La sentenza n. 159 /2016 [1]
si è pronunciata sul ricorso da parte
delle Regioni Campania, Lombardia, Puglia e Veneto contro la legge 23 dicembre
2014,n.190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato - legge di stabilità 2015).
In particolare il ricorso
verteva sulla questione di legittimità costituzionale dei seguenti commi della
suddetta legge che si presenta come attuativa della legge quadro n. 56/2014
analizzata in questo post (vedi QUI) e nella relazione ad esso allegata tenuta alla Conferenza organizzata dal Movimento5stelle Liguria lo scorso 14 luglio.....
IL TESTO DELLE NORME IMPUGNATE DALLE REGIONI
Il comma 421 prevede
che la dotazione
organica delle Città metropolitane e delle Province
delle Regioni a statuto ordinario, a decorrere dalla data di entrata in vigore
della legge medesima,
e' ridotta in misura pari al 30 e
al 50 per
cento della spesa
del personale di ruolo alla data di
entrata in vigore
della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città
metropolitane, sulle province,
sulle unioni e fusioni di
comuni), tenuto conto
delle
funzioni attribuite ai
predetti enti dalla medesima legge.
Il comma 422
prevede che,
tenuto conto del
riordino delle funzioni di cui
alla legge n. 56
del 2014, venga
individuato - secondo modalità
e criteri definiti nell'ambito
delle procedure e degli osservatori previsti dall'accordo tra
il Governo e le Regioni, sentite le
organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, ai sensi dell'art. 1, comma 91, della legge
n. 56 del 2014, concernente l'individuazione
delle funzioni di cui al
comma 89 dello
stesso
articolo, oggetto del
riordino e delle
relative competenze - il
personale che rimane assegnato agli enti locali di area vasta (Citta'
metropolitane e nuove Province) e quello da destinare alle procedure di mobilita'.
Il comma 423 prevede che, nel contesto delle procedure
e degli osservatori di cui
all'accordo previsto dall'art. 1, comma 91,
della legge n. 56 del 2014,
sono determinati (con
il supporto delle societa' in house delle amministrazioni
centrali competenti) i piani di
riassetto organizzativo, economico, finanziario
e patrimoniale
delle Citta'
metropolitane e delle
Province e sono,
altresi', definite le procedure di mobilita' del personale
interessato, i cui criteri sono fissati con il decreto di
cui all'art. 30, comma 2, del decreto legislativo
30 marzo 2001,
n. 165 (Norme
generali sull'ordinamento del lavoro
alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche), disponendo altresì che il personale destinatario
delle procedure di mobilita'
e' prioritariamente ricollocato
presso le Regioni e gli enti
locali e in via subordinata, con le
modalita' di cui al comma 425,
presso le amministrazioni dello Stato.
Il comma 427 prevede che, nelle more
della conclusione delle procedure di mobilita' di cui ai commi
da 421
a 428, il
relativo personale rimane in servizio presso le
Citta' metropolitane e le Province,
con possibilita' di avvalimento da parte
delle Regioni e degli enti locali attraverso apposite
convenzioni che tengano conto del
riordino delle funzioni
e con oneri
a carico dell'ente utilizzatore e che, a
conclusione del processo di
ricollocazione di cui ai commi da
421 a 425, le Regioni e i Comuni, in caso di delega o di altre forme, anche
convenzionali, di affidamento di funzioni
alle Citta' metropolitane e
alle Province o
ad altri enti
locali, dispongono contestualmente l'assegnazione del relativo
personale con oneri a carico dell'ente
delegante o affidante, previa
convenzione con gli enti destinatari.
SINTESI CRITICA DELLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE
La
sentenza al di la delle motivazioni in relazione alle singole questioni di
legittimità costituzionali riafferma un principio già esaminato nella sentenza
n. 50 del 2015 sulla legge 56/2014. Il principio è che il nodo di fondo della
legittimità della nuova legge (attuativa delle 56/2014 in tema di rapporto tra
risorse e funzioni assegnate alla nuove Città Metropolitane ma anche alle
restanti Province) in quanto, siamo in presenza di una riforma globale delle
Province e delle Città metropolitane, per cui gli obblighi che ne derivano non
sono comparabili con quelli imposti in un quadro di stabilità dell'assetto istituzionale.
