Il Consiglio di Stato
con sentenza n° 2941 del 12 aprile 2021 (QUI) è intervenuto per decide la legittimità di una
variante al piano urbanistico comunale bocciata dal Consiglio Comunale perché
permetteva di insediare sul territorio di competenza: una industria insalubre
di prima classe.
OGGETTO DELLA
CONTROVERSIA
Una società aveva
presentato una domanda di permesso di costruire per la realizzazione di un
opificio industriale, destinato alla produzione di suole per calzature in
poliuretano, gomma, TPU, TR, su terreni con destinazione nel piano regolatore
generale di “impianti industriali e artigianali”, per una superficie di 20.795
metri quadri; l’intervento richiedeva la variante allo strumento urbanistico,
poiché la destinazione secondo le norme attuative del Piano vigente, non
consentiva l’insediamento di industrie insalubri di prima classe.
Gli uffici del Comune hanno predisposto la proposta di Variante per potere poi rilasciare il permesso di costruire ed avviato la VAS che però veniva esclusa.
Il Consiglio Comunale l’ha
respinta con apposita deliberazione rilevando, oltre alla mancata applicazione
della VAS, l’esistenza di edifici di abitazione e di un parco giochi per
bambini e una area di verde attrezzato ad una distanza inferiore ai 250 metri
dall’impianto; nonché la mancata prova da parte della società ricorrente circa
la non pericolosità dell’impianto, ai sensi dell’art. 216 Testo unico leggi
sanitarie.
La società ha impugnato tra le altre anche la delibera del Consiglio Comunale suddetta ma il TAR pur accogliendo in parte il ricorso non lo ha fatto relativamente ai poteri di decisione del Consiglio Comunale sul contenuto della Variante e sulla necessità che non si escludano in automatico in una data zona del territorio comunale tutte indifferentemente le industrie insalubri di prima classe.
LA SENTENZA
DEL CONSIGLIO DI STATO
Secondo la sentenza qui
esaminata la variante urbanistica, ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. 447 del 1998
(disciplina sportello unico ora vedi articolo 8 DPR 160/2010 QUI), non sia differente dalle ordinarie varianti al PRG,
in quanto si tratta di un procedimento con la funzione di semplificare e
rendere più celere la modifica dello strumento urbanistico al fine di favorire l'installazione
di strutture produttive, ma che lascia in capo al Consiglio comunale tutti
poteri di pianificazione urbanistica, con la conseguenza della sussistenza
della ordinaria discrezionalità pianificatoria rispetto alla proposta di
variante dello strumento urbanistico assunta dalla conferenza di servizi, da
considerare alla stregua di un atto di impulso del procedimento volto alla
variazione urbanistica non vincolante per il Consiglio comunale.
Di seguito i tre motivi principali della sentenza 2941/2021:
1. Gli ampi poteri del Consiglio Comunale nel decidere i contenuti della variante da deliberare anche per gli aspetti ambientali e sanitari
Quale
industria insalubre di prima classe, l’impianto in questione avrebbe dovuto,
quindi, essere collocato in un posto isolato lontano dalle abitazioni, a meno che
non fossero introdotti idonei accorgimenti per la tutela della salute.
Nel
caso di specie, il Consiglio comunale ha rilevato che una tale valutazione
circa la non pericolosità dell’ambiente, comunque non era possibile, in quanto
non era stato reso il parere dell’ARPAM sulle emissioni e non vi era alcuno
studio sull’impatto derivante dall’immissione in atmosfera di 181 tonnellate di
solvente l’anno.
Tale valutazione non si può ritenere estranea all’ambito dei poteri del
Consiglio comunale.
Infatti,
anche a prescindere dalla esatta interpretazione della disposizione del TULS,
circa il soggetto a cui carico sia l’onere della prova della non pericolosità
per la salute, al fine collocare un impianto in zona abitata, tali circostanze
di fatto potevano essere valutate dal Consiglio comunale in sede di
approvazione della variante urbanistica.
