giovedì 28 luglio 2016

Deposito Fegino: la rimozione di alcune norme di tutela dei cittadini

Mi pare che per la vicenda del deposito petrolifero del Fegino (Genova) quello che le Amministrazioni competenti continuano a non capire ( o non vogliono capire) è che oltre alla questione della bonifica c'è un problema di continue (da anni) emissioni odorigene sostanzialmente incontrollate. Le Amministrazioni si nascondo dietro una interpretazione inaccettabile della legge vigente (peraltro in contrasto con il dettato della stessa come vedremo tra poco).

Questa interpretazione della legge da parte degli
Amministratori sia del Comune di Genova che della Giunta regionale ligure suona così: "la normativa nazionale ci limita".

Ma è davvero così?

Sommessamente io dico di no e faccio due esempi precisi e documentati...


Il primo: riguarda proprio le emissioni odorigene

L’Assessore all’Ambiente del Comune di Genova afferma su La Repubblica di oggi: “Noi siamo a fianco dei cittadini ma non possiamo imporci perché ci sono delle norme nazionali da rispettare”.

Rincara la dose di dichiarazione di presunta impotenza ex lege anche l’Assessore regionale all’Ambiente rispondendo ad una interrogazione dei Consiglieri regionali 5stelle: "Per quanto attiene al deposito di Fegino si segnala che, trattandosi di impianto di solo stoccaggio, questo impianto non è soggetto a provvedimento autorizzativo ambientale per quanto riguarda le emissioni (il comparto aria),tuttavia questa struttura è stata oggetto di diversi accertamenti tecnici in relazione a forti problematiche di tipo odorigeno, come segnalato dalla Consigliera interrogante."

In realtà le cose non stanno proprio così, intanto come spiegato diffusamente nell'esposto presentato dal Comitato spontaneo dei cittadini residenti nella zona, i monitoraggi fatti fino ad ora sono stati troppo saltuari e comunque incompleti. Il tempo di campionamento ridotto può essere sì valido per un’indagine conoscitiva e qualitativa  ma è da considerarsi inadeguato alla valutazione del potenziale di rischio per l’esposizione della popolazione. Comunque nella zona non è mai stata svolta una adeguata valutazione di impatto sanitario che fa il paio con l'altro fatto significativo per la cui la raffineria di Busalla non ha avuto il Parere Sanitario del Sindaco richiesto dalla legge. 

Ma soprattutto davvero come dicono Comune e Regione le leggi li rendono impotenti e per i depositi petroliferi non sono previste autorizzazioni alle emissioni? 
Vediamo cosa dice il testo letterale della legge in materia: 
L’articolo 269 del DLgs 152/2006: “Autorizzazione alle emissioni in atmosfera per gli stabilimenti” al comma 10 recita: “10. Non sono sottoposti ad autorizzazione gli impianti  di deposito di oli minerali, compresi i gas liquefatti. I gestori sono comunque tenuti ad adottare apposite misure per  contenere le emissioni  diffuse ed a rispettare le ulteriori prescrizioni eventualmente disposte, per le medesime  finalità, con apposito provvedimento dall'autorità competente".... 

Il testo della norma mi sembra chiarissimo: nel regime ordinario non sono previste autorizzazioni ma se ci sono problemi di emissioni allora le autorità possono con appositi provvedimenti stabilire prescrizioni e limiti a tali emissioni. 

Domande: 
dove sono queste misure imposte alla Iplom?; 
dove è il provvedimento della autorità competente (Provincia ed ora Città Metropolitana)? 



    


















Il secondo: la condotta non rientra nella normativa Seveso quindi era ed è difficile controllarla
In realtà la condotta è da escludere dalla applicazione della normativa più rigida sulle industrie a rischio di incidente rilevante (la c.d. Seveso) solo per una interpretazione molto permissiva della stessa come si è dimostrato nella relazione tecnico amministrativa allegata all'esposto del Comitato dei Cittadini. 
Ma se anche fosse fondata questa interpretazione permissiva resta che, per queste condotte, si applica una normativa ben più antica della quale si è dimenticato un passaggio decisivo. Sto riferendomi al Decreto del 31 luglio 1934 (Approvazione delle norme di sicurezza per la lavorazione, l'immagazzinamento, l'impiego o la vendita di oli minerali, e per il trasporto degli oli stessi). Ebbene questo decreto ad un certo punto afferma: “B) Le tubazioni (oleodotti) che possono unire un deposito costiero ad un lontano stabilimento (vedasi n. 17), devono invece uniformarsi ai seguenti criteri di massima: a) le condutture principali devono evitare, per quanto possibile, i terreni non pianeggianti, i fiumi, le paludi, gli stagni, ecc.;”.

Ora per poter verificare questo "per quanto possibile" spostamento della condotta tutte le amministrazioni competenti hanno avuto ben 82 anni di tempo..... ma siamo ancora qui a discutere non del loro spostamento ma di una bonifica ancora lunga da arrivare per la rottura di una condotta che non doveva stare dove sta!







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