Come dire in termini più crudi ma più efficaci:
la riforma è troppo ampia e importante per non dover andare in deroga a
quelli che sono stati i principi, anche di livello costituzionale, fino ad ora
applicati settorialmente sulle relazioni Stato e autonomie locali e regionali.
Quindi
come vedremo dalle motivazioni della sentenza il ragionamento di fondo della
Corte Costituzionale è che la riorganizzazione delle autonomie locali con la
creazione delle Città Metropolitane rientrando nella competenza esclusiva dello
stato può incidere anche sulle necessità degli equilibri di bilancio nazionali
facendo prevalere questi ultimi sul coordinamento tra ricollocazione delle
funzioni tra città metropolitane, nuove provincie, comuni e regioni e risorse effettivamente
a disposizione per esercitarle con efficienza queste funzioni. Anzi si lascia,
sarebbe meglio dire si scarica, sulle magre risorse locali e regionali ogni
conseguenza finanziaria sulla riorganizzazione delle suddette funzioni. Come
dire, e la Corte lo afferma ad un certo punto in questa sentenza, le Regioni
potranno riorganizzare le funzioni locali riconosciute dalla legge 56/2014 e
della Costituzione ma solo con proprie risorse perché quello che conta sotto il
profilo costituzionale, sempre secondo la Corte è “assicurare l'uniformità dei nuovi assetti
istituzionali.” Che poi questi nuovi
assetti siano sostenuti da un esercizio effettivo delle funzioni che li
sostanziano è cosa che riguarda il livello regionale e locale!
Il riassetto delle funzioni
e le relative risorse è stato frutto di una analisi rigorosa e preventiva? Non è un problema per la Corte
Costituzionale secondo la quale: “la legge n. 56 del 2014 aveva già direttamente
effettuato l'individuazione delle
funzioni fondamentali delle Province e di quelle delle Città
metropolitane” quindi non c’è nessuna assegnazione aprioristica slegata
da una valutazione delle funzioni stesse assegnate. Praticamente un giro di parole per dire: le
funzioni le ho assegnate come stato quindi se le ho assegnato vuol dire che
l’ho fatto con rigore ma questo rigore, anche sotto il profilo della copertura
finanziaria, nessuno lo dimostra ovviamente tanto come scrive la Corte in
questa sentenza: “le stesse Regioni
potranno affidare le funzioni non fondamentali alle Città metropolitane, alle
Province e agli altri enti locali
tramite apposite deleghe e
convenzioni, disponendo contestualmente
l'assegnazione del relativo personale. In tal modo viene garantita la possibilità di assegnare
le funzioni alla sede istituzionale che si ritiene più opportuna, sia pure assumendosi l'onere
finanziario del personale necessario al loro esercizio”.
Infatti afferma sempre la Corte le dimensioni
generali della riforma: “rendono evidente l'impossibilità di tener conto
di presunte specificità territoriali” Ma molte delle
riforme assegnate sono strettamente legate alle specificità territoriali:
pensiamo a quelle ambientali o allo stesso Piano Strategico della nuova Città
Metropolitana!
SINTESI DEL CONTENUTO DELLA SENTENZA
Riporto
di seguito una sintesi delle principali motivazioni del ricorso delle Regioni e
delle motivazioni con le quali la Corte Costituzionale non ha accolto le tesi
regionali.
