Sentenza della Corte di Giustizia del 25 maggio 2023 (QUI) che interviene su una serie di domande pregiudiziali (significato ed effetti vedi QUI) relativamente alle modalità di applicazione delle soglie e dei criteri che
devono verificare la assoggettabilità a Valutazione di Impatto Ambientale (VIA)
di un progetto di riassetto urbano.
La
sentenza conferma che:
1. è vietato agli stati membri fissare soglie dimensionali troppo
elevate per arrivare ad escludere la VIA: il caso trattato riguardava un
progetto di riassetto di un’ampia area urbana;
2. nella verifica di assoggettabilità a VIA devono essere applicati
tutti i criteri previsti dalla Direttiva 2011/92 (QUI) ed elencati nell’allegato III della stessa al fine di
determinare quelli applicabili e non al progetto in esame quindi dimostrando di
avere effettuato questa analisi all’interno della istruttoria che porta al
provvedimento di VIA conclusivo;
3. relativamente al punto 2 la sentenza ricorda come specificamente
per progetti relativi a zone urbane la Corte di Giustizia abbia avuto modo in
giurisprudenza precedente di rilevare come gli impatti degli stessi possono
riguardare la densità di popolazione, i paesaggi e gli interessi storico
architettonici;
4. la sentenza ribadisce il diritto dei cittadini di contestare di
fronte ad un organo giurisdizionale la decisione di escludere la applicazione
della VIA. Ho trattato approfonditamente questa problematica QUI, altrettanto importante è mettere in cittadini in condizione di esercitare questo diritto a cominciare dal limitare la eventuale condanna alle spese per cause di rilievo ambientale generale, vedi QUI;
5. visto il suo carattere di strumento di valutazione preventiva
dell’impatto ambientale di un progetto la VIA deve essere svolta prima del
rilascio della autorizzazione finale e non è possibile che in un progetto di
riassetto urbano che vengano concessi permessi di costruire per progetti
individuali che costituiscono una parte del progetto complessivo.
Di seguito una descrizione più puntuale della sentenza
PRIMA E SECONDA QUESTIONE PREGIUDIZIALE: VIETATO FISSARE
SOGLIE DIMENSIONALI TROPPO ELEVATE PER ESCLUDERE LA VALUTAZIONE DI IMPATTO
AMBIENTALE
Si
chiede se la Direttiva sulla VIA debba essere
interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che subordina la
realizzazione di una valutazione dell’impatto ambientale di «progetti di
riassetto urbano», da un lato, al superamento delle soglie di occupazione di
una superficie di almeno 15 ettari e di superficie lorda pavimentata superiore
a 150 000 m² e, dall’altro, al fatto che si tratti di un progetto
urbanistico finalizzato alla costruzione di un complesso multifunzionale, il
quale comprende quanto meno edifici residenziali e per uffici, progetto che
includa le strade e le infrastrutture di urbanizzazione previste a tal fine e
disponga di un bacino di utenza che si estende al di là dell’area interessata
dal progetto, e che non fissa soglie più basse o criteri più rigorosi, in
funzione dell’ubicazione dei progetti interessati, in particolare in zone
particolarmente importanti dal punto di vista storico, culturale, urbanistico o
architettonico.
La
Corte di Giustizia afferma che occorre ricordare che da una giurisprudenza
costante della Corte risulta che uno Stato membro che fissi tali soglie o
criteri ad un livello tale che, in pratica, la totalità dei progetti di un
certo tipo sarebbe a priori sottratta all’obbligo di realizzare una valutazione
del loro impatto eccederebbe parimenti il margine di discrezionalità lasciato
agli Stati dalla Direttiva quadro sulla VIA, a meno che la totalità dei
progetti esclusi possa essere considerata, sulla base di una valutazione
globale, inidonea ad avere un impatto ambientale significativo (sentenza del
31 maggio 2018, Commissione/Polonia, C‑526/16 QUI, punto 61).
Orbene,
in un ambiente urbano in cui lo spazio è limitato, soglie di occupazione di una
superficie di almeno 15 ettari e di superficie lorda pavimentata superiore a
150 000 m² sono talmente elevate che, in pratica, la maggior parte dei
progetti di progetti di riassetto urbano è a priori sottratta all’obbligo di
realizzare una valutazione del loro impatto ambientale.
