Pubblico di seguito la sintesi (alla fine delle quali
troverete i link per accedere al testo completo) delle parti più significative
di 4 studi che analizzano il rapporto tra concentrazioni polveri fini (PM10 e
PM2,5) ossidi di azoto e mortalità correlabile.
Gli studi riguardano aree cittadine della pianura Padana e
da questi si ricava il permanere di una cattiva qualità dell’aria e come queste aree devono alti carichi di
mortalità derivante dall’inquinamento atmosferico rispetto alla media UE.
Particolarmente significativi sono i dati pubblicati nel
2020 dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente dai quali si ricava
come l’inquinamento da polveri fini sia rimasto molto significativo nonostante
il lungo periodo di lockdown da emergenza COVID19.
Vediamo comunque specificamente questi studi:
CONCENTRAZIONI A LUNGO TERMINE DI PARTICOLATO FINE E IMPATTO SULLA SALUTE UMANA A VERONA (DOCUMENTAZIONE INTERNAZIONALE)
Studio pubblicato su ScienceDirect [NOTA 1] sul rapporto tra presenza di concentrazioni di PM 2,5 (2,5 micron di diametro) e impatto sulla salute pubblica.
Lo studio riguarda la
città di Verona che vede la presenza di una cattiva qualità dell'aria anche per
la posizione vicino al centro della Pianura Padana, una delle zone più
inquinate d'Italia e d'Europa. Elevate concentrazioni di inquinanti, in
particolare di particelle di aerosol fini, sono associate a effetti nocivi
sulla salute umana. Lo studio analizza le misurazioni a terra del particolato
con diametro (PM2,5) e (PM10) registrato a Verona e provincia dal 2002 al 2015.
I mezzi annuali e il numero di giorni in cui sono state superate le norme
europee mostrano che la qualità dell'aria è leggermente migliorata nel periodo
analizzato, con tendenze negative statisticamente significative presenti sia
nei livelli di PM10 che di PM2,5. La mortalità annuale dovuta a diverse
malattie attribuibili al PM2,5 è stata stimata per il periodo 2009-2014
impiegando funzioni di concentrazione-risposta basate su studi di coorte
epidemiologica. I risultati mostrano che, in media, circa 299 decessi all'anno
(3 sono neonati) sono causati da malattie correlate al PM2,5 nella provincia di
Verona. Tra questi, circa 88 decessi all'anno (1 è neonato) si verificano nel
comune di Verona. Ciò significa che sui decessi totali dovuti a malattie del
sistema respiratorio e cardiovascolare un numero significativo è attribuibile
all'esposizione a lungo termine all'inquinamento da PM2,5.
TESTO COMPLETO DELLO STUDIO:
QUI.
PERCEZIONE
PUBBLICA DELLE FONTI DI INQUINAMENTO ATMOSFERICO IN TUTTA EUROPA
(DOCUMENTAZIONE INTERNAZIONALE)
Studio pubblicato su SpringerLink [NOTA 2].
Secondo lo studio
l'inquinamento atmosferico è una delle principali preoccupazioni della nostra
società per i suoi effetti sulla salute umana e sull'ambiente. Tra le misure
politiche che possono essere messe in atto per limitare le emissioni di
inquinanti atmosferici, oltre alle tecnologie ci sono gli strumenti normativi.
Altrettanto importanti sono le misure comportamentali, che richiedono il
coinvolgimento attivo dei cittadini. Il successo di qualsiasi misura volta a
limitare le emissioni inquinanti richiede l'accettazione da parte dei cittadini
che, a sua volta, implica una corretta percezione dei principali fattori di
emissione inquinanti.
Lo studio quindi presenta
il confronto tra la percezione pubblica delle fonti di inquinamento atmosferico
e la situazione reale attraverso un'indagine condotta in sette paesi europei e
che ha coinvolto 16 101 intervistati.
Lo studio mostra una
drastica sottovalutazione del contributo del settore agroalimentare
all'inquinamento atmosferico. Questo risultato è comune a tutti gli intervistati
nei sette paesi esaminati e dipende solo in piccola parte dal sesso, dall'età e
dallo status socioeconomico degli intervistati.
