lunedì 30 gennaio 2023

Impianti di interesse strategico nazionale contro l’ambiente e la Costituzione

L’articolo 5 del Decreto Legge n° 2 del 5 gennaio 2023 (QUI) modifica il Decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (QUI), recante disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica.

Relativamente a stabilimenti industriali dichiarati di interesse strategico nazionale secondo la legge 231/2012 (QUI) la cui gestione ha realizzato reati anche ambientali da comportare una sanzione di interdizione della attività, si permette la continuazione dell’attività affidata ad un commissario nominato come amministratore straordinario.  Il giudice detta le prescrizioni necessarie alla continuazione della attività tenendo conto dei provvedimenti autorizzativi delle autorità competenti rilasciati in precedenza. "Tenere conto" come si sa ha la valenza giuridica che in cucina ha una padellata di aria fritta!

Insomma il famoso bilanciamento tra interessi di impresa e tutela di ambiente e salute qui va a farsi benedire in contrasto, come vedremo nel post integrale che segue questa breve introduzione, con la stessa giurisprudenza costituzionale ma anche con l’ultima versione dell’articolo 41 della Costituzione (in realtà anche con la precedente) che chiaramente afferma come l’iniziativa economica privata (ma anche pubblica ovviamente) non possa svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. In questo articolo non si parla di bilanciamento tra economia e ambiente ma che comunque qualsiasi attività economica non può recare danno a salute e ambiente.

Infine la nuova normativa introduce due ulteriori novità sotto il profilo processuale penale:

1. Se chi continua a gestire l’attività di interesse strategico nazionale sulla base delle prescrizioni del giudice non risponderà comunque degli eventuali illeciti anche ambientali commessi in questa attività se si è limitato a rispettare le prescrizioni del giudice

2. Qualsiasi contenzioso contro le decisioni del giudice e/o del gestore saranno di competenza del tribunale di Roma violando così il principio costituzionale secondo cui “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge “(articolo 25 Costituzione)

 

 

LE MODIFICHE DEL DECRETO LEGGE 2/2023

Condizioni per proseguire attività imprese di interesse strategico nazionale soggette ad amministrazione straordinaria

L’articolo 15 del DLgs 231/2001 stabilisce le condizioni in base alle quali, se sussistono i presupposti per l'applicazione di una sanzione interdittiva che determina l'interruzione dell'attività dell'ente, il giudice, in luogo dell'applicazione della sanzione, dispone la prosecuzione dell'attività dell'ente da parte di un commissario per un periodo pari alla durata della pena interdittiva che sarebbe stata applicata.

L’articolo 5 del  Decreto legge 2/2023 introduce una terza condizione per permettere la prosecuzione dell’attività: se l'attività é svolta in stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi della legge 231/2012 (QUI), in caso di imprese che dopo il verificarsi dei reati che danno luogo all'applicazione della sanzione sono state ammesse all'amministrazione straordinaria, anche in via temporanea  ai  sensi dell'articolo 1 del  decreto-legge 5 dicembre 2022, n°187 (QUI), la prosecuzione dell'attività è affidata al commissario già  nominato nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria.

 

Esclusione delle sanzioni interdittive della attività di imprese di interesse strategico nazionale

Ma la modifica più significativa l’articolo del Decreto Legge 2/2023 la apporta all’articolo 17 del DLgs 231/2001, questo ultimo elenca le condizioni per escludere le sanzioni interdittive della attività di impresa.

L’articolo 5 del Decreto legge 2/2023 vi aggiunge la seguente condizione con un nuovo comma a detto articolo 17 del DLgs 231/2001: In ogni caso, le sanzioni interdittive non possono essere applicate quando pregiudicano la continuità dell'attività svolta in stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale della sopra citata legge 231/2012, se l'ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l'adozione e l'attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi. Il modello organizzativo si considera sempre idoneo a prevenire reati della specie  di  quello verificatosi quando nell'ambito  della  procedura di  riconoscimento dell'interesse strategico nazionale sono stati adottati provvedimenti diretti a realizzare, anche attraverso l'adozione di modelli organizzativi, il  necessario bilanciamento tra le esigenze di continuità dell'attività produttiva e di salvaguardia dell'occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute, dell'ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi.”

