1. proroga una disciplina invasiva della materia di
competenza esclusiva del legislatore statale «ordinamento civile»,
differenziando, per il territorio di una singola Regione (nel caso specifico la
Calabria), il modo di procedere alla liquidazione degli usi civici,
all'affrancazione del fondo enfiteutico e alla legittimazione delle occupazioni
sine titulo.
2. proroga
la possibilità di liquidare gli usi civici, e prevede la possibilità di
affrancare i fondi e di legittimare le occupazioni sine titulo,
attraverso un procedimento semplificato che esclude l'approvazione o il nulla
osta della regione, invadendo la competenza esclusiva del legislatore statale
in materia ambientale, ed eludendo i controlli predisposti a tutela del
paesaggio e dell'ambiente.
USI CIVICI E NORMATIVA DELL’ORDINAMENTO CIVILE
Una normativa, quella
statale più recente sugli usi civici, tutta ispirata all'obiettivo della conservazione di realtà e di territori, che vedono intrecciarsi
l'ambiente e il paesaggio con le tradizioni antropologiche e culturali
associate ai luoghi.
Un simile connubio si
rinviene in due ordini di interventi.
1. Il primo è quello che ha imposto l'apposizione di un
vincolo paesaggistico alle «aree assegnate alle università agrarie e alle zone
gravate da usi civici» (art. 1, primo comma, lettera h, del d.l. n. 312 del
1985, convertito, con modificazioni, nella legge n. 431 del 1985 (QUI), che ha
integrato l'art. 82, quinto comma, lettera h, del d.P.R. n. 616 del 1977
(PERALTRO SOPPRESSO dal DLgs 63/2008 QUI, ai
sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497, recante «Protezione delle bellezze
naturali», disposizione poi trasfusa nell'art. 142, comma 1, lettera h, cod.
beni culturali QUI).
2. Il
secondo si identifica con la disciplina recata dalla legge n. 168 del 2017
(Norme in materia di domini collettivi QUI),
fortemente innovativa rispetto ai capisaldi civilistici dell'istituto, a
partire dal riconoscimento di una nuova istituzione espressamente attuativa
degli artt. 2, 9, 42, secondo comma, e 43 Cost., i domini collettivi,
qualificati come «ordinamento giuridico primario delle comunità
originarie» e riferiti a una «collettività di membri» (art. 1, comma
1), che traggono normalmente utilità dal fondo (art. 2, comma 3, lettera a).
A tale paradigma si
raccorda una nuova categoria di beni collettivi che, ai sensi dell'art. 3,
comma 1 Legge 168/2017, ricomprende non soltanto le terre attribuite,
originariamente o all'esito di liquidazioni, a comuni, frazioni o associazioni
agrarie, nonché quelle derivanti da «scioglimento delle promiscuità» e
da altri meccanismi previsti dalla legge n. 1766 del 1927; «da operazioni e
provvedimenti di liquidazione o da estinzione di usi civici; da permuta o da
donazione», ma anche le terre collettive delle comunioni familiari montane;
i corpi idrici sui quali i residenti esercitano gli usi civici e, infine, ai
sensi dell'art. 3, comma 1, lettera d) legge 168/2017, le terre gravate
da usi civici non ancora liquidati su proprietà di soggetti pubblici o privati.
A tutto questo insieme di beni viene riferito il regime giuridico
«dell'inalienabilità, dell'indivisibilità, dell'inusucapibilità e della
perpetua destinazione agro-silvo-pastorale» (art. 3, comma 3 legge 168/2017).
La natura del bene si
dimostra, dunque, funzionale a un interesse di godimento collettivo che spetta
ai componenti della comunità, i quali sono al contempo vincolati, nella
conservazione della destinazione delle terre, al rispetto di una «comproprietà
inter-generazionale» (art. 1, comma 1, lettera c).
Quanto alla forma
giuridica che la legge statale associa all'interesse, si tratta o di una
proprietà collettiva (art. 1, comma 1, lettera c, e comma 2 legge
168/2017) o di «diritti di uso civico» in re aliena [NOTA 1]
(art. 1, comma 2 legge 168/2017),
senza attribuzione di quote, la cui titolarità è riferita a «enti esponenziali
[...] di diritto privato» (art. 1, comma 2), secondo una logica radicalmente
distinta da quella del dominio individuale, ma che si colloca ugualmente nel
solco della dimensione privatistica.
