La
vicenda recente delle problematiche legata ad una non corretta gestione dei
dragaggi commissionati dalla Autorità Portuale riporta al centro del dibattito
cittadino la questione della mancata bonifica della parte a mare del sito di
bonifica di Pitelli.
È indiscutibile
che le problematiche di dispersione dei fanghi nel nostro golfo prodotte
sia dalla non corretta gestione dei
dragaggi effettuati fino ad ora, che da eventuali altre movimentazione del
sedime marino (esempio eliche delle navi od altro non definito) vanno viste proprio alla luce di quanto
inquinamento ancora è rimasto nel fondo del nostro golfo. Tutto questo getta
una luce inquietante sul futuro del nostro golfo e su qualsiasi attività verrà svolta in
esso…..anche alla luce della futura espansione del porto, delle nuove grandi
navi container e da crociera prevista.
Di
seguito una analisi sia del quadro complessivo delle criticità del sito di
bonifica di Pitelli e subito dopo degli aspetti non chiari e dei rischi legati
alla attività di dragaggio nel golfo in atto da tempo
QUADRO GENERALE DEL
SITO DI PITELLI
Le
bonifiche, nella parte a mare del sito di Pitelli, fino ad ora sono state fatte
in zone non rilevanti sotto il profilo dell’inquinamento, ma rilevanti sotto il
profilo degli interessi economici che muovevano. Facendo
esattamente il contrario di quello che prevede il Progetto
preliminare di bonifica dell’ICRAM, secondo il quale: ““In considerazione del fatto che gli
interventi di bonifica relativi alle diverse aree potrebbero essere attuati in
tempi diversi, dovrà essere data priorità a quelle aree in cui livelli elevati
di contaminazione dei sedimenti potrebbero determinare situazioni di rischio
sanitario-ambientale”.
Ricordo
che il Progetto Preliminare dell’ICRAM non è semplice studio ma è attuativo del Decreto Ministeriale che ha istituito e
perimetrato il sito di bonifica di Pitelli a sua volta in attuazione della
legge nazionale, all’epoca ancora il DLgs 22/1997 (articolo 17). Il Progetto è
stato approvato con Conferenza dei Servizi del 24 marzo 2014.
Lo studio dell’ICRAM non è solo di
caratterizzazione del livello di inquinamento del golfo ma è un piano di indirizzo operativo della attività di bonifica
per l’intero sito di Pitelli
Il documento dell’ICRAM non è solo una mappa (caratterizzazione) della
diffusione dell’inquinamento del golfo ma un vero e proprio Progetto
Preliminare di Bonifica che nella dizione della allora vigente normativa significa:
1. individuazione delle
aree prioritarie su cui intervenire per il disinquinamento e/o messa in
sicurezza
2. parametri per definire le aree da bonificare
3. aree su cu effettuare
ulteriori approfondimenti di indagine
4. diverse modalità e
tecniche di bonifica
In particolare:
relativamente al punto 3 non risulta agli atti, fino ad ora pubblicati, alcun approfondimento, come invece richiesto dal Progetto ICRAM, dove a pagina 106 si legge: “sono evidenziate delle aree che potrebbero essere definite “aree di incertezza”, poiché in esse, essendo molto vicine alla costa e in prossimità di banchine, vi è un accumulo maggiore di sedimenti, e questo comporta che l’estensione delle elaborazioni relative alle aree limitrofe non risulti del tutto adeguata. Su tali aree, quindi, non si può escludere la necessità di una bonifica, e di conseguenza, prima di procedere a qualsiasi tipo di intervento, sarà necessario eseguire un ulteriore approfondimento di indagine. In considerazione delle caratteristiche delle aree specifiche, tale approfondimento potrebbe essere spinto anche oltre le profondità di indagine previste dal piano ICRAM.“.
Relativamente al punto 4 non risulta alcuna documentazione presentata, questo nonostante la normativa, vigente all’epoca dei primi interventi e poi integrata dal 2006 con l’allegato III alla parte IV del DLgs 152/2006, richiedesse una valutazione delle alternative presentate dal Progetto ICRAM, sulla base dei criteri indicati da detto allegato, per la scelta della migliore tecnica di bonifica.
relativamente al punto 3 non risulta agli atti, fino ad ora pubblicati, alcun approfondimento, come invece richiesto dal Progetto ICRAM, dove a pagina 106 si legge: “sono evidenziate delle aree che potrebbero essere definite “aree di incertezza”, poiché in esse, essendo molto vicine alla costa e in prossimità di banchine, vi è un accumulo maggiore di sedimenti, e questo comporta che l’estensione delle elaborazioni relative alle aree limitrofe non risulti del tutto adeguata. Su tali aree, quindi, non si può escludere la necessità di una bonifica, e di conseguenza, prima di procedere a qualsiasi tipo di intervento, sarà necessario eseguire un ulteriore approfondimento di indagine. In considerazione delle caratteristiche delle aree specifiche, tale approfondimento potrebbe essere spinto anche oltre le profondità di indagine previste dal piano ICRAM.“.
