martedì 1 marzo 2022

Il nuovo decreto legge sul ritorno del carbone non nasce solo dalla emergenza della guerra

Il nuovo Decreto Legge n° 16 del 28 febbraio 2022 (QUI) sulle misure urgenti determinati dalla crisi Ucraina all’articolo 2 prevede l'adozione di misure preventive necessarie alla sicurezza del sistema nazionale del gas naturale.

L’articolo 2 è suddiviso in tre parti.

La prima (comma 1) fa riferimento alle misure di emergenza relative alla gestione del gas naturale per il sistema Italia. Vedi piano nazionale emergenza gas (QUI)

La seconda (comma 2) fa riferimento alla situazione di carenza di gas naturale con conseguente necessaria riapertura delle centrali a carbone e ad olio ma anche alla accelerazione sull’uso delle fonti rinnovabili attraverso apposite misure di “incentivazione” all’uso di queste (comma 4)

La terza (comma 3) fa riferimento ai limiti di emissione e alla qualità dei combustibili per la gestione degli impianti a carbone nella fase di emergenza.

 


LA RECENTE NORMATIVA SULLA GESTIONE DELLE EMERGENZE SUL SISTEMA ELETTRICO NAZIONALE IN RELAZIONE ALL’UTILIZZO DI CENTRALI A CARBONE ESISTENTI

 

La normativa sulla prevenzione dei rischi nel settore della generazione elettrica

La recente normativa conferma sostanzialmente quella precedente. Con il DLgs 210/2021 (QUI)si è disciplinato l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento UE 943/2019 sul mercato interno dell'energia elettrica e del regolamento UE 941/2019 sulla preparazione ai rischi nel settore dell'energia elettrica.

Il Dlgs 210 riforma la precedente normativa stabilendo che gli impianti di generazione di energia elettrica di potenza nominale maggiore di 10 MVA sono mantenuti in stato di perfetta efficienza dai proprietari o dai titolari dell'autorizzazione e possono essere messi definitivamente fuori servizio secondo termini e modalità autorizzati dall'amministrazione competente, su conforme parere del Ministero delle attività produttive, espresso sentito il Gestore della rete di trasmissione nazionale in merito al programma temporale di messa fuori servizio.

Si conferma quindi che anche le centrali a carbone esistenti come quella spezzina siano rimaste in condizioni di poter rientrare velocemente in produzione se necessario e che la dismissione può essere decisa solo in assenza di criticità come purtroppo invece si sta delineando proprio con il Decreto Legge appena pubblicato.

Occorre dire che secondo il DLgs 210/2021 il Ministro della transizione ecologica avrebbe dovuto adottare il Piano di preparazione ai rischi entro il 5 gennaio 2022 cosa che ad oggi non risulta essere ancora avvenuto.

 

Il Piano sviluppo di Terna 2021

Qui occorre notare che detto Piano (QUI) presentato prima della crisi della Ucraina disegnava due scenari senza schierarsi per uno in particolare, sull’uscita dal carbone per la generazione elettrica.

I due scenari (pagina 218) erano i seguenti:

• nello scenario BAU, si ipotizza che il phase-out avvenga per motivi economici, con condizioni future di mercato tali da rendere i costi di tali impianti non più sostenibili, producendo pertanto un phase-out “naturale” progressivo entro il 2040;

• nello scenario NT Italia, è previsto il phase-out totale degli impianti termoelettrici alimentati a carbone entro il 2025, eccetto per la Sardegna dove la dismissione sarà possibile solo a seguito della messa in esercizio del Thyrrenian Link.

Non solo ma il Piano di Terna a pagina 220 conferma che il termoelettrico verrà sempre la presenza di fonti fossili: “Dal punto di vista della capacità di generazione termoelettrica fossile, invece, si osserva in tutti gli scenari una graduale riconversione a gas, in linea con i target nazionali ed europei di decarbonizzazione.

 

Insomma la sensazione è che ci sia una tendenza a usare il carbone ancora per un po di anni radicata nel pensiero delle autorità competenti e del governo nazionale anche prima della crisi in Ucraina.