L'approccio fortemente
conservativo della nuova disciplina rende non agevole il coordinamento
ermeneutico con la precedente legge n. 1766 del 1927 QUI, che non
è stata abrogata con il nuovo intervento.
Per un verso, vengono
attribuiti anche alle terre gravate da usi civici non ancora liquidati (art.
3, comma 1, lettera d, della legge n. 168 del 2017) i caratteri della
inalienabilità, della indivisibilità, della inusucapibilità e della perpetua
destinazione agro-silvo-pastorale. Per un altro verso, l'art. 3, comma 6, della
medesima legge fa espresso riferimento al «caso di liquidazione degli usi
civici».
Il punto di saldatura fra
perpetua destinazione dei beni e liquidazione degli usi civici viene
individuato dallo stesso art. 3, comma 6, nel mantenimento del vincolo
paesaggistico anche all'esito del meccanismo liquidatorio.
Un così delicato e
complesso raccordo normativo, che impone il massimo rigore nella verifica dei
presupposti sostanziali che consentono di accedere alla liquidazione degli usi,
alla affrancazione del fondo e alla legittimazione delle occupazioni sine
titulo, non consente alcuna ingerenza da parte del legislatore regionale.
Per converso, l'impugnato
art. 1 della legge reg. Calabria n. 41 del 2021 non solo invade una materia
di esclusiva competenza del legislatore statale, ma oltretutto, nel prorogare
la vigenza di una disciplina improntata alla massima semplificazione delle citate
procedure, si colloca agli antipodi delle esigenze cui fa fronte la disciplina
statale.
Dove la legislazione
statale prevede la competenza regionale e, nel caso delle legittimazioni di cui
all'art. 9 della legge n. 1766 del 1927, il decreto del Presidente della
Repubblica, d'intesa con la regione interessata (supra, punto 5.1.1), l'art. 27
prorogato dal citato art. 1 esclude tout court l'approvazione e lo stesso visto
regionale, così facendo residuare la mera competenza comunale ai sensi
dell'art. 14 della legge reg. Calabria n. 18 del 2007.
Infine, e soprattutto, il legislatore regionale dispone un meccanismo di silenzio assenso il quale espone al rischio che non vengano effettuati i delicati e rigorosi accertamenti richiesti rispetto ai procedimenti di liquidazione degli usi civici, di affrancazione dei fondi, nonché rispetto alla eccezionale previsione della legittimazione di occupazioni sine titulo. Un tale meccanismo non solo non è contemplato dal legislatore statale, ma al contrario - come si dirà (infra, punto 6) - in presenza del vincolo paesaggistico è espressamente escluso.
In sostanza, la disciplina
regionale impugnata configura un procedimento semplificato che, nel distaccarsi
dal modello delineato dal legislatore statale e dalle finalità conservative dei
beni gravati da usi civici, si risolve in un diverso modo di incidere sul
regime giuridico di tali beni, il che non compete in alcun modo alle regioni.
Deve, dunque, ritenersi
fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge reg.
Calabria n. 41 del 2021, in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera
l), Cost., in quanto disposizione che proroga una disciplina invasiva della
materia di competenza esclusiva del legislatore statale «ordinamento civile»,
differenziando, per il solo territorio della Regione Calabria, il modo di
procedere alla liquidazione degli usi civici, all'affrancazione del fondo
enfiteutico e alla legittimazione delle occupazioni sine titulo.
Viene, in tal modo,
intaccato il fondamento stesso della «attribuzione alla potestà legislativa
esclusiva dello Stato» della competenza in materia di ordinamento civile, che
si rinviene «nell'esigenza, sottesa al principio di uguaglianza, di garantire
nel territorio nazionale l'uniformità della disciplina dettata per i rapporti
tra privati» (da ultimo Corte Costituzionale sentenza n. 228 del 2021
(QUI); nello
stesso senso, sentenza n. 75 del 2021 QUI).
