venerdì 20 gennaio 2023

Danno da discarica quando è risarcibile: una sentenza del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato con sentenza n°10075 del 16 novembre 2022 (QUI) ha statuito sulla richiesta di risarcimento avanzata dai ricorrenti appellanti per pretesi danni da loro subiti in conseguenza dell’attività di raccolta e smaltimento rifiuti svolta presso una discarica a partire dalla fine degli anni Sessanta del secolo scorso.

La sentenza chiarisce due aspetti rilevanti:

Il primo quando una azione di questo tipo si prescrive.

Il secondo quando la presenza di una attività potenzialmente inquinante come una discarica possa avere prodotto un danno frutto di una illecita gestione della discarica. 


 

COSA CHIEDEVANO I RICORRENTI

I ricorrenti appellanti, in quanto proprietari di un terreno agricolo, hanno dedotto che l’esercizio, su un terreno situato nelle immediate vicinanze, di una discarica di rifiuti, in particolare ad opera delle intimate appellate società che l’hanno gestita nel tempoi, avrebbe determinato la contaminazione di tutta l’area circostante, e in particolare innescato un processo di degrado del loro terreno agricolo, tale da azzerarne sostanzialmente il valore e da produrre il sostanziale fallimento della loro attività, che si è contratta al punto da non consentir più loro di far fronte ai mutui contratti allo scopo.

 

 

LA SENTENZA SULLA PRESCRIZIONE DELL’AZIONE RISARCITORIA

Il Consiglio di Stato nella sentenza qui esaminata ha dato ragione ai ricorrenti sulla questione della non avvenuta prescrizione della loro azione. Al di là del caso oggetto della sentenza è interessante riportare la motivazione del Consiglio di Stato.

Secondo il collegio è chiara in giurisprudenza la distinzione fra illecito permanente e illecito istantaneo ad effetti permanenti. Il primo consiste in una condotta che perdura, e che mantiene il bene in condizioni di danneggiamento, con la conseguenza che il termine di prescrizione “inizia a decorrere solo dal momento in cui tali condizioni siano state volontariamente eliminate dal danneggiante ovvero la condotta sia stata resa impossibile dalla perdita incolpevole della disponibilità del bene da parte di quest'ultimo”.

Secondo il Consiglio di Stato siamo, trattandosi di una discarica gestita da decenni, nella ipotesi dell’illecito permanente almeno in termini astratti di principio.

Infatti, secondo i giudici la condotta lesiva di cui si ragiona è unitaria, ed è rappresentata, dal punto di vista della parte, nella presunta mala gestione della discarica, che avrebbe prodotto conseguenze dannose ovvero pericolose nello spazio fisico circostante. Questa condotta lesiva, sempre in ipotesi, è effettivamente una condotta protratta nel tempo, che mantiene il bene danneggiato in condizioni di pregiudizio. Ciò posto, ad avviso del Collegio, la natura di questa condotta non muta in base alla qualificazione giuridica che si possa dare del bene da essa offeso; in altre parole, quanto si è detto non muta a seconda che lo spazio fisico circostante venga qualificato sotto il profilo del bene giuridico ambiente, ovvero sotto il profilo del diritto soggettivo di proprietà di cui i ricorrenti appellanti erano titolari: a fronte di una stessa identica condotta, identica deve essere la disciplina della prescrizione del diritto al risarcimento, con soluzione oltretutto conforme ad equità sostanziale.

Poiché quindi la gestione della discarica perdura a tutt’oggi, la prescrizione della azione risarcitoria astrattamente considerata non sussiste.

 

 

LA SENTENZA SULLA ESISTENZA IN CONCRETO DI UNA DANNO RISARCIBILE

Affermano i giudici che è del tutto noto che chi richieda il risarcimento per un presunto danno ingiusto da lui subito debba in primo luogo provare l’esistenza del fatto illecito che, secondo la sua prospettazione, avrebbe cagionato questo danno.

In particolare, essendo la discarica autorizzata, l’ipotesi su cui fondare l’azione risarcitoria, poteva essere che l’attività della discarica abbia cagionato danno per avere illegittimamente travalicato i limiti impostile dai legittimi atti amministrativi che ne hanno assentito l’esercizio.

Tuttavia, sulla base delle prove dedotte in giudizio, questa ipotesi secondo la sentenza in esame non è dimostrata e questo per i carenti atti e motivi probatori apportati in giudizio dai ricorrenti:

1. le sostanze inquinanti sono state ritrovate all’interno del sito della discarica, ma non ne consta una diffusione all’esterno, in particolare sul fondo dei ricorrenti appellanti;

2. semplici articoli di stampa su generici fastidi dalla attività della discarica;

3. un documento di analisi che però è del tutto decontestualizzato, non constando le precise circostanze di tempo e di luogo in cui queste analisi sono state eseguite e non essendovi alcuna argomentazione allegata circa la possibile provenienza degli inquinanti;

4. lo studio di caratterizzazione della discarica però nulla dice sulla presenza di inquinanti fuori dal sito;

5. uno studio sui danni provocati dai gabbiani al tetto della serra gestita dai ricorrenti appellanti, non certo idoneo a provare una qualche forma di mala gestione della discarica, dato che, per comune esperienza, il gabbiano è ubiquitario nelle zone in cui vi siano rifiuti provenienti da insediamenti umani, senza necessità che questi rifiuti vengano da una discarica mal gestita.

 

Quindi, conclude la sentenza: considerato che nell’ambito della giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo in materia di diritti vale senza eccezioni la regola civilistica dell’onere della prova – per tutte, sul punto già C.d.S. sez. VI 4 marzo 2015 n°1052 QUI e 22 novembre 2010 n° 8125 – la sussistenza del fatto illecito produttivo di danno non è dimostrata, e quindi la domanda risarcitoria va respinta.

 

 

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