mercoledì 13 gennaio 2021

Regolamenti antenne compatibili con il diritto UE: il primo pronunciamento del Consiglio di Stato dopo la decisione della Corte di Giustizia UE

Il Consiglio di Stato interviene con una nuova sentenza avente per oggetto il regolamento comunale antenne di telefonia mobile. La sentenza del Consiglio di Stato riprende per la prima volta la ordinanza della Corte di Giustizia con la quale era stato dichiarato irricevibile il rinvio (con ordinanza sempre del Consiglio di Stato) all'organo della giustizia europea al fine di chiarire se i regolamenti comunali di localizzazione delle antenne di telefonia mobile siano o meno conformi al diritto europeo in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica. Il Consiglio di Stato nella stessa sentenza riprende specificandoli ulteriormente i contenuti che devono avere detti regolamenti per essere coerenti con la normativa quadro nazionale a cominciare dal codice di comunicazione elettronica.

Nel post che segue analizzerò, prima di tutto, la ordinanza della Corte di Giustizia e le motivazioni in essa contenute che hanno portato a dichiarare irricevibile il rinvio del Consiglio di Stato e quindi indirettamente a confermare la legislazione nazionale che prevede i regolamenti comunali di localizzazione antenne.

In secondo luogo verrà analizzata la nuovissima sentenza del Consiglio di Stato che interviene su alcune questioni rilevanti per i contenuti che devono avere i Regolamenti comunali: quale distinzione tra criteri di localizzazione e limiti generalizzati nei Piani Comunale Antenne, Quali divieti per i siti c.d. sensibili nei Piani Antenne Comunali, quali delocalizzazioni delle antenne esistenti nei Piani Antenne Comunali, quali Monitoraggi istruttori per la autorizzazione delle antenne previste dai Piani

ORDINANZA DEL CONSIGLIO DI STATO DI RINVIO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA 

Il Consiglio di Stato con ordinanza 2033 del  27 marzo 2019 aveva deciso di sollevare domanda pregiudiziale alla Corte di Giustizia della UE relativamente al quesito seguente : “Se il diritto dell’Unione europea osti a una normativa nazionale (come quella di cui all’articolo 8, comma 6, della [legge quadro]) intesa ed applicata nel senso di consentire alle singole amministrazioni locali criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile, anche espressi sotto forma di divieto, quali il divieto di collocare antenne in determinate aree ovvero ad una determinata distanza da edifici appartenenti ad una data tipologia”.

Avevo trattato della decisione del Consiglio di Stato QUI, dove troverete una sintesi dei motivi della suddetta ordinanza.

In altri termini, da parte del Consiglio di Stato, si chiedeva se le Amministrazioni Comunali avessero titolo ad approvare regolamenti contenenti divieti alla localizzazione di antenne di telefonia mobile in determinate aree del territorio di loro competenza e quindi di conseguenza se la legge che disciplinava tal potere comunale (legge 36/2001 articolo 8) stabilendo che: “ 6. I comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici con riferimento a siti sensibili individuati in modo specifico, con esclusione della possibilità di introdurre limitazioni alla localizzazione in aree generalizzate del territorio di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche di qualsiasi tipologia e, in ogni caso, di incidere, anche in via indiretta o mediante provvedimenti contingibili e urgenti, sui limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sui valori di attenzione e sugli obiettivi di qualità, riservati allo Stato”.  


 

LA CORTE DI GIUSTIZIA SI È PRONUNCIATA SULLA DOMANDA FORMULATA DAL CONSIGLIO DI STATO

Con ordinanza (QUI) del 16 gennaio 2020 (causa C/368-19) la Corte di Giustizia ha dichiarato manifestamente irricevibile la domanda pregiudiziale avanzata dal Consiglio di Stato con le seguenti motivazioni che si riportano in sintesi di seguito.

Il Consiglio di Stato con la sua ordinanza di rinvio alla interpretazione della Corte di Giustizia fa riferimento alla Direttiva 2002/22/CE (relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica), ed in particolare alla sentenza del 17 febbraio 2011, The Number (UK) e Conduit Enterprises (C‑16/10, EU:C:2011:92, punto 38), nella quale la Corte ha statuito che l’articolo 3, paragrafo 2 [NOTA 1] , di tale direttiva non può essere interpretato in un modo che ampli la portata della designazione di imprese prevista dall’articolo 8, paragrafo 1 [NOTA 2], della direttiva stessa, tale per cui uno Stato membro potrebbe imporre ad un’impresa così designata obblighi diversi da quelli previsti dalle disposizioni della direttiva summenzionata. Sulla base di questa sentenza il Consiglio di Stato, nella sua ordinanza di rinvio alla Corte di Giustizia, poneva dei dubbi riguardo alla questione se la direttiva «servizio universale», e in particolare gli articoli 3 e 8 di quest’ultima, possano ostare ad una normativa nazionale, quale quella in discussione nei procedimenti principali, che permette alle diverse amministrazioni locali di stabilire dei criteri di installazione degli impianti di telefonia mobile, anche sotto forma di divieti, come quello di installare impianti in determinate zone o ad una certa distanza da immobili rientranti in una determinata categoria.

