lunedì 29 settembre 2025

La Corte Costituzionale su necessità di manutenzione e rimozione antenne dopo disattivazione e fideiussioni di ripristino ambientale

La Corte Costituzionale con sentenza n° 108 (QUI) dello scorso 17 luglio 2025 ha dichiarato:

1. la legittimità costituzionale di una norma regionale che impegna il gestore di telefonia mobile ad una corretta manutenzione in esercizio della antenna e la sua rimozione con relativo ripristino ambientale del sito. Inoltre, la norma dichiarata costituzionale impegna i gestori a rispettare le prescrizioni fornite dall’Agenzia Regionale per la protezione ambientale

2. la illegittimità costituzionale di una norma regionale che impegna i gestori a presentare un apposito certificato fideiussorio relativo agli oneri di smantellamento e ripristino ambientale.


N.B. la parte dichiarata costituzionale è particolarmente interessante perché il riferimento alla possibilità che la normativa regionale imponga il rispetto delle prescrizioni anche di tutela ambientale e della salute pubblica può avere come conseguenza la possibilità di introdurre finalmente nella normativa, quanto meno regionale, l'obbligo del parere sanitario di asl per dare il via libera ai piani antenne e alla installazione delle singole antenne. Obbligo ad oggi non esistente 

Vediamo partitamente le motivazioni di legittimità costituzionale e di incostituzionalità delle norme regionali contestate dal Governo nazionale.

 

 

LE PARTI DELLA LEGGE REGIONALE DICHIARATE CONFORMI ALLA COSTITUZIONE

La sentenza dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della parte della norma regionale che prevede l’allegazione all’istanza di autorizzazione di un atto d’impegno alla corretta manutenzione dell’impianto, nel rispetto delle prescrizioni impartite dall’ARPAM, nonché al ripristino del sito al momento della sua disattivazione.

 

La Corte nella sentenza al fine di dimostrare la costituzionalità della norma regionale ricostruisce gli articoli del Codice delle Comunicazioni Elettroniche che sostanziano la costituzionalità suddetta:


1. L’art. 107 (QUI) cod. comunicazioni elettroniche, al comma 1, sia prima che dopo le modifiche da ultimo introdotte, già impone l’obbligo per gli operatori di telecomunicazioni di presentare una «dichiarazione di impegno ad osservare specifici obblighi, quali […] il rispetto delle norme di sicurezza, di protezione ambientale, di salute della popolazione ed urbanistiche», come condizione necessaria ai fini dell’autorizzazione generale all’espletamento dell’attività.

 

2. L’art. 115 (QUI), comma 2, cod. comunicazioni elettroniche, pure nel testo vigente, stabilisce che «il soggetto, titolare di autorizzazione generale, è tenuto a rispettare le disposizioni vigenti in materia di sicurezza, di salute della popolazione, di protezione ambientale, nonché le norme urbanistiche e quelle dettate dai regolamenti comunali in tema di assetto territoriale».

 

3. L’art. 93, comma 2, primo periodo, cod. comunicazioni elettroniche, nella precedente versione (ora trasfusa nell’art. 54 comma 6 QUI), del codice vigente), dispone che «gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica hanno l’obbligo di tenere indenne la Pubblica Amministrazione, l’Ente locale, ovvero l’Ente proprietario o gestore, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d’arte le aree medesime nei tempi stabiliti dall’Ente locale».

 

Quindi conclude la sentenza che la disposizione regionale non determina né un aggravamento della procedura di autorizzazione né impone «oneri o canoni» ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge statale. Essa si limita a ribadire e a specificare il contenuto di un obbligo, già previsto dal codice delle comunicazioni elettroniche, avente a oggetto il corretto svolgimento del servizio – nel rispetto delle norme di sicurezza, di protezione ambientale e di salute della popolazione – e, in caso di disattivazione, il ripristino delle aree coinvolte dagli interventi di installazione degli impianti.

 


 

PARTI DELLA LEGGE REGIONALE DICHIARATE INCOSTITUZIONALI

La sentenza dichiara invece fondata la questione di legittimità costituzionale della parte della norma regionale che introduce a carico degli operatori di telecomunicazioni che intendano presentare istanza di autorizzazione dell’impianto un adempimento che in effetti non risulta espressamente previsto dal codice delle comunicazioni elettroniche, nonostante il carattere analitico e di dettaglio di molte delle sue previsioni. Si tratta dell’obbligo di presentare un apposito certificato fideiussorio relativo agli oneri di smantellamento e ripristino ambientale che non è compreso nell’elenco dei documenti da produrre a corredo dell’istanza di autorizzazione, contenuto nel previgente Allegato n. 13 al codice delle comunicazioni elettroniche (ORA VEDI VERSIONE VIGENTE ALLEGATO 13(QUI).

 

 

Secondo la sentenza la incostituzionalità si fonda sui seguenti motivi:

La norma regionale si discosta dalla disciplina statale del procedimento autorizzatorio, poiché richiede agli operatori di telecomunicazioni una prestazione di carattere pecuniario (quale è la stipula di un contratto a titolo oneroso, ossia di una polizza fideiussoria), non espressamente prevista tra quelle tipizzate dall’art. 93 cod. comunicazioni elettroniche.

Pertanto, la disposizione regionale censurata viola la disposizione espressa dal richiamato art. 93 del Codice (ora vedi articolo 54 QUI), la cui natura di principio fondamentale è stata più volte ribadita da questa Corte «in quanto persegue la finalità di garantire a tutti gli operatori un trattamento uniforme e non discriminatorio, attraverso la previsione del divieto di porre a carico degli stessi oneri o canoni» (sentenze: n. 246 del 2020 QUI, n. 47 del 2015 QUI, n. 272 del 2010 QUI, n. 450 del 2006 QUI, n. 336 del 2005 QUI).

Infatti, in mancanza di tale principio, come già ricordato, ogni regione «potrebbe liberamente prevedere obblighi “pecuniari” a carico dei soggetti operanti sul proprio territorio, con il rischio, appunto, di una ingiustificata discriminazione rispetto ad operatori di altre Regioni, per i quali, in ipotesi, tali obblighi potrebbero non essere imposti» (sentenze n. 246 del 2020 e n. 272 del 2010 QUI). Per queste ragioni, come è stato chiarito, «finalità della norma è anche quella di “tutela della concorrenza”, di garanzia di parità di trattamento e di misure volte a non ostacolare l’ingresso di nuovi soggetti nel settore» (sentenza n. 47 del 2015 QUI).

 

È vero che la Corte ha riconosciuto che «le Regioni, nel quadro e nel rispetto dei principî fondamentali così fissati dalla legge statale, ben possono prescrivere, eventualmente, ulteriori modalità procedimentali rispetto a quelle previste dallo Stato, in vista di una più accentuata semplificazione delle stesse» (sentenza n. 336 del 2005 QUI), ma, nel caso in esame, la disposizione censurata richiede agli operatori del settore una prestazione di contenuto patrimoniale (la stipula e la produzione di un’apposita garanzia fideiussoria) non prevista dalla legge statale: va escluso che ciò realizzi una più accentuata semplificazione della procedura autorizzatoria stabilita dal codice delle comunicazioni elettroniche.

 

 


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