Relativamente al punto 4 non risulta alcuna documentazione presentata, questo nonostante la normativa, vigente all’epoca dei primi interventi e poi integrata dal 2006 con l’allegato III alla parte IV del DLgs 152/2006, richiedesse una valutazione delle alternative presentate dal Progetto ICRAM, sulla base dei criteri indicati da detto allegato, per la scelta della migliore tecnica di bonifica.
D’altronde che intervenire per fasi nella bonifica di un
area vasta come è il golfo di Spezia non significhi procedere per compartimenti
stagni, come invece si sta facendo, lo dimostra la stessa legge in materia: ”
…..Nel caso di interventi di bonifica o
di messa in sicurezza di cui al periodo precedente, che presentino
particolari complessità a causa della natura della contaminazione, degli
interventi, delle dotazioni impiantistiche necessarie o dell'estensione dell'area
interessata dagli interventi medesimi, il progetto può essere articolato
per fasi progettuali distinte al fine di rendere possibile la realizzazione
degli interventi per singole aree o per fasi temporali successive” (comma 7 articoo 242 del DLgs 152/2006). Come
si vede non si parla certo di bonificare solo quello che interessa
economicamente. Tanto è vero che l’allegato 3 alla disciplina delle bonifiche
(nel DLgs 152/2006, vedi QUI) prevede che “per
i siti in esercizio laddove un intervento di bonifica intensivo comporterebbe
delle limitazioni se non l’interruzione della attività di produzione, il
soggetto responsabile dell’inquinamento o il proprietario del sito può
ricorrere, in alternativa, ad interventi altrettanto efficaci di messa in
sicurezza dell’intero sito, finalizzati alla protezione delle matrici
ambientali sensibili mediante il contenimento degli inquinanti all’interno
dello stesso, e provvedere gradualmente alla eliminazione delle sorgenti
inquinanti secondarie in step successivi programmati….”
Si veda di seguito la mappa del golfo di Spezia tratta
dal Progetto Preliminare Icram. I diversi colori: verde, giallo, marroncino e rosso dimostrano la gerarchia (dal rosso zona più inquinata a scendere fino
al verde) nella priorità delle aree da bonificare. La Mappa qui riprodotta è
parziale perché riguarda l’inquinamento solo fino a profondità
0-50, ve ne sono altre 5 nelle pagine da 161 1 165 del Progetto ICRAM.
MAPPA 1 Aree di maggior inquinamento da bonificare
in particolare le aree in rosso sono quelle più inquinate e come si vede non riguardano se non per una parte del molto Garibaldi le aree oggetto di interventi svolti fino ad ora.
MAPPA 2
Aree di dragaggio previste
Come si vede da questa seconda mappa si è previsto di
dragare a prescindere dagli interventi prioritari sulla aree a maggior rischio
previsti dal Progetto ICRAM individuati nella mappa 1
E voglio ricordare che sono passati ben 15 anni dalla
perimetrazione del sito Pitelli sia per la parte a mare che per quella a
terra! E che non ci sia stata la volontà di fare per bonifica il sito di
Pitelli lo dimostrano le questioni dei costi.
I costi di
bonifica della parte a mare del sito di pitelli secondo il documento dell’icram
Relativamente
ai costi di bonifica se noi andiamo a vedere gli scenari di bonifica del
documento Icram ci possiamo rendere conto del livello ridicolo di finanziamento
annunciato ora da Regione Liguria e Comune di Spezia: 1,3 milioni di euro per
la parte a terra (peraltro vecchi fondi ministeriali) e per l’area di
Pertusola: circa 3 milioni di cui solo 1,3 da parte della Regione.
Lo studio
Icram, solo per la parte a mare, individuava quattro
scenari di intervento di bonifica a seconda del livello di
inquinamento, delle aree interessate, della tipologia degli inquinanti e della
profondità della rimozione degli inquinanti.
Il
costo passa da 201 milioni di euro ipotesi dello scenario 1 di
bonifica minima, a 563
milioni di euro per
lo scenario 4 della bonifica integrale della rada della Spezia.
