domenica 16 luglio 2023

Progetti di riqualificazione di aree urbane: quali condizioni per applicare la VIA

Sentenza della Corte di Giustizia del 25 maggio 2023 (QUI) che interviene su una serie di domande pregiudiziali (significato ed effetti vedi QUI) relativamente alle modalità di applicazione delle soglie e dei criteri che devono verificare la assoggettabilità a Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) di un progetto di riassetto urbano.

 

La sentenza conferma che:

1. è vietato agli stati membri fissare soglie dimensionali troppo elevate per arrivare ad escludere la VIA: il caso trattato riguardava un progetto di riassetto di un’ampia area urbana;

2. nella verifica di assoggettabilità a VIA devono essere applicati tutti i criteri previsti dalla Direttiva 2011/92 (QUI) ed elencati nell’allegato III della stessa al fine di determinare quelli applicabili e non al progetto in esame quindi dimostrando di avere effettuato questa analisi all’interno della istruttoria che porta al provvedimento di VIA conclusivo;

3. relativamente al punto 2 la sentenza ricorda come specificamente per progetti relativi a zone urbane la Corte di Giustizia abbia avuto modo in giurisprudenza precedente di rilevare come gli impatti degli stessi possono riguardare la densità di popolazione, i paesaggi e gli interessi storico architettonici;

4. la sentenza ribadisce il diritto dei cittadini di contestare di fronte ad un organo giurisdizionale la decisione di escludere la applicazione della VIA. Ho trattato approfonditamente questa problematica QUI, altrettanto importante è mettere in cittadini in condizione di esercitare questo diritto a cominciare dal limitare la eventuale condanna alle spese per cause di rilievo ambientale generale, vedi QUI;

5. visto il suo carattere di strumento di valutazione preventiva dell’impatto ambientale di un progetto la VIA deve essere svolta prima del rilascio della autorizzazione finale e non è possibile che in un progetto di riassetto urbano che vengano concessi permessi di costruire per progetti individuali che costituiscono una parte del progetto complessivo.


Di seguito una descrizione più puntuale della sentenza

 

 

 

PRIMA E SECONDA QUESTIONE PREGIUDIZIALE: VIETATO FISSARE SOGLIE DIMENSIONALI TROPPO ELEVATE PER ESCLUDERE LA VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE

Si chiede se la Direttiva sulla VIA debba essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che subordina la realizzazione di una valutazione dell’impatto ambientale di «progetti di riassetto urbano», da un lato, al superamento delle soglie di occupazione di una superficie di almeno 15 ettari e di superficie lorda pavimentata superiore a 150 000 m² e, dall’altro, al fatto che si tratti di un progetto urbanistico finalizzato alla costruzione di un complesso multifunzionale, il quale comprende quanto meno edifici residenziali e per uffici, progetto che includa le strade e le infrastrutture di urbanizzazione previste a tal fine e disponga di un bacino di utenza che si estende al di là dell’area interessata dal progetto, e che non fissa soglie più basse o criteri più rigorosi, in funzione dell’ubicazione dei progetti interessati, in particolare in zone particolarmente importanti dal punto di vista storico, culturale, urbanistico o architettonico.

 

La Corte di Giustizia afferma che occorre ricordare che da una giurisprudenza costante della Corte risulta che uno Stato membro che fissi tali soglie o criteri ad un livello tale che, in pratica, la totalità dei progetti di un certo tipo sarebbe a priori sottratta all’obbligo di realizzare una valutazione del loro impatto eccederebbe parimenti il margine di discrezionalità lasciato agli Stati dalla Direttiva quadro sulla VIA, a meno che la totalità dei progetti esclusi possa essere considerata, sulla base di una valutazione globale, inidonea ad avere un impatto ambientale significativo (sentenza del 31 maggio 2018, Commissione/Polonia, C‑526/16 QUI,  punto 61).

Orbene, in un ambiente urbano in cui lo spazio è limitato, soglie di occupazione di una superficie di almeno 15 ettari e di superficie lorda pavimentata superiore a 150 000 m² sono talmente elevate che, in pratica, la maggior parte dei progetti di progetti di riassetto urbano è a priori sottratta all’obbligo di realizzare una valutazione del loro impatto ambientale.

