venerdì 22 luglio 2016

Corte Costituzionale su Città Metropolitane e Province: Si a funzioni senza risorse adeguate

La sentenza n. 159 /2016 [1]  si è pronunciata sul ricorso da parte delle Regioni Campania, Lombardia, Puglia e Veneto contro la legge 23 dicembre 2014,n.190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge  di stabilità 2015).
In particolare il ricorso verteva sulla questione di legittimità costituzionale dei seguenti commi della suddetta legge che si presenta come attuativa della legge quadro n. 56/2014 analizzata in questo post (vedi QUI) e nella relazione ad esso allegata tenuta alla Conferenza organizzata dal Movimento5stelle Liguria lo scorso 14 luglio..... 


IL TESTO DELLE NORME IMPUGNATE DALLE REGIONI
Il comma 421 prevede  che  la  dotazione  organica  delle  Città metropolitane e delle Province delle Regioni a statuto  ordinario,  a decorrere dalla data di entrata in vigore della  legge  medesima,  e' ridotta in misura pari al 30 e  al  50  per  cento  della  spesa  del personale di ruolo alla data di  entrata  in  vigore  della  legge  7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle  città  metropolitane,  sulle province, sulle unioni e  fusioni  di  comuni),  tenuto  conto  delle
funzioni attribuite ai predetti enti dalla medesima legge.

Il comma  422  prevede  che,  tenuto  conto  del  riordino  delle funzioni di cui alla legge  n.  56  del  2014,  venga  individuato  - secondo modalità e criteri definiti nell'ambito  delle  procedure  e degli osservatori previsti dall'accordo tra il Governo e le  Regioni, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative,  ai sensi dell'art. 1, comma 91, della legge n. 56 del 2014,  concernente l'individuazione delle funzioni di  cui  al  comma  89  dello  stesso
articolo, oggetto del riordino  e  delle  relative  competenze  -  il personale che rimane assegnato agli enti locali di area vasta (Citta' metropolitane e nuove Province) e quello da destinare alle  procedure di mobilita'.

Il comma 423 prevede che, nel contesto delle  procedure  e  degli osservatori di cui all'accordo previsto dall'art. 1, comma 91,  della legge n. 56  del  2014,  sono  determinati  (con  il  supporto  delle societa' in house delle amministrazioni centrali competenti) i  piani di riassetto organizzativo,  economico,  finanziario  e  patrimoniale
delle  Citta'  metropolitane  e  delle  Province  e  sono,  altresi', definite le procedure di mobilita' del personale interessato,  i  cui criteri sono fissati con il decreto di cui all'art. 30, comma 2,  del decreto  legislativo  30  marzo  2001,   n.   165   (Norme   generali sull'ordinamento del lavoro  alle  dipendenze  delle  amministrazioni pubbliche), disponendo altresì che il personale  destinatario  delle procedure di mobilita'  e'  prioritariamente  ricollocato  presso  le Regioni e gli enti locali e in via subordinata, con le  modalita'  di cui al comma 425, presso le amministrazioni dello Stato.

Il comma 427 prevede che,  nelle  more  della  conclusione  delle procedure di mobilita' di cui ai commi da  421  a  428,  il  relativo personale rimane in servizio presso  le  Citta'  metropolitane  e  le Province, con possibilita' di avvalimento da parte  delle  Regioni  e degli enti locali attraverso apposite convenzioni che  tengano  conto del  riordino  delle  funzioni  e  con  oneri  a   carico   dell'ente utilizzatore e che, a conclusione del processo di  ricollocazione  di cui ai commi da 421 a 425, le Regioni e i Comuni, in caso di delega o di altre forme, anche convenzionali, di affidamento di funzioni  alle Citta'  metropolitane  e  alle  Province  o  ad  altri  enti  locali, dispongono contestualmente l'assegnazione del relativo personale  con oneri a carico dell'ente delegante o  affidante,  previa  convenzione con gli enti destinatari.