 

Casi in cui la nomina del commissario esclude automaticamente la sanzione interdittiva della attività

Altra modifica apportata dall’articolo 5 del Decreto Legge 2/2023 è quella all’articolo 45 del DLgs 231/2001, questo ultimo prevede che quando sussistono gravi indizi per ritenere la sussistenza della responsabilità dell'ente per un illecito amministrativo dipendente da reato e vi sono fondati e specifici elementi che fanno ritenere concreto il pericolo che vengano commessi illeciti della stessa

indole di quello per cui si procede, il pubblico ministero può richiedere l'applicazione quale misura cautelare di una delle sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2 [NOTA 1], presentando

al giudice gli elementi su cui la richiesta si fonda, compresi quelli a favore dell'ente e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate.

L’articolo 5 del Decreto Legge 2/2023 aggiunge all’articolo 45 del DLgs 231/2001 sopra riportato il seguente periodo la nomina del commissario di cui al primo periodo é sempre disposta, in luogo   dell'applicazione cautelare della misura interdittiva, quando la misura possa pregiudicare la  continuità dell'attività svolta in stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale.

 

Casi in cui con sequestro preventivo l’attività di imprese di interesse strategico nazionale prosegue su provvedimento del giudice che definisce le prescrizioni per continuare l’attività

Altra modifica apportata dal Decreto Legge 2/2023 è quella all’articolo 53 del DLgs 231/2001 relativo al caso di sequestro preventivo.

L’articolo 5 del Decreto Legge 2/2023 introduce un nuovo comma a detto articolo 53 secondo il quale quando il sequestro abbia ad oggetto stabilimenti industriali che siano stati dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell'articolo 1 della legge 231/2012 o loro parti, ovvero impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, si applicano le seguenti norme delle disposizioni di attuazione del Codice di Procedura Penale di cui all’articolo 104-bis DLgs 271/1989 (QUI), norme introdotte dal successivo articolo 6 del Decreto Legge 2/2023:

1. Nuovo comma 1-bis.1 dell’articolo 104-bis CPP: Quando il sequestro ha ad oggetto stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale, ovvero impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, il giudice dispone la prosecuzione dell'attività avvalendosi di un amministratore giudiziario nominato dalla autorità giudiziaria. In caso di imprese che dopo il verificarsi dei reati che danno luogo all'applicazione del provvedimento di sequestro sono state ammesse all'amministrazione straordinaria, anche in via temporanea ai sensi dell'articolo 1 Decreto Legge 187/2022 (QUI), la prosecuzione dell'attività è affidata al commissario già nominato nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria.

Ove necessario per realizzare un bilanciamento tra le esigenze di continuità dell'attività produttiva e di salvaguardia dell'occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute, dell'ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi, giudice detta le prescrizioni necessarie, tenendo anche conto del contenuto dei provvedimenti amministrativi a tal fine adottati dalle competenti autorità.

Le disposizioni di cui sopra non si applicano quando dalla prosecuzione può derivare un concreto pericolo per la salute o l'incolumità pubblica ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori non evitabile con alcuna prescrizione.

Il giudice autorizza la prosecuzione dell'attività se, nell'ambito della procedura di riconoscimento dell'interesse strategico nazionale, sono state adottate misure con le quali si é ritenuto realizzabile il bilanciamento tra le esigenze di continuità dell'attività produttiva e di salvaguardia  dell'occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell'ambiente e degli  altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi. In ogni caso il provvedimento di cui ai   periodi precedenti, anche se negativo, é trasmesso, entro il termine di quarantotto ore, alla  Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero delle imprese e del made in Italy e al Ministero  dell'ambiente e della sicurezza energetica.

2. Nuovo comma 1-bis.2 articolo 104-bis CPP: Nei casi disciplinati dal comma 1-bis.1, il provvedimento con cui il giudice abbia escluso o revocato l'autorizzazione alla prosecuzione, o negato la stessa in sede di istanza di revoca, modifica o rivalutazione del sequestro precedentemente disposto, nonostante le misure adottate nell'ambito della procedura di riconoscimento dell'interesse strategico nazionale, può essere oggetto di impugnazione ai sensi dell'articolo  322-bis del codice (QUI), anche da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero delle imprese e del made in Italy o del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica. Sull'appello avverso il provvedimento di cui al primo periodo decide, in composizione collegiale, il tribunale di Roma.