La Corte alla luce delle suddette considerazioni conclude affermando che occorre rispondere alla prima e alla seconda questione dichiarando che l’articolo 2, paragrafo 1, l’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), e paragrafo 3, l’allegato II, punto 10, lettera b), e l’allegato III della direttiva 2011/92 (QUI) devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che subordina la realizzazione di una valutazione dell’impatto ambientale di «progetti di riassetto urbano», da un lato, al superamento delle soglie di occupazione di una superficie di almeno 15 ettari e di superficie lorda pavimentata superiore a 150 000 m² e, dall’altro, al fatto che si tratti di un progetto urbanistico finalizzato alla costruzione di un complesso multifunzionale, il quale comprende quanto meno edifici residenziali e per uffici, progetto che includa le strade e le infrastrutture di urbanizzazione previste a tal fine e disponga di un bacino di utenza che si estende al di là dell’area interessata dal progetto.

 

 

 

SULLA QUARTA QUESTIONE PREGIUDIZIALE: NELLA VERIFICA DI ASSOGGETTABILITÀ A VIA DEVONO ESSERE APPLICATI TUTTI I CRITERI PREVISTI DALLA DIRETTIVA

Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/92 debba essere interpretato nel senso che, nell’ambito dell’esame caso per caso per verificare se un progetto possa avere un impatto ambientale significativo e debba quindi essere sottoposto a una valutazione del suo impatto ambientale, l’autorità competete possa limitarsi a prendere in considerazione taluni aspetti della protezione dell’ambiente, come l’oggetto della protezione di una determinata zona, o se essa debba esaminare il progetto di cui trattasi alla luce di tutti i criteri di selezione riportati nell’allegato III di tale direttiva.

 

Secondo la Corte di Giustizia ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/92, nell’esaminare se un progetto possa avere effetti significativi sull’ambiente, si tiene conto dei pertinenti criteri di selezione di cui all’allegato III di tale direttiva.

A tale riguardo, la Corte ha già dichiarato che uno Stato membro non può, senza venir meno agli obblighi ad esso incombenti in forza della direttiva 2011/92, escludere esplicitamente o implicitamente uno o più criteri dell’allegato III di tale direttiva, dal momento che ciascuno di essi, a seconda del progetto interessato di cui all’allegato II di detta direttiva, può essere rilevante per stabilire se debba essere organizzata una procedura di valutazione dell’impatto ambientale (v., in tal senso, ordinanza del 10 luglio 2008, Aiello e a., C‑156/07, EU:C:2008:398, punto 50).

Ne consegue che, nell’ambito di un esame caso per caso, l’autorità competente deve esaminare il progetto di cui trattasi alla luce di tutti i criteri di selezione ripostati nell’allegato III della direttiva 2011/92 al fine di determinare i criteri pertinenti nel caso di specie e che essa deve poi tenere debitamente conto di tutti i criteri che risultano così pertinenti.

Occorre ricordare, in tale contesto, che la Corte ha già respinto la tesi secondo cui, nelle zone urbane, l’impatto ambientale dei progetti di urbanizzazione sarebbe praticamente inesistente e ha fatto riferimento, al riguardo, ai criteri relativi alle zone densamente popolate, nonché ai paesaggi importanti dal punto di vista storico, culturale e archeologico, che figurano ormai al punto 2, lettera c), vii) e viii), dell’allegato III della direttiva 2011/92 (sentenza del 16 marzo 2006, Commissione/Spagna, C‑332/04 (QUI) punti 79 e 80).

Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla quarta questione dichiarando che l’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/92 deve essere interpretato nel senso che, nell’ambito di un esame caso per caso per verificare se un progetto possa avere un impatto ambientale significativo e debba quindi essere sottoposto a una valutazione del suo impatto ambientale, l’autorità competente deve esaminare il progetto di cui trattasi alla luce di tutti i criteri di selezione riportati nell’allegato III di tale direttiva al fine di determinare i criteri pertinenti nel caso di specie e deve poi applicare tali criteri pertinenti alla situazione del caso specifico.

