La Corte Costituzionale
con sentenza n° 216 dello scorso 21 ottobre 2022 (QUI) ha dichiarato incostituzionale due norme regionali
sulla base di due motivazioni di fondo:
1. la prima è che non possono essere definite con una
semplice legge regionale aree non idonee ad impianti da fonti rinnovabili ma
occorre una istruttoria conclusa con un atto amministrativo di pianificazione
regionale sulla base delle linee guida nazionali in materia
2. la
seconda è che la Regione non può introdurre per legge criteri generali per la
localizzazione degli impianti ulteriori rispetto a quelli già previsti dalla
legislazione statale e dalle stesse linee guida tanto più se questi si
trasformano in divieti assoluti di localizzazione come nel caso in esame.
Vediamo nel merito le norme impugnate dallo Stato e i motivi della dichiarazione di incostituzionalità della sentenza in esame...
LA PRIMA
NORMA REGIONALE IMPUGNATA E LA DECISIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Il testo della prima
norma impugnata
La disposizione impugnata
recita: «Non sono idonee per la realizzazione degli impianti fotovoltaici a
terra di cui al comma 16:
a) le aree individuate
dal piano regolatore comunale in esito alla conformazione al PPR e a una
lettura paesaggistica approfondita, ai sensi dell'articolo 14 delle Norme
tecniche di attuazione (NTA) del PPR;
b) i siti regionali
inseriti nella lista del patrimonio mondiale culturale e naturale riconosciuto
dall'UNESCO e nelle relative zone tampone, nonché i siti per i quali è stata
presentata la candidatura per il riconoscimento UNESCO;
c) i siti Natura 2000 e
le aree naturali tutelate ai sensi della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge
quadro sulle aree protette), e della legge regionale 30 settembre 1996, n. 42
(Norme in materia di parchi e riserve naturali regionali);
d) le aree e i beni di
notevole interesse culturale di cui alla parte II del decreto legislativo 22
gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi
dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 QUI), le aree dichiarate di
notevole interesse pubblico ai sensi dell'articolo 136 del decreto legislativo
42/2004 (QUI) e i relativi ulteriori contesti, le zone di interesse archeologico e
gli ulteriori contesti d'interesse archeologico, nonché le aree a rischio
potenziale archeologico indicate nel PPR o negli strumenti urbanistici
comunali;
e) le aree ricadenti
nei beni paesaggistici di cui all'articolo 142, comma 1, del decreto
legislativo 42/2004, o loro ulteriori contesti, o in generale ulteriori
contesti, ferma restando la facoltà del richiedente di presentare
documentazione idonea a dimostrare la non interferenza degli impianti con gli
obiettivi e la disciplina d'uso previsti dal PPR;
f) le aree agricole
ricomprese in zone territoriali omogenee F di "Tutela ambientale"
individuate dagli strumenti urbanistici generali comunali adeguati al PURG;
g) le aree localizzate
in comprensori irrigui serviti dai Consorzi di bonifica e oggetto di riordino
fondiario;
h) le aree agricole che
rientrano nelle classi 1 e 2 di capacità d'uso secondo la Land Capability
Classification (LCC) del United States Department of Agriculture (USDA) e
individuate nella Carta regionale di capacità d'uso agricolo dei suoli, ferma
restando la facoltà del richiedente di presentare idonea documentazione e, in
particolare, una relazione pedologica, finalizzata alla riclassificazione delle
aree di interesse aziendale».
Le contestazioni del Governo nazionale
Secondo il ricorrente, tale disposizione - individuando
una serie di aree inidonee alla realizzazione di impianti fotovoltaici a terra
di potenza superiore a 1 MW - si porrebbe in primo luogo in contrasto con i
principi fondamentali della materia «produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell'energia», e dunque con l'art. 117, terzo comma, Cost. Tali
principi si ricaverebbero dall'art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 (QUI) e dalle linee
guida da esso previste.
Il ricorrente assume altresì che la disposizione
impugnata si porrebbe in contrasto con i «principi generali di cui al mutando
quadro normativo statale», delineato dalla legge delega n. 53 del 2021(QUI) e dal
d.lgs. n. 199 del 2021 (QUI), attuativo della delega; dal che discenderebbe - secondo
quanto pare evincersi dal ricorso - un diverso profilo di violazione dello
stesso art. 117, terzo comma, Cost. In particolare, il ricorrente lamenta che
la disciplina impugnata anticiperebbe di fatto i contenuti del decreto
interministeriale previsto dall'art. 20, comma 1, del d.lgs. n. 199 del 2021,
che dovrà dettare principi e criteri omogenei per l'individuazione delle
superfici e delle aree idonee e non idonee all'installazione degli impianti.