SINTESI CRITICA DELLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE 
La sentenza al di la delle motivazioni in relazione alle singole questioni di legittimità costituzionali riafferma un principio già esaminato nella sentenza n. 50 del 2015 sulla legge 56/2014. Il principio è che il nodo di fondo della legittimità della nuova legge (attuativa delle 56/2014 in tema di rapporto tra risorse e funzioni assegnate alla nuove Città Metropolitane ma anche alle restanti Province) in quanto, siamo in presenza di una riforma globale delle Province e delle Città metropolitane, per cui gli obblighi che ne derivano non sono comparabili con quelli imposti in un quadro di stabilità dell'assetto istituzionale. Come dire in termini più crudi ma più efficaci:  la riforma è troppo ampia e importante per non dover andare in deroga a quelli che sono stati i principi, anche di livello costituzionale, fino ad ora applicati settorialmente sulle relazioni Stato e autonomie locali e regionali.

Quindi come vedremo dalle motivazioni della sentenza il ragionamento di fondo della Corte Costituzionale è che la riorganizzazione delle autonomie locali con la creazione delle Città Metropolitane rientrando nella competenza esclusiva dello stato può incidere anche sulle necessità degli equilibri di bilancio nazionali facendo prevalere questi ultimi sul coordinamento tra ricollocazione delle funzioni tra città metropolitane, nuove provincie, comuni e regioni e risorse effettivamente a disposizione per esercitarle con efficienza queste funzioni. Anzi si lascia, sarebbe meglio dire si scarica, sulle magre risorse locali e regionali ogni conseguenza finanziaria sulla riorganizzazione delle suddette funzioni. Come dire, e la Corte lo afferma ad un certo punto in questa sentenza, le Regioni potranno riorganizzare le funzioni locali riconosciute dalla legge 56/2014 e della Costituzione ma solo con proprie risorse perché quello che conta sotto il profilo costituzionale, sempre secondo la Corte è “assicurare l'uniformità dei nuovi assetti istituzionali.”  Che poi questi nuovi assetti siano sostenuti da un esercizio effettivo delle funzioni che li sostanziano è cosa che riguarda il livello regionale e locale!

Il riassetto delle funzioni e le relative risorse è stato frutto di una analisi rigorosa  e preventiva? Non è un problema per la Corte Costituzionale secondo la quale: “la legge n. 56 del 2014 aveva già  direttamente   effettuato   l'individuazione   delle   funzioni fondamentali delle Province e di quelle delle  Città  metropolitane” quindi non c’è nessuna assegnazione aprioristica slegata da una valutazione delle funzioni stesse assegnate. Praticamente un giro di parole per dire: le funzioni le ho assegnate come stato quindi se le ho assegnato vuol dire che l’ho fatto con rigore ma questo rigore, anche sotto il profilo della copertura finanziaria, nessuno lo dimostra ovviamente tanto come scrive la Corte in questa sentenza: “le stesse Regioni potranno affidare le funzioni non fondamentali alle Città metropolitane, alle Province  e agli altri enti locali tramite apposite deleghe e   convenzioni,  disponendo contestualmente l'assegnazione del relativo personale. In tal modo viene  garantita la possibilità  di assegnare  le funzioni alla sede istituzionale che si ritiene più  opportuna, sia pure assumendosi l'onere finanziario del personale necessario al loro esercizio”. 
Infatti afferma sempre la Corte le dimensioni generali della riforma: “rendono  evidente l'impossibilità di tener conto di   presunte  specificità territoriali” Ma molte delle riforme assegnate sono strettamente legate alle specificità territoriali: pensiamo a quelle ambientali o allo stesso Piano Strategico della nuova Città Metropolitana!



SINTESI DEL CONTENUTO DELLA SENTENZA  
Riporto di seguito una sintesi delle principali motivazioni del ricorso delle Regioni e delle motivazioni con le quali la Corte Costituzionale non ha accolto le tesi regionali.