Sulla
situazione a terra i dati ufficiali dell’Arpal pubblicati nel sito di
questo Ente[vedi nota 1] nonché il verbale di
conferenza dei servizi del 20/5/2013, dimostrano che:
1. per l’area Campetto, vicinissima alla
zone dove sono stati ritrovati recentemente ulteriori rifiuti pericolosi
smaltiti illegalmente, il piano di caratterizzazione non è ancora stato
validato quindi concluso
2. per l’area ex tiro al piattello non
esiste piano di caratterizzazione in quanto in zona militare
3. per la Discarica di RSU Vallegrande “La Marina”
siamo ancora alla fase di monitoraggio per individuare interventi conseguenti
4. discarica RSU Monte Montada: L’area è stata posta sotto sequestro dal 1999 fino al
2012, assegnando la gestione al Comune che, per un certo periodo, ha provveduto
(tramite ACAM) allo smaltimento del percolato; attualmente il percolato non
viene smaltito. L’area è stata restituita alla proprietà nel 2012.
5. discarica di saturnia
: il piano di caratterizzazione è tutt’ora in corso di validazione
6. bacini di
lagunaggio ceneri centrale enel: non risultano dati ufficiali
7. Ex Fonderia Pertusola (Navalmare):
progetto di bonifica non avviato, in quanto il Ministero dell’Ambiente ha
chiesto di presentare un nuovo progetto
8. Le aree militari insistenti nel sito
non sono state adeguate alle
disposizioni del D.Lgs 152/06.
Il
quadro di rischio sanitario in atto
I limiti della attività di bonifica, quelli delle non
completate caratterizzazioni, quelli del mancato rispetto delle prescrizioni in
materia di dragaggio bonifica, i ritrovamenti di ulteriori interramenti abusivi
di rifiuti pericolosi, si inseriscono in un quadro di rischio sanitario
dell’area abitata maggiormente interessata dal sito di Pitelli che è
stato confermato dalla relazione
dell’Arpal denominata rischio di secondo livello (per il testo completo vedi QUI. Trattasi delle
analisi di rischio di secondo livello come previsto dagli allegati al Dlgs
152/2006.[vedi nota 2]
LA VICENDA DEL DRAGAGGIO DEL PORTO DI SPEZIA
Che ci sia un legame tra il dragaggio in atto da
tempo nel golfo di Spezia e la dispersione di fango in mare è ormai un dato
accertato. Quello che continua a non essere chiaro è fino a che punto il
dragaggio ha contribuito ad aumentare la fangosità del nostro golfo e quali
danni ambientali ha fatto alle attività di mitilicoltura e itticoltura
presenti. Per non parlare della
balneazione.
Su queste le notizie continuano ad essere
contraddittorie e i report ufficiali
delle autorità preposte non chiariscono minimamente lo stato effettivo della situazione.
Infatti la stessa Arpal che non ha
esplicitamente accusato il dragaggio ha nella sua relazione dello scorso
febbraio affermato nella parte finale in modo totalmente contraddittorio: “si ritiene opportuno rivedere le modalità di
bonifica dragaggio in quanto quelle utilizzate non forniscono sufficienti
garanzie ambientali stante la compresenza di siti sensibili nell’area portuale”.
La questione posta da Arpal sarebbe di grande
rilievo considerato che nella scelta delle tecnica di dragaggio (quella a
benna) non è stata condotta una adeguata istruttoria tecnica che mettesse a
confronto le tecniche di dragaggio indicate da pagina 127 e
seguenti del Progetto Preliminare di Bonifica dell’ICRAM di cui ho trattato
sopra. Invece che scrivere frasi
generiche sarebbe interessante capire se Arpal Autorità Portuale e Capitaneria
di Porto pensano che sarebbe necessario svolgere finalmente la suddetta
istruttoria magari scegliendo tecniche di dragaggio più sicuri come quelli indicati nel suddetto
Progetto Preliminare.
Ma c’è di più in fatto di insufficiente analisi
dello stato post dragaggio del nostro golfo perché uno studio, commissionato dalla Autorità
Portuale, sui rischi di dispersione dei fanghi dalla attività di dragaggio fa
riferimento solo a due scenari estremi:
1.rottura completa delle panne distribuite intorno
all’area di mare dragata
2.condizioni di mare estremamente sfavorevoli
Non ci sono, in questo studio, scenari relativi a situazione più puntuali
legate alla violazione di singole prescrizioni delle attività di dragaggio, che poi sono quelle che si stanno puntualmente verificando.