TESTO COMPLETO DELLO STUDIO:
QUI
SUPERAMENTI LIMITE GIORNALIERO PM10 NEL 2020 (DOCUMENTAZIONE NAZIONALE)
Dati del Sistema
Nazionale per la Protezione dell’Ambiente derivanti dalle stazioni di monitoraggio del PM10 (particolato fine di
10 micron di diametro) presenti sul territorio nazionale.
Secondo il rapporto SNPA i
dati del PM10 registrati nel 2020, relativi a complessive 534 stazioni di
monitoraggio, evidenziano che il valore limite giornaliero (50 μg/m3, da non
superare più di 35 volte in un anno) è stato superato in 155 stazioni (29%), in
larga prevalenza (131 stazioni su 534) nel bacino padano (Piemonte, Lombardia,
Emilia-Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia).
Per quanto riguarda invece
il valore di riferimento OMS giornaliero (50 μg/m3, da non superare più di 3
volte in un anno), è stato superato nel 2020 in 405 stazioni (75,8%). In
questo caso i superamenti interessano tutte le regioni italiane, con la sola
eccezione della provincia autonoma di Bolzano.
L’aspetto significativo è
che, nonostante i blocchi COVID19, i
dati del 2020 sono in generale superiori rispetto all’anno precedente per
quanto riguarda il limite di legge, che nel 2019 era stato superato nel 22% delle
stazioni (115 su 521), e sostanzialmente analoghi rispetto al valore di
riferimento dell’OMS che nel 2019 era stato superato nel 76% (395 su 521) delle
stazioni di monitoraggio
LINK AI DATI: QUI.
MORTALITÀ PREMATURA DOVUTA ALL'INQUINAMENTO ATMOSFERICO NELLE CITTÀ EUROPEE (DOCUMENTAZIONE INTERNAZIONALE)
Studio pubblicato su The Lancet.
Finalità dello studio
Secondo lo studio l
'esatta entità degli effetti sull'inquinamento atmosferico sulla salute a
livello cittadino è ancora in gran parte sconosciuta. L'obiettivo dello studio era
stimare la percentuale di decessi annuali prevenibili dovuti all'inquinamento
atmosferico in quasi 1000 città europee.
Metodologia usata
Lo studio ha svolto una
valutazione quantitativa dell'impatto sulla salute per l'anno 2015 per stimare
l'effetto dell'esposizione all'inquinamento atmosferico (PM2,5 e NO2) sulla
mortalità per cause naturali per i residenti adulti (di età compresa tra ≥20
anni) in 969 città e 47 grandi città in Europa. La Corte ha stimato l'onere
annuale di mortalità prematura prevenibile se i valori raccomandati dall'OMS
(ad esempio, 10 μg/m3 per PM2·5 e 40 μg/m3 per NO2) sono stati raggiunti e se
le concentrazioni di inquinamento atmosferico sono state ridotte ai valori più
bassi misurati nel 2015 nelle città europee (ad esempio, 3,7 μg/m3 per PM2·5 e
3,5 μg/m3 per NO2). Lo studio ha raggruppato e classificato le città sulla base
della popolazione e dell'onere di mortalità standardizzato per età associato
all'esposizione all'inquinamento atmosferico. Inoltre, sono state svolte
diverse analisi di incertezza e sensibilità per testare la fondatezza delle
stime.
Risultati significativi
Il più alto carico di
mortalità da PM2·5 è stato stimato per le città della Pianura Padana (Italia
settentrionale), Polonia e Repubblica Ceca. Il più alto onere di mortalità per
NO2 è stato stimato per le grandi città e le capitali dell'Europa occidentale e
meridionale.
TESTO COMPLETO DELLO STUDIO:
QUI.
Studio metodologico del Dipartimento di Epidemiologia ASL 1 Roma, Arpae e Dipartimento valutazione e sosteniblità ambientale Ispra.
Lo studio parte dalla necessità di uno strumento per la valutazione dell’esposizione, omogeneo e applicabile su tutto il territorio nazionale. Esistono già esperienze in Italia di modelli ad alta risoluzione spazio-temporale, per la stima del materiale particolato (PM), con l’uso di predittori spazio-temporali, dati satellitari, dati di monitoraggio della qualità dell’aria. Il nuovo studio completa la disponibilità di queste stime per gli anni più recenti (2016-2019) e viene applicato anche per stimare gli ossidi di azoto e l’ozono. Le stime modellistiche sono state utilizzate per calcolare la PWE (population - weighted exposure : esposizione ponderata della popolazione) come media annua pesata sulla popolazione residente in ogni singola cella, che rappresenta la stima dell’esposizione cronica all’inquinamento atmosferico della popolazione italiana. Queste stime sono pronte per essere utilizzate negli studi sull’associazione tra esposizione cronica all’inquinamento atmosferico e patologia COVID-19, così come per indagini sul ruolo dell’inquinamento dell’aria sulla salute della popolazione italiana.
