PARTE PRIMA
L’OMESSA BONIFICA DEL SITO DI PITELLI
QUADRO GENERALE DEL
SITO DI PITELLI
Le
bonifiche, nella parte a mare del sito di Pitelli, fino ad ora sono state fatte
in zone non rilevanti sotto il profilo dell’inquinamento, ma rilevanti sotto il
profilo degli interessi economici che muovevano. Facendo
esattamente il contrario di quello che prevede il Progetto
preliminare di bonifica dell’ICRAM, secondo il quale: ““In considerazione del fatto che gli
interventi di bonifica relativi alle diverse aree potrebbero essere attuati in
tempi diversi, dovrà essere data priorità a quelle aree in cui livelli elevati
di contaminazione dei sedimenti potrebbero determinare situazioni di rischio
sanitario-ambientale”.
Ricordo
che il Progetto Preliminare dell’ICRAM non è semplice studio ma è attuativo del Decreto Ministeriale che ha istituito e
perimetrato il sito di bonifica di Pitelli a sua volta in attuazione della
legge nazionale, all’epoca ancora il DLgs 22/1997 (articolo 17). Il Progetto è
stato approvato con Conferenza dei Servizi del 24 marzo 2014.
Lo studio dell’ICRAM
non è solo di caratterizzazione del livello di inquinamento del golfo ma è un
piano di indirizzo operativo della attività di bonifica per l’intero sito di Pitelli
Il documento dell’ICRAM non è solo una mappa (caratterizzazione)
della diffusione dell’inquinamento del golfo ma un vero e proprio Progetto
Preliminare di Bonifica che nella dizione della allora vigente normativa
significa:
1. individuazione delle aree prioritarie su cui
intervenire per il disinquinamento e/o messa in sicurezza
2. parametri per definire le
aree da bonificare
3. aree su cu effettuare ulteriori approfondimenti
di indagine
4. diverse modalità e tecniche di bonifica
In particolare:
relativamente al punto 3 non risulta agli atti, fino ad ora
pubblicati, alcun approfondimento, come invece richiesto dal Progetto
ICRAM, dove a pagina 106 si legge: “sono evidenziate delle aree
che potrebbero essere definite “aree di incertezza”, poiché in esse, essendo
molto vicine alla costa e in prossimità di banchine, vi è un accumulo maggiore
di sedimenti, e questo comporta che l’estensione delle elaborazioni
relative alle aree limitrofe non risulti del tutto adeguata. Su tali aree,
quindi, non si può escludere la necessità di una bonifica, e
di conseguenza, prima di procedere a qualsiasi tipo di intervento, sarà
necessario eseguire un ulteriore approfondimento di indagine. In
considerazione delle caratteristiche delle aree specifiche, tale
approfondimento potrebbe essere spinto anche oltre le profondità di
indagine previste dal piano ICRAM.“.
Relativamente al punto 4 non risulta alcuna documentazione presentata, questo nonostante la normativa, vigente all’epoca dei primi interventi e poi integrata dal 2006 con l’allegato III alla parte IV del DLgs 152/2006, richiedesse una valutazione delle alternative presentate dal Progetto ICRAM, sulla base dei criteri indicati da detto allegato, per la scelta della migliore tecnica di bonifica.
Relativamente al punto 4 non risulta alcuna documentazione presentata, questo nonostante la normativa, vigente all’epoca dei primi interventi e poi integrata dal 2006 con l’allegato III alla parte IV del DLgs 152/2006, richiedesse una valutazione delle alternative presentate dal Progetto ICRAM, sulla base dei criteri indicati da detto allegato, per la scelta della migliore tecnica di bonifica.
D’altronde
che intervenire per fasi nella bonifica di un area vasta come è il golfo di
Spezia non significhi procedere per compartimenti stagni, come invece si sta
facendo, lo dimostra la stessa legge in materia: ” …..Nel caso di interventi di bonifica o di messa in
sicurezza di cui al periodo precedente, che presentino particolari
complessità a causa della natura della contaminazione, degli interventi, delle
dotazioni impiantistiche necessarie o dell'estensione dell'area interessata
dagli interventi medesimi, il progetto può essere articolato per fasi
progettuali distinte al fine di rendere possibile la realizzazione degli
interventi per singole aree o per fasi temporali successive” (comma 7 articoo 242 del DLgs 152/2006). Come
si vede non si parla certo di bonificare solo quello che interessa
economicamente. Tanto è vero che l’allegato 3 alla disciplina delle bonifiche
(nel DLgs 152/2006, vedi QUI) prevede che “per i siti in esercizio laddove un intervento
di bonifica intensivo comporterebbe delle limitazioni se non l’interruzione
della attività di produzione, il soggetto responsabile dell’inquinamento o il
proprietario del sito può ricorrere, in alternativa, ad interventi altrettanto
efficaci di messa in sicurezza dell’intero sito, finalizzati alla protezione
delle matrici ambientali sensibili mediante il contenimento degli inquinanti
all’interno dello stesso, e provvedere gradualmente alla eliminazione delle sorgenti
inquinanti secondarie in step successivi programmati….”