La
Corte alla luce delle suddette considerazioni conclude affermando che occorre
rispondere alla prima e alla seconda questione dichiarando che l’articolo 2,
paragrafo 1, l’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), e paragrafo 3, l’allegato
II, punto 10, lettera b), e l’allegato III della direttiva 2011/92 (QUI) devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una
normativa nazionale che subordina la realizzazione di una valutazione
dell’impatto ambientale di «progetti di riassetto urbano», da un lato, al
superamento delle soglie di occupazione di una superficie di almeno 15 ettari e
di superficie lorda pavimentata superiore a 150 000 m² e, dall’altro, al
fatto che si tratti di un progetto urbanistico finalizzato alla costruzione di
un complesso multifunzionale, il quale comprende quanto meno edifici
residenziali e per uffici, progetto che includa le strade e le infrastrutture
di urbanizzazione previste a tal fine e disponga di un bacino di utenza che si
estende al di là dell’area interessata dal progetto.
SULLA QUARTA QUESTIONE PREGIUDIZIALE: NELLA VERIFICA DI
ASSOGGETTABILITÀ A VIA DEVONO ESSERE APPLICATI TUTTI I CRITERI PREVISTI DALLA
DIRETTIVA
Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in
sostanza, se l’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/92 debba essere
interpretato nel senso che, nell’ambito dell’esame caso per caso per verificare
se un progetto possa avere un impatto ambientale significativo e debba quindi
essere sottoposto a una valutazione del suo impatto ambientale, l’autorità
competete possa limitarsi a prendere in considerazione taluni aspetti della
protezione dell’ambiente, come l’oggetto della protezione di una determinata
zona, o se essa debba esaminare il progetto di cui trattasi alla luce di tutti
i criteri di selezione riportati nell’allegato III di tale direttiva.
Secondo
la Corte di Giustizia ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva
2011/92, nell’esaminare se un progetto possa avere effetti significativi
sull’ambiente, si tiene conto dei pertinenti criteri di selezione di cui
all’allegato III di tale direttiva.
A
tale riguardo, la Corte ha già dichiarato che uno Stato membro non può, senza
venir meno agli obblighi ad esso incombenti in forza della direttiva 2011/92,
escludere esplicitamente o implicitamente uno o più criteri dell’allegato III
di tale direttiva, dal momento che ciascuno di essi, a seconda del progetto
interessato di cui all’allegato II di detta direttiva, può essere rilevante per
stabilire se debba essere organizzata una procedura di valutazione dell’impatto
ambientale (v., in tal senso, ordinanza del 10 luglio 2008, Aiello e a., C‑156/07,
EU:C:2008:398, punto 50).
Ne
consegue che, nell’ambito di un esame caso per caso, l’autorità competente deve
esaminare il progetto di cui trattasi alla luce di tutti i criteri di selezione
ripostati nell’allegato III della direttiva 2011/92 al fine di determinare i
criteri pertinenti nel caso di specie e che essa deve poi tenere debitamente
conto di tutti i criteri che risultano così pertinenti.
Occorre
ricordare, in tale contesto, che la Corte ha già respinto la tesi secondo cui,
nelle zone urbane, l’impatto ambientale dei progetti di urbanizzazione sarebbe
praticamente inesistente e ha fatto riferimento, al riguardo, ai criteri
relativi alle zone densamente popolate, nonché ai paesaggi importanti dal punto
di vista storico, culturale e archeologico, che figurano ormai al punto 2,
lettera c), vii) e viii), dell’allegato III della direttiva 2011/92 (sentenza del 16 marzo 2006, Commissione/Spagna, C‑332/04 (QUI) punti 79 e 80).
Alla
luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla quarta
questione dichiarando che l’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/92
deve essere interpretato nel senso che, nell’ambito di un esame caso per caso
per verificare se un progetto possa avere un impatto ambientale significativo e
debba quindi essere sottoposto a una valutazione del suo impatto ambientale,
l’autorità competente deve esaminare il progetto di cui trattasi alla luce di
tutti i criteri di selezione riportati nell’allegato III di tale direttiva al
fine di determinare i criteri pertinenti nel caso di specie e deve poi
applicare tali criteri pertinenti alla situazione del caso specifico.