MOTIVI
RICORSO REGIONI
|
DECISIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE
|
Viene dedotto in
primo luogo che
la normativa censurata rientrerebbe nella materia
«organizzazione amministrativa degli
enti
locali»,
affidata alla competenza
legislativa residuale delle Regioni, esulando dall'alveo della
lettera p) del
secondo comma dell'art. 117
Cost., e…..
|
la legge n. 56 del 2014
all'art. 1 disegna
il
nuovo assetto degli enti territoriali di area vasta nei
suoi aspetti funzionali e
organizzativi. Si tratta dunque di una
riforma che ha una sua organicità, come riconosciuto
nella sentenza n. 50 del 2015
di questa Corte. Si e' quindi ritenuto
che un intervento
di tal genere non possa che
essere riservato a livello normativo
statale e che in particolare
vada ricondotto alla competenza esclusiva
di cui all'art. 117, secondo
comma, lettera p),
Cost. e, con
specifico riferimento alle Città metropolitane, a quella di cui all'art.
114
Cost.
Ebbene, non c'e'
dubbio che la
disciplina del personale costituisca uno dei passaggi
fondamentali della riforma,
che se ne
occupa espressamente nel comma 92 dell'art. 1 della
legge n. 56 del 2014. E dunque anche la normativa
contenuta nei censurati commi 421 e
seguenti dell'art. 1 della legge n. 190 del
2014, quale passaggio attuativo della riforma, deve farsi
rientrare nella stessa competenza esclusiva dello Stato.
|
in subordine, che, anche a volerla ricondurre
alla
materia del «coordinamento della
finanza pubblica»,
travalicherebbe i limiti propri dei
principi fondamentali, essendo priva del carattere della transitorietà
e comprendendo precetti di
dettaglio, con violazione del terzo comma dell'art. 117
Cost.
|
È vero - come rilevato dalle Regioni - che alla normativa in
esame non é
estranea anche la finalità del coordinamento della finanza
pubblica… Ma da ciò non può desumersi
che una riforma di questa portata possa essere ricondotta a tale
materia e non - come si e' visto
- a quella di gran lunga
prevalente degli «organi di governo
e funzioni fondamentali di
Comuni, Province e Città metropolitane.
|
Le Regioni
sostengono anzitutto l'irragionevolezza della normativa che ha slegato la riduzione
del personale dal
riordino delle funzioni perfino
in violazione degli indirizzi della legge 56/2014
|
Alla data
di emanazione della
normativa censurata, da una parte, il nuovo assetto funzionale era
ben lungi
dall'essere realizzato
e, dall'altra, risultava evidente
la molteplicità delle soluzioni previste. Il legislatore statale ha
dunque ritenuto necessario intervenire,
sia per imprimere
una spinta acceleratoria, sia
per assicurare l'uniformità dei nuovi assetti istituzionali.
Al riguardo, va
anzitutto sottolineato che il legislatore
ha scelto di non
avvalersi del potere sostitutivo, pure previsto dal comma 95 dell'art. 1 della legge n.
56 del
2014, optando per
una soluzione meno invasiva e limitandosi a porre dei
"paletti" indiretti alla nuova aggregazione delle funzioni,
attraverso la distribuzione del personale e della relativa
spesa.
Ciò indubbiamente ha comportato la riduzione della
sfera decisionale delle Regioni rispetto alla disciplina
contenuta nella legge n. 56 del
2014 e nel d.P.C.m. 26 settembre 2014, disciplina che peraltro non può certo
considerarsi vincolante, come invece sostanzialmente ritengono le
ricorrenti.
Tuttavia il potere di
intervento delle Regioni sulla
individuazione delle
funzioni non fondamentali e
sulla loro allocazione è salvaguardato
grazie al disposto del comma 427 dell'art. 1 della legge censurata,
secondo il quale, a
conclusione del processo di ridistribuzione del
personale, le stesse Regioni
potranno affidare le funzioni non fondamentali alle Città metropolitane, alle
Province e agli altri enti locali tramite
apposite deleghe e convenzioni, disponendo contestualmente l'assegnazione
del relativo personale. In tal modo viene
garantita la possibilità di assegnare le funzioni alla sede istituzionale che si
ritiene più opportuna, sia
pure assumendosi l'onere
finanziario del personale necessario al loro esercizio.
|
Altro profilo
di irragionevolezza viene
dedotto dalle
ricorrenti in
relazione al rischio,
che la nuova
disciplina comporterebbe, di non corrispondenza tra funzioni e
risorse.