Si veda di
seguito la mappa del golfo di Spezia tratta dal Progetto Preliminare Icram. I diversi colori: verde, giallo, marroncino e
rosso dimostrano la gerarchia (dal rosso zona più inquinata a
scendere fino al verde) nella priorità delle aree da bonificare. La Mappa qui
riprodotta è parziale perché riguarda l’inquinamento solo fino a
profondità 0-50, ve ne sono altre 5 nelle pagine da 161 1 165 del
Progetto ICRAM.
MAPPA 1 Aree di maggior inquinamento da bonificare
MAPPA 2
Aree di
dragaggio previste
Come si
vede da questa seconda mappa si è previsto di dragare a prescindere dagli
interventi prioritari sulla aree a maggior rischio previsti dal Progetto ICRAM
individuati nella mappa 1
E voglio
ricordare che sono passati ben 15 anni dalla perimetrazione del sito Pitelli
sia per la parte a mare che per quella a terra! E che non ci sia stata la
volontà di fare per bonifica il sito di Pitelli lo dimostrano le questioni dei
costi.
I costi di
bonifica della parte a mare del sito di pitelli secondo il documento dell’icram
Relativamente
ai costi di bonifica se noi andiamo a vedere gli scenari di bonifica del
documento Icram ci possiamo rendere conto del livello ridicolo di finanziamento
annunciato ora da Regione Liguria e Comune di Spezia: 1,3 milioni di euro per
la parte a terra (peraltro vecchi fondi ministeriali) e per l’area di
Pertusola: circa 3 milioni di cui solo 1,3 da parte della Regione.
Lo studio
Icram, solo per la parte a mare, individuava quattro
scenari di intervento di bonifica a seconda del livello di
inquinamento, delle aree interessate, della tipologia degli inquinanti e della
profondità della rimozione degli inquinanti.
Il costo
passa da 201 milioni di euro ipotesi dello
scenario 1 di bonifica minima, a 563 milioni di euro per lo
scenario 4 della bonifica integrale della rada della Spezia.
Sulla
situazione a terra i dati ufficiali dell’Arpal pubblicati nel sito di
questo Ente [1] nonché il
verbale di conferenza dei servizi del 20/5/2013, dimostrano che:
1. per l’area Campetto, vicinissima alla zone dove sono stati
ritrovati recentemente ulteriori rifiuti pericolosi smaltiti illegalmente, il
piano di caratterizzazione non è ancora stato validato quindi concluso
2. per l’area ex tiro al piattello non esiste piano di
caratterizzazione in quanto in zona militare
3. per la Discarica di RSU Vallegrande “La Marina” siamo ancora
alla fase di monitoraggio per individuare interventi conseguenti
4. discarica RSU Monte Montada: L’area è stata posta sotto sequestro dal 1999 fino al 2012, assegnando
la gestione al Comune che, per un certo periodo, ha provveduto (tramite ACAM)
allo smaltimento del percolato; attualmente il percolato non viene smaltito.
L’area è stata restituita alla proprietà nel 2012.
5. discarica di saturnia : il piano di caratterizzazione è tutt’ora in
corso di validazione
6. bacini di lagunaggio ceneri centrale enel: non risultano dati
ufficiali
7. Ex Fonderia Pertusola (Navalmare): progetto di bonifica non avviato, in quanto il Ministero
dell’Ambiente ha chiesto di presentare un nuovo progetto
8. Le aree militari insistenti nel sito non sono state
adeguate alle disposizioni del D.Lgs 152/06.