 

La Corte di Giustizia rispetto ai dubbi sollevati dal Consiglio di Stato afferma che, da un lato, come risulta dall’articolo 8 della direttiva «servizio universale», quest’ultima riguarda unicamente la designazione, da parte degli Stati membri, di imprese che forniscono un servizio universale. Dall’altro lato, i servizi di comunicazione mobile sono, per definizione, esclusi dall’«insieme minimo di servizi» definito nel capo II di tale direttiva, in quanto la loro fornitura non presuppone un accesso e una connessione in postazione fissa ad una rete di comunicazioni pubblica (sentenza dell’11 giugno 2015, Base Company e Mobistar, C‑1/14, EU:C:2015:378, punto 37).

Non solo ma la Corte di Giustizia precisa altresì: “risulta dalla formulazione stessa della questione sollevata dal giudice del rinvio che la normativa nazionale in discussione nei procedimenti principali si applica proprio all’installazione di impianti di telefonia mobile, i cui servizi sono, in via di principio, esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva «servizio universale”. 

Da questa conclusione deriva la irricevibilità della questione sollevata dal Consiglio di Stato in quanto l’ordinanza di rinvio di quest’ultimo non ha illustrato i motivi per i quali una decisione resa dalla Corte, riguardante l’interpretazione degli articoli 3 e 8 della direttiva «servizio universale», sarebbe utile ai fini della soluzione delle controversie che esso è chiamato a dirimere, in conformità dell’articolo 267 TFUE (competenze della Corte di Giustizia) [NOTA 3].

 

 

LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO SUCCESSIVA ALLA ORDINANZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA

Con sentenza n° 374 pubblicata l’11 gennaio 2021 (QUI) il Consiglio di Stato è nuovamente intervenuto sulla legittimità del regolamento comunale di Roma che aveva fatto nascere l’ordinanza di rinvio alla Corte di Giustizia.

Si tratta quindi della prima sentenza del Consiglio di Stato che tiene conto della decisione della Corte di Giustizia che non ha dichiarato (per irricevibilità) in contrasto con il diritto comunitario la normativa italiana che prevede il potere dei Comuni di approvare regolamenti sulla localizzazione delle antenne di telefonia mobile.

Su come la giurisprudenza nazionale ha interpretato questo poteri dei Comuni ho ampiamente trattato QUI, elencando in sintesi (attraverso la ricostruzione della giurisprudenza nazionale in materia) cosa poteva essere inserito in questi regolamenti senza violare ne la legge 36/2001 ne il Codice delle Comunicazioni Elettroniche (DLGS 259/2003) ne diritti costituzionali a cominciare dalla materia ambiente come è noto di competenza esclusiva dello Stato ma anche altri diritti come quello di libertà di iniziativa economica privata.

La nuova sentenza relativamente alla legittimità del regolamento comunale romano riprende precisandoli ulteriormente, rispetto alla casistica specifica di detto regolamento, i legittimi contenuti dei Piani Antenne Comunali come riportati dalla precedente giurisprudenza amministrativa (per una analisi di questa vedi  QUI)

In particolare la nuova sentenza interviene su:


Distinzione tra criteri di localizzazione e limiti generalizzati nei Piani Comunale Antenne

Come sappiamo da giurisprudenza precedente univoca con detti Piani non possono contenere limiti generalizzati che escludono per ampie aree del Comune la installazione delle antenne. Nel caso trattato dalla nuova sentenza del Consiglio di Stato le aree individuate dal regolamento, dove non localizzare le antenne,  sono definite come preferenziali ed è espressamente previsto che le restanti aree possano essere utilizzate in caso le prime risultino impossibili, inidonee o insufficienti a garantire la copertura dei servizi. Inoltre per la specifica localizzazione vengono indicati criteri da privilegiare, se tecnicamente possibile, e compatibilmente con gli obiettivi di minimizzazione dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici.

Tutto questo per il Consiglio di Stato è compatibile con i principi stabiliti dalla giurisprudenza, che in questa sede devono essere confermati, e in particolare quello per cui la disciplina regolamentare può stabilire anche divieti di installazione su ampie aree purché sia possibile la localizzazione in aree alternative senza che ciò comporti difficoltà di funzionamento del servizio; è compito dell’amministrazione, nel confronto con gli operatori, garantire la corretta interpretazione, nei casi concreti, dei criteri stabiliti dal regolamento comunale. Del resto solo il confronto tra le parti, prevede altra norma del regolamento comunale in questione, può assicurare nel bilanciamento dei diversi interessi la pianificazione degli interventi e il corretto svolgimento dei procedimenti.

