Il Consiglio di Stato con
sentenza n° 8393 pubblicata il 28 dicembre 2020 (QUI), è
nuovamente intervenuto per chiarire quanto i cittadini che vivono o hanno
titolarità di beni immobiliari vicino a siti dove sono proposti progetti
sottoposti a Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) sono legittimati ad
impugnare il provvedimento finale di questo procedimento.
Il caso riguarda un
impianto di biogas ma i principi affermati valgono per qualsiasi altro progetto
sottoponibile a VIA.
Chi contesta la
legittimità ad impugnare dei cittadini nel caso in esame ha sostenuto che è: “mancata
dimostrazione di un pregiudizio effettivo da parte dei ricorrenti: la stessa
parte appellante, infatti, non contesta la sufficienza del criterio di
collegamento (incentrato sulla residenza dei ricorrenti ovvero sulla titolarità
in capo agli stessi di diritti di proprietà o attività imprenditoriali
nell’area), ove accompagnato, appunto, alla prova di un effettivo pregiudizio
di ordine ambientale”.
Il Consiglio di Stato nella sentenza qui esaminata, nel confermare la sentenza del TAR appellata da chi contesta la legittimazione dei cittadini, afferma che la sentenza appellata si regga condivisibilmente, in ordine alla questione in esame, sul principio di prova fornito dai ricorrenti, come evidenziato dal giudice di primo grado, in ordine ai pregiudizi ambientali derivanti dall’impianto oggetto dell’impugnata autorizzazione: ciò in quanto l’esigenza di garantire il diritto costituzionale di azione a tutela del proprio interesse legittimo mal si concilia con la pretesa di uno standard probatorio di maggiore spessore, prossimo alla prova piena del pregiudizio, come assume la parte appellante.
A conforto della sue
sposta conclusione il Consiglio di Stato cita recente giurisprudenza precedente
( Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4383 dell’8 luglio 2020 - QUI : progetto impianto di
generazione elettrica tramite combustione di biogas), che ha superato un orientamento più lontano
nel tempo (Consiglio di Stato sez. IV 15 dicembre 2017 n. 5908 QUI e sez. V
16 aprile 2013 n. 2095) secondo il quale
la semplice vicinitas, ovvero l’essere proprietari di immobili nelle
vicinanze di un impianto che si ritiene inquinante ovvero l’essere residenti
nei pressi, non è sufficiente a fondare la legittimazione ad impugnare i
provvedimenti che quell’impianto hanno assentito, dato che occorrerebbe dare la
prova positiva di un danno che da esso deriverebbe.
Di contro la sentenza
4383/2020 (ora confermata dalla sentenza 8393 qui esaminata) ha evidenziato che
“tale orientamento è però superato nella giurisprudenza più recente - per
tutte C.d.S. sez. VI 23 maggio 2019 n. 3386 QUI e 24 aprile 2019 n. 2645 QUI - secondo il quale uno stabile collegamento con un
terreno vicino all’intervento di cui si tratta è sufficiente a fondare sia la
legittimazione che l’interesse a ricorrere, senza dover allegare e provare uno
specifico pregiudizio per effetto dell’attività intrapresa sul suolo limitrofo;
nei casi decisi dalle sentenze citate, si trattava di un’attività edilizia, ma
il principio a maggior ragione vale per la costruzione di un impianto
termoelettrico, notoriamente fonte di possibile inquinamento acustico e
dell’aria per tutta la durata del suo esercizio. Quanto si è detto vale anche
per (…) l’ipotesi in cui un dato soggetto, come la ricorrente appellata
indicata in quella sede, sia proprietario di un immobile nelle vicinanze, nella
specie di un terreno, ma non lo usi per abitarci: è del tutto evidente che un
impianto potenzialmente inquinante situato in prossimità di un terreno ne
diminuisce il valore di mercato”.
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