giovedì 22 giugno 2023

Impianti da fonti rinnovabili le troppe semplificazioni tirano la volata all'attacco al diritto ambientale

Il nuovo Rapporto di Legambiente (QUI) sui Comuni Rinnovabili oltre a fornire i dati sullo stato dell’arte nella realizzazione degli impianti da fonti rinnovabili pone l’accento sul blocco delle stesse che richiederebbe una “normativa adeguata”. Tradotto ulteriori semplificazioni e deroghe alle norme ambientali.

Ma davvero il problema sono le norme attuali e soprattutto non è che attaccando queste norme si favoriscono ulteriori deroghe al diritto ambientale anche per impianti che con le rinnovabili non c’entrano nulla?

La associazione ambientalista sottovaluta come questa campagna sulle deroghe semplificazioni accelerazioni procedurali stia commissariando il diritto ambientale rimuovendo oltretutto il vero nodo e cioè le carenze delle strutture amministrative che gestiscono le procedure autorizzatorie sia in termini quantitativi che di qualità. Questi concetti la Corte dei Conti li ha espressi motivatamente più volte negli ultimi anni e non casualmente il nuovo Governo sta cercando di ridurre il ruolo di questo organo di controllo fondamentale, ma di questo Legambiente nel suo rapporto non parla perché diciamolo questi ambientalisti con le loro tesi dimostrano una grave carenza di cultura  istituzionale che è fondamentale per gestire correttamente la transizione ecologica.

Il messaggio che voglio lanciare con questo post anche ad un certo ambientalismo è che: non si difende l’ambiente contro le leggi ambientali su paesaggio, biodiversità, Valutazioni di Impatto Ambientale, pianificazione della localizzazione degli impianti.

In questo post dopo avere sinteticamente riportato alcuni dati emersi dal Rapporto di Legambiente entro nel merito della questione deroghe al diritto ambientale=più fonti rinnovabili.

 

 

 

I DATI DEL RAPPORTO DI LEGAMBIENTE

Nella sua XVII edizione, il Rapporto di Legambiente, si sofferma e rafforza l’azione di Legambiente di denuncia sul blocco delle fonti rinnovabili. Appena 3,4 GW di nuovo installato per il 2022, che rappresentano sicuramente un passo avanti rispetto agli anni passati, ma ben lontani dalla media annuale che dovremmo tenere per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030.

Prendendo la media delle installazioni degli ultimi 3 anni, nel 2030 riusciremo a raggiungere solo il 25% degli obiettivi climatici in tema di sviluppo delle fonti rinnovabili, raggiungendo l’obiettivo di 85 GW di nuova capacità non prima di 40 anni. Un tempo infinito per rispondere alla crisi climatica e a quella sociale.

Lo sviluppo di nuova potenza da fonti rinnovabili nell’euro zona, dal 2019 al 2021, ha visto un incremento medio del 13,9% con il protagonismo di Paesi come la Polonia, Paesi Bassi, Cipro che hanno fatto registrare aumento di oltre il 50% nel triennio di riferimento.

 


LA QUESTIONE DEI VINCOLO NORMATIVI: UN FALSO PROBLEMA

Il Rapporto poi afferma che è necessario, come primo passo da fare per rispondere alle sopra citate criticità, quello di ripartire subito con una normativa adeguata.

Secondo Legambiente le Linee Guida ferme al 2010 e gli interventi normativi frammentati non bastano più. Serve un riordino dello strumento giuridico, un aggiornamento e un adeguamento rispetto alla sfida energetica, climatica e sociale che abbiamo davanti. Un lavoro congiunto tra MASE, Ministero delle imprese e del Made in Italy e Ministero della Cultura con l’obiettivo di pubblicare un Testo Unico che semplifichi gli iter di autorizzazione degli impianti, definisca in modo univoco ruoli e competenze dei vari organi dello Stato, dia tempi certi alle procedure e che sia in grado di rispondere al nuovo scenario energetico che dovrà evolvere verso la configurazione di nuovi paesaggi energetici.

 

Un testo unico potrebbe essere utile ma non è qui il problema principale come dimostra in modo ben più ampio la storia del testo unico ambientale (il DLgs 152/2006 e successive modifiche che di unico ha ben poco da anni).

In realtà dando eccessivo rilievo alle “necessarie semplificazioni legislative” Legambiente si riproduce un errore gravissimo: la rimozione del vero problema che non è la semplificazione della normativa ma semmai la corretta ripartizione delle competenze istituzionali strettamente legata all’efficientamento delle professionalità all’interno delle autorità competenti. Solo così si potranno autorizzare gli impianti velocemente ma senza produrre danni all’ambiente. Invece ad oggi si continua a pensare che il problema sia quello di semplificare, tagliare le procedure, derogare alle norme ambientali più rigorose (VIA- VAS, VINCA- Paesaggio). Su questo in questi anni si è fatto anche troppo e i risultati sono davanti a tutti noi.

