Il nuovo Decreto Legge n°
16 del 28 febbraio 2022 (QUI) sulle
misure urgenti determinati dalla crisi Ucraina all’articolo
2 prevede l'adozione di misure preventive necessarie alla sicurezza del sistema
nazionale del gas naturale.
L’articolo 2 è suddiviso in tre parti.
La prima (comma 1) fa riferimento alle misure
di emergenza relative alla gestione del gas naturale per il sistema Italia.
Vedi piano nazionale emergenza gas (QUI)
La seconda (comma 2) fa riferimento alla
situazione di carenza di gas naturale con conseguente necessaria riapertura
delle centrali a carbone e ad olio ma anche alla accelerazione sull’uso delle
fonti rinnovabili attraverso apposite misure di “incentivazione” all’uso di
queste (comma 4)
La terza (comma 3) fa riferimento ai limiti di
emissione e alla qualità dei combustibili per la gestione degli impianti a
carbone nella fase di emergenza.
LA RECENTE NORMATIVA SULLA
GESTIONE DELLE EMERGENZE SUL SISTEMA ELETTRICO NAZIONALE IN RELAZIONE ALL’UTILIZZO
DI CENTRALI A CARBONE ESISTENTI
La normativa sulla prevenzione dei
rischi nel settore della generazione elettrica
La recente normativa conferma sostanzialmente
quella precedente. Con il DLgs 210/2021 (QUI)si è
disciplinato l’adeguamento della normativa nazionale alle
disposizioni del regolamento UE 943/2019 sul mercato interno dell'energia
elettrica e del regolamento UE 941/2019 sulla preparazione ai rischi nel
settore dell'energia elettrica.
Il Dlgs 210 riforma la
precedente normativa stabilendo che gli impianti di
generazione di energia elettrica di potenza nominale maggiore di 10 MVA sono
mantenuti in stato di perfetta efficienza dai proprietari o dai titolari
dell'autorizzazione e possono essere messi definitivamente fuori servizio
secondo termini e modalità autorizzati dall'amministrazione competente, su
conforme parere del Ministero delle attività produttive, espresso sentito il
Gestore della rete di trasmissione nazionale in merito al programma temporale
di messa fuori servizio.
Si conferma quindi che anche le centrali a
carbone esistenti come quella spezzina siano rimaste in condizioni di poter
rientrare velocemente in produzione se necessario e che la dismissione può
essere decisa solo in assenza di criticità come purtroppo invece si sta delineando
proprio con il Decreto Legge appena pubblicato.
Occorre dire che secondo il DLgs 210/2021 il Ministro della transizione ecologica avrebbe dovuto adottare il Piano di preparazione ai rischi entro il 5 gennaio 2022 cosa che ad oggi non risulta essere ancora avvenuto.
Il Piano sviluppo di Terna 2021
Qui occorre notare che detto Piano (QUI)
presentato prima della crisi della Ucraina disegnava due scenari senza schierarsi
per uno in particolare, sull’uscita dal carbone per la generazione elettrica.
I due scenari (pagina 218) erano i seguenti:
• nello scenario BAU, si
ipotizza che il phase-out avvenga per motivi economici, con condizioni future
di mercato tali da rendere i costi di tali impianti non più sostenibili,
producendo pertanto un phase-out “naturale” progressivo entro il 2040;
• nello scenario NT
Italia, è previsto il phase-out totale degli impianti termoelettrici alimentati
a carbone entro il 2025, eccetto per la Sardegna dove la dismissione sarà
possibile solo a seguito della messa in esercizio del Thyrrenian Link.
Non solo ma il Piano di Terna a pagina 220
conferma che il termoelettrico verrà sempre la presenza di fonti fossili: “Dal punto di vista della capacità di generazione
termoelettrica fossile, invece, si osserva in tutti gli scenari una graduale
riconversione a gas, in linea con i target nazionali ed europei di
decarbonizzazione.”
Insomma la
sensazione è che ci sia una tendenza a usare il carbone ancora per un po di
anni radicata nel pensiero delle autorità competenti e del governo nazionale anche
prima della crisi in Ucraina.