Diversamente
da quanto sostenuto dal giudice di primo grado, il consiglio comunale
nell’approvazione della variante conserva integri i poteri di pianificazione
comunale, potendo, quindi, nell’esercizio della propria discrezionalità
approvare o meno la proposta di variante della conferenza di servizi, che non è
vincolante.
A
fronte della richiesta del privato di ampliare un impianto industriale, la
disciplina dello sportello unico (versione 1998 ma lo stesso vale per quella
del 2010) non consente di ipotizzare alcuna abdicazione dell'amministrazione
resistente alla sua istituzionale potestà pianificatoria, sì da rendere
l'approvazione della variante pressoché obbligatoria, restando al contrario
integra per l’organo consiliare la possibilità di discostarsi motivatamente
dalla determinazione iniziale adottata (Cons. Stato, Sez. IV, 4 novembre
2013, n. 5292 QUI; Cons.
Stato Sez. IV, 31 luglio 2009, n. 4828 QUI).
Ciò anche se nel corso della Conferenza il rappresentante del Comune abbia
assunto posizione favorevole alla variante, circostanza che comunque non limita
in alcun modo l'organo consiliare nelle sue determinazioni (Cons. Stato,
sez. VI, 27 luglio 2011, nr. 4498 QUI).
2. Ampia discrezionalità
del Consiglio Comunale nel valutare il tipo di abitato da cui tenere lontane le
industrie insalubri.
Secondo la sentenza qui
esaminata il Comune, nell’esercizio della propria discrezionalità
pianificatoria, poteva valutare tutte le circostanze relative alla vicinanza
dell’impianto all’abitato, tenuto anche conto che l’art. 216 del TULS riferisce
la valutazione ad un concetto, quello di “lontananza dalle abitazioni”,
“spiccatamente duttile avuto riguardo, in particolare, alla tipologia di
industria di cui concretamente si tratta” (Consiglio di Stato, Sez. III, 24
settembre 2013, n. 4687). In ogni caso, il Consiglio comunale poteva
valutare tutti gli aspetti anche preliminari della proposta di variante,
compresa la conformità del progetto alle norme ambientali e di tutela della
salute considerati quale presupposto della successiva variante.
3. Il Comune per individuare zone del proprio territorio senza industrie insalubri di prima classe non deve dimostrarne preventivamente la pericolosità in concreto
Secondo la sentenza del
Consiglio di Stato il riferimento operato dalle norme tecniche attuative (NTA) del
PRG alle industrie insalubri di prima classe, consentite solo in una data zona,
non può che essere riferito all’elenco contenuto nel D.M. 5 settembre 1994 (QUI) che
contiene l’elenco delle industrie insalubri, senza alcun rilievo alla effettiva
valutazione di pericolosità in concreto.
Anche la censura
riproposta con cui sono stati impugnati gli artt. della NTA, sostenendo che
tale disciplina sarebbe in contrasto con la valutazione di pericolosità in
concreto prevista dall’art. 216 del TULS non può essere accolta.
Infatti, la norma del
TULS, che riguarda i profili sanitari della tutela dell’abitato, non limita di
per sé il potere pianificatorio del Comune che può individuare specifiche aree
dell’abitato destinate a zone produttive e, in tale ambito, anche zone
destinate a particolari tipi di industrie con maggiore impatto sull’ambiente
circostante, anche in relazione alla collocazione di tali aree rispetto ai
nuclei abitati.
Nel caso di specie, tale
potere non appare neppure irragionevolmente esercitato, avendo previsto una
specifica zona produttiva, destinata alle industrie insalubri di prima classe,
e una zona, in cui sono consentiti impianti produttivi industriali e
artigianali, con esclusione delle industrie insalubri di prima classe,
considerato che si tratta di zona vicina ad abitazioni con la presenza anche di
impianti artigianali.
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