 

D’altronde se ci si voleva liberare dal carbone, frutto del ricatto del gas, bastava impostare una politica energetica totalmente diversa in questi anni puntando su quelle rinnovabili che avrebbero impedito il suddetto ricatto. Non a caso, giusto come esempio di dati ufficiali più recenti, il Rapporto del Gestore Mercati Energetici sul mercato elettrico italiano (gennaio 2022) afferma che i consumi di gas naturale in Italia tornano a segnare una flessione su base annua (-2%), guidata dai settori civile e industriale (rispettivamente -5% e -4%). In controtendenza i consumi del settore termoelettrico (+11%), spinti da una maggiore domanda, ridotte importazioni di energia elettrica e bassi livelli di offerta rinnovabile.

In questo senso cercare ora di diversificare l’offerta del gas rispetto alla Russia viene da chiedersi se sia dimostrazione di lungimiranza da parte di chi ci ha governato in questi anni oppure una totale incapacità di pianificare le politiche energetiche nell’interesse del Paese e non della geopolitica.

 

 

VENIAMO AL DECRETO LEGGE SULLE MISURE PREVENTIVE NECESSARIE ALLA SICUREZZA DEL SISTEMA NAZIONALE DEL GAS NATURALE

Le modalità di riapertura delle centrali a carbone

L’articolo 2 del Decreto Legge al comma 2 prevede quanto peraltro già previsto dalla legge 290/2003 (QUI) per cui Terna valuta il rischio sistemico e propone al Ministero della Transizione Ecologica la riapertura o comunque la chiamata in esercizio di impianti esistenti a carbone.

Detto comma 2 parla di impianti di generazione di energia elettrica con potenza termica nominale superiore a 300 MW che utilizzino carbone o olio combustibile in   condizioni di regolare esercizio, per il periodo stimato di durata dell'emergenza.

In più rispetto alla norma del 2003, il nuovo Decreto Legge sempre al comma 2 prevede l'Autorità di regolazione per energia reti e ambiente definisce i corrispettivi   a reintegrazione degli eventuali maggiori costi sostenuti dai predetti impianti.

Una sorta di meccanismo di capacità dedicato alla fase di riattivazione degli impianti a carbone visto che il meccanismo di capacità ufficiale finanzia proprio gli impianti dedicati a garantire la capacità del sistema elettrico nazionale e ha ad oggi prevalentemente finanziato impianti a gas e non certo le rinnovabili.


La questione dei limiti di emissione in caso di riapertura delle centrali a carbone 

Altro elemento poco chiaro e potenzialmente pericoloso lo troviamo nel comma 3 dell’articolo 2 del nuovo Decreto Legge. Detto comma 3 fa riferimento a quali condizioni di emissioni inquinanti detti impianti potranno essere utilizzati nel periodo di emergenza.

Il comma 3 recita: “3. Tenuto conto della finalità di cui al comma 1 e della situazione di eccezionalità che   giustifica la massimizzazione dell'impiego degli impianti di cui al comma 2, a tali impianti si applicano esclusivamente i valori limite di emissione nell'atmosfera e le regole sulla qualità dei combustibili previsti dalla normativa eurounitaria, in deroga a più restrittivi limiti eventualmente prescritti a livello nazionale in via normativa o amministrativa.”

La normativa europea su questi impianti è la Direttiva sui grandi impianti di combustione (Direttiva 2010/75/UEQUI) prevede limiti diversificati anche in relazione alla vetustà degli impianti. In particolare ed è solo un esempio per impianti come quelli di cui stiamo parlando (centrali a carbone) se esistenti prima del 2002, e che non sono in funzione per più di 1500 ore operative annue si applicano:

1. i limiti di SO2 di 800 mg/Nm3 di aria, mentre il valore ordinario è di 200

2. i limiti di Nox di 450 mg/Nm3 di aria mentre il valore ordinario è di 200.

3. I limiti per le polveri sono 50 mg/Nm3 mentre il valore ordinario è di 20.

 

Ma detto comma 3 parla anche di evitare limiti restrittivi nazionali che in realtà non esistono perché quello che questo comma rimuove è la norma italiana, tutt’ora in vigore, che disciplina le emissioni di impianti a fonti fossili carbone compreso, funzionanti per programmi di emergenza. Si tratta della legge 290/2003 (QUI).

