La Corte di
Giustizia UE con sentenza10 novembre 2020 (causa C644-18 – QUI) interviene
sul ricorso della Commissione europea che chiede alla Corte di
condannare la Repubblica italiana per
avere superato, in maniera sistematica e
continuata, i valori di concentrazione di PM10 (in prosieguo: i «valori limite
fissati per il PM10»), superamento che è tuttora in corso.
Di seguito
ricostruisco le varie parti della sentenza in modo che diventino i titoli di
come, secondo la Corte di Giustizia
PARTE 1. gli stati membri
incorrano in inadempimenti alla vigente normativa in materia di tutela della
qualità dell’aria.
PARTE 2 gli stati
membri, in caso di superamenti dei valori limiti degli inquinanti (nel caso in
questione il particolato fine con 10 milionesimi di metro di diametro), come
devono agire per riportare tali valori più brevemente possibile nei limiti di
legge.
PARTE 1. QUALI
CONDIZIONI PER VERIFICARE L’INADEMPIMENTO DELLA DIRETTIVA 2008750 IN CASO DI
SUPERAMENTO DEI VALORI DI DEGLI INQUINANTI
Secondo la sentenza
ricorda che la Corte ha già più volte sottolineato che il superamento dei
valori limite fissati per il PM10 nell’aria ambiente è di per sé sufficiente
per poter accertare l’inadempimento del combinato disposto dell’articolo 13,
paragrafo 1, della direttiva 2008/50 ([1])e
dell’allegato XI di quest’ultima [sentenze del 5 aprile 2017,
Commissione/Bulgaria, C‑488/15, EU:C:2017:267, punto 69, e del 30 aprile 2020,
Commissione/Romania (Superamento dei valori limite per le PM10), C‑638/18, non
pubblicata, EU:C:2020:334, punto 68 e giurisprudenza ivi citata].
I dati risultanti
dalle relazioni annuali riguardanti la qualità dell’aria, presentati dalla
Repubblica italiana in forza dell’articolo 27 della direttiva 2008/50, mostrano
che, dal 2008 al 2017 incluso, i valori limite giornalieri e annuali fissati
per il PM10 sono stati superati molto regolarmente nelle zone citate dal
ricorso della Commissione
La sistematicità dei superamenti dei valori limite del PM10
La Corte rileva che
Per quanto riguarda, in particolare, il numero di superamenti del valore limite
giornaliero fissato per il PM10, da tali dati risulta che, nella quasi totalità
delle 27 zone e agglomerati interessati dal ricorso di cui trattasi, qualora il
rispetto del numero massimo di 35 superamenti di detto valore sia eventualmente
raggiunto in un anno determinato, tale anno è sistematicamente preceduto e
seguito da uno o più anni in cui si sono verificati superamenti eccessivi di
detto valore. In alcune zone, dopo un anno nel corso del quale il valore limite
giornaliero fissato per il PM10 non è stato superato più di 35 volte, il numero
di superamenti può arrivare al doppio del numero di superamenti constatati nel
corso dell’ultimo anno in cui si sono verificati superamenti eccessivi. Analogamente,
per quanto riguarda i superamenti del valore limite annuale fissato per il
PM10, gli anni nel corso dei quali può eventualmente essere osservato il
rispetto di tale valore sono interrotti da anni di superamenti, dato che la
concentrazione del PM10, dopo l’anno in cui si è accertato detto rispetto, è
talvolta, in diverse zone interessate, anche più elevata che nel corso
dell’ultimo anno in cui si può constatare un siffatto superamento. Non solo ma dai dati sulla qualità dell’aria
nelle zone interessate dal ricorso di cui trattasi per il 2017 risulta che, ad
eccezione di due zone sul numero di 27 zone e agglomerati in questione, il
valore limite giornaliero fissato per il PM10 è stato nuovamente o sempre
superato più di 35 volte nel corso di tale anno e, per quanto riguarda quattro
zone su nove interessate dal ricorso di cui trattasi, il valore limite annuale
fissato per il PM10 è stato nuovamente superato nel corso di tale medesimo
anno.
