In questo post parto dal Parere (QUI) del Comitato economico e sociale europeo (di seguito CES) sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni «Interventi a breve termine nei mercati dell'energia e miglioramenti a lungo termine dell'assetto del mercato dell'energia elettrica».
Il Parere è interessante perché conferma la contraddittorietà con la quale, la Commissione UE e le altre istituzioni comunitarie per non parlare degli Stati Membri, perseguono una politica di transizione che continua ad oscillare tra rinnovabili e fossili allontanandosi sempre di più dagli obiettivi della neutralità climatica al 2050.
Nel post quindi metto a confronto le principali affermazioni del Parere CES con i principali e più recenti documenti ufficiali che dimostrano la suddetta contraddizione che rischia di portare ad un fallimento annunciato delle politiche per la transizione ecologica come già avvenuto (lo dice la Corte dei Conti UE) per la Alleanza Mondiale per clima QUI e intanto Secondo
l'ultimo Rapporto IPCC - UNEP (The Intergovernmental Panel on
Climate Change QUI), relativamente ai mutamenti climatici dettati dalla attività
antropica, i tempi per intervenire efficacemente stanno per finire e quindi
dopo potranno restare solo azioni di adattamento e mitigazione dei danni.
I CITTADINI E LE COMUNITÀ LOCALI CONTANO SEMPRE MENO NELLE SCELTE SULLA TRANSIZIONE C.D. ECOLOGIA
Il Parere il CES chiede una maggiore partecipazione dei cittadini consumatori e più in generale delle comunità e istituzioni locali, alla riduzione delle emissioni. Peccato che, nelle scelte concrete dei singoli Stati, si favoriscano soprattutto grandi infrastrutture legate al gas (vedi ad esempio in Italia rigassificatori e biodigestori) che non fanno che aumentare la domanda di questa fonte favorendo l’aumento dei prezzi. È vero che gli ultimi dati parlano di una riduzione del prezzo del gas dovuta però a circostanza favorevoli e ci si riferisce non solo all’inverno mite ma anche e soprattutto alla riduzione dei consumi di GNL in Cina ma come affermano le statistiche della Agenzia Internazionale dell’Energia non è detto che questa situazione venga confermata nel prossimo anno con il rischio di una carenza di offerta e conseguenti nuovi aumenti dei prezzi.
Quanto sopra è in contrasto con quanto affermato anche dalla
recente Relazione per il 2022-2023 (QUI) della
Banca Europea degli Investimenti (QUI), dove si
afferma che gli investimenti del governo locale (in infrastrutture digitali, ad
esempio) hanno un forte effetto positivo sul PIL e nello stimolare gli
investimenti privati. Si tratta di investimenti che nascono dalle esigenze concrete dei territori e non vengono calati dall'alto come i grandi impianti energetici. L'effetto analizzato nella Relazione della BEI è particolarmente forte durante le
recessioni. Gli investimenti in istruzione, ricerca e sviluppo, amministrazione
efficiente e infrastrutture locali sono i più importanti stimoli nel favorire
la crescita. Ad esempio, le imprese in regioni con servizi Internet
relativamente veloci (riflettendo migliore infrastruttura digitale locale) sono
stati del 7,1% più produttivi rispetto ad altre imprese, un effetto che sale a
quasi 16% per le aziende che hanno anche investito per diventare più digitali
in risposta alla pandemia.
La carenza di investimenti a livello locale fa il paio con quella
di competenze adeguate, negli enti locali, a gestire progetti di transizione
energetica e più in generale ecologica.
LE SOVVENZIONI ALLE FONTI FOSSILI NON SI RIDUCONO
Il Parere CES poi propone di ridurre le sovvenzioni alle fonti
fossili, ma sappiamo bene che da questo punto di vista queste riduzioni
continuano a tardare da parte di tutti gli Stati Membri. Sia sufficiente vedere
il
Rapporto della Corte dei Conti UE
del 2022 (QUI)
che dimostra come le sovvenzioni ai combustibili fossili sono rimaste stabili
dal 2008 al 2019 compensando negativamente la quasi quadruplicazione degli
incentivi alle rinnovabili. Per non parlare del recentissimo Rapporto
OCSE e AIE (agenzia internazionale per l’energia) che conferma il progressivo
aumento degli incentivi alle fonti fossili (QUI).
GLI INVESTIMENTI PER LA TRANSIZIONE ALLA NEUTRALITÀ
CLIMATICA SONO INSUFFICIENTI
Secondo la Relazione (QUI) della
Banca Europea degli investimenti del 2022-2023, gli investimenti per
limitare il cambiamento climatico sono in aumento, ma sono ancora ben al di
sotto di quanto necessario per soddisfare l'obiettivo dell'Europa di zero
emissioni nette entro il 2050. Gli investimenti dell'UE per il clima sono
riaumentati dopo il calo durante pandemia, ma per cifre ancora insufficienti.
Secondo la Relazione nell'Unione europea sono necessari mille miliardi di euro
all'anno per ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 55% entro il 2030.
Si tratta di 356 miliardi di euro in più all'anno rispetto al
periodo 2010-2020.