 


 

SULLA QUINTA QUESTIONE PREGIUDIZIALE: DIRITTO DEI CITTADINI A RICORRERE CONTRO DECISIONI IN MATERIA DI VIA

Con la sua quinta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 11 della Direttiva 2011/92 debba essere interpretato nel senso che esso osta a che l’eventuale esame caso per caso previsto all’articolo 4, paragrafo 2, lettera a), di tale Direttiva sia effettuato per la prima volta da un giudice dotato della competenza a concedere un’autorizzazione, quale prevista dall’articolo 1, paragrafo 2, lettera c), di detta Direttiva, in un procedimento in cui il pubblico beneficia della qualità di parte solo in un ambito estremamente limitato e in esito al quale il pubblico dispone di possibilità di ricorso solo in modo estremamente limitato. In tale contesto, il giudice del rinvio si chiede altresì se sia rilevante che, secondo il diritto nazionale, al di fuori della possibilità di una determinazione d’ufficio, solo il committente del progetto, un’autorità coinvolta o il mediatore per l’ambiente possano chiedere di stabilire se il progetto di cui trattasi debba essere sottoposto ad una valutazione dell’impatto ambientale.

 

Secondo la Corte di Giustizia occorre rispondere alla quinta questione dichiarando che l’articolo 11 della Direttiva 2011/92 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che l’esame caso per caso previsto all’articolo 4, paragrafo 2, lettera a), di tale Direttiva sia effettuato per la prima volta da un giudice dotato della competenza a concedere un’autorizzazione, quale prevista dall’articolo 1, paragrafo 2, lettera c), di detta direttiva. Tuttavia, un singolo che fa parte del «pubblico interessato», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera e), della direttiva 2011/92, e che soddisfa i criteri previsti dal diritto nazionale quanto all’ «interesse sufficiente» o, se del caso, alla «violazione di un diritto», di cui a tale articolo 11, deve disporre della possibilità di contestare, dinanzi ad un altro organo giurisdizionale o, a seconda dei casi, un altro organo indipendente e imparziale istituito dalla legge, la legittimità sostanziale o procedurale della decisione che sia adottata da un siffatto giudice e che constati che non occorre procedere a una valutazione dell’impatto ambientale.

 

 

 

SULLA SESTA QUESTIONE PREGIUDIZIALE: SENZA AVERE SVOLTO LA VIA NON PUÒ ESSERE RILASCIATO ALCUN PERMESSO DI COSTRUIRE

Con la sesta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la Direttiva 2011/92 debba essere interpretata nel senso che essa osta al rilascio, prima o durante la realizzazione di una necessaria valutazione dell’impatto ambientale o prima della conclusione di un esame caso per caso dell’impatto ambientale diretto a determinare se una siffatta valutazione sia necessaria, di permessi di costruire per progetti individuali di lavori che rientrano nell’ambito di progetti di riassetto urbano più ampi.

Secondo la Corte di Giustizia ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2011/92, prima del rilascio dell’autorizzazione, i progetti per i quali si prevede un impatto ambientale significativo devono formare oggetto di una valutazione del loro impatto ambientale.

Una siffatta norma comporta che l’esame degli effetti diretti e indiretti di un progetto sui fattori contemplati dall’articolo 3 di tale direttiva e sull’interazione tra detti fattori venga integralmente effettuato, in modo completo, prima di detto rilascio (sentenza del 24 febbraio 2022, Namur-Est Environnement, C‑463/20 QUI, punto 58).

Come ha sottolineato la Corte, il carattere preventivo di una valutazione siffatta è giustificato dalla necessità che, durante il processo decisionale, l’autorità competente tenga conto il prima possibile dell’impatto ambientale di tutti i processi tecnici di programmazione e di decisione, al fine di evitare fin dall’inizio inquinamenti e altre perturbazioni piuttosto che combatterne successivamente gli effetti (sentenza del 31 maggio 2018, Commissione/Polonia, C‑526/16 QUI, punto 75).

Orbene, concedere permessi di costruire per progetti individuali che costituiscono una parte di un progetto di riassetto urbano più ampio, prima che sia determinato se quest’ultimo progetto debba essere sottoposto a valutazione conformemente agli articoli da 5 a 10 della direttiva 2011/92 e che, se del caso, tale valutazione sia realizzata, sarebbe manifestamente contrario a tali requisiti e all’obiettivo essenziale che essi traducono, ricordato al punto 37 della presente sentenza.

Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla sesta questione dichiarando che la Direttiva 2011/92 deve essere interpretata nel senso che essa osta al rilascio, prima o durante la realizzazione di una necessaria valutazione dell’impatto ambientale o prima della conclusione di un esame caso per caso dell’impatto ambientale diretto a determinare se una siffatta valutazione sia necessaria, di permessi di costruire per progetti individuali di lavori che rientrano nell’ambito di progetti di riassetto urbano più ampi.

 

 

 

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