Il
nuovo Rapporto di Legambiente (QUI) sui
Comuni Rinnovabili oltre a fornire i dati sullo stato dell’arte nella
realizzazione degli impianti da fonti rinnovabili pone l’accento sul blocco
delle stesse che richiederebbe una “normativa adeguata”. Tradotto ulteriori semplificazioni
e deroghe alle norme ambientali.
Ma
davvero il problema sono le norme attuali e soprattutto non è che attaccando
queste norme si favoriscono ulteriori deroghe al diritto ambientale anche per
impianti che con le rinnovabili non c’entrano nulla?
La
associazione ambientalista sottovaluta come questa campagna sulle deroghe
semplificazioni accelerazioni procedurali stia commissariando il diritto
ambientale rimuovendo oltretutto il vero nodo e cioè le carenze delle strutture
amministrative che gestiscono le procedure autorizzatorie sia in termini
quantitativi che di qualità. Questi concetti la Corte dei Conti li ha espressi
motivatamente più volte negli ultimi anni e non casualmente il nuovo Governo
sta cercando di ridurre il ruolo di questo organo di controllo fondamentale, ma
di questo Legambiente nel suo rapporto non parla perché diciamolo questi
ambientalisti con le loro tesi dimostrano una grave carenza di cultura istituzionale che è fondamentale per gestire correttamente la transizione ecologica.
Il messaggio che voglio lanciare con questo post anche ad un certo ambientalismo è che: non si difende l’ambiente contro le leggi ambientali su paesaggio, biodiversità, Valutazioni di Impatto Ambientale, pianificazione della localizzazione degli impianti.
In
questo post dopo avere sinteticamente riportato alcuni dati emersi dal Rapporto
di Legambiente entro nel merito della questione deroghe al diritto ambientale=più
fonti rinnovabili.
I DATI DEL RAPPORTO DI LEGAMBIENTE
Nella
sua XVII edizione, il Rapporto di Legambiente, si sofferma e rafforza l’azione
di Legambiente di denuncia sul blocco delle fonti rinnovabili. Appena 3,4 GW di
nuovo installato per il 2022, che rappresentano sicuramente un passo avanti
rispetto agli anni passati, ma ben lontani dalla media annuale che dovremmo
tenere per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030.
Prendendo
la media delle installazioni degli ultimi 3 anni, nel 2030 riusciremo a
raggiungere solo il 25% degli obiettivi climatici in tema di sviluppo delle
fonti rinnovabili, raggiungendo l’obiettivo di 85 GW di nuova capacità non
prima di 40 anni. Un tempo infinito per rispondere alla crisi climatica e a
quella sociale.
Lo
sviluppo di nuova potenza da fonti rinnovabili nell’euro zona, dal 2019 al
2021, ha visto un incremento medio del 13,9% con il protagonismo di Paesi come la
Polonia, Paesi Bassi, Cipro che hanno fatto registrare aumento di oltre il 50%
nel triennio di riferimento.
LA QUESTIONE DEI VINCOLO NORMATIVI:
UN FALSO PROBLEMA
Il
Rapporto poi afferma che è necessario, come primo passo da fare per rispondere
alle sopra citate criticità, quello di ripartire subito con una normativa
adeguata.
Secondo
Legambiente le Linee Guida ferme al 2010 e gli interventi normativi frammentati
non bastano più. Serve un riordino dello strumento giuridico, un aggiornamento
e un adeguamento rispetto alla sfida energetica, climatica e sociale che
abbiamo davanti. Un lavoro congiunto tra MASE, Ministero delle imprese e del
Made in Italy e Ministero della Cultura con l’obiettivo di pubblicare un Testo
Unico che semplifichi gli iter di autorizzazione degli impianti, definisca in
modo univoco ruoli e competenze dei vari organi dello Stato, dia tempi certi
alle procedure e che sia in grado di rispondere al nuovo scenario energetico
che dovrà evolvere verso la configurazione di nuovi paesaggi energetici.
Un
testo unico potrebbe essere utile ma non è qui il problema principale come dimostra in
modo ben più ampio la storia del testo unico ambientale (il DLgs 152/2006 e
successive modifiche che di unico ha ben poco da anni).
In
realtà dando eccessivo rilievo alle “necessarie semplificazioni legislative”
Legambiente si riproduce un errore gravissimo: la rimozione del vero problema che
non è la semplificazione della normativa ma semmai la corretta ripartizione
delle competenze istituzionali strettamente legata all’efficientamento delle
professionalità all’interno delle autorità competenti. Solo così si potranno
autorizzare gli impianti velocemente ma senza produrre danni all’ambiente.
Invece ad oggi si continua a pensare che il problema sia quello di
semplificare, tagliare le procedure, derogare alle norme ambientali più
rigorose (VIA- VAS, VINCA- Paesaggio). Su questo in questi anni si è fatto
anche troppo e i risultati sono davanti a tutti noi.
