giovedì 2 ottobre 2025

La Corte Costituzionale fissa i principi e i limiti delle leggi regionali sulle aree idonee e non per gli impianti da fonti rinnovabili

La Corte Costituzionale con sentenza n° 134 del 28 luglio 2025, QUI, ha statuito:

1. la legittimità costituzionale del Decreto Ministeriale 21/6/2024 sulle aree idonee che consente alle Regioni, con proprie leggi, di individuare le aree sia idonee che non idonee per realizzare impianti da fonti rinnovabili (di seguito impianti FER);

2. la illegittimità su leggi regionali che stabiliscano divieti assoluti a priori di localizzazione di impianti FER che prescindano da una idonea istruttoria che motivatamente dimostri la sostenibilità di una data localizzazione;

3. la illegittimità costituzionale di una legge regionale che stabilisca un divieto assoluto di esercizio per gli impianti a biomasse già esistenti che non adeguino la potenza generata al limite dei 10 MW entro sei mesi.

Infine la sentenza della Corte Costituzionale contiene anche una precisazione in relazione al rapporto tra il nuovo articolo 9 (QUI) della Costituzione, che consacra la preminente rilevanza accordata […] alla protezione dell’ambiente, con la possibilità che le leggi ordinarie che disciplinano la autorizzazione degli impianti a biomasse possano dare via libera a questi impianti anche in aree tutelate per la biodiversità con il rischio di mettere in discussione i principi costituzionali affermati da detto articolo 9. Sulla problematica la Corte Costituzionale invita le Autorità Competenti a rilasciare le valutazioni e autorizzazioni di detti impianti di tenere nella debita considerazione detto mandato costituzionale al fine di rispettare l’esigenza di tutelare la biodiversità e i delicati ecosistemi che si sviluppano nei parchi nazionali o regionali.

 

 

LA QUESTIONE DELLA NOVITÀ DEL DECRETO SUL POTERE LEGISLATIVO REGIONALE NEL DEFINIRE LE AREE IDONEE E NON IDONEE

La Corte nel valutare detta legittimità, in primo luogo, parte dalla novità introdotta dal Decreto del Ministero dell’Ambiente e sicurezza energetica del 21 giugno 2024 (QUI) secondo il quale le aree idonee o non idonee per la realizzazione di impianti da fonti rinnovabili sono approvate dalle Regioni con propria legge. Peraltro, su questo Decreto era intervenuto parzialmente il Consiglio di Stato che, con ordinanza n° 4298 del 14 novembre 2024 (QUI), ha sospeso il Decreto ministeriale 21 giugno 2024 limitatamente alla norma in esso contenuta che dà alle Regioni la “possibilità di fare salve le aree idonee di cui all'art. 20, comma 8” del DLgs 199/2021 (QUI). Il Consiglio di Stato ha ritenuto che la norma nazionale previgente al Decreto 21 giugno 2024 (il DLgs 199/2021 già elenca le aree contemplate come idonee, per cui “in tale disciplina di livello primario non sembra possa rinvenirsi spazio per una più restrittiva disciplina regionale”.

Nella sentenza si afferma che le pronunce di questa Corte sulla illegittimità costituzionale di norme regionali che sottraevano parti del territorio regionale, a volte anche particolarmente sensibili (sentenze n. 28 del 2025 QUI, n. 216 del 2022 QUI), alla possibilità di localizzazione di impianti FER di portata superiore a una determinata potenza si fondavano sul precedente assetto dei principi fondamentali statali, che negava in radice una benché minima competenza legislativa regionale in merito (tra le molte, ancora, sentenza n. 216 del 2022).




LA SENTENZA CONFERMA LA IMPOSSIBILITÀ DELLE LEGGI REGIONALI DI IMPORRE DIVIETI ASSOLUTI DI LOCALIZZAZIONE DI IMPIANTI DA FONTI RINNOVABILI

La Sentenza dichiara la incostituzionalità della norma regionale della Calabria che prevede: "1. È vietata la realizzazione nei parchi nazionali e regionali di impianti di produzione energetica alimentati da biomasse, con sede ricadente nel territorio calabrese, con potenza eccedente 10MWatt termici."

Afferma la sentenza va però precisato che un’attenta lettura del Decreto Ministeriale 21 giugno 2024 fa emergere che la inidoneità dell’area, pur se dichiarata con legge regionale, non si può tradurre in un divieto assoluto stabilito a priori, ma equivale a indicare un’area in cui l’installazione dell’impianto può essere egualmente autorizzata ancorché sulla base di una idonea istruttoria e di una motivazione rafforzata.