Infine, per concludere con i regali legali alle imprese dichiarate di interesse strategico nazionale, l’articolo 7 del Decreto Legge 2/2023 recita: "Chiunque agisca al fine di dare esecuzione ad un  provvedimento che autorizza la prosecuzione dell'attività di uno stabilimento industriale o parte  di esso dichiarato di interesse strategico nazionale non é punibile per i fatti che derivano dal  rispetto delle prescrizioni dettate dal provvedimento dirette a tutelare i beni giuridici protetti  dalle norme incriminatrici, se ha agito in conformità alle medesime prescrizioni", e se emergessero altre violazioni? E se le prescrizioni fossero sbagliate o si rivelassero insufficienti?   

 


 

ANALISI CRITICA DELLA NUOVA NORMATIVA DEL DECRETO LEGGE 2/2023

 

Il modello semplificatorio e derogatorio dell’AIA nella normativa precedente al Decreto Legge 2/2023

Questo Decreto legge si inserisce nel solco già aperto nel 2012 con la legge 231/2012 con la quale partendo dalla vicenda dell’Ilva di Taranto si produce un modello di gestione speciale dell’AIA a tutte le infrastrutture definite strategiche dal Governo. Già in quella legge del 2012 emerge la contraddizione tra le finalità della disciplina dell’AIA e le condizioni dettate dal decreto che con le suddette finalità non hanno nulla a che fare prestandosi ad una discrezionalità assolutamente discutibile da parte del Governo nell'aggirare, le parti più innovative della suddetta disciplina nonchè degli eventuali provvedimenti della magistratura contro le violazioni di legge e a tutela di salute e ambiente. Ho spiegato le criticità della legge del 2012 nel mio blog QUI,  modello poi reiterato nel 2015 vedi QUI.

 

Il Decreto legge 2/2023 si pone in contrasto con la nuova versione dell’articolo 41 della Costituzione

Il nuovo Decreto Legge negli articoli sopra descritti rafforza, peggiorandolo, l’indirizzo del 2012 non a caso citato nel nuovo Decreto Legge.

In particolare, le norme del Decreto Legge 2/2023 si pongono prima di tutto in contrasto con la nuova versione dell’articolo 41 della Costituzione visto che si afferma l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. In questo articolo non si parla di bilanciamento tra economia e ambiente ma che comunque qualsiasi attività economica non può recare danno a salute e ambiente.

 

Il Decreto legge 2/2023 si pone in contrasto con la giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia di bilanciamento di interessi economici con quelli ambientali e di salute pubblica

In particolare, la Corte Costituzionale con sentenza n° 58 del 28/3/2018 (QUI) aveva dichiarato la incostituzionalità dell’articolo 3 del decreto-legge 4 luglio 2015, n. 92 (Misure urgenti in materia di rifiuti e di autorizzazione integrata ambientale, nonché per l’esercizio dell’attività d’impresa di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale). Secondo detto articolo 3 “l’esercizio dell’attività di impresa degli stabilimenti di interesse strategico nazionale non è impedito dal provvedimento di sequestro […] quando lo stesso di riferisca ad ipotesi di reato inerenti alla sicurezza dei lavoratori” (art. 3, comma 1). Detto articolo 3 è stato adottato al dichiarato fine di “garantire il necessario bilanciamento tra le esigenze di continuità dell'attività produttiva, di salvaguardia dell'occupazione, della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell'ambiente salubre, nonché delle finalità di giustizia” (art. 3, comma 1) e intendeva porsi in linea di continuità con la precedente normativa in materia di esercizio dell’attività di impresa in stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale, contenuta nel decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207 (Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell'ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231.

La Corte Costituzionale con precedente sentenza n° 85 del 2013 (QUI) aveva dichiarato la legittimità costituzionale della legge 231/2012 ritenendo che il legislatore avesse effettuato un ragionevole e proporzionato bilanciamento predisponendo la disciplina di cui al citato art. 1, comma 4, del decreto-legge n. 207 del 2012. In quella ipotesi, infatti, la prosecuzione dell’attività d’impresa era condizionata all’osservanza di specifici limiti, disposti in provvedimenti amministrativi relativi all’autorizzazione integrata ambientale, e assistita dalla garanzia di una specifica disciplina di controllo e sanzionatoria.

