La Corte Costituzionale
con sentenza 17 febbraio 2021 n° 23 (QUI)interviene
sulla legittimità costituzionale di una norma regionale secondo la quale la Regione: “sostiene la fornitura e
l'utilizzo dei prodotti provenienti dalla filiera corta e dagli organismi non
geneticamente modificati negli appalti pubblici di servizi o di forniture di
prodotti alimentari ed agroalimentari destinati alla ristorazione collettiva di
scuole di ogni ordine e grado, università, ospedali, luoghi di cura, gestiti da
enti pubblici o da soggetti privati convenzionati. Per tale motivo, la
fornitura e l'utilizzo di prodotti provenienti dalla filiera corta in misura
superiore al 50 per cento oppure l'utilizzo di prodotti non contenenti
organismi geneticamente modificati, pur nel rispetto della normativa statale
vigente in materia di contratti pubblici, costituiranno titolo preferenziale
per l'aggiudicazione degli appalti di servizi e forniture destinati alle
attività di ristorazione collettiva”.
IL QUADRO NORMATIVO
EUROPEO E NAZIONALE DI RIFERIMENTO PER LA LEGISLAZIONE REGIONALE
La Corte Costituzionale
nella sentenza in esame in primo luogo descrive la normativa di riferimento
sulla quale valutare la costituzionalità della norma regionale impugnata.
L'art. 22 della direttiva
2001/18/CEE (QUI), come
modificata dalla direttiva 2015/412/UE, stabilisce che «gli Stati membri non
possono vietare, limitare o impedire l'immissione in commercio di OGM, come
tali o contenuti in prodotti, conformi ai requisiti» previsti dal diritto
europeo.
Il successivo art. 23
attribuisce sì agli Stati membri il potere di limitarne o vietarne
temporaneamente la vendita o l'utilizzo in commercio, ma solo qualora «uno
Stato membro, sulla base di nuove o ulteriori informazioni divenute disponibili
dopo la data dell'autorizzazione e che riguardino la valutazione di rischi
ambientali o una nuova valutazione delle informazioni esistenti basata su nuove
o supplementari conoscenze scientifiche, abbia fondati motivi di ritenere che
un OGM come tale o contenuto in un prodotto debitamente notificato e
autorizzato per iscritto in base alla presente direttiva rappresenti un rischio
per la salute umana o l'ambiente»; in tal caso, inoltre, lo Stato membro deve
informare immediatamente la Commissione europea e gli altri Stati, motivando la
propria scelta, sulla quale è adottata una decisione della stessa Commissione.
L'art. 26-ter, infine,
prevede i casi in cui è possibile chiedere la limitazione o il divieto di
coltivazione di OGM autorizzati, in base a peculiari esigenze ambientali,
economiche e territoriali, stabilendo in ogni caso al paragrafo 8 che le
conseguenti misure “non incidono sulla libera circolazione degli OGM
autorizzati, come tali o contenuti in prodotti”.
Come già chiarito da
questa Corte, la direttiva 2001/18/CE costituisce «il testo normativo
fondamentale» per quanto concerne l'immissione in commercio degli alimenti
contenenti organismi geneticamente modificati, nonché i relativi limiti
ammissibili (sentenza n. 116 del 2006 QUI; in senso
analogo, sentenza n. 150 del 2005 QUI).
Sulla limitazione alla
libera circolazione degli OGM autorizzati in conformità al diritto europeo
Secondo la sentenza della
Corte Costituzionale qui esaminata dato il quadro normativo sopra descritto
risulta evidente che l'intervento legislativo regionale, sebbene in via
indiretta, reca una limitazione alla libera circolazione degli OGM autorizzati
in conformità al diritto europeo. Infatti, pur considerando che il legislatore regionale
ha previsto non un divieto alla somministrazione di prodotti contenenti OGM,
bensì un criterio di punteggio aggiuntivo agli ulteriori criteri già fissati
per l'aggiudicazione del servizio di ristorazione collettiva, è indubbio che i
partecipanti alla procedura sarebbero comunque incentivati al soddisfacimento
di tale criterio aggiuntivo.