L’inadempimento
sussiste anche se per alcuni anni non ci sia stato superamento dei valori
limite
In tali circostanze,
non può essere sufficiente, per impedire l’accertamento di un inadempimento
sistematico e continuato al combinato disposto dell’articolo 13 della direttiva
2008/50 e dell’allegato XI di quest’ultima, che i valori limite ivi considerati
non siano stati superati nel corso di taluni anni durante il periodo
considerato dal ricorso. Infatti, come risulta dalla definizione stessa del
«valore limite» di cui all’articolo 2, punto 5, della direttiva 2008/50,
quest’ultimo, al fine di evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi sulla
salute umana e/o sull’ambiente nel suo insieme, deve essere conseguito entro un
dato termine e non essere superato una volta raggiunto. Orbene, per quanto
riguarda il ricorso di cui trattasi, la Repubblica italiana avrebbe dovuto
rispettare i valori limite fissati in tali disposizioni dal 1º gennaio
2008.
Ne consegue, secondo
la sentenza, che i superamenti così
accertati devono essere considerati continuati e sistematici, senza che la
Commissione sia tenuta a fornire prove supplementari al riguardo.
La tendenza al
ribasso dei limiti non esclude l’inadempimento
Parimenti,
contrariamente a quanto sostenuto dalla Repubblica italiana, secondo la Corte un inadempimento può rimanere
sistematico e costante nonostante un’eventuale tendenza parziale al ribasso
evidenziata dai dati raccolti, la quale non comporta tuttavia che tale Stato
membro si conformi ai valori limite al cui rispetto è tenuto [sentenze del 22
febbraio 2018, Commissione/Polonia, C‑336/16, EU:C:2018:94, punto 65, nonché
del 30 aprile 2020, Commissione/Romania (Superamento dei valori limite per le
PM10), C‑638/18, non pubblicata, EU:C:2020:334, punto 70], come nel caso di
specie.
La Direttiva non
esclude l’inadempimento in caso di una mera riduzione progressiva delle
emissioni di PM10
Occorre altresì
respingere l’argomento dedotto dalla Repubblica italiana secondo cui la
direttiva 2008/50 prevedrebbe solo un obbligo di riduzione progressiva dei
livelli di concentrazione di PM10 e, pertanto, il superamento dei valori limite
fissati per il PM10 da questa stessa direttiva avrebbe l’unico effetto di
obbligare gli Stati membri ad adottare un piano per la qualità dell’aria.
Infatti, tale
argomento non trova fondamento né nel testo di tale direttiva né nella
giurisprudenza della Corte citata al punto 71 della presente sentenza, la quale
conferma che gli Stati membri sono tenuti a conseguire il risultato perseguito
dall’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/50 e dall’allegato XI di
quest’ultima, che consiste nel non superare i valori limite fissati da tali
disposizioni. Una siffatta interpretazione lascerebbe peraltro la realizzazione
dell’obiettivo di tutela della salute umana, ricordato all’articolo 1, punto 1,
della direttiva 2008/50, alla sola discrezionalità degli Stati membri, il che è
contrario alle intenzioni del legislatore dell’Unione, quali risultano dalla
definizione stessa della nozione di «valore limite», esposta al punto 75 della
presente sentenza, che esige che il suo rispetto sia garantito entro un dato
termine e poi mantenuto. Inoltre, aderire ad un siffatto argomento si
risolverebbe nel consentire a uno Stato membro di sottrarsi al rispetto della
scadenza imposta dal combinato disposto dell’articolo 13 della direttiva
2008/50 e dell’allegato XI di quest’ultima, al fine di rispettare i valori
limite fissati per il PM10 a condizioni meno restrittive di quelle imposte
dall’articolo 22 di detta direttiva, che è l’unica disposizione che prevede
espressamente la possibilità per uno Stato membro di essere esentato da tale
scadenza, e pregiudicherebbe pertanto l’effetto utile di dette disposizioni
(v., per analogia, sentenza del 19 novembre 2014, ClientEarth, C‑404/13,
EU:C:2014:2382, punti da 42 a 44).