PARTE II
IL QUADRO DI INQUINAMENTO PRESENTE NEI
FONDALI INTORNO AL MOLO GARIBALDI OGGETTO DELL’ULTIMO DRAGAGGIO TUTT’ORA IN
CORSO
LE MAPPE
DELL’INQUINAMENTO NEL MOLO GARIBALDI
Le due
mappe già riportate sopra dal Progetto Preliminare dell’Icram (il documento che
ha chiarito il livello di diffusione dell’inquinamento del golfo di
Spezia)
Possono
essere anche utilizzate, oltre per dimostrare
la omessa bonifica di gran parte delle aree più inquinate, anche,
sovrapponendole nella zona del Molo Garibaldi, per dimostrare come, soprattutto l’area in testa al molo ma anche intorno ad esso e
in particolare verso ponente (area di nuove escavazioni), sia in zona rossa
cioè tra quelle più inquinate.
A pagina
104 del Progetto Preliminare dell’Icram si legge: “ Da una visione complessiva si identificano alcune aree la cui
contaminazione risulta particolarmente critica: l’area del Seno della
Pertusola, il settore nord occidentale del Porto Mercantile (dal Molo
Garibaldi alla
Darsena Duca degli Abruzzi) ed il tratto costiero orientale, d Cadimare al Seno
di Panigaglia. In alcune di queste aree concentrazioni molto elevate di metalli
e contaminanti organici si spingono anche alle profondità maggiori.”
LIVELLO DI
PROFONDITÀ DELL’INQUINAMENTO NELLA ZONA DEL MOLO GARIBALDI
Peraltro
il progetto Icram analizza il livello di inquinamento fino a 3 metri mentre il
dragaggio previsto nel capitolato di appalto speciale prevede di arrivare fino
a quota -11metri.
Da questo
punto di vista è interessante quanto affermato a pagina 49 del documento Icram:
“Il maggior grado di contaminazione e la sua maggiore estensione si rileva
nei primi 70-100 cm. Infatti, dopo il
primo metro, la contaminazione si concentra quasi totalmente, a parte
un paio di hot spots, in aree molto circoscritte, in prossimità di moli, banchine, insenature, dove, oltre a essere presente
un’intensa attività antropica, è forte la tendenza all’accumulo dei
sedimenti: il Seno della Pertusola, i Cantieri Navali Muggiano e
Beconcini, l’area Mariperman, Porto Lotti, Molo Pagliari, i Moli Ravano, Garibaldi, Italia,
Mirabello, la banchina Morin, Cadimare, i Seni del Fezzano, di Panigaglia
e de Le Grazie.”
Molto
interessante anche quanto affermato, sempre nel documento Icram, a pagina 49: “nei
primi 50 cm di spessore vi sono zone in cui le concentrazioni dei contaminanti
raggiungono livelli estremamente elevati. Tali zone sono: il tratto di costa
che va dall’imboccatura orientale fino ai Cantieri Navali Muggiano (compreso il
Seno della Pertusola), porto Lotti, i moli
Garibaldi e Italia, il
Molo Mirabello, Cadimare e i seni del Fezzano e di Panigaglia. Negli
strati più profondi le aree che presentano livelli di concentrazioni così
critiche sono molto più ridotte, e si limitano alle sole aree dell’ex
Fonderia di Piombo e del Molo Garibaldi.”
INQUINANTI PRESENTI
NELLA ZONA DEL MOLO GARIBALDI
A conferma
di quanto sopra riportato dal documento Icram (pagina da 114 a 117) si evince
che la zona del molto Garibaldi è caratterizzata soprattutto nella parte
antistante la testata del molo per concentrazioni di inquinanti sia
organici che metallici.
In
particolare dal documento Icram risultano concentrazioni
elevate nella zona del Molo Garibaldi dei seguenti inquinanti:
Mercurio (pag. 52), i massimi livelli determinati sono intorno a 4-6
mg/kg, e le aree interessate sono solo Molo Garibaldi e Molo Mirabello (pag.
56).
Piombo (pagina 56), dopo il primo metro, le situazioni più critiche
rimangono il Seno della Pertusola e Molo Garibaldi.
Zinco (pagina 61): nei primi 50 cm si osserva la massima estensione
della contaminazione, che interessa il tratto di costa dall’imboccatura
orientale della rada fino ai Cantieri Navali Muggiano, da Mariperman al Molo
Pagliari, i moli Garibaldi, Italia e Mirabello, dalla Darsena Militare al Seno
di Panigaglia, e parte del Seno delle Grazie. Oltre il metro di
profondità sono presenti ancora aree con concentrazioni notevoli di Zn, quali:
….. Molo Garibaldi (pag.64). Tra i due e i tre metri permangono alcuni hot
spots in prossimità del Molo Garibaldi, Molo Italia e banchina Morin (pag. 65).