I motivi della
dichiarazione di incostituzionalità da parte della Corte per la prima norma
regionale impugnata
Il paragrafo 17 delle
linee guida statali del 2010 (QUI), sulle modalità di autorizzazione degli impianti da fonti rinnovabili, dispone che «le Regioni e le Province autonome possono procedere
alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche
tipologie di impianti secondo le modalità di cui al presente punto e sulla base
dei criteri di cui all'allegato 3». Tale individuazione deve avvenire «attraverso
un'apposita istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni
volte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e
artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del
paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con
l'insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di
impianti, i quali determinerebbero, pertanto, una elevata probabilità di esito
negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione». Le aree non idonee
sono quindi individuate dalle regioni «nell'ambito dell'atto di
programmazione con cui sono definite le misure e gli interventi necessari al
raggiungimento degli obiettivi di burden sharing», nel quale devono essere
richiamati gli esiti dell'istruttoria svolta, contenenti «in relazione a
ciascuna area individuata come non idonea in relazione a specifiche tipologie
e/o dimensioni di impianti, la descrizione delle incompatibilità riscontrate
con gli obiettivi di protezione individuati nelle disposizioni esaminate».
Sulla base di tale
disciplina, questa Corte ha già più volte affermato che «La dichiarazione di
inidoneità deve [...] risultare quale provvedimento finale di un'istruttoria
adeguata volta a prendere in considerazione tutta una serie di interessi
coinvolti», e che «In ogni caso l'individuazione delle aree non idonee
deve avvenire a opera delle Regioni attraverso atti di programmazione»
(sentenza n. 86 del 2019); cosicché come afferma la sentenza n° 44 del 2021: «Una normativa regionale, che non rispetti
la riserva di procedimento amministrativo e, dunque, non consenta di operare un
bilanciamento in concreto degli interessi, strettamente aderente alla
specificità dei luoghi, impedisce la migliore valorizzazione di tutti gli
interessi pubblici implicati e, di riflesso, viola il principio, conforme alla
normativa dell'Unione europea, della massima diffusione degli impianti da fonti
di energia rinnovabili (sentenza n. 286 del 2019, in senso analogo, ex multis,
sentenze n. 106 del 2020, n. 69 del 2018, n. 13 del 2014 e n. 44 del 2011)».
Quindi, afferma la Corte,
istruttoria per individuare le aree non idonee ad impianti da fonti rinnovabili
è destinata a sfociare non già in una legge, ma - come costantemente affermato
dalla giurisprudenza di questa Corte - in un atto di programmazione avente
natura di provvedimento amministrativo, con il quale vengano individuate le
aree non idonee. Vedi anche sentenza Corte Costituzionale n° 11 del 20 gennaio 2022 (QUI).
Non solo ma la norma
regionale impugnata elenca una serie di categorie di aree disciplinate da altra
normativa ambientale che tutela finalità diverse da quella che dovrebbe muovere
principalmente la norma regionale in questione: la promozione delle fonti
rinnovabili sia pure con una ponderazione, nella individuazione delle aree
idonee agli impianti, dei vari interesse in gioco frutto appunto della
istruttoria di programmazione regionale e non di una scelta ex lege.
Conclusioni Corte
Costituzionale nella sentenza in esame
L'incompatibilità della disposizione impugnata con il
paragrafo 17 delle linee guida, enunciante principi fondamentali della materia
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», vincolanti
anche per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, ne determina
l'illegittimità costituzionale per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost.
Ciò senza che sia necessario valutare se la disposizione
medesima si ponga altresì in contrasto, come sostenuto dal ricorrente, con la
nuova disciplina prevista dalla legge n. 53 del 2021 e dal successivo d.lgs. n.
199 del 2021 - decreto legislativo.
LA SECONDA
NORMA IMPUGNATA E LA DECISIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Il testo della seconda
norma impugnata
La seconda norma regionale
impugnata mantenendo ferme le esclusioni della prima norma impugnata (vedi in
precedenza in questo commento) individua una serie di condizioni cui è
subordinata la realizzazione di impianti fotovoltaici a terra di potenza
superiore a 1 MW. Nelle parti impugnate, la disposizione prescrive:
- «che la realizzazione
dell'impianto non comprometta un bene paesaggistico alterando negativamente lo
stato dell'assetto scenico-percettivo e creando un notevole disturbo della sua
leggibilità»;
- «che l'impianto sia
posto in aree non visibili da strade di interesse panoramico, non comprometta
visuali panoramiche o coni visuali e profili identitari tutelati dal PPR o
dagli strumenti urbanistici comunali conformati al PPR o in corso di
conformazione al PPR e adottati»;
- «che sia assicurato
il contenimento del livello di compromissione e di degrado determinato dalla
dimensione e dalla concentrazione degli impianti fotovoltaici a terra di cui al
comma 16, che ai sensi dell'articolo 33 delle NTA del PPR qualificano la
superficie interessata quale area compromessa e degradata, in ragione della
morfologia del territorio, del bacino visuale, della prossimità, delle loro
dimensioni e della tipologia in un medesimo ambito di paesaggio del PPR».