 

Facciamo degli esempi:

La legge 41/2023, QUI, attacca la VIA agli impianti da Fonti Rinnovabili alzando le soglie al di sotto dei quali la VIA non si applica più, peraltro dando attuazione ad un Regolamento UE che punta ad escludere la VIA a questi impianti fino al 2024 questo a proposito di “ci vogliono nuove semplificazioni”!

La legge 41/2023, QUI, considera aree idonee ex lege per realizzare impianti da Fonti Rinnovabili tagliando fuori i territori e la pianificazione regionale, escludendo ogni ruolo delle Soprintendenze nelle aree contermini a quelle con vincolo paesaggistico.

La legge 41/2023, QUI, ha introdotto la subordinazione delle Soprintendenza ai criteri fissati dal Ministero della Cultura, la riduzione termini del procedimento di verifica dell’interesse culturale, un nuovo silenzio assenso per scadenza termini nelle autorizzazioni paesaggistiche per progetti di efficienza energetica e impianti da fonti rinnovabili.

 

Sono solo esempi recenti potrei farne altri. Il dato significativo è che questa logica semplificatoria serve per coprire tutte le deroghe alle norme ambientali portate avanti con la scusa della transizione ecologica e che riguardano impianti ben più pericolosi di quelli da Fonti Rinnovabili.

Alcuni esempi significativi:

1. rigassificatori e navi rigassificatrici QUI, nonostante i rischi strategici legati ad esempio ad uso smodato del GNL QUI nonché la dimostrata non strategicità del gas nella transizione alla neutralità climatica QUI.

2. trivelle vale a dire nuove estrazioni di gas in Italia in deroga assoluta a norme ambientali rigorose QUI;

3. deroghe all’applicazione della VIA per progetti dichiarati urgenti e strategici QUI,

4. scudi penali per le imprese strategiche inquinanti (QUI);

5. il silenzio assenso per la Valutazione di Impatto Ambientale e per l’Autorizzazione Integrata Ambientale relativamente all’avvio dell’utilizzo dei combustibili alternativi compreso il CSS (Combustibile Solido Secondario da rifiuti), QUI;

6. semplificazioni per avviare i progetti di opere autostradali elencate nell’allegato alla legge, QUI;

7. Legge sul mercato: i controlli ambientali concertati con le attività da controllare puniscono ambiente e salute pubblica, QUI.

8. Deroghe alle norme ambientali in materia dal 2020 all’estate 2022: riapertura delle centrali a carbone; Piani Regolatori di sistema portuale; dragaggi; riduzione termini istruttori nelle procedure di VIA e per le osservazioni del pubblico; rinvio alle singole autorizzazioni per decidere cosa è rifiuto o no; autorizzazioni bonifiche a stralcio che assorbono la VIA QUI .

 

 

UNA IDEA MALSANA PENSARE CHE PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA SI DEBBA DEROGARE ALLE NORME AMBIENTALI

Ma quello che non comprende un certo ambientalismo è che le due cose si tengono insieme fanno parte di uno stesso progetto accentratore della gestione anche normativa della transizione, un progetto che si fonda su una idea sbagliata in sé a prescindere dalla tipologia di impianti a cui si applica: pensare che per la transizione si debba derogare e semplificare le norme ambientali.

Eppure, è chiarissimo che se un progetto resta fermo nei cassetti di un ministero per 5 o addirittura 10 anni la normativa non c’entra niente (QUI), semmai c’entra la gestione amministrativa dei procedimenti, e non saranno ulteriori deroghe a risolvere il problema. Solo, quindi una visione miope può non riconoscere tutto questo.

La quantità di progetti di fonti rinnovabili fermi anche solo al Ministero dell’Ambiente, nonostante tutte le riforme semplificatorie e acceleratorie in materia, dimostra che il problema non sta in ulteriori semplificazioni ma semmai nel modello di organizzazione del processo decisionale e nella cultura burocratica degli uffici competenti unita spesso alla inadeguatezza quantitativa degli stessi.



SI DEROGA MA NON SI RENDE EFFICIENTE LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE CHE DEVE GESTIRE I PROCESSI DECISIONALI

Esempi:

Blocco assunzioni al nuovo Ministero Ambiente e Sicurezza Energetica, relative a professionalità tecniche anche dirigenziali per la gestione della attuazione del PNRR, QUI.

Rapporto Corte dei Conti su attuazione PNRR: difficoltà di spesa e di organizzazione della pubblica amministrazione locale, QUI. si parla di uffici PNRR da costituire nelle singole amministrazioni o in convenzioni tra loro. Ulteriore conferma Con Deliberazione N° 14 del 13 aprile 2023 (QUI) la Corte di Conti ha analizzato lo stato di attuazione delle risorse previste nel PNRR per la misura M2C4 I4.1. L’investimento in questione è teso a finanziare – con uno stanziamento pari a 2 mld di euro - progetti per il potenziamento, il completamento e la manutenzione straordinaria delle infrastrutture di derivazione, stoccaggio e fornitura idrica primaria in tutto il Paese, così da migliorare la qualità dell'acqua e garantire la continuità dell'approvvigionamento nelle importanti aree urbane e nelle grandi aree irrigue.