L’art. 1, comma 2, lettera b), del Decreto 21 giugno 2024, definisce, infatti, quelle non idonee come le «aree e siti le cui caratteristiche sono incompatibili con l’installazione di specifiche tipologie di impianti secondo le modalità stabilite dal paragrafo 17 e dall’allegato 3 delle linee guida emanate con Decreto del Ministero dello sviluppo economico 10 settembre 2010 (QUI)».

Tale rimando alle precedenti Linee guida del 2010 sta a significare – stante il menzionato paragrafo 17, il quale prevede una «apposita istruttoria», nonché l’Allegato 3, il quale stabilisce, in ogni caso, che l’individuazione di queste aree non deve «configurarsi come divieto preliminare» – che la decisione definitiva in merito alla realizzazione degli impianti FER, anche se la legge regionale ha qualificato determinate aree come non idonee, va assunta, in ogni caso, all’esito del singolo procedimento di autorizzazione concernente lo specifico progetto di impianto, all’interno del quale si potrebbero comunque evidenziare ragioni a favore della sua realizzazione.

Pertanto, conclude la sentenza, che nel nuovo contesto dei principi fondamentali della materia, il potere, previsto dall’art. 20, comma 4, del d.lgs. n. 199 del 2021 (QUI), di individuare con legge regionale le aree idonee è stato accordato alle regioni anche con riguardo alle aree non idonee, con la precisazione, però, che l’inidoneità non può mai equivalere a un divieto assoluto e aprioristico.


 

La sentenza vuole evitare che il potere legislativo riconosciuto alle Regioni in materia di definizione di aree idonee e non venga utilizzato per bloccare impianti FER senza significativi rischi per l’ambiente soprattutto naturale.

Secondo la sentenza si tratta, in definitiva, di un assetto funzionale a dare risalto alla autonomia regionale ma al contempo idoneo a scongiurare il rischio che gli organi politici regionali, quando non sussistano evidenti ragioni di salvaguardia degli ecosistemi e della biodiversità, ricorrano allo “strappo legislativo” per assecondare la tentazione di ostacolare impianti sui rispettivi territori (secondo l’efficace espressione “Ninmby”: not in my back yard), ciò che si porrebbe in palese contrasto con la pressante esigenza dello sviluppo di energie rinnovabili: interesse, come già ricordato, «di cruciale rilievo» proprio «rispetto al vitale obiettivo di tutela dell’ambiente, anche nell’interesse delle future generazioni» (sentenza n. 216 del 2022 QUI).

La sentenza, sul punto, conclude affermando che alla luce di questa nuova cornice dei principi fondamentali della materia, deve quindi essere dichiarata l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», dell’art. 14, comma 1, della legge reg. Calabria n. 36 del 2024, nella parte in cui dispone che «[è] vietata», nei parchi nazionali e regionali ricadenti nel territorio calabrese, la realizzazione degli impianti di potenza superiore a 10 MW termici alimentati da biomasse, anziché disporre che i suddetti parchi «costituiscono aree non idonee» alla realizzazione di questa tipologia di impianti.

 

 

 

ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DELLA NORMA DELLA LEGGE REGIONALE CHE IMPONE LA RIDUZIONE DI POTENZA AD IMPIANTI ESISTENTI A BIOMASSE IN AREE PROTETTE

La ulteriore norma regionale contestata dalla sentenza afferma: “2. Entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, gli impianti di potenza eccedente i 10 MWatt termici, di cui al comma 1, sono tenuti a ridurre la potenza, uniformandola alla presente disposizione, a pena di decadenza della relativa autorizzazione”.

La sentenza afferma che anche questa norma si traduce in un divieto assoluto di esercizio per gli impianti già esistenti che non adeguino la potenza generata al limite dei 10 MW entro sei mesi.

In relazione a tale disposizione è fondata anche la censura statale prospettata in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost.

 

La riforma dell’articolo 41 Costituzione in chiave ambientale non giustifica provvedimenti regionali che mirano a bloccare la espansione di un singolo o specifici impianti.

Benché, infatti, il novellato art. 41, secondo comma, Cost. preveda ora tra i principi limitanti l’iniziativa economica privata anche l’«ambiente», qui rileva che la previsione regionale assume il carattere di legge provvedimento, poiché è riferibile unicamente alla centrale del Mercure (che oggi è il solo impianto a biomasse collocato in un parco nazionale o regionale calabrese) e risulta, quindi, destinata a incidere «su una singola posizione giuridica (sentenze n. 181 del 2019, n. 24 del 2018, n. 231 del 2014), “attraendo nella sfera legislativa quanto normalmente affidato all’autorità amministrativa” (sentenze n. 168 del 2020 e n. 114 del 2017)» (sentenza n. 186 del 2022).

