Sulla Intesa Governo
Regione Liguria relativamente alla autorizzazione finale al progetto di
centrale a gas, continuo a leggere e sentire dichiarazioni molto confuse
soprattutto da un punto di vista normativo. Una confusione che si è rilevata
anche nell’ultimo Consiglio Comunale spezzino dello scorso lunedì 15 febbraio.
Da un lato chi sostiene la
attuale giunta di centro destra in Regione tende a minimizzare il potere di
Intesa della Regione in questa materia, dall’altro chi si oppone alla Giunta
Regionale avanza affermazioni e iniziative con scarsi e contraddittori
fondamenti giuridici.
LE INTEPRETAZIONI CONFUSE DELLA POLITICA SPEZZINA
Sul primo aspetto nel
centro destra spezzino si sostiene che l’atto di Intesa
della Regione è un mero parere tecnico con scarso peso giuridico.
Non è così l’Intesa ha un valore giuridico importante perché senza l’Intesa
il Ministero per lo Sviluppo Economico non può chiudere il procedimento e
quindi rilasciare la autorizzazione finale (successiva alle procedure
ambientali: VIA ed AIA). Non solo ma la decisione sulla Intesa approvata con
Delibera di Giunta Regionale e non con Determina Dirigenziale. Sia sufficiente l’esempio
del diniego di Intesa da parte della Regione Liguria all’ampliamento del
rigassificatore di Panigaglia (Portovenere). Quel diniego non fu deliberato
come un parere tecnico tanto meno come atto dirigenziale ma con una
Delibera di Giunta Regionale (DGR 393 del 3 aprile 2009 - QUI). Poi quel progetto si fermò
non solo per il diniego di Intesa della Regione ma anche perché la stessa Snam
ed il Governo di allora decisero di non proseguire nell’iter di autorizzazione
di quel progetto.
Quel diniego di Intesa sull’ampliamento
del rigassificatore di Panigaglia peraltro dimostra, carte alla mano come si
dice, che l’esercizio del diniego del potere di Intesa può essere svolto
anche sin da ora senza aspettare l’autorizzazione finale del progetto di
centrale a gas, ovviamente nei limiti e con le modalità previste dalla legge e
dalla chiarissima giurisprudenza della Corte Costituzionale
Allo stesso tempo erra anche il centro sinistra spezzino quando cerca di dimostrare che l’Intesa se negata fermerebbe definitivamente il progetto di centrale a gas. Le cose non stanno così ma evidentemente la logica di usare il diritto come arma politica in questo Paese ha una lunga storia e vale come si vede sia per il centro destra che per il centro sinistra evidentemente
COME, LA
CORTE COSTITUZIONALE, HA INTERPRETATO IL POTERE DI INTESA STATO REGIONI IN
MATERIA ENERGETICA
La Corte Costituzionale
in varie sentenze che vado ad illustrare ha interpretato la applicazione della legge
ordinaria in materia: la legge
55/2002 (QUI)
confermata da legge successiva (legge 290/2003 QUI ).
Queste leggi sono stato
oggetto di sentenze della Corte Costituzionali anche e soprattutto proprio
sulla interpretazione della efficacia giuridica della Intesa della Regione su
progetti di impianti energetici per fonti fossili.
Analizziamo sinteticamente
cosa ha deciso la Corte Costituzionale in queste sentenze…
Sentenza Corte Costituzionale
n° 6 del 2004 (QUI)
La sentenza ha
riconosciuto la legittimità costituzionale della legge 55/2002. Questa legge
prevede che progetti come quello della centrale a gas siano autorizzati dal
Ministero dello Sviluppo Economico previa intesa con la Conferenza Stato
Regioni.
La Corte Costituzionale
dichiarando la legittimità costituzionale di questa legge ha avuto modo di
affermare che l’Intesa regionale è una intesa forte, quindi se
negata comporta che il Ministero dello Sviluppo Economico non possa rilasciare
la autorizzazione finale.
Apparentemente se uno si
limita a leggere questo passaggio della sentenza sembrerebbe che la negazione
della Intesa abbia un valore assoluto nel bloccare qualsiasi progetto di
impianto non voluto dalla Regione territorialmente interessata.
