1. Linee guida per la
predisposizione del piano di emergenza esterna PEE (allegato 1 QUI);
2. Linee guida per
l'informazione alla popolazione (allegato 2 QUI);
3. Indirizzi per la
sperimentazione dei piani di emergenza esterna (allegato 3 QUI).
Il post in premessa sintetizza, per facilità di lettura, le novità più rilevanti della Direttiva per poi analizzare nel merito il suo contenuto nonché le norme previgenti che restano in vigore
LE PRINCIPALI
NOVITÀ DELLA DIRETTIVA
1. Il PEE
può compensare la mancanza del dell’elaborato rischio incidenti rilevanti nei
piani urbanistici comunali integrando quindi questa lacuna nel rapporto tra
presenza dell’impianto Seveso con la evoluzione urbanistica ed edilizia della
zona interessata;
2. La
possibilità di redigere PEE di area qualora a fianco dell’impianto
classificato non ci siano altri impianti Seveso ma comunque attività e fattori
di rischio da effetto domino. Si pensi alle aree portuali con presenza di
impianto Seveso che ad oggi non prevedono più l’obbligo di rapporto di
sicurezza e piani di emergenza portuali (vedi QUI)
3. un
adeguato inquadramento territoriale dell’area interessata dal potenziale
impatto dell’incidente che tenga conto non solo delle abitazioni e attività
varie ma della infrastrutturazione compresa quella viaria (si pensi al caso
delle criticità della viabilità nel caso del rigassificatore esistente a
Panigaglia Portovenere)
4. una migliore definizione delle attività necessarie
degli effetti ambientali e sanitari distinguendo tra quelle immediatamente dopo
l’incidente e quelle di monitoraggio e risanamento nel periodo immediatamente
successivo
5. una precisazione dei compiti del Sindaco,
territorialmente interessato, distinguendo tra quelli interni alla elaborazione
informazione e gestione del PEE da quelli invece della gestione ordinaria
dell’impianto classificato Seveso;
6. indirizzi per coordinare il PEE con il Piano di
Protezione Civile Comunale.
7. indicazione precise su come sperimentare in concreto
il PEE coinvolgendo con esercitazioni sul campo la popolazione civile almeno
ogni tre anni, utilizzando le stesse per aggiornare in continuo il PEE.
NORME CHE
RESTANO IN VIGORE DOPO LA NUOVA DIRETTIVA
La Direttiva fa salvi:
1. Decreto del Ministero
dell’Ambiente e del Territorio e del Mare del 29 settembre 2016, n. 200
“Regolamento recante la disciplina per la consultazione della popolazione sui
piani di emergenza esterna, ai sensi dell'articolo 21, comma 10, del decreto
legislativo 26 giugno 2015, n. 105”(QUI);
2. Circolare
interministeriale dell’aprile 2018 “Indirizzi per la sperimentazione dei Piani
di Emergenza esterna degli stabilimenti a rischio di incidente rilevante, ai
sensi dell’art.21 del D.lgs. 105/2015” (QUI). N.B. questa
Circolare è riprodotta nella Parte III allegata alla nuova Direttiva (vedi sopra nella premesse a questo
post il link al testo completo)
PROCESSO
METODOLOGICO PER LA PREDISPOSIZIONE DEL PEE
1. organizzazione delle risorse per la redazione del
piano, importante che si citi anche ASL visto che spesso il rischio sanitario
viene sottovalutato in caso di incidenti ad impianti Seveso e non solo
2. redazione del piano: in questa fase, sulla base
dell’analisi di sicurezza dello stabilimento, sono definiti gli scenari
incidentali che dovranno essere gestiti dal PEE, sono identificati tutti gli
elementi territoriali ed ambientali vulnerabili rispetto agli scenari di
riferimento e sono individuate le specifiche zone di pianificazione, i centri
di coordinamento ed i corridoi di ingresso e uscita dei mezzi di soccorso.