Composti organo
stannici (TBT) [2]: nel Molo
Garibaldi (in quest’ultimo fino a 150 cm di profondità) sono state determinate
concentrazioni superiori ad un ordine di grandezza del valore di intervento
(pag. 70).
Rame: Le aree
interessate dalla elevata presenza di rame sono…… Molo Garibaldi (pag. 70)
Cadmio: il Molo
Mirabello e l’area tra il Molo Garibaldi e il Molo Italia sono quelle con una
superficie più estesa (pag. 75). L’area settentrionale, tra il Molo Garibaldi e
il Molo Mirabello, continua ad essere contaminata anche negli strati più
profondi (pag. 79).
Idrocarburi
pesanti: riscontrati
nel primo metro a concentrazioni estremamente elevate…. Molo Garibaldi (pag.
94). Oltre i due metri le concentrazioni più critiche sono state determinate
nel Molo Garibaldi (pag.99).
Stagno: concentrazioni più alte della media… Molo Garibaldi (pag. 99).
Cobalto:
concentrazioni superiori alla media…Molo Garialdi (pag.99)
Non solo
ma nella zone di levante del Molo Garibaldi quella interessata proprio
dall’ultimo ampliamento dello stesso è presente un area di incertezza (si veda
mappa documento Icram pagina 107 e seguenti). A pagina 106 del documento Icram
si legge “Su tali aree non si può escludere la necessità di una bonifica e
di conseguenza prima di procedre a qualsiasi tipo di intervento, sarà
necessario un ulteriore approfondimento di indagine. In considerazione delle
caratteristiche delle aree specifiche, tale approfondimento potrebbe essere
spinto anche oltre le profondità di indagine previste dal piano Icram”.
Domanda: sono state fatte queste verifiche su queste aree?
Mi
riferisco al Piano di Monitoraggio per le attività di bonifica dei
fondali esterni al Palancolato del Molo Garibaldi in attuazione del Progetto
preliminare dell’Icram sopra citato.
Prevede in
generale specifiche e puntuali modalità di controllo della attività di
dragaggio al fine di prevenire:
1. l’aumento della torbidità con risospensione dei sedimenti
2. la mobilizzazione dei contaminanti associati alle particelle in
sospensione
3. alterazioni negli impianti di mitilicoltura e di ittiocoltura
4. alterazioni delle biocenosi sensibili (comunità delle specie
marine come le praterie di posidonia)
Ciò dovrà
essere svolto con apposite
sonde (tre:
fisse e mobili) e con prelievi
di campioni di acqua. Il tutto con una tempistica dei momenti di prelievo molto
stringente e cadenzata.
Ad oggi
non abbiamo ancora avuto la pubblicazione di un report che puntualmente
chiarisse il rispetto di quanto sopra ma dichiarazioni e verbali di controllo
confusi e contraddittori se non addirittura reticenti da parte di Autorità
Portuale, Arpal e Capitaneria. Basti pensare che Arpal a febbraio di questo
anno, dopo i primi episodi di diffusione della torbità nel golfo dichiara che
le modalità di dragaggio vanno riviste, mentre oggi si afferma che tuttosommato
non dovrebbe essere il dragaggio ad avere creato il problema (sic!).
PARTE III
LA VIOLAZIONE DELLE PRESCRIZIONI PER IL
DRAGAGGIO-BONIFICA DEI FONDALI INTORNO AL MOLO GARIBALDI
LA VICENDA DEL
DRAGAGGIO DEL PORTO DI SPEZIA
Che ci sia
un legame tra il dragaggio in atto da tempo nel golfo di Spezia e la
dispersione di fango in mare è ormai un dato accertato. Quello che continua a
non essere chiaro è fino a che punto il dragaggio ha contribuito ad aumentare
la fangosità del nostro golfo e quali danni ambientali ha fatto alle attività
di mitilicoltura e itticoltura presenti. Per non parlare della
balneazione.
Su queste
le notizie continuano ad essere contraddittorie e i report ufficiali
delle autorità preposte non chiariscono minimamente lo stato effettivo
della situazione.
Infatti la
stessa Arpal che non ha esplicitamente accusato il dragaggio ha nella sua
relazione dello scorso febbraio affermato nella parte finale in modo totalmente
contraddittorio: “si ritiene opportuno rivedere le modalità di bonifica
dragaggio in quanto quelle utilizzate non forniscono sufficienti garanzie ambientali
stante la compresenza di siti sensibili nell’area portuale”.