Per costante giurisprudenza di questa Corte, disposizioni legislative di tal fatta non sono di per sé incompatibili con l’assetto dei poteri stabilito dalla Costituzione. Tuttavia, «in considerazione del pericolo di disparità di trattamento insito in previsioni di questo tipo, esse devono soggiacere a uno scrutinio stretto di costituzionalità, sotto i profili della non arbitrarietà e della non irragionevolezza della scelta legislativa» (sentenze n. 186 del n. 2022 e n. 49 del 2021; nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 116 del 2020, n. 181 del 2019, n. 182 del 2017, n. 275, n. 154 e n. 85 del 2013, n. 20 del 2012).

La disposizione regionale non supera questo tipo di sindacato, perché trasmoda in una disciplina lesiva del legittimo affidamento.

È pur vero che secondo consolidata giurisprudenza costituzionale questo è «soggetto al normale bilanciamento proprio di tutti principi e diritti costituzionali» (sentenza n. 182 del 2022) e che in riferimento «ai rapporti di durata, e alle modificazioni peggiorative che su di essi incidono secondo il meccanismo della cosiddetta retroattività impropria […] il legislatore dispone di ampia discrezionalità» (sentenza n. 36 del 2025).

Tuttavia, nel caso in questione, data anche la brevità del termine richiesto per l’adeguamento (sei mesi) alla riduzione di potenza, la norma impugnata non si giustifica adeguatamente rispetto non solo all’iniziativa economica della società autorizzata alla gestione dell’impianto ma anche alla posizione dei lavoratori nello stesso occupati.

 


 

PRECISAZIONE DELLA SENTENZA SUL RUOLO DEL NUOVO ARTICOLO 9 DELLA COSTITUZIONE IN CASO DECISIONE DI APPROVAZIONE DI IMPIANTI A BIOMASSE DI ELEVATA POTENZIA IN AREE PROTETTE

Dal momento che l’individuazione con legge dei parchi nazionali o regionali come aree inidonee alla realizzazione degli impianti alimentati da biomasse con potenza eccedente i 10 MW termici non può comportare un divieto assoluto, l’eventuale dissenso, in seno al successivo procedimento amministrativo, di una delle amministrazioni coinvolte (ad esempio, la regione o l’ente parco) potrebbe essere superato dal Consiglio dei ministri.

Infatti, l’art. 9 del decreto legislativo 25 novembre 2024, n. 190 (Disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili- per una analisi di questo Dlgs vedi QUI) in attuazione dell’articolo 26 (QUI), commi 4 e 5, lettere b e d, della legge 5 agosto 2022, n. 118) prescrive che gli impianti superiori a determinate potenze sono soggetti a un «procedimento autorizzatorio unico», nel corso del quale l’amministrazione procedente convoca una conferenza di servizi, la cui conclusione, ai sensi dell’art. 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), può avvenire sulla base delle «posizioni prevalenti»; in quest’ipotesi, il successivo art. 14-quinquies stabilisce che le amministrazioni dissenzienti portatrici di interessi cosiddetti sensibili possano proporre opposizione avverso la determinazione motivata di conclusione della conferenza (comma 1) e che, ove non venga raggiunta un’intesa tra le amministrazioni partecipanti, l'ultima parola” spetti al Consiglio dei ministri, che decide sull’opposizione stessa (comma 6).

A questo riguardo, tuttavia, la sentenza precisa che, se tale regime potrebbe condurre, di per sé, all’autorizzazione di centrali alimentate da biomasse di elevata potenza termica nei parchi naturali, tale eventualità potrebbe presentare criticità rispetto alla «preminente rilevanza accordata […] alla protezione dell’ambiente» dal novellato art. 9 Cost., che ne consacra direttamente nel testo della Costituzione il mandato di tutela e «vincola così, esplicitamente, tutte le pubbliche autorità ad attivarsi in vista della sua efficace difesa» (sentenze n. 125 del 2025 QUI, n. 105 del 2024 QUI).

Tale mandato costituzionale, evidentemente, dovrà essere attentamente considerato da tutte le amministrazioni procedenti – ivi compreso il Consiglio dei ministri in sede di decisione sull’opposizione di cui all’art. 14-quinquies della legge n. 241 del 1990 – in relazione all’esigenza di tutelare la biodiversità e i delicati ecosistemi che si sviluppano nei parchi nazionali o regionali, ove assentissero in questi luoghi alla realizzazione delle suddette centrali.

 

 

 

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