L’inadempimento non è escluso anche se i superamenti provengano da emissioni non imputabili allo Stato membro salvo che siano concesse deroghe allo stesso secondo la vigente Direttiva 2008/50
La Repubblica italiana
per esludere l’inadempimento afferma che il superamento dei valori limite
fissati per il PM10 non può essere imputato esclusivamente allo Stato membro
interessato, dato che, da una parte, la diversità delle fonti d’inquinamento
dell’aria, alcune delle quali sarebbero naturali, altre disciplinate dalle
politiche dell’Unione, in particolare in materia di trasporti, di energia e di
agricoltura, riduce le possibilità per un solo Stato membro di intervenire su
tali fonti e di rispettare i valori limite fissati per il PM10 e, dall’altra,
le zone e gli agglomerati in questione presentano particolarità topografiche e
climatiche particolarmente sfavorevoli alla dispersione delle sostanze
inquinanti. Secondo tale Stato membro, l’inadempimento non può essere dimostrato
senza che la Commissione fornisca la prova dell’imputabilità esclusiva della
violazione contestata allo Stato membro interessato.
Secondo la Corte di
Giustizia, nella sentenza qui esaminata, l’asserito inadempimento nel caso di
specie, occorre sottolineare, come risulta dai considerando 17 e 18 della
direttiva 2008/50, che il legislatore dell’Unione ha fissato i valori limite
previsti da quest’ultima al fine di proteggere la salute umana e l’ambiente,
tenendo pienamente conto del fatto che gli inquinanti atmosferici sono prodotti
da molteplici fonti e attività e che le diverse politiche sia nazionali sia
dell’Unione possono avere un’incidenza al riguardo.
La direttiva prevede,
da un lato, agli articoli 20 e 21, la possibilità per uno Stato membro di far riconoscere,
quali fonti d’inquinamento che contribuiscono al superamento dei valori limite
contestati, le fonti naturali e la sabbiatura o la salatura invernale delle
strade. D’altra parte, l’articolo 22, paragrafo 2, della stessa direttiva
prevede le condizioni alle quali, a causa della situazione particolare di una
zona o di un agglomerato dovuta segnatamente alle caratteristiche di
dispersione del sito o alle condizioni climatiche avverse, l’esenzione
temporanea dall’obbligo del rispetto di detti valori può essere concessa dopo
un esame che comprende altresì, come risulta dal paragrafo 4 di detto articolo,
la presa in considerazione degli effetti stimati delle misure nazionali e
quelle dell’Unione, esistenti e future.
Ne consegue che, nella
misura in cui la Commissione fornisce informazioni che consentono di stabilire
che i valori limite giornalieri e annuali di cui all’articolo 13 della
direttiva 2008/50, in combinato disposto con l’allegato XI della stessa, sono
stati superati nelle zone e negli agglomerati interessati dal suo ricorso e per
i periodi ivi indicati, uno Stato membro non può, senza che siano state
concesse le deroghe di cui alle disposizioni citate al punto precedente e
secondo le condizioni ivi previste, invocare tali circostanze per confutare
l’imputabilità dell’inadempimento contestato e sottrarsi così all’osservanza
degli obblighi chiari ai quali è soggetto dal 1º gennaio 2005, in
conformità, anzitutto, all’articolo 5 della direttiva 1999/30 e al suo allegato
III e, quindi, all’articolo 13 e all’allegato XI della direttiva 2008/50.
Una volta che, come
nel caso di specie, tale costatazione è stata accertata, e in mancanza della
prova fornita dalla Repubblica italiana in merito all’esistenza di circostanze
eccezionali le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate nonostante
l’uso della massima diligenza, è irrilevante che l’inadempimento risulti dalla
volontà dello Stato membro al quale è addebitabile, dalla sua negligenza,
oppure da difficoltà tecniche o strutturali cui quest’ultimo avrebbe dovuto far
fronte [v., in tal senso, sentenze del 19 dicembre 2012, Commissione/Italia, C‑68/11,
EU:C:2012:815, punti 63 e 64, e del 24 ottobre 2019, Commissione/Francia
(Superamento dei valori limite per il biossido di azoto), C‑636/18, EU:C:2019:900,
punto 42].