SULLA QUINTA QUESTIONE PREGIUDIZIALE: DIRITTO DEI
CITTADINI A RICORRERE CONTRO DECISIONI IN MATERIA DI VIA
Con
la sua quinta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo
11 della Direttiva 2011/92 debba essere interpretato nel senso che esso
osta a che l’eventuale esame caso per caso previsto all’articolo 4,
paragrafo 2, lettera a), di tale Direttiva sia effettuato per la prima
volta da un giudice dotato della competenza a concedere un’autorizzazione,
quale prevista dall’articolo 1, paragrafo 2, lettera c), di detta Direttiva,
in un procedimento in cui il pubblico beneficia della qualità di parte solo in
un ambito estremamente limitato e in esito al quale il pubblico dispone di
possibilità di ricorso solo in modo estremamente limitato. In tale contesto, il
giudice del rinvio si chiede altresì se sia rilevante che, secondo il diritto
nazionale, al di fuori della possibilità di una determinazione d’ufficio, solo
il committente del progetto, un’autorità coinvolta o il mediatore per
l’ambiente possano chiedere di stabilire se il progetto di cui trattasi debba
essere sottoposto ad una valutazione dell’impatto ambientale.
Secondo
la Corte di Giustizia occorre rispondere alla quinta questione dichiarando che l’articolo
11 della Direttiva 2011/92 deve essere interpretato nel senso che esso non
osta a che l’esame caso per caso previsto all’articolo 4, paragrafo 2,
lettera a), di tale Direttiva sia effettuato per la prima volta da un
giudice dotato della competenza a concedere un’autorizzazione, quale prevista
dall’articolo 1, paragrafo 2, lettera c), di detta direttiva. Tuttavia, un
singolo che fa parte del «pubblico interessato», ai sensi dell’articolo 1,
paragrafo 2, lettera e), della direttiva 2011/92, e che soddisfa i criteri
previsti dal diritto nazionale quanto all’ «interesse sufficiente» o, se del
caso, alla «violazione di un diritto», di cui a tale articolo 11, deve disporre
della possibilità di contestare, dinanzi ad un altro organo giurisdizionale o, a
seconda dei casi, un altro organo indipendente e imparziale istituito dalla
legge, la legittimità sostanziale o procedurale della decisione che sia
adottata da un siffatto giudice e che constati che non occorre procedere a una
valutazione dell’impatto ambientale.
SULLA SESTA QUESTIONE PREGIUDIZIALE: SENZA AVERE SVOLTO
LA VIA NON PUÒ ESSERE RILASCIATO ALCUN PERMESSO DI COSTRUIRE
Con la sesta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza,
se la Direttiva 2011/92 debba essere interpretata nel senso che essa osta al
rilascio, prima o durante la realizzazione di una necessaria valutazione
dell’impatto ambientale o prima della conclusione di un esame caso per caso
dell’impatto ambientale diretto a determinare se una siffatta valutazione sia
necessaria, di permessi di costruire per progetti individuali di lavori che
rientrano nell’ambito di progetti di riassetto urbano più ampi.
Secondo la Corte di Giustizia ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2011/92, prima del rilascio dell’autorizzazione, i progetti per i quali si prevede un impatto ambientale significativo devono formare oggetto di una valutazione del loro impatto ambientale.
Una
siffatta norma comporta che l’esame degli effetti diretti e indiretti di un
progetto sui fattori contemplati dall’articolo 3 di tale direttiva e
sull’interazione tra detti fattori venga integralmente effettuato, in modo
completo, prima di detto rilascio (sentenza del 24 febbraio
2022, Namur-Est Environnement, C‑463/20 QUI, punto 58).
Come
ha sottolineato la Corte, il carattere preventivo di una valutazione siffatta è
giustificato dalla necessità che, durante il processo decisionale, l’autorità
competente tenga conto il prima possibile dell’impatto ambientale di tutti i
processi tecnici di programmazione e di decisione, al fine di evitare fin
dall’inizio inquinamenti e altre perturbazioni piuttosto che combatterne
successivamente gli effetti (sentenza del 31 maggio 2018, Commissione/Polonia,
C‑526/16 QUI, punto 75).
Orbene,
concedere permessi di costruire per progetti individuali che costituiscono una
parte di un progetto di riassetto urbano più ampio, prima che sia determinato
se quest’ultimo progetto debba essere sottoposto a valutazione conformemente
agli articoli da 5 a 10 della direttiva 2011/92 e che, se del caso, tale
valutazione sia realizzata, sarebbe manifestamente contrario a tali requisiti e
all’obiettivo essenziale che essi traducono, ricordato al punto 37 della
presente sentenza.
Alla
luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla sesta
questione dichiarando che la Direttiva 2011/92 deve essere interpretata nel
senso che essa osta al rilascio, prima o durante la realizzazione di una
necessaria valutazione dell’impatto ambientale o prima della conclusione di un
esame caso per caso dell’impatto ambientale diretto a determinare se una
siffatta valutazione sia necessaria, di permessi di costruire per progetti
individuali di lavori che rientrano nell’ambito di progetti di riassetto urbano
più ampi.
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