Con sentenza n° 272 depositata lo scorso 21 dicembre la Corte Costituzionale (QUI) ha dichiarato incostituzionale una norma regionale che stabiliva un criterio di esclusione astratto e generale per gli impianti di rifiuti combustione del combustibile solido secondario (CSS) e quelli rientranti nelle tipologie di cui ai punti 1 e 10 [NOTA 1] dell’Allegato 2, Suballegato 1 (Norme tecniche per l’utilizzazione dei rifiuti non pericolosi come combustibili o come altro mezzo per produrre energia), del decreto del Ministero dell’Ambiente 5 febbraio 1998 (QUI).
La decisione della Corte Costituzionale nel dichiarare la incostituzionalità della norma regionale riafferma la centralità della Pianificazione Pubblica nella definizione dei criteri sulle dimensioni, la tipologia e la localizzazione degli impianti di gestione rifiuti (tutti compresi quelli per i rifiuti organici), vediamo come...
In
particolare la norma regionale dichiarata incostituzionale è l’art. 2 L.R. Marche
18 settembre 2019, n. 29 che prevedeva che gli
impianti suddetti «devono essere ubicati ad una distanza minima di 5
chilometri dai centri abitati, come definiti dal decreto legislativo 30 aprile
1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) e da funzioni sensibili» (comma
1), e che « la distanza dai centri abitati di cui al comma 1 va
considerata dal perimetro esterno delle zone residenziali consolidate, di
completamento e di espansione come individuate dagli strumenti urbanistici »
(comma 2).
La Corte Costituzionale in questa nuova sentenza ha voluto ribadire che non possono essere definiti ex lege da parte delle Regioni divieti di localizzazione che richiedono una procedura di verifica confronto e approvazione diversa da una legge. In particolare la Corte nella sentenza in esame, richiama la sentenza n° 116 del 2020 (QUI) dove si afferma : « se la materia, per la stessa conformazione che il legislatore le ha dato, si presenta con caratteristiche tali da enfatizzare il rispetto di regole che trovano la loro naturale applicazione nel procedimento amministrativo, ciò deve essere tenuto in conto nel vagliare sotto il profilo della ragionevolezza la successiva scelta legislativa, pur tipicamente discrezionale, di un intervento normativo diretto».
Infatti
sempre secondo la Corte il procedimento amministrativo costituisce il luogo
elettivo di composizione degli interessi, in quanto “è nella sede
procedimentale […] che può e deve avvenire la valutazione sincronica degli
interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, a confronto sia con
l’interesse del soggetto privato operatore economico, sia ancora (e non da
ultimo) con ulteriori interessi di cui sono titolari singoli cittadini e
comunità, e che trovano nei princìpi costituzionali la loro previsione e
tutela. La struttura del procedimento amministrativo, infatti, rende possibili
l’emersione di tali interessi, la loro adeguata prospettazione, nonché la
pubblicità e la trasparenza della loro valutazione, in attuazione dei princìpi
di cui all’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241[…]: efficacia,
imparzialità, pubblicità e trasparenza. Viene in tal modo garantita, in primo
luogo, l’imparzialità della scelta, alla stregua dell’art. 97 Cost., ma poi
anche il perseguimento, nel modo più adeguato ed efficace, dell’interesse
primario, in attuazione del principio del buon andamento dell’amministrazione,
di cui allo stesso art. 97 Cost."; si vedano le sentenze Corte Costituzionale n. 69 del
2018 QUI e la citata in precedenza n. 116 del 2020.
Inoltre secondo la Corte Costituzionale una interpretazione dell’indirizzo legislativo come quella sopra riportata è coerente con gli obiettivi e con i contenuti dei Piani regionali rifiuti così come indicati dall’articolo 199 del DLgs 152/2006.
Infatti
l’attività di pianificazione è per propria natura devoluta a realizzare una
trama unitaria nell’assetto del territorio, ove confluiscono i più vari, e
talvolta divergenti, interessi che la legge persegue. Sempre più presente
nell’ordinamento, e tipica dell’attività amministrativa, è perciò l’esigenza di
raggiungere un punto di sintesi, adottando scelte non frazionate, ma sensibili al
contesto di pianificazione al quale vengono a sovrapporsi.
L’art.
199, comma 5, del cod. ambiente, stabilendo che « il piano regionale di
gestione dei rifiuti è coordinato con gli altri strumenti di pianificazione di
competenza regionale previsti dalla normativa vigente» persegue proprio
tale scopo. Ad esso la disposizione regionale impugnata viceversa si sottrae,
ricorrendo ad un divieto di localizzazione insensibile alla concomitante
pianificazione regionale, oltre che frutto di una scelta lontana da ogni
concreto apprezzamento in ordine alla conformazione del territorio marchigiano.
È
invece necessario che il citato piano adatti i criteri di esclusione di
certe porzioni di territorio alla effettiva conformazione dello stesso,
fuggendo divieti astratti che, anche in quanto formulati senza una visione
sinottica della pianificazione, rischiano di tradursi in un forte ostacolo alla
(se non persino nella impossibilità di), realizzazione degli impianti, con
conseguente illegittimità costituzionale (sentenze Corte Costituzionale n.
154 del 2016 (QUI) e n. 285 del 2013 (QUI).
CONCLUSIONI
Se
letta in modo letterale la sentenza può sembrare che impedisca di stabilire
vincoli di non realizzazione di impianti a priori. In realtà la sentenza ha un
pregio che è quello di confermare che:
1. i criteri di
localizzazione degli impianti dei rifiuti
2. le localizzazioni
puntuali dove realizzare gli impianti di rifiuti
la
decide la pianificazione pubblica nei diversi livelli disegnati dalla normativa
vigente (Piano Regionali per i criteri, Piani Provinciali per i siti, Piani di
Ambito per la coerenza delle scelte con una efficiente gestione del ciclo dei
rifiuti su area vasta).
Questo non solo perché in realtà ciò è quanto prevede la legge (articoli 197 per i piani provinciali o di ambito e 199 per i piani regionali) ma soprattutto perché data la natura giuridica dello strumento piano questa garantisce che lo stesso venga approvata attraverso una istruttoria trasparente, partecipata, fondata su parametri ed indicatori precisi e di natura tecnica e soprattutto assoggettato a Valutazione Ambientale Strategica. La VAS infatti è la procedura che permette di valutare il Piano e quindi anche le dimensioni degli impianti, le tipologie degli impianti, i siti dove collocarli secondo scenari alternativi fondati sul coinvolgimento delle comunità locali e degli enti locali che hanno così vari strumenti anche legali per incidere sulla decisione finale di valutazione/adozione e approvazione del Piano.
P.S.
Quanto sopra vale per tutte le tipologie di rifiuti di origine urbana compresi i rifiuti organici. Sulla necessità che anche per gli impianti che trattano rifiuti organici (biodigestori) occorra che tipologia dimensione e sito venga deciso dalla pianificazione pubblica ho scritto QUI.
[NOTA 1] biogas, scarti vegetali, Rifiuti
della lavorazione del legno e affini non trattati , Rifiuti da fibra tessile,
Rifiuti della lavorazione del legno e affini trattati, Rifiuti della lavorazione
del tabacco, Rifiuti di legno impregnato con preservante a base di creosoto e
con preservante a base di Sali, Scarti di pulper, Fanghi essiccati di
depurazione di acque reflue.
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