Dallo studio emerge la
conferma di concentrazioni di PM più elevate in pianura padana e nei maggiori
centri abitati, concentrazioni di NO2 più elevate nelle maggiori metropoli del
nord e in corrispondenza delle principali arterie stradali. I livelli di ozono,
come atteso in base ai complessi meccanismi di formazione di questo inquinante,
sono più alti in quota, sui rilievi appenninici e alpini, e mostrano
generalmente un gradiente positivo dall’interno verso l’esterno dei centri
abitati.
La PWE calcolata per le 10
città maggiormente popolate (con più di 300.000 abitanti), evidenzia come,
mediamente, la popolazione di queste città sia esposta a livelli di biossido di
azoto maggiori rispetto al resto della popolazione residente in aree diverse.
Si apprezzano comunque importanti differenze tra le diverse aree urbane. Per
esempio, emerge una significativa differenza di esposizione della popolazione
di Milano rispetto a quella di Roma o Napoli. Tali differenze sono dovute non
tanto al carico emissivo complessivo, quanto al contesto orografico e climatico
completamente diverso e sfavorevole per Milano e tutta l’area del bacino
padano.
Dallo studio si ricava il
grande vantaggio di raccogliere dati uniformi a livello nazionale, che si
traduce nella possibilità di sviluppare studi su tutto il territorio italiano,
così come indagini su aree più ristrette (regione, provincia, comune), ma che
consentano la comparabilità dei risultati tra aree diverse per quanto riguarda
l’esposizione della popolazione all’inquinamento atmosferico, in quanto basati
su protocolli di raccolta e analisi dei dati comuni e standardizzati. Questo
strumento è disponibile e gestito dalla Rete italiana ambiente e salute (RIAS;
https://rias.epiprev.it/), che coinvolge le strutture sanitarie e ambientale
del Paese. Potrà, quindi, essere utilizzato per la valutazione dell’esposizione
della popolazione in studi sulla relazione fra inquinamento atmosferico e
salute umana. Come prima applicazione, sarà utilizzato dal progetto nazionale
EpiCovAir, promosso dall’ISS e dal SNPA, in collaborazione con la Rete italiana
ambiente e salute, che prevede un programma di studi epidemiologici per
indagare le possibili relazioni fra inquinamento atmosferico e COVID-19. In
modo analogo, potrà essere utilizzato per analoghi studi regionali e locali su
inquinamento atmosferico e COVID-19, così come sullo studio delle relazioni fra
inquinamento e altre patologie.
Studio pubblicato su
Science Direct sulla correlazione tra
presenza inquinamento atmosferico e sviluppo del COVID19.
Lo studio rileva che pur
essendo simili le misure prese dai Governi contro la diffusione di COVID-19,
all'interno dei singoli Paesi, il tasso di incidenza varia tra le aree (ad
esempio, contee, città). Una potenziale spiegazione è che le persone in alcune
aree sono più vulnerabili alla malattia da coronavirus a causa delle loro
condizioni di salute peggiorate causate dall'esposizione a lungo termine a una
scarsa qualità dell'aria. Lo studio indaga per verificare se l'esposizione a
lungo termine all'inquinamento atmosferico aumenti il rischio di infezione da
COVID-19 in Germania. I risultati mostrano che il biossido di azoto (NO) è
significativamente associato all'incidenza di COVID-19, con un aumento di 1
microgrammo per m3 di aria dell'esposizione a lungo termine all'NO che aumenta
il tasso di incidenza di COVID-19 del 5,58% (intervallo credibile al 95% [CI]:
3,35 %, 7,86%). Questo risultato è coerente in vari modelli. Le analisi possono
essere riprodotte e aggiornate regolarmente utilizzando fonti di dati pubbliche.
TESTO COMPLETO DELLO STUDIO: QUI .
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