MOTIVI RICORSO REGIONI
DECISIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Viene dedotto in  primo  luogo  che  la  normativa  censurata rientrerebbe nella materia «organizzazione amministrativa degli  enti
locali»,  affidata  alla  competenza  legislativa   residuale   delle Regioni, esulando dall'alveo  della  lettera  p)  del  secondo  comma dell'art. 117 Cost., e…..
la legge n. 56 del 2014  all'art.  1  disegna  il
nuovo assetto degli enti territoriali di area vasta nei suoi  aspetti funzionali e organizzativi. Si tratta dunque di una  riforma  che  ha una sua organicità, come riconosciuto nella sentenza n. 50 del  2015
di questa Corte. Si e' quindi  ritenuto  che  un  intervento  di  tal genere non possa che essere riservato a livello normativo  statale  e che in particolare vada ricondotto alla competenza esclusiva  di  cui all'art. 117, secondo comma,  lettera  p),  Cost.  e,  con  specifico riferimento alle Città metropolitane, a quella di cui  all'art.  114
Cost.  Ebbene,  non  c'e'  dubbio  che  la  disciplina   del   personale costituisca uno dei passaggi fondamentali della riforma,  che  se  ne
occupa espressamente nel comma 92 dell'art. 1 della legge n.  56  del 2014. E dunque anche la normativa contenuta nei censurati commi 421 e
seguenti dell'art. 1 della legge n. 190  del  2014,  quale  passaggio attuativo della riforma, deve farsi rientrare nella stessa competenza esclusiva dello Stato.

in subordine, che, anche a volerla ricondurre
alla   materia   del   «coordinamento   della   finanza    pubblica», travalicherebbe i limiti propri dei  principi  fondamentali,  essendo priva del carattere della transitorietà e comprendendo  precetti  di
dettaglio, con violazione del terzo comma dell'art. 117 Cost.

È  vero - come rilevato  dalle Regioni - che alla normativa  in  esame  non  é  estranea  anche  la finalità del coordinamento della finanza pubblica… Ma da ciò  non può desumersi che una riforma di  questa  portata possa essere ricondotta a tale materia e non - come si e' visto  -  a quella di gran lunga prevalente degli «organi di governo  e  funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane.  


Le Regioni sostengono  anzitutto  l'irragionevolezza  della normativa che ha slegato la  riduzione  del  personale  dal  riordino delle funzioni  perfino in violazione degli indirizzi della legge 56/2014

Alla  data  di   emanazione   della   normativa censurata, da una parte, il nuovo assetto funzionale  era  ben  lungi
dall'essere  realizzato  e,   dall'altra, risultava  evidente   la molteplicità delle soluzioni previste. Il legislatore statale ha dunque ritenuto necessario intervenire,
sia per  imprimere  una  spinta  acceleratoria,  sia  per  assicurare l'uniformità dei nuovi assetti istituzionali.
Al riguardo, va anzitutto sottolineato che il legislatore
ha scelto di non avvalersi del potere sostitutivo, pure previsto  dal comma 95 dell'art. 1 della legge n. 56  del  2014,  optando  per  una soluzione meno invasiva e limitandosi a porre dei "paletti" indiretti alla nuova aggregazione delle funzioni, attraverso  la  distribuzione del personale e della relativa spesa.
Ciò  indubbiamente ha comportato la riduzione  della   sfera decisionale delle Regioni rispetto alla  disciplina  contenuta  nella legge n. 56 del 2014 e nel d.P.C.m. 26 settembre 2014, disciplina che peraltro non può  certo  considerarsi  vincolante,  come invece sostanzialmente ritengono le ricorrenti.
Tuttavia il potere di intervento delle Regioni sulla
individuazione  delle  funzioni non fondamentali e  sulla   loro allocazione è salvaguardato grazie al disposto del  comma  427 dell'art. 1 della legge censurata, secondo il  quale,  a  conclusione del processo di ridistribuzione  del  personale,  le stesse Regioni potranno affidare le funzioni non fondamentali alle Città metropolitane, alle Province  e agli altri enti locali tramite apposite deleghe e   convenzioni,  disponendo contestualmente l'assegnazione del relativo personale. In tal modo viene  garantita la possibilità  di assegnare  le funzioni alla sede istituzionale che si ritiene più  opportuna, sia
pure assumendosi l'onere finanziario del personale necessario al loro esercizio.