La
questione posta da Arpal sarebbe di grande rilievo considerato che nella scelta
delle tecnica di dragaggio (quella a benna) non è stata condotta una adeguata
istruttoria tecnica che mettesse a confronto le tecniche di dragaggio indicate
da pagina 127 e seguenti del Progetto Preliminare di Bonifica
dell’ICRAM di cui ho trattato sopra. Invece che scrivere frasi generiche
sarebbe interessante capire se Arpal Autorità Portuale e Capitaneria di Porto
pensano che sarebbe necessario svolgere finalmente la suddetta istruttoria
magari scegliendo tecniche di dragaggio più sicuri come quelli indicati
nel suddetto Progetto Preliminare.
Ma c’è di
più in fatto di insufficiente analisi dello stato post dragaggio del nostro
golfo perché uno studio, commissionato dalla Autorità Portuale, sui
rischi di dispersione dei fanghi dalla attività di dragaggio fa riferimento
solo a due scenari estremi:
1.rottura
completa delle panne distribuite intorno all’area di mare dragata
2.condizioni
di mare estremamente sfavorevoli
Non ci
sono, in questo studio, scenari relativi a situazione più puntuali legate
alla violazione di singole prescrizioni delle attività di dragaggio, che poi
sono quelle che si stanno puntualmente verificando.
LA VIOLAZIONE DELLE
PRESCRIZIONI DEL CAPITOLATO SPECIALE DI APPALTO PER IL DRAGAGGIO DEI FONDALI
DEL MOLO GARIBALDI
Ma quali sono le prescrizioni che dovevano essere rispettate? Le
troviamo nel capitolato per il molo Garibaldi (articoli 49, 50 e 51) ma anche
nel relativo piano di monitoraggio, vediamo le principali con a fianco i
riferimenti ai video girati direttamente
sul campo di dragaggio in più situazioni che dimostrano la violazione delle
prescrizioni:
1. per la realizzazione del campo di bonifica e del successivo escavo a
quota -11,00 è previsto l’impiego di panne galleggianti speciali, costituite da
teli in poliestere ad alta resistenza resinati e vincolati tramite cavi di
acciaio INOX austenitico a corpi morti adeguatamente posati sul fondale marino.
Le panne dovranno corrispondere a caratteristiche tecniche e prestazionali tali
da garantirne la resistenza e la durabilità durante le operazioni di esavo dei
fondali, nonché l’impermeabilità ad eventuali particelle solide in risospensione.[3]
2. separazione dell’area di scavo da quella di carico trasferimento
del materiale dragato
3. necessità di interrompere i lavori non solo quando si verificano
rotture di panne ma anche quando vengano spostate [4]
4. minimizzazione od eliminazione della perdita di materiale con
conseguente ridotta produzione di torbidità e di dispersione dei contaminanti [5]
5. massimizzazione del contenuto di sostanza solida nel materiale
dragato e conseguente minimizzazione dei volumi d’acqua che richiedono
trattamento e gestione
6. collocazione sul mezzo dragante di una vasca contenente acqua,
con un adeguato franco di sicurezza per immergervi la benna dopo lo sversamento
nel pozzo di carico e prima della successiva immersione. Tale acqua dovrà
essere preleva in sicurezza e campionata.[6] [7]
7. speciale cautela nel manovrare la benna sul pontone per il
prelievo dei sedimenti di dragaggio dalla betta al fine di evitare perdite di
materiale e rilascio di contaminanti alla colonna d’acqua [8]
8. il trasferimento del materiale dragato dalla draga alla nave da
trasporto deve avvenire con sistema di aspirazione proteggendo l’area di
manovra con ulteriori panne galleggianti che dovranno essere aperte solo dopo
la fine della attività di carico e comunque la betta potrà uscire solo dopo che
sia stata verificata la assenza di torbidità dell’acqua
Secondo le contestazioni dei
mitilicoltori, in particolare, molte di queste prescrizioni non sono
state rispettate, addirittura esisterebbero filmati dove non sarebbe stata
utilizzata la benna ma addirittura il classico “ragno” che come è noto viene
usato per catturare e spostare rifiuti solidi non certo fanghi da dragaggio.