Infine, in questa fase occorre definire il modello di intervento con
l’individuazione dei ruoli, delle responsabilità e delle risorse che dovranno
essere attivate per la gestione degli effetti, con il fine di articolare la
risposta operativa in piani di settore;
3. procedura di consultazione ed approvazione del PEE:
il piano può essere approvato solo a seguito del processo di consultazione
regolato dal Decreto del Ministero dell’Ambiente e del Territorio e del Mare
del 29 settembre 2016, n. 200 (vedi sopra)
4. sperimentazione del PEE: vedi Circolare sopra
richiamata del 2018. Secondo il Documento la sperimentazione deve permettere di
verificare se l’attivazione del PEE consenta il raggiungimento degli obiettivi
previsti dall’art.21 del decreto legislativo n.105/2015, ovvero: controllare e circoscrivere gli incidenti in
modo da minimizzarne gli effetti e limitarne i danni per la salute umana, per
l'ambiente e per i beni; mettere in atto
le misure necessarie per proteggere la salute umana e l'ambiente dalle
conseguenze di incidenti rilevanti, in particolare mediante la cooperazione
rafforzata negli interventi di soccorso con l'organizzazione di protezione civile;
informare adeguatamente la popolazione, i servizi di emergenza e le
autorità locali competenti; provvedere,
sulla base delle disposizioni vigenti, al ripristino ed al disinquinamento dell'ambiente dopo un incidente rilevante.
L’attività di sperimentazione consente: la verifica delle azioni previste dal
piano; la verifica e il miglioramento delle capacità operative del personale
coinvolto; la verifica della correttezza delle procedure previste per gli stati
di attuazione del piano. Sempre secondo la Circolare le sperimentazioni possono
coinvolgere solo i livelli tecnici ma anche la popolazione con esercitazioni di
simulazione incidente sul campo. Non a caso la Circolare ricorda che i vari
livelli di sperimentazione non sono alternativi ma: “Va considerato,
inoltre, che la gradualità dei livelli A, B, C e D delle esercitazioni è solo
un ausilio per una più efficace sperimentazione dei PEE e che comunque è
possibile effettuare direttamente una esercitazione di livello D (sul campo
con la popolazione ndr) senza necessariamente attuare i livelli A, B e C.”.
Quindi oltre ad essere
aggiornato, il PEE, secondo l'art.21 citato, deve essere anche sperimentato,
tramite esercitazioni, almeno ogni tre anni. Nel PEE dovrebbe essere previsto a
tal fine, sia il programma di aggiornamento del documento, sia quello delle
periodiche esercitazioni, mezzo indispensabile per assicurare l'efficacia dei
dispositivi di intervento, valutare il livello di addestramento degli attori e
la funzionalità dei sistemi di allerta, ed ottenere, infine, il feedback
sull’informazione alla popolazione.