Invece con la sentenza del 2018 n° 58 la Corte Costituzionale ha ritenuto che “il legislatore non ha rispettato l’esigenza di bilanciare in modo ragionevole e proporzionato tutti gli interessi costituzionali rilevanti, incorrendo in un vizio di illegittimità costituzionale per non aver tenuto in adeguata considerazione le esigenze di tutela della salute, sicurezza e incolumità dei lavoratori, a fronte di situazioni che espongono questi ultimi a rischio della stessa vita. Infatti, nella normativa in giudizio, la prosecuzione dell’attività d’impresa è subordinata esclusivamente alla predisposizione unilaterale di un “piano” ad opera della stessa parte privata colpita dal sequestro dell’autorità giudiziaria, senza alcuna forma di partecipazione di altri soggetti pubblici o privati.”

Aggiunge la Corte nella sentenza del 2018 che il legislatore ha finito col privilegiare in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa (artt. 2 e 32 Cost.), cui deve ritenersi inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso (art. 4 e 35 Cost.). Conclude la Corte: l’art. 41 Cost. (anche nella versione precedente all’ultima riforma citata in precedenza) deve essere interpretato nel senso che esso «limita espressamente la tutela dell’iniziativa economica privata quando questa ponga in pericolo la “sicurezza” del lavoratore» (sentenza n. 405 del 1999). Così come è costante la giurisprudenza costituzionale nel ribadire che anche le norme costituzionali di cui agli artt. 32 e 41 Cost. impongono ai datori di lavoro la massima attenzione per la protezione della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori (sentenza n. 399 del 1996 - QUI).

Ma soprattutto nella sentenza del 2018 la Corte afferma che occorre rimuovere prontamente i fattori di pericolo per la salute, l’incolumità e la vita dei lavoratori costituisce infatti condizione minima e indispensabile perché l’attività produttiva si svolga in armonia con i principi costituzionali, sempre attenti anzitutto alle esigenze basilari della persona.

 

Il contrasto del Decreto Legge 2/2023 con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo

In una direzione simile alla sentenza della Corte Costituzionale del 2018, si veda la Corte Europea dei diritti dell’uomo con sentenza del 2019 (QUI) che ha affermato, in relazione al decreto legge del 2015 ed in generale ai ritardi delle autorità pubbliche nell’affrontare la questione di Taranto, che  lo Stato italiano non aveva messo in atto le misure atte a proteggere il diritto al rispetto della vita privata dei cittadini, né aveva fornito agli stessi un rimedio interno efficace per la difesa di tale diritto, violando con la propria condotta gli artt. 8 e 13 della Convenzione; precisando, in particolare, che l’art. 8 comporta l’obbligo per lo Stato di attuare un bilanciamento tra l’interesse pubblico e quello individuale, adottando una idonea regolamentazione dell’attività inquinante al fine di assicurare la protezione effettiva dei cittadini.

Non paiono quindi rispettati questi indirizzi della Corte Costituzionale ma ancora di più della nuova versione dell’articolo 41 della Costituzione visto che di bilanciamento di interessi c’è poco nelle norme del nuovo Decreto Legge 2/2023. Si arriva infatti a prevedere un bilanciamento che poi si traduce in prescrizioni decise dal giudice fuori da una istruttoria che coinvolga direttamente gli enti preposti alla tutela della salute pubblica e dell’ambiente.

 

 

La violazione del principio costituzionale del giudice naturale

Non solo ma addirittura si arriva a spostare, in caso di impugnazione del provvedimento di prosecuzione dell’attività o di diniego di prosecuzione della stessa, al tribunale di Roma ledendo il principio sancito dall’art. 25 della Costituzione secondo cui “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge “ vale a dire giudice individuato in base a criteri oggettivi relativi al territorio e alla situazione che ha prodotto il fatto illecito e non ex lege.

 

 



[NOTA 1] 
Le sanzioni interdittive sono: a) l'interdizione dall'esercizio dell'attività; b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito; c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; d) l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi; e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

 

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