Le motivazioni di
incostituzionalità della Corte sulla seconda norma impugnata
Corte ha recentemente
affermato che, sulla base del quadro normativo delineato dalle linee guida,
nella materia del sostegno alla produzione di energia derivante da fonti
alternative, non può riconoscersi alle regioni il potere di provvedere
autonomamente, per legge, "alla individuazione di criteri per il corretto
inserimento nel paesaggio degli impianti alimentati da fonti di energia
alternativa" (sentenza n. 168 del 2010; in termini simili anche le
sentenze n. 106 del 2020, n. 298 del 2013 e n. 308 del 2011), né a fortiori
quello di creare preclusioni assolute e aprioristiche che inibiscano ogni
accertamento in concreto da effettuare in sede autorizzativa (sentenze n. 106
del 2020 e n. 286 del 2019)" (sentenza n. 121 del 2022).
Sentenza Corte Costituzionale n° 121 del 2022
In particolare la sentenza n° 121 del 2022 ha dichiarato la incostituzionale di norme regionali che prevedevano:
1. per gli impianti fotovoltaici di grande generazione, tetti massimi
di potenza idonei a condizionare i procedimenti di autorizzazione, mentre la
normativa statale di principio imporrebbe «il raggiungimento di obiettivi
minimi di produzione».
2. Nello
specifico, la previsione generale e astratta, che impedisce l'installazione di
impianti di potenza superiore a 10 MW nelle aree degradate, e quella che
introduce un limite pari a 3 MW in tutti gli altri siti contrasterebbero con i
principi fondamentali della materia, dettati dal paragrafo 17 e dall'Allegato 3
delle citate linee guida del 10 settembre 2010, attuative dell'art. 12 del
d.lgs. n. 387 del 2003, le quali consentirebbero alle Regioni solo di
individuare puntuali aree non idonee all'installazione di specifiche tipologie
di impianti, senza con ciò determinare preclusioni assolute.
Quanto all'art. 2, commi 1, 2 e 3, della legge reg. Basilicata n. 30 del 2021, che ha modificato i requisiti tecnici minimi del PIEAR per gli impianti eolici di grande generazione, anch'esso avrebbe condizionato il rilascio dell'autorizzazione unica, di cui all'art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, così violando i principi fondamentali della materia ivi recati dal legislatore statale, nonché gli altri parametri interposti, che sarebbero espressione del principio di derivazione europea della massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili.
Non soltanto i nuovi requisiti ridurrebbero i siti eleggibili all'installazione di impianti eolici, ma, oltretutto, la previsione obbligatoria di uno studio anemologico con rilevazioni di almeno tre anni, da integrare nel progetto, comporterebbe il rischio di un "congelamento" di uno specifico sito coinvolto da sviluppo» per l'intero triennio.
Conclusioni della Corte Costituzionale nella sentenza 216/2022 sulla seconda norma impugnata
Invero, attraverso le
linee guida, adottate in Conferenza unificata in attuazione del principio di
leale collaborazione, lo Stato e le regioni hanno congiuntamente definito una
serie di criteri funzionali alla individuazione di punti di equilibrio
sostenibili fra un largo spettro di interessi: il rispetto dei «vincoli imposti
dalla normativa dell'Unione europea, così come degli obblighi assunti a livello
internazionale con la legge 1° giugno 2002, n. 120 (Ratifica ed esecuzione del
Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti
climatici, fatto a Kyoto l'11 dicembre 1997) e con la legge 4 novembre 2016, n.
204 (Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di Parigi collegato alla Convenzione
quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, adottato a Parigi il 12
dicembre 2015), nel comune intento "di ridurre le emissioni di gas ad
effetto serra" (sentenza n. 275 del 2012; nello stesso senso, sentenze n.
46 del 2021, n. 237 del 2020, n. 148 del 2019 e n. 85 del 2012), onde
contrastare il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici (sentenza n. 77
del 2022)» (sentenza n. 121 del 2022); la tutela del paesaggio e del
territorio; la necessità di assicurare l'effettività della tutela
giurisdizionale ai soggetti privati interessati alla realizzazione degli
impianti.
Ampio spazio è inoltre
riconosciuto all'autonomia delle regioni a valle delle linee guida. Esse sono,
infatti, chiamate a concretizzare tali complessi bilanciamenti nell'ambito dei
singoli territori regionali, attraverso procedimenti amministrativi destinati a
sfociare negli atti di programmazione menzionati dal paragrafo 17 delle linee
guida statali del 2010, nei quali ben possono essere individuate le aree non idonee alla
installazione degli impianti; atti a loro volta destinati a orientare la
discrezionalità amministrativa nei procedimenti relativi alle domande di
autorizzazione dei singoli impianti.
Ciò che invece, nel vigore
dell'attuale quadro normativo, non è consentito alle regioni è dettare
direttamente per legge criteri generali per la localizzazione degli impianti
ulteriori rispetto a quelli già previsti dalla legislazione statale e dalle
stesse linee guida: ancor più quando tali criteri si risolvano, in pratica, in
divieti assoluti di concedere autorizzazioni in singole porzioni del territorio
regionale, come accade con riferimento a questa seconda norma regionale da cui
la dichiarazione di incostituzionalità anche di quest’ultima.
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