Secondo la Corte dei Conti, mentre il Ministero dell'Ambiente continua a pensare ad ulteriori semplificazioni, rileva come il vero nodo che andrebbe affrontato sono i poteri di controllo e di coordinamento attribuitigli dalla normativa (e in particolare dall’art. 8 del d. l. n. 77/2021 sulla governance del pnrr (QUI) e dall’art. 3 del dpcm 15 settembre 2021) per un effettivo governo dell’investimento, a partire dai suoi contorni pianificatori ed attuativi di portata generale.

In particolare, la Corte ha rilevato la incertezza nella concreta definizione degli obiettivi un quanto non sono stati affrontati, fin dall’inizio, aspetti essenziali quali:

1) la individuazione dei sistemi idrici integrati complessi da rafforzare entro marzo 2026;

2) la coerente definizione degli obiettivi “nazionali” di rafforzamento di opere idriche non incluse nei citati venticinque sistemi idrici;

3) l’utilizzo ottimale dell’ampio budget disponibile (2 mld di euro).

A nulla sono servite per superare i suddetti limiti la implementazione della capacità amministrativa; semplificazione procedurale in funzione dell’accelerazione degli investimenti; temporanee limitazioni delle forme responsabilità dell’agente amministrativo o contabile. A dimostrazione che non sempre l’accentramento delle decisioni e gli eccessi semplificatori risolvono limiti ben più strutturali delle politiche pubbliche e non solo pubbliche.

Aggiunge la Corte che mentre il Ministero dell'Ambiente continua a pensare ad ulteriori semplificazioni il vero nodo che andrebbe affrontato sono i poteri di controllo e di coordinamento attribuitigli dalla normativa (e in particolare dall’art. 8 del d. l. n. 77/2021 sulla governance del PNRR (QUI) e dall’art. 3 del DPCM 15 settembre 2021) per un effettivo governo dell’investimento, a partire dai suoi contorni pianificatori ed attuativi di portata generale.

 

 

CORTE COSTITUZIONALE PRENDE LE DISTANZE DALLA SEMPLIFICAZIONI NELLE NORMATIVE AMBIENTALI (SENTENZA DEL 3 DICEMBRE 2021 N° 233 QUI)

La sentenza afferma i seguenti principi:  

1. semplificare non significa accelerare i tempi di decisione;
2. nelle procedure ambientali la semplificazione non può limitare le modalità di rilascio del contributo di tutti gli enti partecipanti;
3. la semplificazione deve garantire prima di tutto l’efficienza e l’efficacia del procedimento prima ancora che la riduzione dei tempi per la sua conclusione;
4. le procedure ambientali come nel caso dell’AIA ma anche della VIA restano complesse anche se la revisione conferma almeno in partenza l’impianto esistente e possono portare comunque all’applicazione di tecniche di mitigazione nuove;
5. le procedure ambientali devono essere il più possibili uniformi a livello nazionale visto che la materia ambiente rientra nella legislazione esclusiva dello stato e le Regioni possono modificarla solo migliorando la tutela dell’ambiente non riducendola con ulteriori semplificazioni procedurali e/o organizzative. 

 


PARTECIPAZIONE DELLE COMUNITà LOCALI E TRANSIZIONE ECOLOGICA ED ENERGETICA

Il Comitato Economico e Sociale della UE, che rappresenta non solo i lavoratori ma anche le organizzazioni imprenditoriali in un Parere (QUI) recente relativo alle politiche di resilienza alla crisi climatica energetica ma anche economica ha avuto modo di affermare: “… i livelli locale e regionale costituiscono la pietra angolare della costruzione della resilienza.”.

Esattamente il contrario di quello che sta avvenendo in quanto avanza in modo chiaro un modello decisionale caratterizzato:

1. accentramento principali decisioni nella Presidenza del Consiglio dei Ministri (vedi Cabina di Regia e relativa Segreteria Tecnica;

2. procedura accelerata per superare dissensi di organi statali e Regioni anche con un esercizio forzato del potere sostitutivo del Presidente del Consiglio dei Ministri;

3. applicazione delle misure di cui ai precedenti punti 1 e 2 anche al Piano Complementare (PNC)  che prevede finanziamenti integrativi nazionale per realizzare le opere previste dal PNRR;

4. procedura ultrasemplificata per un elenco di opere pubbliche allegato al Decreto-Legge;

5. riduzione ad un termine di soli 30 giorni per lo svolgimento del Dibattito Pubblico per le opere finanziate dal PNRR e dal Piano Nazionale Complementare al PNRR.

 

 


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