In un post del 28
Maggio 2015 (vedi QUI) dove criticavo il programma elettorale sulla portualità della candidata del PD
alla Presidenza della Regione Liguria in relazione alla affermazione per cui: :
“Il porto del futuro dovrà poter ospitare grandi navi fino a 20.000 teu.”,
mi ponevo questa domanda: Qualcuno nello
staff della candidata si è letto gli ultimi dati sugli effetti del gigantismo
navale nei porti americani e del nord europa?
La
grande capacità delle singole navi e le concentrazioni tra grandi gruppi che
controllano parti di mercato sempre più ampie stanno producendo un mix
esplosivo per i porti. Gli scali per adeguarsi dovrebbero investire in
infrastrutture per velocizzare lo scarico delle merci. Nei soli Usa si
parla di 30 miliardi di dollari di investimenti. Non a caso, lo scorso 18 giugno
2015, la Federal Maritime Commission
(FMC), l'agenzia federale statunitense incaricata di regolare il settore del
trasporto marittimo internazionale degli USA, ha incontrato le agenzie consorelle della UE e della Cina
per affrontare questo tema. La questione si lega al fenomeno sempre più diffuso
della finanziarizzazione del settore marittimo, per cui i traffici languono a
livello globale (noli bassi) ma aumentano gli ordini per navi sempre più grandi
con il rischio che i costi di tutti ciò a breve siano scaricati sui dipendenti
dei terminalisti (bolle speculative) e sui territori (superterminal che possono
diventare semivuoti a breve termine).
Non solo ma, sempre in
relazione ai noli bassi secondo uno studio di Boston Consulting Group i noli
resteranno bassi fino al 2019. Secondo BCG, proprio a causa dell'eccesso di offerta di trasporto marittimo, le tariffe nei prossimi anni potrebbero diminuire ancora e
la situazione peggiorerà se saranno introdotte sul mercato tutte le nuove navi
già previste. Gli esperti analisti della società di consulenza internazionale
sottolineano che la competizione crescente e i prezzi degli slot a bordo
relativamente bassi, inducono i vettori ad acquistare navi sempre più capienti,
che poi non riescono a riempire. Un vero e proprio circolo vizioso, dove la
soluzione più immediata sembra quella della diminuzione delle tariffe, a fronte
però di risultati sempre peggiori.
Ora un Rapporto, appena
uscito, di Drewry Maritime Research (vedi il sito QUI) emblematicamente intitolato
"Diminishing returns? (rendimenti decrescenti) afferma senza mezzi termini che gli
investimenti nei porti rendono sempre meno.
L’imputato principale è il gigantismo navale che comporta una gestione dei servizi portuali sempre
più caratterizzata da meno toccate con improvvisi picchi di movimentazione, in
altri termini maggiori investimenti per far arrivare le mega navi in presenza di
una domanda che resta uguale o quasi.
D’altronde già nel 2011 il
Rapporto della società di ricerca
Alphaliner (si veda qui) rilevava che il tasso
di crescita del traffico container tra Far East ed Europa scenderà nel
2012 all'1,5%, contro il 2,8% rilevato lo scorso anno. La causa della flessione
è l'indebolimento del quadro economico europeo.
Ma ancora prima nel 2010 Sergio Bologna nel libro più interessante sulla
logistica marittima scritto in questi anni (Le multinazionali del mare ed. Egea 2010) diffidava dal luccichio del numero di container
movimentati e precisava: “le statistiche portuali e l’uso che i porti fanno per ragioni di
marketing vanno letti con molta prudenza, in particolare per quanto riguarda i
container, la cui domanda di trasporto è trainata da due componenti: il mercato
dei beni e la logistica delle compagnie marittime. Lo stesso container viene
contato più volte e quindi il valore dei movimenti di sbarco e imbarco che
subisce nei porti, tenuto conto dei vuoti, ha una correlazione sempre più
debole con il valore rappresentato dal volume delle merci trasportate.”
Poi nel 2013 sempre Sergio Bologna con il suo nuovo
libro “Banche e crisi” concludeva
sul gigantismo navale criticando le scelte del PRP di Genova: “dove sta il vantaggio della grande nave
portacontainer nella catena della logistica? È più veloce? Abbiamo visto che è
più lenta. Costa di meno? Manco per sogno. È più flessibile? Il contrario. I
suoi vantaggi finiscono nel momento in cui tocca terra”.
Eppure ci sarebbero le
metodologie di valutazione per sviluppare una migliore governance dei porti e
della loro evoluzione.
Come affermato dalle esperienze degli Studi di Impatto Portuale , assistiamo da tempo ad un
progressivo indebolimento del rapporto tra i porti ed il sistema
economico e territoriale locale di riferimento. Gli esperti parlano di localizzazione
indifferente, fenomeno i cui caratteri di fondo si
possono così riassumere :
1. molte attività legate al ciclo del
trasporto non sono più vincolate , nell’era dei trasporti intermodali , alla
localizzazione portuale
2. la movimentazione dei carichi fra la
nave ed il trasporto terrestre ed il relativo crescente livello di automazione
riducono fortemente l’impiego del lavoro ed aumentano quello di capitale
3. l’impatto occupazionale dipende sempre
meno dalla componente relativa all’ammontare di traffico che passa per il porto
4. un capitale che può non essere localizzato nella
regione portuale per la progressiva concentrazione in pochi grandi gruppi
internazionali dei principali terminal portuali escludendo così il
sistema economico locale del porto da buona parte dei benefici economici. Il
rischio molto reale è che il PRP arricchisca alla Spezia solo i terminalisti privati per i quali è quasi indifferente che
un container sia pieno o vuoto: il business si realizza sulle tariffe di
sbarco/imbarco e movimentazione.
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