Con sentenza n° 215 (9 ottobre - 26
novembre 2018, per il testo QUI)
la Corte Costituzionale ha riconosciuto il potere delle Regioni di stabilire che
gli impianti di gestione rifiuti siano collocati a distanze, superiori a quelle
previste dalla legge nazionale, dai
punti di captazione per la derivazioni dell’acqua potabile al fine di tutelare
preventivamente la salute pubblica.
OGGETTO DEL RICORSO CONTRO LA LEGGE REGIONALE
La
norma regionale contestata prevede che l'insediamento di impianti di recupero e
smaltimento di rifiuti pericolosi e non pericolosi, in
prossimità di un'opera di captazione
di acque destinate al consumo umano, è subordinato al solo rispetto di una
distanza superiore a tremila metri, applicabile in modo uniforme in tutto il
territorio regionale.
LE CONTESTAZIONI DELLA AVVOCATURA DI STATO
Secondo la Avvocatura di Stato si tratterebbe di una
norma non coerente con le disposizioni sulle aree di salvaguardia di cui all'art. 94 cod. ambiente
che, invece, impone la regolamentazione
della localizzazione in ragione delle caratteristiche idrogeologiche dei siti
interessati. In particolare, secondo il ricorrente, la norma statale citata
prevede che le aree di salvaguardia
debbano essere definite in maniera
specifica e caso per caso, in relazione cioè
alle singole captazioni o derivazioni, sulla base delle indicazioni riportate dall'art. 94 citato e alla luce dell'accordo tra Stato e Regioni del 12 dicembre
2002 (Linee Guida per la tutela della qualità delle acque destinate al consumo umano e
criteri generali per
l'individuazione delle aree di salvaguardia delle risorse idriche (QUI).
LIMITI
GENERALI DEL POTERE DI DISCIPLINA LEGISLATIVA REGIONALE NELLA MATERIA AMBIENTE
La Corte Costituzionale nella sentenza in esame,
ribadendo la uniforme giurisprudenza precedente, afferma che la disciplina
della gestione dei rifiuti è riconducibile
alla materia “tutela dell'ambiente” e “dell'ecosistema”,
riservata dall'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. alla competenza
esclusiva dello Stato.
La competenza esclusiva statale in detta materia, precisa la Corte
Costituzionale, può incontrare altri interessi e competenze, con la conseguenza che - ferma rimanendo la riserva allo Stato del potere di fissare livelli
di tutela uniforme sull'intero territorio nazionale – possono dispiegarsi
le competenze proprie delle Regioni per
la cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente
ambientali: urbanistica, igiene e sanità. Nell'esercizio di tali competenze
regionali può anche esserci un'incidenza
nella materia di competenza esclusiva statale, ma solo in termini di maggiore e
più rigorosa tutela dell'ambiente.
Nello stesso tempo (aggiunge la Corte Costituzionale) il
legislatore regionale non può, sia pure al fine di approvare norme più rigorose
alla tutela dell’ambiente pregiudicare,
insieme ad altri interessi di rilievo
nazionale, il medesimo interesse della salute in un ambito territoriale extraregionale
(si veda la sentenza n.54 del 2012 - QUI).
POTERI
REGIONALI IN MATERIA DI GESTIONE RIFIUTI SECONDO LA CORTE COSTITUZIONALE
Intanto in generale, la Corte Costituzionale ricorda
l'art. 3 quinquies del DLlgs. n.152 del 2006, che demanda alle Regioni (e alle
Province autonome di Trento e di
Bolzano) di adottare forme di tutela giuridica dell'ambiente più restrittive,
qualora lo richiedano situazioni particolari del loro territorio, purché ciò non comporti un'arbitraria discriminazione, anche attraverso ingiustificati aggravi procedimentali e sempre tenendo conto che
i principi contenuti nel decreto legislativo indicato costituiscono le condizioni minime ed
essenziali per assicurare la tutela dell'ambiente su tutto il territorio
nazionale.
Inoltre lo stesso DLgs 152/206 (articolo 196) demanda
alle Regioni la attuazione di molte parti delle competenze in materia di
rifiuti a cominciare dai piani regionali compresa la definizione dei criteri
per l'individuazione dei luoghi o impianti idonei al loro smaltimento.
LA
QUESTIONE AFFRONTATA DALLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE IN ESAME
L’articolo del DLgs 152/2006 che secondo la Avvocatura
di Stato sarebbe stato violato dalla legge regionale impugnata è il 94. Questa
norma prevede che, in assenza dell'individuazione da parte delle
Regioni o delle Province autonome della
zona di rispetto ai sensi del comma 1 dell'art. 94, la medesima ha un'estensione
di duecento metri di raggio rispetto
al punto di captazione o di derivazione.
Rispetto alla norma statale, secondo la sentenza della
Corte Costituzionale, la disposizione regionale nel prevedere la localizzazione
delle discariche a una distanza
superiore a tremila metri, nella specifica ipotesi di impianti collocati a monte dei punti di captazione delle acque, ha dettato un criterio più rigoroso
rispetto a quello previsto dal codice dell'ambiente, non riducendo, ma anzi innalzando i livelli di tutela.
Aggiunge
la Corte Costituzionale che il criterio della legge regionale sui tremila metri
non è
un unico ed esaustivo, che sostituisce la valutazione caso per caso richiesta dall'art. 94 del DLgs. n.152 del 2006. La norma regionale prevede uno
specifico e molto particolare criterio di localizzazione che di per sé non esclude
l'applicazione degli altri criteri previsti dall'art. 94 del decreto legislativo citato, integrati
dalle Linee guida adottate in sede dell'accordo tra Stato e Regioni del 12
dicembre 2002; criteri questi ultimi che, quindi, trovano
parimenti applicazione in ragione della
già richiamata clausola di salvezza dell'art.39 della legge regionale in questione, per cui, in generale, si applicano le disposizioni del codice dell'ambiente per quanto non espressamente
disposto dalla normativa regionale.
Conclude la Corte Costituzionale che il criterio localizzativo
della distanza di tremila metri dalle zone di captazione di derivazione di impianti
di gestione rifiuti, innalza lo
standard di tutela dell'ambiente quando viene in
rilievo il più specifico aspetto della tutela della salute in relazione alla prevenzione del
rischio di inquinamento delle falde acquifere.
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