Non esclude
l’inadempimento le emissioni dei veicoli
disciplinate dalle norme UE perché a prescindere da queste lo Stato
membro hanno l’obbligo di rispettare i limiti della Direttiva 2008/50
Per quanto riguarda,
in particolare, l’argomento della Repubblica italiana secondo cui le politiche
europee in materia di trasporti avrebbero contribuito al superamento dei valori
limite fissati per il PM10 in Italia, segnatamente in quanto esse non avrebbero
tenuto conto delle emissioni di biossido di azoto effettivamente prodotte dai
veicoli, segnatamente dai veicoli a motore diesel, occorre constatare che il
ricorso per inadempimento di cui trattasi verte sui livelli di concentrazione
del PM10 e non su quelli di biossido di azoto. Inoltre, come la Corte ha già
statuito, oltre al fatto che i veicoli a motore soggetti alle norme stabilite
dal regolamento (CE) n. 715/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 20 giugno 2007, relativo all’omologazione dei veicoli a motore riguardo
alle emissioni dai veicoli passeggeri e commerciali leggeri (Euro 5 ed Euro 6)
e all’ottenimento di informazioni per la riparazione e la manutenzione del
veicolo (GU 2007, L 171, pag. 1) non sono l’unica causa delle
emissioni di biossido di azoto, né del particolato PM10, le norme dell’Unione
applicabili all’omologazione dei veicoli a motore non esimono gli Stati membri
dall’obbligo di rispettare i valori limite stabiliti dalla direttiva 2008/50
sulla base delle conoscenze scientifiche e dell’esperienza acquisita degli Stati
membri, in modo da riflettere il livello ritenuto appropriato dall’Unione e
dagli Stati membri al fine di evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi
degli inquinanti atmosferici sulla salute umana e sull’ambiente in generale
[v., in tal senso, sentenza del 24 ottobre 2019, Commissione/Francia
(Superamento dei valori limite per il biossido di azoto), C‑636/18,
EU:C:2019:900, punto 48].
Le caratteristiche
meteo climatiche delle zone con superamenti non possono essere scusa per
rimuovere l’inadempimento
Le caratteristiche
topografiche e climatiche delle zone e degli agglomerati interessati,
particolarmente sfavorevoli alla dispersione degli inquinanti, non sono tali da
esonerare lo Stato membro interessato dalla responsabilità del superamento dei
valori limite fissati per il PM10, ma, al contrario, costituiscono fattori che,
come risulta dall’allegato XV, parte A, punto 2, lettere c) e d), della
direttiva 2008/50, devono essere presi in considerazione nel contesto dei piani
per la qualità dell’aria che tale Stato membro deve, ai sensi dell’articolo 23
di tale direttiva, elaborare per tali zone o agglomerati al fine di raggiungere
il valore limite nell’ipotesi in cui tale valore sia superato.
La mancata
attuazione delle misure di competenza della UE non esime gli Stati membri da
rispettare i valori limite della Direttiva 2008/50
Quanto all’argomento
secondo cui la Commissione avrebbe tardato ad adottare le misure necessarie
alla realizzazione degli obiettivi della direttiva 2008/50, occorre constatare che
esso non è nemmeno tale da esimere la Repubblica italiana da responsabilità per
il mancato rispetto degli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo
13, paragrafo 1, di tale direttiva, in combinato disposto con l’allegato XI di
quest’ultima [sentenza del 24 ottobre 2019, Commissione/Francia (Superamento
dei valori limite per il biossido di azoto), C‑636/18, EU:C:2019:900, punto
47].