Ma quali
sono le prescrizioni che dovevano essere rispettate? Le troviamo nel
capitolato per il molo Garibaldi ma anche nel relativo piano di monitoraggio,
vediamo le principali:
1. separazione dell’area di scavo da quella di
carico trasferimento del materiale dragato
2. necessità di interrompere i lavori non solo
quando si verificano rotture di panne ma anche quando vengano spostate
3. minimizzazione od eliminazione della perdita di
materiale con conseguente ridotta produzione di torbidità e di dispersione dei
contaminanti
4. massimizzazione del contenuto di sostanza
solida nel materiale dragato e conseguente minimizzazione dei volumi d’acqua
che richiedono trattamento e gestione
5. collocazione sul mezzo dragante di una vasca
contenente acqua, con un adeguato franco di sicurezza per immergervi la benna
dopo lo sversamento nel pozzo di carico e prima della successiva immersione.
Tale acqua dovrà essere preleva in sicurezza e campionata.
6. speciale cautela nel manovrare la benna sul
pontone per il prelievo dei sedimenti di dragaggio dalla betta al fine di
evitare perdite di materiale e rilascio di contaminanti alla colonna d’acqua
7. il trasferimento del materiale dragato dalla
draga alla nave da trasporto deve avvenire con sistema di aspirazione
proteggendo l’area di manovra con ulteriori panne galleggianti che dovranno
essere aperte solo dopo la fine della attività di carico e comunque la betta
potrà uscire solo dopo che sia stata verificata la assenza di torbidità
dell’acqua
Secondo le contestazioni dei mitilicoltori, in
particolare, molte di queste
prescrizioni non sono state rispettate, addirittura esisterebbero filmati dove
non sarebbe stata utilizzata la benna ma addirittura il classico “ragno” che
come è noto viene usato per catturare e spostare rifiuti solidi non certo
fanghi da dragaggio.
Siano fondate o meno le suddette contestazioni
resta un fatto indiscutibile: l’Autorità Portuale non ha mai fornito un rapporto
che mettesse a confronto tutte le suddette prescrizioni ma anche le altre con
precisi e puntuali atti ispettivi e di controllo.
Ad oggi e al di la di qualche intervento
parziale della Capitaneria di Porto ancora non siamo in grado di avere notizie
certe da parte della Autorità Portuale che è la stazione appaltante. Il tutto in palese contrasto con il piano di
monitoraggio a suo tempo licenziato dalla Conferenza dei servizi presso il
Ministero dell’Ambiente che prevedeva rapporti di questo tipo (si veda a pagina
4).
La questione è particolarmente aggravata proprio
dal sito del dragaggio del molo Garibaldi che pur non essendo tra i più
inquinati in assoluto secondo la caratterizzazione del golfo svolta nel
Progetto Preliminare dell’ICRAM comunque vede la presenza di livelli di
inquinamento significativi. A pagina 49 del Progetto Icram si legge che anche
nella zona del molo Garibaldi ci sono livelli significativi di inquinanti
quali: Arsenico, Cadmio, Piombo, Idrocarburi Policlici Aromatici e Idrocarburi
Pesanti.
Sarebbe interessante capire se nella analisi
effettuate sui fanghi di dragaggio siano stati rilevati tali inquinanti perché
allora sarebbe chiarissimo il legame tra
dragaggi e impatto ambientale sul golfo e la questione quindi non
sarebbe più limitata alla problematica, pur importante, della torbidità delle
acque. Torbidità che sempre secondo l’Arpal avrebbe raggiunto livelli mai visti
nei precedenti dragaggi.
Tutto quanto sopra assume una ulteriore gravità
considerato che i dragaggi non finiranno con quelli del molo Garibaldi, ma si
prevedono anche al Molo Fornelli……
Insomma la situazione è in evoluzione e non
certo in senso di sicurezza ambientale
ma anche di sicurezza imprenditoriale per chi in mare lavora e davanti
al mare vive.