 

Quale divieto per i siti c.d. sensibili nei Piani Antenne Comunali

Il Regolamento Comunale oggetto della sentenza del Consiglio di Stato prevede un divieto assoluto di installare impianti su siti sensibili quali ospedali, case di cura e di riposo, scuole ed asili nido, oratori, orfanotrofi, parchi gioco, ivi comprese le relative pertinenze, ad una distanza non inferiore a 100 m. calcolati dal bordo del sistema radiante al perimetro esterno.

Secondo il Consiglio di Stato questa disposizione si presenta come un divieto generalizzato potenzialmente in grado di impedire la concreta diffusione della rete sull’intero territorio comunale. Il comune avrebbe potuto indicare invece i siti sensibili come luoghi in cui non procedere tendenzialmente alle installazioni salvo comprovata necessità per mancanza di soluzioni alternative. Allo scopo sarebbe stato sufficiente non inserire nell’articolo del regolamento contestato il seguente passaggio: “con l’obbligo del rispetto delle aree e siti di cui all’articolo 4 del presente regolamento”. Inoltre, il calcolo della distanza a partire dal bordo del sistema radiante al perimetro esterno comprendendo anche le pertinenze dei siti sensibili appare, specie per gli effetti che può determinare in alcune aree della città, come un ulteriore elemento di limitazione generalizzata.

 

Quali delocalizzazioni delle antenne esistenti nei Piani Antenne Comunali

Secondo il Consiglio di Stato è legittimo che il regolamento preveda azioni di riqualificazione “anche mediante interventi di rilocalizzazione degli impianti”. La disposizione contestata deve essere interpretata in questo ambito, laddove precisa che “la riduzione a conformità è un processo che deve essere attuato ogni volta che venga riscontrato il superamento, con il contributo di una o più sorgenti, dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione o degli obiettivi di qualità previsti dagli articoli 3 e 4 del DPCM 8 luglio 2003, dal disposto di cui alla legge n. 221 del 2012”.

Il fatto che il regolamento preveda la delocalizzazione delle installazioni ricadenti nella città storica e nel centro storico patrimonio dell’Unesco  secondo il Consiglio di Stato va interpretato nel senso che tale previsione si limita a indicare che di essa si dovrà tenere conto, come afferma il regolamento in questione, nelle azioni di riqualificazione  “nei modi concordati anche con gli operatori” per la rimozione e rilocalizzazione “degli impianti attualmente collocati in siti incompatibili con i vincoli preesistenti”.

Quindi secondo il Consiglio di Stato, diversamente da quanto afferma l’appellante, l’articolo contestato non prevede la delocalizzazione delle installazioni ricadenti nella città storica, ma la particolare considerazione anche di tale collocazione nell’attuazione degli interventi di risanamento.

 

Possibilità di monitoraggi istruttori per la autorizzazione delle antenne previste dai Piani

Il regolamento contestato prevede l’adozione di un sistema di monitoraggio delle sorgenti di campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico. Secondo il Consiglio di Stato la censura proposta è inammissibile dato che la loro eventuale lesività deve essere valutata nella fase applicativa con riferimento ai singoli procedimenti non essendo di per sé illegittimo che il comune prescriva l’acquisizione di elementi istruttori secondo modalità che non appaiono irragionevoli in funzione dei compiti di controllo di propria competenza.

 

 

 

 



[1]2. Gli Stati membri determinano il metodo più efficace e adeguato per garantire l’attuazione del servizio universale, nel rispetto dei principi di obiettività, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità. Gli Stati membri mirano a limitare le distorsioni del mercato, in particolare la fornitura di servizi a prezzi o ad altre condizioni che divergano dalle normali condizioni commerciali, tutelando nel contempo l’interesse pubblico”.

[2]1. Gli Stati membri possono designare una o più imprese perché garantiscano la fornitura del servizio universale quale definito agli articoli 4, 5, 6 e 7 e, se del caso, all’articolo 9, paragrafo 2, della presente direttiva in modo tale da poter coprire l’intero territorio nazionale. Gli Stati membri possono designare più imprese o gruppi di imprese per fornire i diversi elementi del servizio universale e/o per coprire differenti parti del territorio nazionale.”

[3] La ordinanza della Corte di Giustizia così motiva ulteriormente la irricevibilità della ordinanza di rinvio del Consiglio di Stato: “Ora secondo una consolidata giurisprudenza della Corte, il procedimento istituito dall’articolo 267 TFUE costituisce uno strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi di interpretazione del diritto dell’Unione a questi necessari per la soluzione della controversia che essi sono chiamati a dirimere. dato che la decisione di rinvio costituisce il fondamento del procedimento attivato dinanzi alla Corte, è indispensabile che il giudice nazionale chiarisca, in tale decisione, il contesto di fatto e di diritto nel quale si iscrive la controversia oggetto del giudizio a quo, e fornisca un minimo di spiegazioni in merito alle ragioni della scelta delle disposizioni del diritto dell’Unione di cui esso chiede l’interpretazione, nonché al collegamento che esso stabilisce tra tali disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla controversia sottoposta alla sua cognizione”. 

 





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