Non solo ma la Perizia svolta da
professionisti del settore incaricati dai mitilicoltori contiene
conclusioni che dimostrano la correlazione tra le violazioni delle prescrizioni
di dragaggio e l’impatto dei fanghi sui mitili da cui le morie diffuse dei mesi
scorsi. Emblematico questo passaggio contenute nelle conclusioni di questa
perizia: “la moria di mitili
perdurante e manifestata in modo eclatante agli inizi di febbraio, che mina gravemente il futuro di tutta la
molluschicoltura spezzina dopo circa 100 anni,
sia chiaramente originata da errori e manchevolezze legate dell’attività di dragaggio e movimentazione
dei sedimenti.
La morìa, non
nascondibile per l’intensità palese, è
solo l’inizio eclatante di una sequenza
di fenomeni negativi già avvenuti e da accadere, se non verrà attuato puntigliosamente il “rispetto delle altre attività produttive
radicate nel Golfo”
Siano
fondate o meno le suddette contestazioni resta un fatto indiscutibile:l’Autorità
Portuale non ha mai fornito un rapporto che
mettesse a confronto tutte le suddette prescrizioni ma anche le altre con
precisi e puntuali atti ispettivi e di controllo.
Ad oggi e
al di la di qualche intervento parziale della Capitaneria di Porto ancora non
siamo in grado di avere notizie certe da parte della Autorità Portuale che è la
stazione appaltante. Il tutto in palese contrasto con il piano di
monitoraggio a suo tempo licenziato dalla Conferenza dei servizi presso il
Ministero dell’Ambiente che prevedeva rapporti di questo tipo (si veda a pagina
4).
La
questione è particolarmente aggravata proprio dal sito del dragaggio del molo
Garibaldi che pur non essendo tra i più inquinati in assoluto secondo la
caratterizzazione del golfo svolta nel Progetto Preliminare dell’ICRAM comunque
vede la presenza di livelli di inquinamento significativi. A pagina 49 del
Progetto Icram si legge che anche nella zona del molo Garibaldi ci sono livelli
significativi di inquinanti quali: Arsenico, Cadmio, Piombo, Idrocarburi
Policlici Aromatici e Idrocarburi Pesanti.
Sarebbe
interessante capire se nella analisi effettuate sui fanghi di dragaggio siano
stati rilevati tali inquinanti perché allora sarebbe chiarissimo il legame
tra dragaggi e impatto ambientale sul golfo e la questione quindi non
sarebbe più limitata alla problematica, pur importante, della torbidità delle
acque. Torbidità che sempre secondo l’Arpal avrebbe raggiunto livelli mai visti
nei precedenti dragaggi.
Tutto
quanto sopra assume una ulteriore gravità considerato che i dragaggi non
finiranno con quelli del molo Garibaldi, ma si prevedono anche al Molo
Fornelli……
Insomma la
situazione è in evoluzione e non certo in senso di sicurezza ambientale
ma anche di sicurezza imprenditoriale per chi in mare lavora e davanti al mare
vive.
PARTE IV
IL RISCHIO DI DISASTRO AMBIENTALE IN ATTO
NEL GOLFO DI SPEZIA PER OMESSA BONIFICA
IL
QUADRO DI RISCHIO SANITARIO IN ATTO
I limiti
della attività di bonifica, quelli delle non completate caratterizzazioni,
quelli del mancato rispetto delle prescrizioni in materia di dragaggio
bonifica, i ritrovamenti di ulteriori interramenti abusivi di rifiuti
pericolosi, si inseriscono in un quadro di rischio sanitario
dell’area abitata maggiormente interessata dal sito di Pitelli che è
stato confermato dalla relazione
dell’Arpal denominata rischio di secondo livello (per il testo completo vedi QUI. Trattasi
delle analisi di rischio di secondo livello come previsto dagli allegati al
Dlgs 152/2006. [9]
INFINE: IL RISCHIO
ECOTOSSICOLOGICO IN GENERALE NEL GOLFO DI SPEZIA
L’insieme
di queste aree inquinate da bonificare secondo il documento Icram presenta
rischi alti di tipo eco tossicologico[2] come affermato a pagina 102: “dalla integrazione dei dati
ecotossicologici emerge una situazione complessiva negativa. La maggior
parte dei sedimenti saggiati, infatti, è in grado di provocare effetti
tossicologici acuti importanti, sia nella frazione solida che liquida. Ciò
denota la presenza di miscele complesse di contaminanti di natura organica ed
inorganica in forma di concentrazione biodisponibile per gli organismi.”