Altro  profilo  di  irragionevolezza  viene  dedotto  dalle
ricorrenti  in  relazione  al  rischio,  che  la   nuova   disciplina comporterebbe, di non corrispondenza tra funzioni e risorse.

la legge n. 56 del 2014 aveva già  direttamente   effettuato   l'individuazione   delle   funzioni fondamentali delle Province e di quelle delle  Città  metropolitane. E' dunque, anche sulla base di tale operazione che si é proceduto  a quantificare le risorse umane e  materiali necessarie per il loro esercizio.  Ciò porta ad escludere che vi sia stata, come lamentato dalle Regioni, una riduzione del personale aprioristica e quindi di per sé irragionevole in quanto del tutto  slegata dalla valutazione  delle funzioni.

assunto  che  il  taglio  del   personale renderebbe  impossibile  lo   svolgimento   delle   stesse   funzioni
si tratta di una mera affermazione non supportata  da
alcun dato, a  parte  quello isolato della Regione Veneto,  circa l'entità  del  personale  addetto alle  funzioni  fondamentali. La Regione, peraltro, indica percentuali fino all'80 per cento, senza però, efficacemente argomentare sulla necessità, in concreto, di un tal numero di dipendenti - invero abnorme - per lo svolgimento delle funzioni fondamentali

censura di violazione dell'art. 118  Cost., secondo cui le Regioni sarebbero costrette a tradire i principi di
sussidiarietà e adeguatezza nella riallocazione delle  funzioni non fondamentali, perché condizionate dalla dotazione organica che la disciplina impugnata ha cristallizzato.

La tesi tocca implicitamente la ragione  di  fondo  della
controversia, poiché  l'intervento dello Stato é proprio finalizzato ad  evitare  che  l'utilizzo "ampio" di  questi  principi  porti  a conservare in capo agli enti intermedi gran parte -  o  comunque  una porzione notevole - delle funzioni non fondamentali:ciò, infatti, sarebbe contraddittorio rispetto alla prospettiva in cui si muove  il legislatore statale, che, come è noto, è quella della  soppressione delle Province o quantomeno del loro ridimensionamento. Ma, come si è già avuto modo di rilevare, il legislatore si è anche preoccupato di prevedere un  apposito  meccanismo,nel citato
comma 427, che permette l'allocazione in capo alle  Province  e  alle Città metropolitane delle funzioni non  fondamentali  in  attuazione del principio di sussidiarietà e adeguatezza  di  cui  all'art.  118 Cost., sia pure imponendo l'assunzione da  parte  delle  Regioni  dei
relativi oneri finanziari, a garanzia di un utilizzo del  potere  nei casi di stretta ed effettiva necessità..

ulteriore  censura  secondo  cui sarebbe irragionevolmente  discriminatoria  la  riduzione  in   modo indifferenziato  della  dotazione  organica  per   tutti gli enti coinvolti,  e  quindi  senza  tener  conto  delle   diverse realtà territoriali

Le considerazioni finora svolte circa la portata della riforma  e la necessità  di una disciplina uniforme   rendono  evidente l'impossibilità di tener conto di   presunte  specificità territoriali; e ciò vale in particolare per la pretesa della Regione Veneto di un trattamento diversificato per le Regioni "virtuose", per quelle  cioè  che hanno già  "ottimizzato la loro struttura organizzativa", anche considerando che la  disciplina  in  esame  non risponde certo a logiche di premialità, legate invece  a  situazioni naturalmente contingenti.

violazione  del  principio  di   buon andamento della pubblica amministrazione di cui  all'art.  97  Cost., evocato sotto il profilo del rischio di assorbimento di personale non qualificato

non  va  dimenticato  che  l'art.  4  del  d.P.C.M.  26
settembre 2014 prevede che le amministrazioni interessate al riordino individuino il personale attenendosi, tra l'altro, al criterio  dello
svolgimento, in via prevalente, di compiti  correlati  alle  funzioni oggetto di trasferimento. Resta  comunque  la  possibilita'  che  ad  un  cosiì  rilevante riassetto organizzativo-funzionale segua un'adeguata riqualificazione del personale, ma cio' non puo' costituire ragione di  impedimento  e tantomeno vizio di legittimita' costituzionale.




[1] http://www.gazzettaufficiale.it/atto/corte_costituzionale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2016-07-13&atto.codiceRedazionale=T-160159

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