Facciamo
degli esempi:
La
legge 41/2023, QUI, attacca
la VIA agli impianti da Fonti Rinnovabili alzando le soglie al di sotto dei
quali la VIA non si applica più, peraltro dando attuazione ad un Regolamento UE
che punta ad escludere la VIA a questi impianti fino al 2024 questo a proposito
di “ci vogliono nuove semplificazioni”!
La
legge 41/2023, QUI, considera
aree idonee ex lege per realizzare impianti da Fonti Rinnovabili tagliando
fuori i territori e la pianificazione regionale, escludendo ogni ruolo delle
Soprintendenze nelle aree contermini a quelle con vincolo paesaggistico.
La legge 41/2023, QUI, ha introdotto la subordinazione delle Soprintendenza ai criteri fissati dal Ministero della Cultura, la riduzione termini del procedimento di verifica dell’interesse culturale, un nuovo silenzio assenso per scadenza termini nelle autorizzazioni paesaggistiche per progetti di efficienza energetica e impianti da fonti rinnovabili.
Sono
solo esempi recenti potrei farne altri. Il dato significativo è che questa
logica semplificatoria serve per coprire tutte le deroghe alle norme ambientali
portate avanti con la scusa della transizione ecologica e che riguardano
impianti ben più pericolosi di quelli da Fonti Rinnovabili.
Alcuni
esempi significativi:
1. rigassificatori e navi rigassificatrici QUI,
nonostante i rischi strategici legati ad esempio ad uso smodato del GNL QUI nonché
la dimostrata non strategicità del gas nella transizione alla neutralità
climatica QUI.
2. trivelle vale a dire nuove estrazioni di gas in Italia in deroga
assoluta a norme ambientali rigorose QUI;
3. deroghe all’applicazione della VIA per progetti dichiarati urgenti
e strategici QUI,
4. scudi
penali per le imprese strategiche inquinanti (QUI);
5. il silenzio assenso per la Valutazione di Impatto
Ambientale e per l’Autorizzazione Integrata Ambientale relativamente all’avvio
dell’utilizzo dei combustibili alternativi compreso
il CSS (Combustibile Solido Secondario da rifiuti), QUI;
6. semplificazioni per avviare i progetti di opere autostradali elencate nell’allegato alla legge, QUI;
7. Legge sul mercato: i controlli ambientali concertati con le attività da
controllare puniscono ambiente e salute pubblica, QUI.
8. Deroghe alle norme ambientali in materia dal 2020 all’estate
2022: riapertura delle centrali a carbone; Piani Regolatori di sistema
portuale; dragaggi; riduzione termini istruttori nelle procedure di VIA e per
le osservazioni del pubblico; rinvio alle singole autorizzazioni per decidere
cosa è rifiuto o no; autorizzazioni bonifiche a stralcio che assorbono la VIA QUI .
UNA IDEA MALSANA PENSARE CHE PER LA
TRANSIZIONE ECOLOGICA SI DEBBA DEROGARE ALLE NORME AMBIENTALI
Ma
quello che non comprende un certo ambientalismo è che le due cose si tengono
insieme fanno parte di uno stesso progetto accentratore della gestione anche
normativa della transizione, un progetto che si fonda su una idea sbagliata in
sé a prescindere dalla tipologia di impianti a cui si applica: pensare che per
la transizione si debba derogare e semplificare le norme ambientali.
Eppure, è chiarissimo che se un progetto resta fermo nei cassetti di un ministero per 5 o addirittura 10 anni la normativa non c’entra niente (QUI), semmai c’entra la gestione amministrativa dei procedimenti, e non saranno ulteriori deroghe a risolvere il problema. Solo, quindi una visione miope può non riconoscere tutto questo.
La
quantità di progetti di fonti rinnovabili fermi anche solo al Ministero
dell’Ambiente, nonostante tutte le riforme semplificatorie e acceleratorie in
materia, dimostra che il problema non sta in ulteriori semplificazioni ma
semmai nel modello di organizzazione del processo decisionale e nella cultura
burocratica degli uffici competenti unita spesso alla inadeguatezza
quantitativa degli stessi.
SI DEROGA MA NON SI RENDE EFFICIENTE LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE CHE DEVE GESTIRE I PROCESSI DECISIONALI
Esempi:
Blocco
assunzioni al nuovo Ministero Ambiente e Sicurezza Energetica, relative a
professionalità tecniche anche dirigenziali per la gestione della attuazione
del PNRR, QUI.
Rapporto Corte dei Conti su attuazione PNRR: difficoltà di spesa e di organizzazione della pubblica amministrazione locale, QUI. si parla di uffici PNRR da costituire nelle singole amministrazioni o in convenzioni tra loro. Ulteriore conferma Con Deliberazione N° 14 del 13 aprile 2023 (QUI) la Corte di Conti ha analizzato lo stato di attuazione delle risorse previste nel PNRR per la misura M2C4 I4.1. L’investimento in questione è teso a finanziare – con uno stanziamento pari a 2 mld di euro - progetti per il potenziamento, il completamento e la manutenzione straordinaria delle infrastrutture di derivazione, stoccaggio e fornitura idrica primaria in tutto il Paese, così da migliorare la qualità dell'acqua e garantire la continuità dell'approvvigionamento nelle importanti aree urbane e nelle grandi aree irrigue.
