lunedì 23 gennaio 2023

Varianti urbanistiche e industrie insalubri i poteri del Consiglio Comunale

Il Consiglio di Stato con sentenza n° 2941 del 12 aprile 2021 (QUI) è intervenuto per decide la legittimità di una variante al piano urbanistico comunale bocciata dal Consiglio Comunale perché permetteva di insediare sul territorio di competenza: una industria insalubre di prima classe.

 

 

 

OGGETTO DELLA CONTROVERSIA

Una società aveva presentato una domanda di permesso di costruire per la realizzazione di un opificio industriale, destinato alla produzione di suole per calzature in poliuretano, gomma, TPU, TR, su terreni con destinazione nel piano regolatore generale di “impianti industriali e artigianali”, per una superficie di 20.795 metri quadri; l’intervento richiedeva la variante allo strumento urbanistico, poiché la destinazione secondo le norme attuative del Piano vigente, non consentiva l’insediamento di industrie insalubri di prima classe.

Gli uffici del Comune hanno predisposto la proposta di Variante per potere poi rilasciare il permesso di costruire ed avviato la VAS che però veniva esclusa.

Il Consiglio Comunale l’ha respinta con apposita deliberazione rilevando, oltre alla mancata applicazione della VAS, l’esistenza di edifici di abitazione e di un parco giochi per bambini e una area di verde attrezzato ad una distanza inferiore ai 250 metri dall’impianto; nonché la mancata prova da parte della società ricorrente circa la non pericolosità dell’impianto, ai sensi dell’art. 216 Testo unico leggi sanitarie.

La società ha impugnato tra le altre anche la delibera del Consiglio Comunale suddetta ma il TAR pur accogliendo in parte il ricorso non lo ha fatto relativamente ai poteri di decisione del Consiglio Comunale sul contenuto della Variante e sulla necessità che non si escludano in automatico in una data zona del territorio comunale tutte indifferentemente le industrie insalubri di prima classe.

 

 

LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO

Secondo la sentenza qui esaminata la variante urbanistica, ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. 447 del 1998 (disciplina sportello unico ora vedi articolo 8 DPR 160/2010 QUI), non sia differente dalle ordinarie varianti al PRG, in quanto si tratta di un procedimento con la funzione di semplificare e rendere più celere la modifica dello strumento urbanistico al fine di favorire l'installazione di strutture produttive, ma che lascia in capo al Consiglio comunale tutti poteri di pianificazione urbanistica, con la conseguenza della sussistenza della ordinaria discrezionalità pianificatoria rispetto alla proposta di variante dello strumento urbanistico assunta dalla conferenza di servizi, da considerare alla stregua di un atto di impulso del procedimento volto alla variazione urbanistica non vincolante per il Consiglio comunale. 


Di seguito i tre motivi principali della sentenza 2941/2021:

 

1. Gli ampi poteri del Consiglio Comunale nel decidere i contenuti della variante da deliberare anche per gli aspetti ambientali e sanitari

Quale industria insalubre di prima classe, l’impianto in questione avrebbe dovuto, quindi, essere collocato in un posto isolato lontano dalle abitazioni, a meno che non fossero introdotti idonei accorgimenti per la tutela della salute.

Nel caso di specie, il Consiglio comunale ha rilevato che una tale valutazione circa la non pericolosità dell’ambiente, comunque non era possibile, in quanto non era stato reso il parere dell’ARPAM sulle emissioni e non vi era alcuno studio sull’impatto derivante dall’immissione in atmosfera di 181 tonnellate di solvente l’anno.

Tale valutazione non si può ritenere estranea all’ambito dei poteri del Consiglio comunale.

Infatti, anche a prescindere dalla esatta interpretazione della disposizione del TULS, circa il soggetto a cui carico sia l’onere della prova della non pericolosità per la salute, al fine collocare un impianto in zona abitata, tali circostanze di fatto potevano essere valutate dal Consiglio comunale in sede di approvazione della variante urbanistica.

Diversamente da quanto sostenuto dal giudice di primo grado, il consiglio comunale nell’approvazione della variante conserva integri i poteri di pianificazione comunale, potendo, quindi, nell’esercizio della propria discrezionalità approvare o meno la proposta di variante della conferenza di servizi, che non è vincolante.

A fronte della richiesta del privato di ampliare un impianto industriale, la disciplina dello sportello unico (versione 1998 ma lo stesso vale per quella del 2010) non consente di ipotizzare alcuna abdicazione dell'amministrazione resistente alla sua istituzionale potestà pianificatoria, sì da rendere l'approvazione della variante pressoché obbligatoria, restando al contrario integra per l’organo consiliare la possibilità di discostarsi motivatamente dalla determinazione iniziale adottata (Cons. Stato, Sez. IV, 4 novembre 2013, n. 5292 QUI; Cons. Stato Sez. IV, 31 luglio 2009, n. 4828 QUI). Ciò anche se nel corso della Conferenza il rappresentante del Comune abbia assunto posizione favorevole alla variante, circostanza che comunque non limita in alcun modo l'organo consiliare nelle sue determinazioni (Cons. Stato, sez. VI, 27 luglio 2011, nr. 4498 QUI).

 

2. Ampia discrezionalità del Consiglio Comunale nel valutare il tipo di abitato da cui tenere lontane le industrie insalubri.

Secondo la sentenza qui esaminata il Comune, nell’esercizio della propria discrezionalità pianificatoria, poteva valutare tutte le circostanze relative alla vicinanza dell’impianto all’abitato, tenuto anche conto che l’art. 216 del TULS riferisce la valutazione ad un concetto, quello di “lontananza dalle abitazioni”, “spiccatamente duttile avuto riguardo, in particolare, alla tipologia di industria di cui concretamente si tratta” (Consiglio di Stato, Sez. III, 24 settembre 2013, n. 4687). In ogni caso, il Consiglio comunale poteva valutare tutti gli aspetti anche preliminari della proposta di variante, compresa la conformità del progetto alle norme ambientali e di tutela della salute considerati quale presupposto della successiva variante.

 

3. Il Comune per individuare zone del proprio territorio senza industrie insalubri di prima classe non deve dimostrarne preventivamente la pericolosità in concreto

Secondo la sentenza del Consiglio di Stato il riferimento operato dalle norme tecniche attuative (NTA) del PRG alle industrie insalubri di prima classe, consentite solo in una data zona, non può che essere riferito all’elenco contenuto nel D.M. 5 settembre 1994 (QUI) che contiene l’elenco delle industrie insalubri, senza alcun rilievo alla effettiva valutazione di pericolosità in concreto.

Anche la censura riproposta con cui sono stati impugnati gli artt. della NTA, sostenendo che tale disciplina sarebbe in contrasto con la valutazione di pericolosità in concreto prevista dall’art. 216 del TULS non può essere accolta.

Infatti, la norma del TULS, che riguarda i profili sanitari della tutela dell’abitato, non limita di per sé il potere pianificatorio del Comune che può individuare specifiche aree dell’abitato destinate a zone produttive e, in tale ambito, anche zone destinate a particolari tipi di industrie con maggiore impatto sull’ambiente circostante, anche in relazione alla collocazione di tali aree rispetto ai nuclei abitati.

Nel caso di specie, tale potere non appare neppure irragionevolmente esercitato, avendo previsto una specifica zona produttiva, destinata alle industrie insalubri di prima classe, e una zona, in cui sono consentiti impianti produttivi industriali e artigianali, con esclusione delle industrie insalubri di prima classe, considerato che si tratta di zona vicina ad abitazioni con la presenza anche di impianti artigianali.

 

 

 

 

 

 

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