USI CIVICI E NORMATIVA DI TUTELA AMBIENTALE
Il Decreto Legge n. 312
del 1985, convertito nella legge n. 431 del 1985, all'art. 1, comma 1, e, con
il medesimo contenuto, il successivo codice dei beni culturali e del
paesaggio (art. 142, comma 1, lettera h) QUI hanno
sottoposto a vincolo paesaggistico tutti i beni destinati a usi civici, senza
operare alcuna distinzione fra destinazione boschiva e pascoliva o destinazione
agricola. È il segno, insieme a una generalizzata esigenza di protezione del
paesaggio, di un nuovo rapporto fra ambiente e agricoltura, di un possibile utilizzo
eco-sostenibile della terra che vede coniugarsi la fruizione collettiva con le
istanze di conservazione «degli usi civici, in quanto e nella misura in cui
concorrono a determinare la forma del territorio su cui si esercitano, intesa
quale prodotto di "una integrazione tra uomo e ambiente naturale (art.
1, comma 3, della legge quadro sulle aree protette, 6 dicembre 1991, n. 394 QUI)»
(sentenza Corte Costituzionale n. 46
del 1995 QUI).
L'impostazione trova una
chiara conferma nella legge n. 168 del 2017 (Norme in materia di domini
collettivi QUI) che,
all'art. 2, comma 1, motiva la tutela e la valorizzazione dei beni collettivi
di godimento, anche a beneficio delle «future generazioni» (sentenza n. 228 del
2021 QUI), con la
loro attitudine a configurarsi quali: «a) elementi fondamentali per la vita
e lo sviluppo delle collettività locali; b) strumenti primari per assicurare la
conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale; c)
componenti stabili del sistema ambientale; d) basi territoriali di istituzioni
storiche di salvaguardia del patrimonio culturale e naturale; e) strutture
eco-paesistiche del paesaggio agro-silvo-pastorale nazionale; f) fonti di
risorse rinnovabili da valorizzare ed utilizzare a beneficio delle collettività
locali degli aventi diritto».
Ebbene, la disciplina
regionale contestata, nel prorogare la possibilità di liquidare gli usi civici,
di affrancare i fondi e di legittimare le occupazioni sine titulo, attraverso
un procedimento semplificato che esclude l'approvazione o il nulla osta della
regione, non solo invade la competenza esclusiva del legislatore statale in
materia ambientale, ma deroga alle stesse previsioni statali quanto ai soggetti
competenti a provvedere, eludendo i controlli predisposti a tutela del
paesaggio e dell'ambiente.
Inoltre, e soprattutto, la
disposizione regionale impugnata proroga un meccanismo di silenzio
assenso nell'approvazione dei citati provvedimenti che, riguardando beni
gravati dal vincolo paesaggistico, si pone in aperta collisione con la
legislazione statale. L'art. 20, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241
(Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso
ai documenti amministrativi QUI), e
successive modificazioni, esclude l'applicazione del silenzio assenso
cosiddetto "verticale", ove vengano in rilievo il patrimonio
culturale e paesaggistico o l'ambiente (sentenza Corte Costituzionale n. 160
del 2021 QUI).
Una tale semplificazione
di procedimenti che necessitano, per il loro contenuto e il loro incidere su
beni di rilievo paesaggistico, ambientale e culturale, di controlli effettivi,
non surrogabili con il mero trascorrere del tempo, determina la violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
[NOTA 1] Letteralmente "diritti reali su cosa altrui", l'espressione fa riferimento a situazioni giuridiche tutelate in modo assoluto ed erga omnes, rappresentate dal fatto che più soggetti sono titolari di diritti sulla medesima res, che a sua volta appartiene ad altri. Si tratta di diritti limitati, che si esercitano in concomitanza del diritto di proprietà, che viene da questi limitato per permettere il godimento altrui del bene. Si distinguono diritti reali di godimento, come l'usufrutto, l'enfiteusi, l'uso e la servitù, e diritti reali di garanzia come l'ipoteca e il pegno. (fonte Studio Cataldi)
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