Lo scorso 9 maggio Greenpeace Italia, ReCommon e dodici tra cittadine e cittadini italiani hanno notificato a ENI S.p.A. un atto di citazione per l’apertura di una causa civile (ex articolo 2043 Codice Civile risarcimento per fatto illecito QUI) nei confronti della società, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (queste ultime due realtà in qualità di azionisti che esercitano un’influenza dominante sulla società) per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui ENI ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone consapevole, si sufficiente vedere, come riporto in seguito del post, la Relazione finanziaria ENI 2022. In tal modo dimostrando il nesso di causalità tra Eni e le responsabilità dell’impatto sulle mutazioni climatiche.
Obiettivo
della azione legale è duplice:
1. condannare ENI e Ministeri convenuti a ridurre le emissioni di
almeno il 45% a fine 2030 rispetto ai livelli del 2020 oppure una condanna al
pagamento della somma che il giudice riterrà equa per violazione o inosservanza
o ritardo nell'esecuzione del provvedimento;
2. condannare il Ministero e la CDP ad adottare al più presto una
policy che definisca gli obiettivi climatici da promuovere in ENI e il loro
monitoraggio e guidi in tal senso la partecipazione futura delle istituzioni
pubbliche nella società.
Il documento (QUI) con il quale le Associazioni oltre a spiegare le motivazioni della loro azione legale ricostruire i riferimenti giurisprudenziali che giustificano la stessa. Peraltro le responsabilità di Eni con l’avvallo di tutti i governi di questi anni è chiaro da tempo come dimostra questo Rapporto QUI.
LE CLIMATE LITIGATION
L’azione
rientra tra le climate litigation azioni legali avviate con lo scopo di imporre
a governi o aziende il rispetto di determinati standard in materia di riduzione
delle emissioni di gas a effetto serra e di limitazione del riscaldamento
globale.
A
livello globale, il numero complessivo di azioni legali sul clima è più che
raddoppiato dal 2015, portando il totale a oltre duemila, con un progressivo
moltiplicarsi di cause presentate da cittadine e cittadini e/o da
organizzazioni non governative che chiedono che vengano rispettati e messi in primo
piano i diritti delle persone colpite dalla crisi climatica. Si veda Il “Global
Climate Litigation Report dell'UNEP versione 2022” (QUI) che fornisce una panoramica dello stato attuale delle
controversie sui cambiamenti climatici a livello globale, nonché una
valutazione delle tendenze globali delle controversie sui cambiamenti
climatici.
LA RICOSTRUZIONE DELLA GIURISPRUDENZA NAZIONALE CHE
RICONOSCE IL DIRITTO ALLA TUTELA CONTRO I MUTAMENTI CLIMATICI
Il
documento di presentazione dell’azione legale riporta la principale
giurisprudenza che riconosce il diritto ad essere tutelati dai mutamenti
climatici:
1.“preminente interesse della collettività alla graduale
riduzione della componente di anidride carbonica presente nell’atmosfera” (Consiglio di
Stato, Adunanza Plenaria – 3 settembre 2019, n. 9 -QUI).
2. Esistenza di un interesse pubblico a “eliminare la dipendenza dai
carburanti fossili”, dando così un significativo impulso e sprone verso le
fonti energetiche alternative (Corte Costituzionale sentenze n° 124 del 2010
(QUI), 286 del 2019 (QUI), 237 del 2020 (QUI) e 46 del 2021 (QUI).
3. “favor del legislatore nazionale e dell’Unione Europea per il
principio della massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili. In
questo senso è innanzitutto il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea
del 25 marzo 1957, art. 194, lett. c, – cd. Trattato di Roma, secondo cui “nel
quadro dell’instaurazione o del funzionamento del mercato interno e tenendo
conto dell’esigenza di preservare e migliorare l’ambiente, la politica
dell’Unione nel settore dell’energia è intesa, in uno spirito di solidarietà
tra Stati membri, a […] promuovere il risparmio energetico, l’efficienza
energetica e lo sviluppo di energie nuove e rinnovabili” (Corte di
Cassazione, Sezione VI Civile, con la sentenza n. 7343 del 2021 - QUI).
4. sentenza CEDU Tatar contro Romania del 2009 (QUI) con la quale la CEDU ha espressamente riconosciuto nel novero
delle posizioni soggettive tutelate dall’art. 8 della Convenzione europea
dei diritti dell’uomo (QUI) anche il diritto al godimento di un ambiente sano e protetto,
ricavato da una lettura coordinata degli strumenti internazionali e della
giurisprudenza europea ed internazionale.
5. “l'utilizzo di fonti energetiche rinnovabili […] contribuisce
alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra che sono tra le
principali cause del cambiamento climatico che la Comunità europea e i suoi
Stati membri si sono impegnati a combattere […] Va notato che tale politica è
anche concepita per proteggere la salute e la vita delle persone” (QUI).