CONCLUSIONI: I REATI CHE SI CONFIGURANO
Ciò che si vuole mettere in rilievo nella
presente memoria è come sia per la parte a terra che per la parte a mare:
1. la caratterizzazione non è stata completata
soprattutto per le aree militari ma non solo
2. la bonifica ha riguardato solo parti del sito e
neppure quelle più inquinate
3. non vengono rispettati i piani di bonifica
stabiliti dagli atti approvati dalle conferenze dei servizi a cominciare dal
Progetto Preliminare per la parte a mare redatto da ICRAM
4. non è ancora chiaro del tutto quanti e quali
materiali e rifiuti pericolosi siano interrati sia nella parte a mare ma
soprattutto nella parte a terra del sito di Pitelli
5. permane
quindi un potenziale rischio sanitario e ambientale accelerato proprio dalla
vicenda dei dragaggi
Alla luce di quanto sopra sotto il profilo
penale si configurano almeno i seguenti
reati:
1.svolgimento attività di bonifica non in conformità al progetto approvato
dall'autorità competente (comma 1 articolo 257 DLgs 152/2006)
2. il permanere di un inquinamento diffuso contemporaneamente
con ulteriori interventi nelle zone inquinate (dragaggi, passaggio di navi
sempre più grandi, ulteriori attività previste nel golfo) comporta un costante rischio
ambientale e sanitario che potrebbe realizzare,
e probabilmente lo ha già realizzato, una fattispecie di disastro ambientale tenuto conto anche
della nuova definizione della fattispecie astratta di questo reato approvata
dal Parlamento.
3. Ma soprattutto si configura ancor di più il
delitto di omessa bonifica
introdotto dalla recente legge sui delitti ambientali con l’inserimento dell’articolo 452-terdecies
nel Codice Penale. Secondo questo nuovo articolo: “Salvo
che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, essendovi obbligato per
legge, per ordine del giudice ovvero di una autorità
pubblica, non provvede alla bonifica, al ripristino o al recupero dello stato
dei luoghi è punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni e
con la multa da euro 20.000 a euro 80.000.” Si tratta di una novità
importante visto che l’articolo 257 del DLgs 152/2006 (testo unico ambientale)
prevedeva solo contravvenzioni riferite a chi non effettua la bonifica
dell’inquinamento da esso prodotto dopo che è stato approvato il progetto di
bonifica. Le sanzioni erano al massimo dell’arresto fino a due anni e
della ammenda fino a 52.000 euro, se si trattava di rifiuti o sostanze
classificate come pericolose.
Come è noto la responsabilità penale è personale e non sta a me ma alla magistratura, se avrà voglia di indagare prima o poi sulle mancate o non corrette bonifiche spezzine, verifica i singoli responsabili. Resta però che le fattispecie di reato sopra esposte se confrontate con quanto è accaduto nel sito di Pitelli si sono realizzate e sono in atto.
[1]
http://www.arpal.gov.it/index.php?option=com_flexicontent&view=items&cid=116&id=993&Itemid=631
[2] Questa analisi così conclude:
Per le
sub-aree residenziali 1/d; 2/b; 4/c, si è riscontrato rischio sanitario per
sostanze cancerogene, dovuto alla presenza di benzo(a)pirene in concentrazioni
vicine al limite di legge e paragonabili a quelle riscontrabili in tutte le
aree soggette ad inquinamento da traffico auto-veicolare. Si ritiene che tale
contaminazione non sia ascrivibile alle sorgenti industriali perimetrate nel
sito, ma costituisca un contributo antropico di altra origine. A tale proposito
si propone lo svincolo delle aree, subordinato ad un approfondimento, come
riportato al paragrafo 4, sulle dimensioni delle sorgenti secondarie e sulle
vie di migrazione contemplate nell'analisi di rischio e/o un supplemento di
indagine, allo scopo di valutare il contributo del traffico veicolare nelle
aree contigue al Sito di Pitelli.
Per le
sub-aree 4/a[4]; 4/b[5]; 5/a[6] vi è rischio sanitario sia per le
sostanze cancerogene che per le sostanze tossiche
Per le
sub-aree residenziali 4/a; 4/b ove si è riscontrato un rischio sanitario
sia per le sostanze cancerogene che per le sostanze tossiche, ma localizzato
solo in uno o due dei punti di indagine dell’intera sub area, come rilevabile
dall’Allegato 1, si propone un approfondimento di indagine per una
perimetrazione di dettaglio degli hot spots individuati e propedeutico alla
progettazione della bonifica delle zone così individuate e allo svincolo
dell’intere sub-aree. • Per la sub-area 5/a, ove è risultato un rischio
nettamente superiore al valore di soglia consentito, determinato da una
contaminazione diffusa in maniera omogenea su tutta la superficie, si ritiene
necessaria l’elaborazione di un progetto di bonifica, esteso, per quanto detto
al paragrafo 5, anche alle aree esterne al Sito ma morfologicamente contigue e
pertinenti al lotto medesimo.
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