In tal senso, il fatto che
gli alimenti non trattati geneticamente non esaurirebbero il fabbisogno della
ristorazione collettiva, come asserito dalla difesa regionale, non pare
dirimente, atteso che le norme impugnate comportano in ogni caso un ostacolo
alla libera circolazione degli OGM, anche se non tale da impedirne la
commercializzazione (in tal senso si veda la sentenza n. 292 del 2013 QUI).
Le deroghe all’uso OGM
non riguarda la questione della libera
circolazione
Secondo la Corte
Costituzionale non si può giustificare la limitazione di circolazione facendo appello alle deroghe consentite dall'art.
26-ter della direttiva 2001/18/CE - che concernono le restrizioni alla
coltivazione, mentre nel caso di specie vengono in gioco limiti alla
circolazione - e neppure a quelle di cui all'art. 23 della medesima direttiva.
Da un lato, infatti, non vi sono acclarate evidenze scientifiche circa la
presunta nocività degli OGM, fondandosi la valutazione del rischio argomentata
dalla difesa regionale su considerazioni meramente ipotetiche (si veda, in tal
senso, Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 23 settembre 2003,
in causa C-192/2001 (QUI),
Commissione delle Comunità europee contro Regno di Danimarca). Dall'altro lato,
le restrizioni consentite dalle norme europee hanno carattere temporaneo,
richiedono una decisione motivata dello Stato membro e una valutazione della
Commissione europea (per cui si veda Corte di giustizia della Comunità europea,
sentenza 16 luglio 2009, in causa C-165/08 (QUI),
Commissione delle Comunità europee contro Repubblica di Polonia). Elementi,
questi, tutti assenti nel caso di specie, in cui si prevede soltanto una misura
volta a penalizzare il ricorso agli alimenti contenenti OGM.
Sulla possibilità di porre limiti alle importazioni giustificati da motivi, tra l'altro, di tutela della salute e di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale.
Secondo la sentenza della
Corte Costituzionale qui esaminata le disposizioni impugnate non possono essere
giustificate, come invece asserisce la difesa della Regione Molise, neanche
sulla base dell'art. 36 TFUE, che consente agli Stati membri di apporre limiti
alle importazioni giustificati da motivi, tra l'altro, di tutela della salute e
di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale.
In primo luogo, come già
sottolineato, le ragioni di tutela della salute sono fondate su valutazioni del
tutto ipotetiche, ivi incluso il possibile pregiudizio alle colture
tradizionali causato dalla diffusione degli OGM, che avverrebbe con mezzi di
distribuzione commerciale ritenuti più potenti e quindi più efficaci.
In secondo luogo, non può
essere accolto l'argomento secondo cui l'intervento legislativo oggetto di
censura sarebbe legittimo in quanto recante misure a tutela del patrimonio
culturale. Secondo tale argomento la tutela comprenderebbe anche i processi
produttivi e il patrimonio genetico del cibo, la cui valorizzazione troverebbe
specifica protezione anche in ambito sovranazionale, in specie nella
Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, adottata
a Parigi il 17 ottobre 2003 dalla XXXII sessione della Conferenza generale
dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la
cultura (UNESCO), ratificata e resa esecutiva dalla legge 27 settembre 2007, n.
167.
A parte il fatto che le
disposizioni impugnate riservano un trattamento deteriore agli OGM ma non proteggono
per ciò stesso i prodotti e i processi produttivi tradizionali, la tutela del
patrimonio culturale italiano, ivi compreso quello immateriale attinente agli
alimenti, si ascrive alla potestà legislativa esclusiva statale di cui all'art.
117, secondo comma, lettera s), Cost. ed eccede, quindi, le competenze
regionali.
Quanto previsto dalla
norma regionale impugnata, in conclusione, oltre a determinare una violazione
della direttiva 2001/18/CE, si risolve altresì in una misura ad effetto
equivalente ai sensi dell'art. 34 TFUE, intesa quale normativa idonea a
ostacolare, direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi
intracomunitari (si vedano le sentenze Corte Costituzionale n. 66 del 2013 QUI e n. 191 del 2012 QUI).
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