D’altronde se ci si voleva
liberare dal carbone, frutto del ricatto del gas, bastava impostare una
politica energetica totalmente diversa in questi anni puntando su quelle
rinnovabili che avrebbero impedito il suddetto ricatto. Non a caso, giusto come
esempio di dati ufficiali più recenti, il Rapporto del
Gestore Mercati Energetici sul mercato elettrico italiano (gennaio 2022) afferma
che i consumi di gas naturale in Italia tornano a segnare una flessione su base
annua (-2%), guidata dai settori civile e industriale (rispettivamente -5% e
-4%). In controtendenza i consumi del settore termoelettrico (+11%), spinti da
una maggiore domanda, ridotte importazioni di energia elettrica e bassi livelli
di offerta rinnovabile.
In questo senso cercare
ora di diversificare l’offerta del gas rispetto alla Russia viene da chiedersi
se sia dimostrazione di lungimiranza da parte di chi ci ha governato in questi
anni oppure una totale incapacità di pianificare le politiche energetiche nell’interesse
del Paese e non della geopolitica.
VENIAMO AL DECRETO LEGGE
SULLE MISURE PREVENTIVE NECESSARIE ALLA SICUREZZA DEL SISTEMA NAZIONALE DEL GAS
NATURALE
Le modalità di riapertura delle centrali a carbone
L’articolo 2 del Decreto Legge al comma 2 prevede quanto peraltro già previsto dalla legge 290/2003 (QUI) per cui Terna valuta il rischio sistemico e propone al Ministero della Transizione Ecologica la riapertura o comunque la chiamata in esercizio di impianti esistenti a carbone.
Detto comma 2 parla di impianti di generazione di energia elettrica con potenza termica
nominale superiore a 300 MW che utilizzino carbone o olio combustibile in condizioni
di regolare esercizio, per il periodo stimato di durata dell'emergenza.
In più rispetto alla norma del 2003, il nuovo Decreto Legge sempre al comma 2 prevede l'Autorità di regolazione per energia reti e ambiente definisce i corrispettivi a reintegrazione degli eventuali maggiori costi sostenuti dai predetti impianti.
Una sorta di
meccanismo di capacità dedicato alla fase di riattivazione degli impianti a carbone
visto che il meccanismo di capacità ufficiale finanzia proprio gli impianti
dedicati a garantire la capacità del sistema elettrico nazionale e ha ad oggi
prevalentemente finanziato impianti a gas e non certo le rinnovabili.
La questione dei limiti di emissione in caso di riapertura delle centrali a carbone
Altro
elemento poco chiaro e potenzialmente pericoloso lo troviamo nel comma 3 dell’articolo
2 del nuovo Decreto Legge. Detto comma 3 fa riferimento a quali condizioni di
emissioni inquinanti detti impianti potranno essere utilizzati nel periodo di
emergenza.
Il comma 3 recita:
“3. Tenuto conto della finalità di cui al comma
1 e della situazione
di eccezionalità che giustifica la massimizzazione dell'impiego
degli impianti di cui al comma 2, a tali impianti si applicano esclusivamente i
valori limite di emissione nell'atmosfera e le regole sulla qualità dei
combustibili previsti dalla normativa eurounitaria,
in deroga a più restrittivi limiti eventualmente prescritti
a livello nazionale in via normativa o amministrativa.”
La normativa europea su questi impianti è la
Direttiva sui grandi impianti di combustione (Direttiva 2010/75/UE – QUI) prevede
limiti diversificati anche in relazione alla vetustà degli impianti. In
particolare ed è solo un esempio per impianti come quelli di cui stiamo
parlando (centrali a carbone) se esistenti prima del 2002, e che non sono in funzione per più di 1500 ore
operative annue si applicano:
1.
i limiti di SO2 di 800 mg/Nm3 di aria, mentre il valore ordinario è di 200
2.
i limiti di Nox di 450 mg/Nm3 di aria mentre il valore ordinario è di 200.
3.
I limiti per le polveri sono 50 mg/Nm3 mentre il valore ordinario è di 20.
Ma detto comma 3 parla
anche di evitare limiti restrittivi nazionali che in realtà non esistono perché
quello che questo comma rimuove è la norma italiana, tutt’ora in vigore, che
disciplina le emissioni di impianti a fonti fossili carbone compreso, funzionanti
per programmi di emergenza. Si tratta della legge 290/2003 (QUI).