Ma la sentenza non si
limita a fare la suddetta affermazione spiega anche la natura
giuridica del potere di Intesa riconosciuto alla Regione. Afferma la Corte
Costituzionale: “le singole amministrazioni regionali - che si volessero
attributarie delle potestà autorizzatorie contemplate dalla disciplina
impugnata - sfuggirebbe la valutazione complessiva del fabbisogno nazionale di
energia elettrica e l'autonoma capacità di assicurare il soddisfacimento di
tale fabbisogno“. In altri termini già nel 2004 la Corte Costituzionale
chiarisce che il potere di Intesa della Regione non può trasformarsi in una
sorta di sostituzione del Ministero dello Sviluppo Economico nella decisione su
autorizzare o meno una centrale termoelettrica superiore a i 300 MW. L’Intesa
va quindi vista all’interno del principio di leale collaborazione Stato Regioni,
come affermato da una sentenza successiva sempre della Corte Costituzionale e
sempre sulla materia Intesa regionale su impianti e infrastrutture energetiche
Sentenza Corte Costituzionale
383/2005 (QUI)
La sentenza giudica il
ricorso della Regione Toscana che ha impugnato un comma di un articolo della
legge 239/2003 (già citato in precedenza) secondo il quale per le
autorizzazioni delle centrali sopra i 300MW si applica la procedura della legge
55/2002. Come abbiamo visto la sentenza n° 6 del 2004 aveva dichiarato la
legittimità della norma del 2002 proprio perché prevede l’Intesa con la Regione,
ma la nuova sentenza del 2005 ha precisato che: “la chiamata in
sussidiarietà da parte dello Stato dei poteri amministrativi di determinazione
delle linee generali di sviluppo della rete di trasmissione nazionale
dell'energia elettrica debba essere accompagnata dalla previsione di idonei
moduli collaborativi nella forma dell'intesa in senso forte fra gli organi
statali e la Conferenza unificata, rappresentativa dell'intera pluralità degli
enti regionali e locali. Analogamente si deve ritenere per i poteri statali
concernenti la determinazione dei criteri generali per le nuove concessioni di
distribuzione dell'energia elettrica e per il rilascio delle autorizzazioni
relative alle grandi centrali di produzione, per i quali non può essere
ritenuto sufficiente il semplice parere della Conferenza unificata previsto
dalla norma impugnata”.
In sostanza secondo la
Corte Costituzionale il percorso che porta alla decisione sulla Intesa da
parte della Regione deve essere ispirato al principio di collaborazione tra Stato
e Regione e non deve quindi essere visto come una sorta di
potere di veto della Regione a priori vale a dire da decidere autonomamente
senza alcun confronto con lo Stato.
Come deve essere esercitata questa collaborazione? Lo spiega la Sentenza Corte Costituzionale del 2019 n° 224 (QUI)
La sentenza chiarisce come
l’Intesa debba essere esercitata in chiave collaborativa Stato-Regione. Afferma
la sentenza: “La natura dell’intesa fa sì che l’eventuale diniego non possa
mai avere carattere generale”, altrimenti si porrebbe in contrasto “con
la ratio stessa del principio di leale collaborazione, che esige il rispetto,
caso per caso, di una procedura articolata, nonché l’enunciazione dei motivi di
un eventuale diniego, il quale non può risolversi in un mero rifiuto (in tal
senso anche le sentenze n. 114 del 2017 e n. 142 del 2016); in assenza di tale
enunciazione, infatti, sarebbe frustrata la stessa fase di trattative tesa a
superare il dissenso regionale, di cui non sarebbero desumibili le ragioni.
L’atto d’intesa, quindi, è il risultato di un apposito procedimento, che trova
nella legge e nei principi costituzionali la sua disciplina e i suoi limiti.”
Aggiunge la Corte
Costituzionale: “Com'é noto, infatti, nel rispetto della
potestà legislativa concorrente Stato-Regioni in materia energetica, la
Regione non gode di un potere di veto sui progetti in materia di
idrocarburi (è richiamata, ex multis, la
sentenza di questa Corte n. 131 del 2016). Nel caso di specie, invece, la
ricorrente avrebbe abusato del potere attribuitole dalla legge, pretendendo
illegittimamente di esercitare un potere di veto sul progetto (si richiama la
sentenza di questa Corte n. 239 del 2013). Infatti, il fatto che la
Regione abbia opposto un rifiuto aprioristico e non abbia compiuto alcuna
attività volta al raggiungimento dell'intesa avrebbe reso di per sé illegittima
la deliberazione della Giunta regionale n. 1528 del 2016, considerata altresì
la mancanza, nella relativa motivazione, di adeguate evidenze circa il
necessario previo esperimento delle trattative imposte dall'indole bilaterale
dell'intesa”.
La sentenza sopra riportata fa riferimento alle funzioni statali in materia di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, ivi comprese le funzioni di polizia mineraria ma il principio vale ovviamente anche per le altre funzioni in materia energetica su cui è richiesta intesa con la regione in coerenza con le precedenti sentenze sopra citate.
AD ULTERIORE
CONFERMA SI VEDA LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE CHE DICHIARA
INCOSTITUZIONALE UNA LEGGE REGIONALE CHE OBBLIGA IN MODO PREVENTIVO E ASSOLUTO
A NEGARE L’INTESA IN MATERIA ENERGETICA
La sentenza n° 117 del 2013 ha giudicato la legittimità costituzionale dell’articolo 37 della legge regionale della Basilicata che affermava: “ Articolo 37 - Provvedimenti urgenti in materia di governo del territorio e per la riduzione del consumo di suolo. 1. La Regione Basilicata nell’esercizio delle proprie competenze in materia di governo del territorio ed al fine di assicurare processi di sviluppo sostenibile, a far data dall’entrata in vigore della presente norma non rilascerà l’intesa, prevista dall'art. 1, comma 7, lettera n) della legge 23 agosto 2004, n. 239, di cui all’accordo del 24 aprile 2001, al conferimento di nuovi titoli minerari per la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi”.
