La Corte di
Giustizia con sentenza del 14 ottobre 2020 causa C-629/19 (QUI)
ha deciso sulla questione pregiudiziale relativa alla classificazione dei
fanghi da depurazione come rifiuti o meno in base alla interpretazione
sistematica tra la lettera a) paragrafo 2 articolo Direttiva 2008/98/CE che
esclude le acque di scarico dalla normativa rifiuti [NOTA 1] e la
Direttiva 91/271/CEE [NOTA 2] sulle acque reflue urbane.
La Direttiva 2008/98 chiarisce però che le acque di scarico sono escluse nella “misura in cui sono contemplati da altra normativa comunitaria”. Quindi, afferma la Corte nella sentenza in esame, il legislatore dell’Unione ha in tal modo inteso qualificare espressamente le acque reflue come «rifiuti», ai sensi di detta direttiva, pur prevedendo che tali rifiuti possano, a determinate condizioni, esulare dal suo ambito di applicazione e rientrare in un’altra normativa (nel caso di specie la Direttiva 91/271/CEE). Ma perchè questa possa accadere, aggiunge la Corte, occorre che l’altra normativa disciplini in termini di tutela ambientale le sostanze in questione (acque reflue) allo stesso livello della direttiva sui rifiuti.
Secondo la sentenza in
esame la Direttiva 91/271 non garantisce un siffatto livello di tutela.
Sebbene disciplini la raccolta, il trattamento e lo scarico delle acque reflue,
essa non contiene disposizioni precise relative alla gestione dei fanghi di
depurazione. Pertanto, non può ritenersi che essa riguardi la gestione di
questi ultimi e garantisca un livello di tutela almeno equivalente a quello che
risulta dalla direttiva 2008/98.
Ne soccorre in questo
senso la Direttiva 86/278/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1986,
concernente la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione
dei fanghi di depurazione in agricoltura non è quindi rilevante in generale
ad escludere i fanghi depurazione dalla classificazione come rifiuti anche in
relazione al caso specifico oggetto della domanda pregiudiziale che ha per oggetto la qualificazione dei
fanghi di depurazione inceneriti in un impianto di incenerimento come materiali
residui per il recupero di energia mediante produzione di vapore, senza alcuna
relazione con le attività agricole. Lo stesso vale per i fanghi di depurazione
di cui trattasi nel procedimento principale, prodotti durante il trattamento di
dette acque reflue, in quanto i fanghi di depurazione non figurano nemmeno tra
le sostanze e gli oggetti che possono essere esclusi, in forza dell’articolo 2,
paragrafo 2, di detta direttiva 86/278/CEE, dalla sfera di applicazione di
quest’ultima.
Relativamente alla
classificazione come rifiuti dei fanghi di depurazione la sentenza esamina
anche la definizione di rifiuto (ex punto 1 articolo 3 Direttiva 2008/98/CE)
per cui è rifiuto : “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il
detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi”.
La ditta coinvolta nella controversia fa valere che i fanghi di depurazione in questione nel procedimento principale sono costituiti per quasi il 100% da residui vegetali, provengono da un processo produttivo di carta e di pasta di legno, sono integrati fin dalla progettazione dell’impianto e sono utilizzati per recuperare energia per la produzione di carta.
Ma la Corte nella
sentenza in esame precisa che occorre constatare che la circostanza che
nell’impianto di depurazione solo una minima parte di acque reflue urbane sia
aggiunta alle acque reflue provenienti dalla produzione di carta e di pasta di
legno è irrilevante per determinare se i fanghi di depurazione risultanti dal
trattamento congiunto di tali acque reflue costituiscano o meno un «rifiuto».
Tale interpretazione è la sola che garantisce il rispetto degli obiettivi di
ridurre al minimo le conseguenze negative della produzione e della gestione dei
rifiuti per la salute umana e l’ambiente previsto dalla direttiva 2008/98.
Infatti, in un caso del genere, le acque reflue provenienti dalla produzione di
carta e di pasta di legno non sono separabili dalle acque reflue di origine
domestica o urbana e possono essere recuperate o smaltite solo se sottoposte
anche alle necessarie operazioni di trattamento richieste dalla normativa
nazionale. Orbene, è pacifico che le acque reflue di origine domestica o urbana
devono essere considerate come sostanze di cui il loro detentore si è disfatto.