Questa norma prevede che se una centrale esistente è richiamata in servizio per ragioni di sicurezza di funzionamento del sistema elettrico nazionale deve rispettare i valori limite di emissione previsti dalla normativa dell'Unione europea e per gli impianti di potenza termica nominale inferiore a 500 MW dell'allegato 3, lettera B, del Decreto del Ministro dell'ambiente in data 12 luglio 1990. In quel Decreto, tutt'ora citato dalla legge 290/2003, si prevedevano limiti molti alti: biossido di zolfo 1700 mg/m 3 . - ossidi di azoto 650 mg/m3 - polveri 50 mg/m3. Questo Decreto del 1990 è stato abrogato dall'articolo 280 del DLgs 152/2006 ed è stato sostituito dagli allegati alla Parte V del DLgs 152/2006  che riprendono i limiti sopra riportati della Direttiva 2010/75/UE.

 

Comunque restano anche nella versione della Direttiva e del DLgs 152/2006 limiti molto alti, il tutto aggravato dalla affermazione che comunque non verranno applicati limiti più restrittivi anche "prescritti in via amministrativa".  

Ora questo può comportare che per impianti con autorizzazioni vigenti siano stati previsti limiti più bassi di quelli sopra riportati dalla Direttiva 2010/75/UE e dal DLgs 152/2006 (allegati Parte V). Per fare un esempio l'AIA 2019 (vedi foto sopra) alla centrale a carbone spezzina prevedeva dall'agosto 2021 i seguenti limiti:

SO2: 140 mg/Nm3 giornaliero e  130 annuale

NOX  150 mg/Nm3 giornaliero e 140 annuale

polveri 9 mg/Nm3 giornalieri 7 annuale

Insomma il comma 3 articolo 2 del nuovo Decreto Legge sui limiti di emissione applicabili potrà permettere così come è formulato ora limiti di emissione elevati e quindi pericolosi per la salute pubblica.

 

Ma il punto vero non è solo questo.


La questione della gestione degli avviamenti ed arresti delle sezioni delle centrali a carbone 

La questione importante è che se verranno messi in funzione le centrali a carbone esistenti, in caso di carenza di gas, questi impianti funzioneranno solo periodicamente su chiamata del gestore di rete (Terna SpA) . Quindi il vero problema saranno gli avviamenti e gli arresti che aumenteranno inevitabilmente. Per queste fasi occorre un modello di esercizio specifico sul quale la normativa per gli impianti aperti in emergenza non dice nulla. Come è noto le fasi di avviamento delle centrali a carbone sono una fase molto critica.

Il Decreto di autorizzazione della centrale a carbone spezzina del 2013 su avviamenti e arresti era insufficiente (QUI) mentre il Decreto del 2019 sempre della centrale spezzina addirittura non prevede l’applicazione dei limiti di emissioni a queste fasi critiche.

Occorre quindi nella malaugurata ipotesi che la centrale a carbone spezzina riapra che si prevede un protocollo specifico per la gestione delle fasi transitorie suddette.

Un riferimento può essere la Decisione della Commissione del 7 maggio 2012 (QUI).

Quello che interessa è il modello avanzato in questa Decisione dove si afferma che

per stabilire la fine del periodo di avvio e l'inizio del periodo di arresto, si devono applicare le seguenti regole:

1. i criteri o i parametri utilizzati per stabilire i periodi di avvio e di arresto devono essere trasparenti e verificabili da terzi;

2. la determinazione dei periodi di avvio e di arresto deve essere basata su condizioni che consentano un processo di produzione a regime nel rispetto della salute e della sicurezza;

 

Inoltre ai fini della determinazione dei periodi di avvio e di arresto le autorizzazioni agli impianti dovranno includere:

1. La introduzione del termine del periodo di avvio e l'inizio del periodo di arresto, oppure processi specifici o valori soglia per parametri di esercizio associati alla fine del periodo di avvio e all'inizio del periodo di arresto chiari, facilmente monitorabili e applicabili alla tecnologia impiegata;

2. misure che assicurino che i periodi di avvio e di arresto siano ridotti al minimo necessario;

3. misure che assicurino che tutti i dispositivi di abbattimento siano messi in funzione non appena tecnicamente possibile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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