|
la legge n. 56 del 2014
aveva già direttamente effettuato l'individuazione delle
funzioni fondamentali delle Province e di quelle delle Città
metropolitane. E' dunque, anche sulla base di tale operazione che si é
proceduto a quantificare le risorse
umane e materiali necessarie per il loro
esercizio. Ciò porta ad escludere che
vi sia stata, come lamentato dalle Regioni, una riduzione del personale
aprioristica e quindi di per sé irragionevole in quanto del tutto slegata dalla valutazione delle funzioni.
|
assunto che
il taglio del
personale renderebbe
impossibile lo svolgimento delle
stesse funzioni
|
si tratta di una mera
affermazione non supportata da
alcun dato, a parte
quello isolato della Regione Veneto,
circa l'entità del personale
addetto alle funzioni fondamentali. La Regione, peraltro, indica
percentuali fino all'80 per cento, senza però, efficacemente argomentare
sulla necessità, in concreto, di un tal numero di dipendenti - invero abnorme
- per lo svolgimento delle funzioni fondamentali
|
censura di violazione
dell'art. 118 Cost., secondo cui le
Regioni sarebbero costrette a tradire i principi di
sussidiarietà e
adeguatezza nella riallocazione delle
funzioni non fondamentali, perché condizionate dalla dotazione
organica che la disciplina impugnata ha cristallizzato.
|
La tesi tocca
implicitamente la ragione di fondo
della
controversia, poiché l'intervento dello Stato é proprio
finalizzato ad evitare che
l'utilizzo "ampio" di
questi principi porti
a conservare in capo agli enti intermedi gran parte - o comunque una porzione notevole - delle funzioni non
fondamentali:ciò, infatti, sarebbe contraddittorio rispetto alla prospettiva
in cui si muove il legislatore
statale, che, come è noto, è quella della
soppressione delle Province o quantomeno del loro ridimensionamento.
Ma, come si è già avuto modo di rilevare, il legislatore si è anche
preoccupato di prevedere un
apposito meccanismo,nel citato
comma 427, che permette
l'allocazione in capo alle
Province e alle Città metropolitane delle funzioni non
fondamentali in
attuazione del principio di sussidiarietà e adeguatezza di
cui all'art. 118 Cost., sia pure imponendo l'assunzione
da parte delle
Regioni dei
relativi oneri
finanziari, a garanzia di un utilizzo del
potere nei casi di stretta ed
effettiva necessità..
|
ulteriore censura
secondo cui sarebbe
irragionevolmente discriminatoria la
riduzione in modo indifferenziato della
dotazione organica per
tutti gli enti coinvolti, e quindi
senza tener conto
delle diverse realtà
territoriali
|
Le considerazioni
finora svolte circa la portata della riforma
e la necessità di una
disciplina uniforme rendono evidente l'impossibilità di tener conto
di presunte specificità territoriali; e ciò vale in particolare per la pretesa della
Regione Veneto di un trattamento diversificato per le Regioni
"virtuose", per quelle
cioè che hanno già "ottimizzato la loro struttura
organizzativa", anche considerando che la disciplina
in esame non risponde certo a logiche di premialità,
legate invece a situazioni naturalmente contingenti.
|
violazione
del principio di
buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art.
97 Cost., evocato sotto il
profilo del rischio di assorbimento di personale non qualificato
|
non va
dimenticato che l'art.
4 del d.P.C.M.
26
settembre 2014 prevede
che le amministrazioni interessate al riordino individuino il personale
attenendosi, tra l'altro, al criterio
dello
svolgimento, in via
prevalente, di compiti correlati alle
funzioni oggetto di trasferimento. Resta comunque
la possibilita' che
ad un cosiì
rilevante riassetto organizzativo-funzionale segua un'adeguata
riqualificazione del personale, ma cio' non puo' costituire ragione di impedimento
e tantomeno vizio di legittimita' costituzionale.
|
[1] http://www.gazzettaufficiale.it/atto/corte_costituzionale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2016-07-13&atto.codiceRedazionale=T-160159
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