I FANGHI DI DEPURAZIONE
SONO RIFIUTI ANCHE PRIMA DELL’INCENERIMENTO/TRATTAMENTO SE NON SI DIMOSTRA CHE SONO STATE ELIMINATEE
TUTTE LE SOSTANZE PERICOLOSE
A sua volta il giudice del rinvio alla Corte di Giustizia (che si è pronunciata con la sentenza qui in esame) ritiene che, ancor prima del loro incenerimento, i fanghi di depurazione non possano essere più qualificati come «rifiuti».
Secondo la sentenza della
Corte, qui esaminata nel caso di specie occorre constatare che, nell’ipotesi in
cui l’incenerimento dei fanghi di depurazione consistesse in un’operazione di
«recupero», ai sensi dell’articolo 3, punto 15, della direttiva 2008/98,
riguardante operazioni relative a rifiuti, detti fanghi dovrebbero essere
ancora qualificati come «rifiuti» al momento del loro incenerimento. Una
modifica della qualifica come quella menzionata dal giudice del rinvio
presupporrebbe quindi che il trattamento effettuato ai fini del recupero
consenta di ottenere fanghi di depurazione che soddisfino un elevato livello di
protezione della salute umana e dell’ambiente, come richiesto dalla direttiva
2008/98, privi, in particolare, di qualsiasi sostanza pericolosa. A tal fine,
occorre assicurarsi dell’innocuità dei fanghi di depurazione di cui trattasi
nel procedimento principale.
La Corte di Giustizia conclude che è al giudice del
rinvio che spetta verificare se le condizioni di cui all’articolo 6, paragrafo
1 [NOTA 3],
della direttiva 2008/98 siano già soddisfatte prima dell’incenerimento dei
fanghi di depurazione. In particolare, si deve verificare, se del caso, sul
fondamento di un’analisi scientifica e tecnica, che i fanghi di depurazione
soddisfino i valori limite legali per le sostanze inquinanti e che il loro
incenerimento non porti a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla
salute umana.
Nell’ambito di tale
valutazione rileva, segnatamente, la circostanza che il calore prodotto durante
l’incenerimento dei fanghi di depurazione sia riutilizzato in un processo di
fabbricazione di carta e di pasta di legno e che tale processo presenti un
vantaggio significativo per l’ambiente a causa dell’utilizzo di materiali di
recupero per preservare le risorse naturali e per consentire l’attuazione di
un’economia circolare.
Qualora, sul
fondamento di siffatta analisi, il giudice del rinvio constatasse che le
condizioni di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98 erano
soddisfatte prima dell’incenerimento dei fanghi di depurazione in questione nel
procedimento principale, occorrerebbe rilevare che questi ultimi non
costituiscono rifiuti.
Nell’ipotesi inversa,
si dovrebbe ritenere che tali fanghi di depurazione rientrino ancora nella
nozione di «rifiuto» al momento di detto incenerimento.
In tali circostanze, e
poiché, come risulta dalla formulazione dell’articolo 5, paragrafo 1, della
direttiva 2008/98, la qualità di «sottoprodotto» e la qualifica di «rifiuto» si
escludono reciprocamente, non occorre esaminare se i fanghi di cui trattasi nel
procedimento principale debbano essere qualificati come «sottoprodotti» ai
sensi di detta disposizione.
[NOTA 1] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:32008L0098&from=IT
[NOTA 2] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:31991L0271&from=IT
[NOTA 3] « 1.Taluni
rifiuti specifici cessano di essere tali ai sensi dell’articolo 3, punto 1,
quando siano sottoposti a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio, e
soddisfino criteri specifici da elaborare conformemente alle seguenti
condizioni:
a) la sostanza od oggetto è comunemente utilizzata per scopi specifici
b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto
c) la sostanza o l’oggetto
soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e
gli standard esistenti applicabili ai prodotti; e
d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non
porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.
I criteri includono, se
necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i
possibili effetti negativi sull’ambiente della sostanza o dell’oggetto. »
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