Questa norma prevede che se una centrale esistente è richiamata in servizio per ragioni di sicurezza di funzionamento del sistema elettrico nazionale deve rispettare i valori limite di emissione previsti dalla normativa dell'Unione europea e per gli impianti di potenza termica nominale inferiore a 500 MW dell'allegato 3, lettera B, del Decreto del Ministro dell'ambiente in data 12 luglio 1990. In quel Decreto, tutt'ora citato dalla legge 290/2003, si prevedevano limiti molti alti: biossido di zolfo 1700 mg/m 3 . - ossidi di azoto 650 mg/m3 - polveri 50 mg/m3. Questo Decreto del 1990 è stato abrogato dall'articolo 280 del DLgs 152/2006 ed è stato sostituito dagli allegati alla Parte V del DLgs 152/2006 che riprendono i limiti sopra riportati della Direttiva 2010/75/UE.
Comunque restano anche nella versione della Direttiva e del DLgs 152/2006 limiti molto alti, il tutto aggravato dalla affermazione che comunque non verranno applicati limiti più restrittivi anche "prescritti in via amministrativa".
Ora questo può comportare che per impianti con autorizzazioni vigenti siano stati previsti limiti più bassi di quelli sopra riportati dalla Direttiva 2010/75/UE e dal DLgs 152/2006 (allegati Parte V). Per fare un esempio l'AIA 2019 (vedi foto sopra) alla centrale a carbone spezzina prevedeva dall'agosto 2021 i seguenti limiti:
SO2: 140 mg/Nm3 giornaliero e 130 annuale
NOX 150 mg/Nm3 giornaliero e 140 annuale
polveri 9 mg/Nm3 giornalieri 7 annuale
Insomma il comma 3 articolo 2 del nuovo
Decreto Legge sui limiti di emissione applicabili potrà permettere così come è formulato ora limiti di emissione elevati e quindi pericolosi per la salute pubblica.
Ma il punto vero non è solo questo.
La questione della gestione degli avviamenti ed arresti delle sezioni delle centrali a carbone
La questione importante è che se verranno
messi in funzione le centrali a carbone esistenti, in caso di carenza di gas,
questi impianti funzioneranno solo periodicamente su chiamata del gestore di
rete (Terna SpA) . Quindi il vero problema saranno gli avviamenti e gli arresti
che aumenteranno inevitabilmente. Per queste fasi occorre un modello di esercizio
specifico sul quale la normativa per gli impianti aperti in emergenza non dice
nulla. Come è noto le fasi di avviamento delle centrali a carbone sono una fase
molto critica.
Il Decreto di autorizzazione della centrale a carbone spezzina del 2013 su avviamenti e arresti era insufficiente (QUI) mentre
il Decreto del 2019 sempre della centrale spezzina addirittura non prevede l’applicazione dei limiti di
emissioni a queste fasi critiche.
Occorre quindi nella malaugurata ipotesi che la centrale a carbone spezzina riapra che si prevede un protocollo specifico per la gestione delle fasi transitorie suddette.
Un riferimento può essere la Decisione della
Commissione del 7 maggio 2012 (QUI).
Quello che interessa è il modello avanzato in
questa Decisione dove si afferma che
per stabilire la fine
del periodo di avvio e l'inizio del periodo di arresto, si devono applicare le
seguenti regole:
1. i criteri o i parametri utilizzati per stabilire i
periodi di avvio e di arresto devono essere trasparenti e verificabili da terzi;
2. la
determinazione dei periodi di avvio e di arresto deve essere basata su
condizioni che consentano un processo di produzione a regime nel rispetto
della salute e della sicurezza;
Inoltre ai fini della
determinazione dei periodi di avvio e di arresto le autorizzazioni agli
impianti dovranno includere:
1. La introduzione del termine del
periodo di avvio e l'inizio del periodo di arresto, oppure processi
specifici o valori soglia per parametri di esercizio associati alla fine
del periodo di avvio e all'inizio del periodo di arresto chiari, facilmente
monitorabili e applicabili alla tecnologia impiegata;
2. misure che assicurino che i periodi di avvio e
di arresto siano ridotti al minimo necessario;
3. misure
che assicurino che tutti i dispositivi di abbattimento siano messi in
funzione non appena tecnicamente possibile.
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