6. Corte di Giustizia dell’Unione Europea la quale, nella sentenza della Grande
Sezione 9 marzo 2010, C-378/08, Raffinerie Mediterranee ERG S.p.A. et al.
c. Ministero dello Sviluppo Economico et al. (QUI) nonché nell’ordinanza della Sezione VIII, 9 marzo 2010 nelle
cause riunite C-478/08 e C-479/08, Buzzi Unicem S.p.A. et al. c. Ministero
dello Sviluppo Economico et al. (QUI), ha enunciato con molta chiarezza il principio secondo cui
l’imputazione degli obblighi di prevenzione e di riparazione del danno
ambientale, e quindi anche di messa in sicurezza e di bonifica dei siti
contaminati, presuppone l’accertamento da parte dell’autorità amministrativa
competente, anche sulla base di elementi indiziari, gravi, precisi e
concordanti, del nesso di causalità fra il comportamento del soggetto obbligato
e la produzione del danno ambientale. È evidente, allora, che la Corte di Giustizia
afferma una presunzione di responsabilità dell’operatore, in presenza di indizi
quali quelli descritti a titolo di esempio.
7. caso Urgenda (nome dalla causa di fronte alla giustizia Olandese).
La sentenza [NOTA 1] finale afferma: “il fatto che le emissioni climalteranti emesse dai Paesi
Bassi fossero inferiori rispetto a quelle prodotte da altri Stati non poteva
comunque cancellare l’obbligo gravante di ridurle e di prendere le dovute
precauzioni per tutelare i diritti dei propri cittadini. Inoltre, continuava il
giudice di primo grado, qualsiasi immissione nell'ambiente di gas serra, non
importa se di minore entità, contribuisce ad aumentare il livello di CO2
nell’atmosfera e, di conseguenza, il rischio del cambiamento climatico”. In
secondo luogo, sempre detta sentenza afferma: “La riduzione delle emissioni
riguarda quindi la responsabilità congiunta e singolarmente di tutti gli stati
firmatari della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. In
considerazione del fatto che la riduzione delle emissioni olandesi è
determinata dallo Stato, questo non può rifiutare eventuali responsabilità
affermando che il suo contributo è minore rispetto ad altri stati”. Secondo
il documento delle associazioni: “le stesse argomentazioni giuridiche possono essere ricondotte
nella prima climate Litigation italiana nei confronti di ENI che, a differenza
dei Paesi Bassi, contribuisce al cambiamento climatico con un dato emissivo di
gran lunga superiore, dato che nel 2021 ha emesso da sola più tonnellate di CO2
rispetto a quelle emesse dal resto d’Italia.”
IL NESSO DI CAUSALITÀ: PERCHÉ ENI È RESPONSABILE
È
la stessa ENI che dichiara il fatto lesivo consistito nell’emettere in ambiente
annualmente, con i propri impianti e la commercializzazione di prodotti
petroliferi, enormi quantitativi di gas che alimentano la crisi climatica. Il
documento delle associazioni fa riferimento alla Relazione finanziaria del
2022 (QUI).
Si
veda questa scheda dalla Relazione (pagina 15)
IL RUOLO E LA RESPONSABILITÀ DELLO STATO, AZIONISTA DI
MAGGIORANZA DI ENI
Il documento delle associazioni ricorda che:
1. gli azionisti di controllo di ENI sono Ministero delle Finanze e Cassa Depositi e Prestiti, che detengono rispettivamente il 4,411% ed il 26,213% delle azioni e il bilancio di ENI è sottoposto alla verifica da parte della Corte dei Conti che ne relaziona ai Presidenti di Camera e Senato. Quindi il Governo dispone dei voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’Assemblea ordinaria della Società
2. l'art. 2359 Codice Civile “Sono considerate società controllate: ... 2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria”. Il tutto con la precisazione che tale ultima disposizione è espressamente richiamata dal DLgs. 19 agosto 2016, n. 175 (recante approvazione del “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica”) secondo cui il “controllo” è “la situazione descritta nell'art. 2359 del codice civile”.
3. nel Comitato sostenibilità del'ENI (QUI) la maggioranza è di nomina MEF, così come la metà nel Comitato controllo e rischi (QUI). Entrambi sono articolazioni del CdS di ENI e si occupano della strategia climatica.
Alla
luce della ricordata situazione di influenza dominante/controllo dello Stato
sull’Assemblea ordinaria della Società, della nomina di due terzi dei
componenti del Cda, del Presidente e dell'AD, degli enormi utili conseguiti
dallo Stato attraverso la distribuzione dei dividendi (più di 5,7 miliardi di
euro percepiti nel solo periodo 2016-2022, successivo all'Accordo di Parigi),
la responsabilità per le emissioni climalteranti di ENI va allocata (anche) in
capo al MEF e a CDP.
[NOTA 1] Corte
distrettuale de L’Aja, Urgenda v The State of the Netherlands, ECLI:NL:RBDHA:2015:7145,
24 giugno 2015; Corte d’appello de L’Aja, Urgenda v The State of the
Netherlands, ECLI:NL:GHDHA:2018:2591, 8 ottobre 2018; Corte di 22cassazione,
ECLI:NL:HR:2019:2007, 13 gennaio 2020
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