Su questo
aspetto una questione che fino ad ora non è stata chiarita dagli organi
competenti è se la attività di dragaggio ha rispettato quanto previsto dal
Piano di Monitoraggio citato in precedenza. Si veda il punto 2.2 di del
Piano di Monitoraggio relativo al controllo degli effetti della bonifica sugli
organismi che formano l’ecosistema golfo spezzino. Questa parte del Piano di
Monitoraggio prevede stazioni di controllo per indagini eco
tossicologiche precisando le tipologie di controlli ma anche le
tempistiche di controllo.
Fino ad
ora non è stato prodotto alcun
rapporto ufficiale che
dimostri il rispetto di quanto sopra da parte degli organi preposti: Autorità
portuale, Capitaneria, Arpal. Basti confrontare quanto previsto dal
Piano di Monitoraggio con quanto fino ad ora dichiarato e pubblicato da Arpal:
punto
2.2.2. tempistica
e frequenza delle indagini eco tossicologiche
punto
2.2.3. tipologia
ed ubicazione delle aree per il controllo microbiologico sugli organismi
punto
2.2.4. tempistica
e frequenza per il controllo microbiologico sugli organismi
punto
2.2.5. tipologia
ed ubicazione delle aree per il controllo qualitativo delle biocenosi sensibili
(es. praterie di posidonia, quindi organismi stanziali anche nelle aree
limitrofe del nostro golfo)
punto
2.2.6. tempistica
e frequenza per il controllo qualitativo delle biocenosi sensibili
Per ognuna
delle seguente attività di controllo il Piano di Monitoraggio prevede verifiche
prima durante e dopo la attività di dragaggio con frequenze piuttosto
brevi (anche solo 10 giorni da un controllo all’altro).
PARTE V
I REATI CHE SI CONFIGURANO
Ciò che si
vuole mettere in rilievo è come sia per la parte a terra che per la parte a
mare:
1. la caratterizzazione non è stata completata soprattutto per le
aree militari ma non solo
2. la bonifica ha riguardato solo parti del sito e neppure quelle
più inquinate
3. non vengono rispettati i piani di bonifica stabiliti dagli atti
approvati dalle conferenze dei servizi a cominciare dal Progetto Preliminare
per la parte a mare redatto da ICRAM
4. non è ancora chiaro del tutto quanti e quali materiali e rifiuti
pericolosi siano interrati sia nella parte a mare ma soprattutto nella parte a
terra del sito di Pitelli
5.
permane quindi un potenziale rischio sanitario e ambientale accelerato proprio
dalla vicenda dei dragaggi
Alla
luce di quanto sopra sotto il profilo penale si
configurano almeno i seguenti reati:
1.svolgimento
attività di bonifica
non in conformità al progetto approvato dall'autorità competente (comma 1 articolo
257 DLgs 152/2006)
2. il permanere di un inquinamento diffuso contemporaneamente con
ulteriori interventi nelle zone inquinate (dragaggi, passaggio di navi sempre
più grandi, ulteriori attività previste nel golfo) comporta un costante rischio
ambientale e sanitario che potrebbe realizzare, e probabilmente lo ha già
realizzato, una fattispecie di disastro
ambientale tenuto
conto anche della nuova definizione della fattispecie astratta di questo reato
approvata dal Parlamento.
3. Ma soprattutto si configura ancor di più il delitto di omessa bonifica introdotto dalla recente legge sui
delitti ambientali con l’inserimento dell’articolo 452-terdecies nel Codice Penale. Secondo questo nuovo articolo: “Salvo
che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, essendovi obbligato per
legge, per ordine del giudice ovvero di una autorità pubblica, non
provvede alla bonifica, al ripristino o al recupero dello stato dei luoghi è
punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni e con la multa
da euro 20.000 a euro 80.000.” Si tratta di
una novità importante visto che l’articolo 257 del DLgs 152/2006 (testo unico
ambientale) prevedeva solo contravvenzioni riferite a chi non effettua la
bonifica dell’inquinamento da esso prodotto dopo che è stato approvato il progetto
di bonifica. Le sanzioni erano al massimo dell’arresto fino a due anni e
della ammenda fino a 52.000 euro, se si trattava di rifiuti o sostanze
classificate come pericolose.