5. informazione alla popolazione: a seguito dell’approvazione
del PEE da parte del Prefetto, il Sindaco, anche con il supporto del Prefetto
stesso e del gruppo di lavoro che ha redatto il PEE, identifica le
informazioni, formulate in modo chiaro e comprensibile, sul comportamento da
adottare nelle aree in cui si possono risentire gli effetti dell’evento
incidentale. La norma prevede che in caso di incidente rilevante il Prefetto,
tramite il Sindaco, attui una specifica e tempestiva attività informativa
rivolta a tutti coloro che sono potenzialmente coinvolti dalle conseguenze
dell’incidente. Per ottemperare agli obblighi di informazione ai sensi del
citato Decreto 200/2016, garantendo al contempo oltre agli obiettivi di
protezione sopra espressi, anche l’applicazione del D. lgsvo 33/2013,
considerando altresì la delibera ANAC n. 1309 del 28 dicembre 2016 (QUI)“Linee guida
recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei
limiti all'accesso civico di cui all’art. 5 co. 2 del d.lgs. 33/2013 Art. 5-
bis, comma 6, del d.lgs. n. 33 del 14/03/2013” e s.m.i., può essere importante
organizzare, una volta elaborata la bozza del PEE, apposite riunioni ristrette
(FF.O., aziende di servizi, VV.F., ARPA, ecc) per poter identificare i dati e
le informazioni sensibili che non debbono essere resi pubblici al fine di
garantire la sicurezza e che vanno omessi dal testo del PEE e dai relativi
allegati. Pertanto, il documento PEE nella sua interezza può non essere
pubblicato, ma debbono essere
REQUISITI
MINIMI EFFICACIA PEE
• sistemi di allarme - indispensabili
per avvertire la popolazione e i soccorritori del pericolo incombente;
• informazione alla
popolazione – effettuata per rendere noti gli scenari incidentali contenuti nel
PEE ed i relativi effetti delle sostanze pericolose sulla salute umana, nonché
le misure di autoprotezione e le norme comportamentali da assumere in caso di
emergenza;
• vulnerabilità
territoriale e ambientale - rappresentazione cartografica degli elementi
vulnerabili unitamente ad eventuali luoghi ove è necessario inviare con
priorità i soccorsi;
• modello di intervento -
descrizione della struttura dell’intervento con riferimento alle procedure di
attivazione articolate nelle fasi di attenzione, preallarme, allarme-emergenza,
cessato allarme.
IL PEE PUÒ
COMPENSARE LA MANCANZA DEL DELL’ELABORATO RISCHIO INCIDENTI RILEVANTI NEI PIANI
URBANISTICI COMUNALI
Come stabilito dall’art.
22 del D.lgs. 105/2015 (QUI), gli
enti territoriali tengono conto, nella formazione degli strumenti di
pianificazione urbanistica e territoriale, della presenza degli stabilimenti a
rischio di incidenti rilevanti e della necessità di prevedere e applicare
requisiti minimi di sicurezza con riferimento alla destinazione e utilizzazione
dei suoli. In particolare, gli strumenti urbanistici elaborati dai Comuni
comprendono l’elaborato tecnico “Rischio di incidenti rilevanti” (ERIR),
richiesto dal Decreto 9 maggio 2001 (QUI).
Se gli strumenti
urbanistici non hanno detto elaborato ERIR o non lo hanno aggiornato il PEE può
essere utilizzato come elemento di supporto agli enti territoriali, per
l’individuazione delle aree in cui effettuare il rilascio dei titoli
abilitativi edilizi con la procedura di cui al regime transitorio previsto
dall’art. 22, comma 10, del D.lgs. 105/2015.
Sempre in caso di mancanza
dello specifico strumento urbanistico di settore, il PEE può essere utilizzato
come primo elemento conoscitivo per una preliminare identificazione delle
tematiche di interesse della pianificazione del territorio sulla base del
censimento delle attività e delle strutture comprese nelle zone a rischio (di
sicuro impatto, di danno, di attenzione). Va tenuto presente che l’analisi
della vulnerabilità territoriale e ambientale viene effettuata anche nel caso
di predisposizione di una variante agli strumenti territoriali e urbanistici,
ai sensi del citato art. 22 del D.lgs. 105/2015, con le modalità e i requisiti
minimi stabiliti dal DM 9 maggio 2001.
PIANO DI
EMERGENZA ESTERNA DI AREA
Anche nel caso in cui non
sia stata individuata da parte del CTR un’Area RIR (un area con presenza di più
impianti classificati Seveso) a seguito delle procedure di cui all’art. 19
(c.d. effetto domino) del D.lgs. 105/2015, il Prefetto può predisporre un Piano
di Emergenza Esterna di Area, qualora sussistano condizioni di particolare
complessità dovute alla presenza di più stabilimenti Seveso nonché di eventuali
ulteriori fattori di rischio quali, ad esempio, infrastrutture comuni,
vicinanza degli impianti, prossimità di elementi territoriali vulnerabili,
ecc., che rendano opportuna una valutazione integrata delle misure di emergenza
da adottare
EVENTI NATECH
Si intendono eventi NaTech
(Natural Hazard Triggering Technological Disasters) gli incidenti tecnologici
come incendi, esplosioni e rilasci tossici che possono verificarsi all’interno
di complessi industriali a seguito di eventi calamitosi di origine naturale.