Quindi si tratta di una
legge che impegna la Regione e negare l’Intesa a priori a prescindere da ogni
processo/procedimento collaborativo con lo Stato e senza neppure
dover motivare tale diniego.
La sentenza della Corte
Costituzionale ha dichiarato illegittima questa norma regionale perché:
“si pone in contrasto con la ratio stessa del principio di leale
collaborazione, che esige il rispetto, caso per caso, di una procedura
articolata, nonché l’enunciazione dei motivi di un eventuale diniego, il quale
non può risolversi in un mero rifiuto (in tal senso anche le sentenze n. 114
del 2017 e n. 142 del 2016); in assenza di tale enunciazione, infatti, sarebbe
frustrata la stessa fase di trattative tesa a superare il dissenso regionale,
di cui non sarebbero“ desumibili le ragioni.”
MA NON
FINISCE QUI: PERCHE' LA LEGGE STESSA STABILISCE (IN COERENZA CON LE SENTENZE
SOPRA ESPOSTE) CHE DOPO IL DINIEGO DI INTESA DA PARTE DELLA REGIONE NON SI
BLOCCHI TUTTO
Qui occorre leggere
il comma 8-bis articolo 1 legge 239/2004 (QUI) intitolata
Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto
delle disposizioni vigenti in materia di energia” introdotto dall'art. 38,
comma 1, legge n. 134 del 2012.
Questo comma afferma: “8-bis.
Fatte salve le disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale,
nel caso di mancata espressione da parte delle amministrazioni regionali degli
atti di assenso o di intesa, comunque denominati, inerenti alle funzioni di cui
ai commi 7 e 8 del presente articolo, entro il termine di centocinquanta giorni
dalla richiesta nonché nel caso di mancata definizione dell’intesa di cui
al comma 5 dell’articolo 52-quinquies del testo unico di cui al d.P.R. 8
giugno 2001, n. 327, e nei casi di cui all’articolo 3, comma 4, del decreto
legislativo 1º giugno 2011, n. 93, il Ministero dello sviluppo economico invita
le medesime a provvedere entro un termine non superiore a trenta giorni. In
caso di ulteriore inerzia da parte delle amministrazioni regionali interessate
lo stesso Ministero rimette gli atti alla Presidenza del Consiglio dei
ministri, la quale, entro sessanta giorni dalla rimessione, provvede in merito
con la partecipazione della regione interessata. Le disposizioni del presente
comma si applicano anche ai procedimenti amministrativi in corso e
sostituiscono il comma 6 del citato articolo 52-quinquies del testo unico
di cui al d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327.”
Rilevo che il suddetto
comma 8-bis fa riferimento alle funzioni di cui al comma 8 articolo 1
della legge 239/2004 tra le quali rientrano al punto 7: “7) la
definizione dei criteri generali per le nuove concessioni di distribuzione
dell'energia elettrica e per l'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio
degli impianti di generazione di energia elettrica di potenza termica superiore
ai 300 MW”. Questo punto è tutt’ora in vigore in quanto la sentenza della
Corte Costituzionale n° 383 del 2005 ha dichiarato incostituzionale solo la
parte in cui al posto della Intesa si prevedeva solo un mero parere della
Conferenza Stato Regioni.
Insomma la legge è chiara, anche per le centrali termoelettriche sopra i 300 MW, se la Regione nega l’Intesa la questione va in Consiglio dei Ministri. Questo significa che la vecchia legge 55 del 2002 (citata all’inizio quando ho scritto della sentenza della Corte Costituzionale n° 6 del 2004) quando afferma la necessaria Intesa non vuole significare che se questa viene negata ogni decisione si ferma, ma piuttosto si avvia un confronto collaborativo tra Governo e Regione secondo le indicazioni delle sentenze della Corte Costituzionale sopra descritte.
SUL RAPPORTO
TRA VARIANTE URBANISTICA E INTESA STATO REGIONI
Sul punto la Corte
Costituzionale n° 383 del 2005 afferma: “L'ambito materiale cui
ricondurre le competenze relative ad attività che presentano una diretta od
indiretta rilevanza in termini di impatto territoriale, va ricercato non
secondo il criterio dell'elemento materiale consistente nell'incidenza delle
attività in questione sul territorio, bensì attraverso la valutazione
dell'elemento funzionale, nel senso della individuazione degli interessi
pubblici sottesi allo svolgimento di quelle attività, rispetto ai quali
l'interesse riferibile al “governo del territorio” e le connesse competenze non
possono assumere carattere di esclusività, dovendo armonizzarsi e coordinarsi
con la disciplina posta a tutela di tali interessi differenziati.”
Insomma la
destinazione urbanistica dell’area per potere pesare nella decisione sulla
installazione di nuovi impianti non
può essere posta autonomamente dal Comune ma inserita nel percorso di confronto
tra interessi pubblici differenziati che sottende proprio alla procedura di
Intesa Stato Regioni in materia di energia come descritta sopra.
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