Secondo la Corte dei Conti, mentre il Ministero dell'Ambiente continua a pensare ad ulteriori semplificazioni, rileva come il vero nodo che andrebbe affrontato sono i poteri di controllo e di coordinamento attribuitigli dalla normativa (e in particolare dall’art. 8 del d. l. n. 77/2021 sulla governance del pnrr (QUI) e dall’art. 3 del dpcm 15 settembre 2021) per un effettivo governo dell’investimento, a partire dai suoi contorni pianificatori ed attuativi di portata generale.
In
particolare, la Corte ha rilevato la incertezza nella concreta definizione
degli obiettivi un quanto non sono stati affrontati, fin dall’inizio, aspetti
essenziali quali:
1) la
individuazione dei sistemi idrici integrati complessi da rafforzare entro marzo
2026;
2) la
coerente definizione degli obiettivi “nazionali” di rafforzamento di opere
idriche non incluse nei citati venticinque sistemi idrici;
3) l’utilizzo
ottimale dell’ampio budget disponibile (2 mld di euro).
A
nulla sono servite per superare i suddetti limiti la implementazione della
capacità amministrativa; semplificazione procedurale in funzione
dell’accelerazione degli investimenti; temporanee limitazioni delle forme
responsabilità dell’agente amministrativo o contabile. A dimostrazione che non
sempre l’accentramento delle decisioni e gli eccessi semplificatori risolvono
limiti ben più strutturali delle politiche pubbliche e non solo pubbliche.
Aggiunge
la Corte che mentre il Ministero dell'Ambiente continua a pensare ad ulteriori
semplificazioni il vero nodo che andrebbe affrontato sono i poteri di controllo
e di coordinamento attribuitigli dalla normativa (e in particolare dall’art. 8
del d. l. n. 77/2021 sulla governance del PNRR (QUI) e dall’art.
3 del DPCM 15 settembre 2021) per un effettivo governo dell’investimento, a
partire dai suoi contorni pianificatori ed attuativi di portata generale.
CORTE COSTITUZIONALE PRENDE LE DISTANZE DALLA
SEMPLIFICAZIONI NELLE NORMATIVE AMBIENTALI (SENTENZA DEL 3 DICEMBRE 2021
N° 233 QUI)
La
sentenza afferma i seguenti principi:
1. semplificare non significa accelerare i tempi di decisione;
2. nelle
procedure ambientali la semplificazione non può limitare le modalità di
rilascio del contributo di tutti gli enti partecipanti;
3. la semplificazione deve garantire
prima di tutto l’efficienza e l’efficacia del procedimento prima ancora che la
riduzione dei tempi per la sua conclusione;
4. le procedure ambientali come nel
caso dell’AIA ma anche della VIA restano complesse anche se la revisione
conferma almeno in partenza l’impianto esistente e possono portare comunque
all’applicazione di tecniche di mitigazione nuove;
5. le procedure ambientali devono
essere il più possibili uniformi a livello nazionale visto che la materia
ambiente rientra nella legislazione esclusiva dello stato e le Regioni possono
modificarla solo migliorando la tutela dell’ambiente non riducendola con
ulteriori semplificazioni procedurali e/o organizzative.
PARTECIPAZIONE
DELLE COMUNITà LOCALI E TRANSIZIONE ECOLOGICA ED ENERGETICA
Il Comitato
Economico e Sociale della UE, che rappresenta non solo i lavoratori ma anche le
organizzazioni imprenditoriali in un Parere (QUI) recente
relativo alle politiche di resilienza alla crisi climatica energetica ma anche
economica ha avuto modo di affermare: “… i livelli locale e regionale
costituiscono la pietra angolare della costruzione della resilienza.”.
Esattamente
il contrario di quello che sta avvenendo in quanto avanza in modo chiaro un
modello decisionale caratterizzato:
1. accentramento principali decisioni nella Presidenza del Consiglio
dei Ministri (vedi Cabina di Regia e relativa Segreteria Tecnica;
2. procedura accelerata per superare dissensi di organi statali
e Regioni anche con un esercizio forzato del potere sostitutivo del Presidente
del Consiglio dei Ministri;
3. applicazione delle misure di cui ai precedenti punti 1 e 2 anche
al Piano Complementare (PNC) che prevede finanziamenti
integrativi nazionale per realizzare le opere previste dal PNRR;
4. procedura ultrasemplificata per un elenco di opere pubbliche
allegato al Decreto-Legge;
5. riduzione ad un termine di soli 30 giorni per lo svolgimento del
Dibattito Pubblico per le opere finanziate dal PNRR e dal Piano Nazionale
Complementare al PNRR.
Nessun commento:
Posta un commento