Secondo il punto C3 Parte
1 allegato C al DLgs 105/2015 il Rapporto di Sicurezza redatto da chi gestisce
l’impianto classificato a rischio incidente rilevante deve tenere conto di
eventi meteo, geofisici, meteomarini, ceraunici e dissesti idrogeologici Però
le nuove Linee Guida qui esaminate non possono essere utilizzate per
pianificare un’emergenza connessa agli stabilimenti con pericolo di incidente
rilevante, originata da eventi provocati da forzanti di rischio naturale
(sisma, alluvione, tsunami, eventi meteo estremi, fulminazioni, ecc.), per i
quali non è possibile in generale considerare il sistema di risposta all’evento
incidentale proposto in questa sede.
INQUADRAMENTO
TERRITORIALE E AMBIENTALE DELL’AREA INTERESSATA DAL PIANO DI EMERGENZA ESTERNA
• coordinate geografiche e
chilometriche dell’area dello stabilimento;
• caratteristiche
geomorfologiche dell’area interessata;
• censimento dei corsi d’acqua
e delle risorse idriche (superficiali e profonde) che interessano l’area
(elementi utili a definire la vulnerabilità del ricettore ambientale e la
possibilità che il corso d’acqua rappresenti un veicolo di propagazione di un
eventuale inquinamento);
• descrizione delle
strutture strategiche e rilevanti (es. CCS, Ospedali, Centri operativi,
Caserme, ecc.);
• densità abitativa,
insediamenti urbani e industriali;
• infrastrutture stradali,
ferroviarie, aeroportuali, portuali;
• reti tecnologiche di
servizi (reti elettriche, metanodotti, ecc.);
• condizioni
meteoclimatiche disponibili (forniti dalle stazioni meteo eventualmente
presenti nello stabilimento o sul territorio, tratte dalla notifica di cui
all’all.5 del D.lgs. 105/2015);
• rischi naturali del
territorio (è necessario effettuare un’analisi del territorio in relazione alla
presenza dei rischi naturali in quanto possibili eventi iniziatori di incidenti
rilevanti, con particolare riferimento al rischio idrogeologico – es. fasce
contenute nel Piano per l’Assetto Idrogeologico - al rischio sismico e
vulcanico).
SCENARI
INCIDENTALI E INDIVIDUAZIONE ZONE DI DANNO
Tali aree sono individuate
sulla base degli scenari incidentali risultanti dall’analisi di sicurezza
effettuata dal gestore dello stabilimento. La misurazione e la perimetrazione
di tali zone è individuata attraverso l’inviluppo di dati forniti dai gestori
sugli scenari incidentali risultanti dall’analisi di sicurezza.
In mancanza dei dati
necessari alla definizione degli scenari incidentali di riferimento, per la
redazione del PEE può essere utilizzato il metodo speditivo contenuto nel
Manuale intitolato “Metodo Shortcut per la valutazione delle conseguenze
incidentali” (QUI), un
metodo che consiste:
- uno strumento speditivo
per la definizione delle zone di danno e attenzione;
- uno strumento di stima
speditiva delle conseguenze al verificarsi di incidenti non valutati dai
gestori.