[1] http://www.arpal.gov.it/index.php?option=com_flexicontent&view=items&cid=116&id=993&Itemid=631
[2] Queste sostanze hanno effetti
devastanti sul sistema ormonale di alcune specie, e anche gli esseri umani
potrebbero correre dei rischi se consumassero pesci contaminati. Si tratta di
composti capaci di alterare persino le caratteristiche sessuali degli organismi
colpiti, con gravissime ripercussioni sulla riproduzione
[3] VID-20150412-WA0001.mp4 una imbarcazione mantiene il campo di con
terminazione aperto, prova evidente che il sistema non solo è mobile, ma se non
fosse tenuto in loco dalla forza motrice delle imbarcazioni si muoverebbe e
vagherebbe. L’uso costante di apparati di propulsione, potrebbe creare
ulteriori turbolenze che hanno lacerato i tessuti che, da Capitolato, devono
partire dalla superficie e arrivare al fondo senza soluzione di continuità
VID-20150412-WA0002.mp4 idem come sopra
[4] VID-20150409-WA0001.mp4 E’ possibile notare come le panne e
presumibilmente le gonne ad esse adese siano state riposizionate al termine del
turno di dragaggio. Ciò fa presupporre che, diversamente da quanto
esplicitamente segnato nel Capitolato di Appalto delle operazioni di
escavazione fondali al Molo Garibaldi, il sistema di conterminazione non è
fissato al fondale, ma presenta una certa “mobilità”
[5] VID-20150412-WA0003.mp4 in questo video è possibile osservare la
disinvoltura nelle operazioni di lavaggio della nave draga con uso di getto a
pressione per rimuovere il fango residuo dalla fiancata in mare aperto ovvero
non conterminato.
[6] https://youtu.be/V2NoavTW8DI a questo indirizzo internet è possibile osservare il dragaggio eseguito
con un “ragno” o “polpo” invece che con una benna a chiusura idraulica, con una
copiosa dispersione di acqua lurida, senza risciacquare l’attrezzo dragante
prima della reimmersione come previsto dalle prescrizioni. Inoltre è ben visibile
il mezzo nautico che tiene in posizione la barriera con l’ausilio del motore.
[7] VID-20150413-WA0001.mp4 E’ evidente il mancato uso, come previsto dalle
prescrizioni nonché dal Capitolato di Appalto, di un pozzo di risciacquo per
lavare la benna ad ogni ciclo di prelievo del sedime al fine di non contaminare
il mare
VID-20150413-WA0001.mp4 idem come sopra
[8] VID-20150409-WA0002.mp4 Durante le operazioni di prelievo del sedime dal
fondo, data l’esigua estensione del campo di con terminazione, lo sbraccio del
mezzo dragante porta fuori dal campo la benna carica di fanghi e acqua lurida,
con evidente dispersione di materiale in mare
[9] Questa analisi
così conclude:
Per le sub-aree residenziali 1/d; 2/b; 4/c, si
è riscontrato rischio sanitario per sostanze cancerogene, dovuto alla presenza
di benzo(a)pirene in concentrazioni vicine al limite di legge e paragonabili a
quelle riscontrabili in tutte le aree soggette ad inquinamento da traffico
auto-veicolare. Si ritiene che tale contaminazione non sia ascrivibile alle
sorgenti industriali perimetrate nel sito, ma costituisca un contributo
antropico di altra origine. A tale proposito si propone lo svincolo delle aree,
subordinato ad un approfondimento, come riportato al paragrafo 4, sulle
dimensioni delle sorgenti secondarie e sulle vie di migrazione contemplate
nell'analisi di rischio e/o un supplemento di indagine, allo scopo di valutare
il contributo del traffico veicolare nelle aree contigue al Sito di Pitelli.
Per le sub-aree 4/a[4]; 4/b[5]; 5/a[6] vi è rischio sanitario sia per le sostanze cancerogene che per le
sostanze tossiche
Per le sub-aree residenziali 4/a; 4/b ove
si è riscontrato un rischio sanitario sia per le sostanze cancerogene che per
le sostanze tossiche, ma localizzato solo in uno o due dei punti di indagine
dell’intera sub area, come rilevabile dall’Allegato 1, si propone un
approfondimento di indagine per una perimetrazione di dettaglio degli hot spots
individuati e propedeutico alla progettazione della bonifica delle zone così
individuate e allo svincolo dell’intere sub-aree. • Per la sub-area 5/a, ove è
risultato un rischio nettamente superiore al valore di soglia consentito,
determinato da una contaminazione diffusa in maniera omogenea su tutta la
superficie, si ritiene necessaria l’elaborazione di un progetto di bonifica,
esteso, per quanto detto al paragrafo 5, anche alle aree esterne al Sito ma
morfologicamente contigue e pertinenti al lotto medesimo.
Nessun commento:
Posta un commento