le faggete possono definirsi tali, non si può non rilevare
che la scelta del legislatore regionale di proteggere tale ambito boschivo vale
ad attrarre il bosco stesso - nei termini in cui la Regione ha ritenuto di
tutelarlo - nella categoria dei boschi e delle foreste protetti dal citato art.
142, comma 1, lettera g), del d.lgs. n. 42 del 2004.
Ora, la norma regionale
impugnata, che tiene ferma la scelta di proteggere le faggete depresse - e
quindi la loro attrazione nell'ambito della sfera di protezione dei boschi ai
sensi della legislazione statale - ma ne modifica, come visto
irragionevolmente, la definizione, produce l'effetto di escludere dalla
specifica tutela assicurata dall'art. 34-bis della legge reg. Lazio n. 39 del
2002 la gran parte delle faggete depresse (situate per lo più sopra i 300 metri
sul livello del mare) e di rendere possibili «le utilizzazioni per finalità
produttive» per le faggete poste al di sopra dei 300 metri sul livello del
mare, ossia in buona sostanza per la parte più grande delle faggete depresse.
In tal modo il legislatore
regionale ha di fatto svuotato il contenuto di tutela che aveva in precedenza
scelto di adottare per la faggeta depressa, attraverso un intervento sulla
definizione di tale particolare fenomeno naturale, che è frutto, più ancora che
di una forzatura, di una vera e propria falsa rappresentazione della realtà.
Quindi la sentenza dichiara la incostituzionalità di detta norma regionale.
RELATIVAMENTE ALLA SECONDA
NORMA REGIONALE CONTESTATA
Secondo la sentenza della
Corte Costituzionale qui esaminata è persuasiva sul punto la ricostruzione
operata dal ricorrente, il quale correttamente individua l'effetto della
disposizione impugnata, per un verso, nell'anticipazione dell'autorizzazione paesaggistica
ai piani di gestione e assestamento forestale e al piano poliennale di taglio
di cui agli artt. 13 e 14 della legge reg. Lazio n. 39 del 2002, ove siano
previsti interventi su beni tutelati, e, per altro verso, nell'esonero dal
rilascio dell'autorizzazione per i singoli interventi posti a valle.
Quella anzidetta non è
però una mera anticipazione temporale dell'autorizzazione paesaggistica, ma
determina un autentico stravolgimento della ratio del d.lgs. n. 42 del 2004 e
in particolare dell'art. 146, che è la norma centrale in materia di controllo e
gestione dei beni soggetti a tutela paesaggistica.
La disamina delle
disposizioni contenute nell'art. 146 cod. beni culturali consente di dedurre
che il sistema elaborato dal legislatore statale si basa sulla centralità
dell'esame, singulatim svolto, dei progetti relativi a interventi su immobili e
aree di interesse paesaggistico. Si coglie così il senso della tutela
assicurata dal codice dei beni culturali e del paesaggio, fondata su una
prospettiva unitaria in cui le specificità dei singoli progetti non sfumano in
una indeterminata visione d'insieme ma danno concretezza a un quadro che non
può non essere unico.
Per le anzidette ragioni e
in considerazione della giurisprudenza di questa Corte indicata supra al punto
4, si deve concludere nel senso che la norma impugnata, prevedendo l'esonero
dalle autorizzazioni sui singoli interventi, reca una deroga alle
previsioni dell'art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004, con conseguente violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
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