LE EMISSIONI DI GAS SERRA RESTANO SOPRA LA SOGLIA PER
RAGGIUNGERE LA NEUTRALITÀ CLIMATICA AL 2050
La Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il Regolamento (UE) 2021/241 (che ha introdotto Dispositivo per la ripresa e la resilienza da cui i vari PNRR degli Stati Membri) introduce al Regolamento 2021/241 (testo attuale Regolamento 2021/241 QUI) un apposito capo III-bis dedicato al Piano REPowerEU (QUI). Tra gli emendamenti si veda in particolare quello che all’articolo 4 paragrafo 1 introduce l’obiettivo per cui i PNRR debbano mirare a: “una riduzione significativa della dipendenza dai combustibili fossili e mediante un maggiore utilizzo dell'energia da fonti rinnovabili, un incremento dell'efficienza energetica e della capacità di stoccaggio dell'energia”.
Nonostante ciò, le emissioni di gas serra
continuano ad essere oltre la soglia per raggiungere gli obiettivi di
neutralità climatica, vedi QUI.
LE PROPOSTE A BREVE TERMINI NON COMPROMETTANO LE
STRATEGIE A LUNGO TERMINE
Il Parere del CES sottolinea che qualsiasi attività di
follow-up deve essere preceduta da un dibattito rigoroso e da un'analisi
d'impatto. Il CESE desidera essere coinvolto in tale dibattito. La Commissione
e gli Stati membri dovrebbero evitare proposte a breve termine che
compromettano gli obiettivi fondamentali di un sistema energetico sostenibile.
Ricordo che, parlando di obiettivi strategici, i nuovi obiettivi
del Pacchetto “Pronti per il 55%” (QUI)
e del Piano REPowerEU (QUI)
modificano radicalmente le riduzioni di gas serra richieste al 2030 rispetto ai
livelli del 1990, si passa dal 40% di riduzione al 55%.
Affermazioni e obiettivi importanti peccato che...
... LE POLITICHE A BREVE TERMINE HANNO GIÀ INIZIATO A
COMPROMETTERE LE STRATEGIE PER LA NEUTRALITÀ CLIMATICA: IL CASO ITALIANO
La affermazione del Parere CES sulle politiche a breve termine comporterebbe una analisi critica delle
politiche di emergenza messe in atto dagli Stati membri (soprattutto quelli
carenti di fonti fossili proprie) in relazione alla emergenza energetica e a
quella della guerra in Ucraina. Politiche che puntano soprattutto nel nostro
Paese anche se non solo:
1. a sostituire il gas russo con
altro gas da produttori diversi (QUI) questo
nonostante l’analisi trimestrale ENEA (QUI) abbia
dimostrato come la riduzione del gas russo non possa essere compensata solo da produttori alternativi ma occorra una riduzione netta
dei consumi. Non solo ma la distribuzione delle provenienze risulta di
conseguenza meno concentrata rispetto a quella degli ultimi anni, sebbene con
nuove criticità legate al fatto che essa risulta anche altamente precaria, per
la sua maggiore vulnerabilità sia sotto il profilo geopolitico sia per la
maggiore volatilità in risposta all’andamento dei prezzi.
2. a nuove estrazioni di gas (QUI) in contraddizione con gli stessi indirizzi della Agenzia Internazionale dell’Energia (vedi Rapporto NET ZERO (emissioni gas serra al 2050 – QUI)
3. a puntare sui rigassificatori e il GNL in modo quasi unilaterale. Questo nonostante sempre Enea nella sua
analisi trimestrale (II e III trimestre 2022) abbia sottolineato che:
3.1. Il boom del GNL: nel II trimestre il
GNL statunitense è arrivato a rappresentare oltre 1/4 dell’import totale di gas
naturale dell’UE 28 (Regno Unito incluso). Tutto questo rischia strategicamente
di creare problemi per il raggiungimento dei nuovi obiettivi UE: passaggio da
40% al 55% di riduzione di gas serra entro il 2030.
3.2. Rischi adeguatezza sistema
gas UE: l’offerta globale di GNL è attesa crescere di soli
20 mld m3 nel 2023 (molto meno del previsto calo addizionale delle forniture
russe) e poco di più nel 2024, mentre una nuova ondata di capacità di
liquefazione è attesa solo dal 2025, per le ridotte decisioni di investimento
degli anni passati. Tutto questo conferma quanto paventato nella Newsletter di
Dicembre del Gestore Mercati Energetici vedi QUI.
CONCLUSIONI
Ad oggi, come afferma in un recente incontro internazionale, Il Presidente designato della COP28 (QUI) Sultan Al-Jaberla, il cambiamento incrementale delle fonti rinnovabili non sarà sufficiente per superare le emergenze energetiche allo stato attuale delle politiche in atto. Ma è sicuramente vero che non si sta facendo molto per colmare questo limite anzi si sta cercando di aggirarlo questo limite come dimostrano le parole del Direttore generale della Agenzia Internazionale dell’Energia: "L'industria europea si basa su un modello che sta fondamentalmente ottenendo l'energia russa piuttosto abbondante ed economica, questo è finito. Non si può tornare indietro".
Insomma e concludendo: ormai perfino le istituzioni tecniche e scientifiche ufficiali (ONU, UE e italiane come dimostrato da quanto riportato in
precedenza) dimostrano che puntare come di fatto sta succedendo sul gas come
fonte di transizione sia un errore che l’umanità pagherà duramente nei prossimi
decenni. Nonostantre ciò le politiche nazionali e UE, pur con qualche controtendenza, vanno
nella direzione contraria come dimostra ulteriormente la decisione di inserire il gas nella
tassonomia verde della UE per valutare i progetti della transizione energetica
vedi QUI.
Tutto questo non produrrà solo ulteriori catastrofi climatiche ma
accentuerà gli scontri geopolitici per controllare le fonti fossili residue e
produrrà costi economici e ambientali che pagheranno prima di tutto i
cittadini.
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