ATTIVITÀ PER
LA GESTIONE DEGLI EFFETTI AMBIENTALI DELL’INCIDENTE RILEVANTE
Le principali attività per
la gestione degli effetti ambientali dell’incidente rilevante, si esplicano
mediante le seguenti fasi:
Fase di intervento
nell’ambito della gestione dell’emergenza:
Questa fase è attuata
nell’ambito della gestione del PEE. L'obiettivo di questa prima fase (che è
comune alle altre tipologie di scenari incidentali che impattano sulla matrice
aria) è dare la priorità alla tempestiva localizzazione ed intercettazione del
rilascio di sostanza pericolosa; seguirà la rimozione di materiali fortemente
inquinanti (sedimenti, detriti galleggianti, etc.) il più rapidamente
possibile.
Le azioni di mitigazione
delle conseguenze ambientali dell’incidente rilevante effettuate nella prima
fase possono, di massima, essere:
• intercettazione della
perdita;
• blocco della migrazione
dei contaminanti rilasciati mediante l’utilizzo di: o sostanze
adsorbenti/assorbenti; o barriere idrauliche (es. emungimenti di pozzi per
interrompere la diffusione di inquinanti); o flocculanti; o panne per blocco della
migrazione di inquinanti galleggianti in acqua; o cuscini pneumatici per blocco
delle condotte fognarie; o pompe aspiranti idrocarburi, serbatoi galleggianti
(skimmer).
• gestione delle acque di
spegnimento 11 (es. allontanamento dal sito delle acque di spegnimento tramite
ausilio di autospurghi per rifiuti speciali pericolosi ovvero accumulo con
successivo trattamento/smaltimento).
Dette azioni vanno
valutate e pianificate dal Gestore dello stabilimento nell’ambito del PEI, in
modo che possano essere prontamente realizzabili durante l’emergenza. È
comunque possibile, in funzione delle esigenze rilevate in fase di redazione
del PEE, prevedere l’attivazione di ulteriori enti e strutture (es. attivazione
dei Consorzi di bonifica, Autorità di bacino, ecc.).
Le attività connesse con
questa prima fase, afferenti alla gestione in ambito del PEE, richiedono
l’intervento coordinato di più enti e l’attuazione delle seguenti complesse
attività:
• intervento operativo
urgente di limitazione del rischio per la popolazione e l’ambiente (compresa la
sicurezza alimentare);
• informazione alla popolazione ed alle autorità locali competenti sugli effetti ambientali dell’incidente. Ulteriori azioni di mitigazione delle conseguenze ambientali dell’incidente.
Fase di ripristino e
disinquinamento dell’ambiente dopo l’incidente rilevante
questa fase è successiva
alle operazioni di emergenza e soccorso previste dal PEE ed è attuata e gestita
in conformità al D.lgs. 152/2006 e s.m.i. “Norme in materia Ambientale”.
INFORMAZIONI
ALLA POPOLAZIONE IL RUOLO DEL SINDACO
Secondo le nuove Linee
Guida (parte 2) Il compito della diffusione delle informazioni contenute nel
PEE e destinate alla popolazione, unitamente alle strutture ed aree ad alta
frequentazione (compresi scuole, ospedali, stabilimenti adiacenti soggetti a
possibile effetto domino, ecc.) che possono essere colpiti da un incidente
rilevante, ai sensi dell’art. 23 comma 7 del D.lgs. 105/2015, è affidato al
Sindaco a cura del comune.
A tal fine il PEE deve
contenere l’indicazione univoca dell’area o delle aree in cui deve essere
indirizzata l’informazione dedicata ai soggetti che possono essere colpiti da
un incidente rilevante con l’indicazione dei principali elementi vulnerabili in
essa/esse presenti.
Il compito del Sindaco,
attraverso la struttura comunale ai sensi dell’art. 12, comma 5, lettera b) del
DLgs 1/18 (Codice Protezione Civile - QUI), in
merito alla diffusione delle informazioni contenute nel PEE, ai sensi
dell’art.23 comma 7 (DLgs 105/2015), non deve essere confusa con il diverso
compito del Comune di diffondere, in ordinario, ai sensi dell’art.23 comma 6
(DLgs 105/2015), le informazioni pubbliche riguardanti le misure da adottare in
caso di incidente che sono contenute nel Modulo di notifica ed informazione
inviato dal gestore dello stabilimento ai sensi dell’art.13 del D.lgs.105/2015.
Le informazioni del Modulo
di notifica sono infatti destinate ad un ambito più ampio costituito dal
“pubblico” definito quale “una o più persone fisiche e giuridiche, nonché le
associazioni, organizzazioni o i gruppi di tali persone”, ai sensi dell’art. 23
comma 6 del d.lgs. 105/2015, e quindi come tale non specificatamente legato al
territorio che può essere direttamente coinvolto negli effetti dell’incidente
rilevante.
Al fine di una
informazione univoca è importante il coordinamento tra le informazioni
contenute nella specifica sezione del PEE e quelle fornite dal Sindaco,
attraverso la propria struttura comunale, ai sensi dell’articolo 23 del D.lgs.
105/2015 (per il dettaglio degli adempimenti previsti vedi il successivo
capitolo 4). Questo obiettivo può essere opportunamente raggiunto mediante la
collaborazione del Comune al processo di redazione del PEE mediante la
partecipazione al tavolo tecnico costituito presso la Prefettura, al fine di
garantire la condivisione dei dati e delle informazioni tra Sindaco e Prefetto,
nonché il tempestivo allineamento e la coerenza delle informazioni fornite al
pubblico attraverso i due distinti strumenti. Si rileva inoltre l’opportunità
di una stretta collaborazione tra l’autorità comunale e il Prefetto anche in
occasione della predisposizione ed effettuazione delle sperimentazioni del PEE
e l’analisi dei risultati
COORDINAMENTO
TRA PEE E PIANO DI PROTEZIONE CIVILE COMUNALE
Il Piano di protezione
civile deve tener conto dei dati e delle informazioni contenute nel PEE, quali
gli elementi territoriali considerati nella pianificazione dell’emergenza
esterna (caratteristiche fisiche, orografiche, ed antropiche, quali popolazione
presente a vario titolo nell'area, infrastrutture, centri sensibili, ecc.), i
dati relativi allo stabilimento, agli scenari incidentali ed al modello
organizzativo di intervento, riferito soprattutto alle attività che il Sindaco
deve effettuare in attuazione del PEE.
Nel Piano comunale di
protezione civile potranno essere dimensionate e riportate le attività da attuare
dal Comune per le fasi di attivazione del PEE (attenzione, preallarme, allarme emergenza,
cessato allarme).
Si riportano di seguito
gli elementi principali che, in linea di massima, possono essere inseriti nel
Piano di protezione civile comunale:
• inquadramento
territoriale con localizzazione dello stabilimento;
• descrizione dello
stabilimento, degli scenari incidentali, delle zone di pianificazione (zone a
rischio, zona di soccorso, zona di supporto alle operazioni, corridoi di
ingresso e uscita dei mezzi di soccorso);
• censimento della
popolazione delle zone di pianificazione;
• modello d’intervento e
procedure di competenza del Sindaco: o modalità di attivazione delle strutture
e dei referenti comunali di protezione civile presso il COC (Polizia Locale,
Ufficio Tecnico, volontariato, ecc.) e presso altre strutture di coordinamento
(CCS, PCA) in accordo alle procedure stabilite nel PEE e nei piani operativi
predisposti; o modalità di attivazione e gestione dell’informazione della
popolazione sull’evento incidentale in atto e comunicazione delle misure di
autoprotezione; o modalità di attivazione delle risorse per la viabilità in concorso
con le altre FF.O.; o eventuale modalità di attivazione ed utilizzo delle aree
di attesa e/o aree e centri di assistenza per la popolazione;
• riferimenti operativi
degli enti e strutture per l’attivazione del piano
• modalità di
partecipazione alla sperimentazione del Piano di emergenza esterna
Nessun commento:
Posta un commento