La scusa del
margine di tolleranza nei superamenti degli inquinanti per evitare
l’inadempimento deve essere legata a situazioni particolari sottoposte a
notifica alla Commissione da parte degli Stati secondo le procedure della
Direttiva 2008/50
Per quanto riguarda
l’argomento relativo alla portata del riferimento al «margine di tolleranza»,
di cui agli articoli 13, 22 e 23 della direttiva 2008/50 nonché al suo allegato
XI, secondo il quale il rispetto dei valori limite di concentrazione deve
sempre includere tale margine di tolleranza, cosicché sussisterebbe
un’infrazione a tale direttiva solo se è dimostrato che il superamento eccede
tale margine, occorre constatare che, conformemente al tenore letterale
dell’articolo 2, punto 7, di detta direttiva, un «margine di tolleranza»
costituisce la percentuale di tolleranza del valore limite consentita «alle condizioni
stabilite dalla [direttiva 2008/50]». Orbene, l’applicazione di un tale margine
vale solo nelle due ipotesi di cui ai paragrafi 1 e 2 dell’articolo 22 di detta
direttiva, come espressamente enunciato al paragrafo 3 del medesimo articolo.
I paragrafi 1 e 2 dell’articolo 22 della direttiva 2008/50 consentono,
rispettivamente, di rinviare di cinque anni il termine per conformarsi ai
valori limite per il biossido di azoto o il benzene o di sospendere fino all’11
giugno 2011 l’obbligo di applicare i valori limite per il PM10, quali risultano
dall’allegato XI di detta direttiva, a causa della situazione specifica della
zona interessata. In entrambi i casi, il paragrafo 4 di tale articolo 22 impone
agli Stati membri di inviare una notifica in tal senso alla Commissione,
corredata in ogni caso di un piano per la qualità dell’aria, e dispone che «le
condizioni per l’applicazione [di tali paragrafi 1 o 2] sono considerate
soddisfatte» soltanto se la Commissione non solleva obiezioni entro nove mesi
dalla data di ricezione di tale notifica. Pertanto, è solo in assenza di
obiezioni da parte della Commissione, prevista dall’articolo 22, paragrafo 4,
secondo comma, di tale direttiva, entro il termine di nove mesi a decorrere
dalla notifica prevista da detta disposizione, che un margine di tolleranza può
essere concesso ad uno Stato membro. Inoltre, per quanto riguarda le
concentrazioni di PM10, un siffatto margine di tolleranza costituiva, in ogni
caso, una misura transitoria che poteva essere applicata solo fino all’11
giugno 2011, come risulta dal tenore letterale dell’articolo 22, paragrafo 2,
di detta direttiva. Tale disposizione, pertanto, non produce più alcun effetto
giuridico.
Conclude sul punto la
sentenza occorre constatare che alla
Repubblica italiana non è stato concesso alcun margine di tolleranza ai sensi
dell’articolo 22, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2008/50, cosicché neppure
tale argomento, dedotto dalla Repubblica italiana, può essere accolto.
Per realizzare
l’inadempimento il superamento dei valori limite deve avvenire nelle zone e non
in tutto il territorio nazionale
Per quanto riguarda
l’argomento della Repubblica italiana secondo cui, da un lato, il fatto che
solo il 17% dell’intero territorio nazionale sia oggetto delle contestazioni
sollevate dalla Commissione, il che escluderebbe di per sé la violazione
dell’articolo 13 di tale direttiva, concepibile solo se i valori limite
previsti per il PM10 sono superati su tutto il territorio nazionale, e,
dall’altro, le differenze di valori registrate tra le stazioni di rilevamento
nell’ambito di una medesima area, diversamente da quanto ritenuto dalla
Commissione, assumono rilievo, si deve ritenere che il superamento dei valori
limite fissati per il PM10, anche in un’unica area, sia di per sé sufficiente a
dimostrare una violazione dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva
2008/50, in combinato disposto con l’allegato XI della stessa [sentenza del 30
aprile 2020, Commissione/Romania (Superamento dei valori limite per le PM10), C‑638/18,
non pubblicata, EU:C:2020:334, punto 72 e giurisprudenza ivi citata].
La violazione di dette
disposizioni è esaminata in tale contesto a livello delle zone e degli
agglomerati, dovendo il superamento essere analizzato per ciascuna zona o
agglomerato sulla base delle rilevazioni effettuate da ogni stazione di
rilevamento. La Corte ha ritenuto, al riguardo, che gli articoli 13, paragrafo
1, e 23, paragrafo 1, della direttiva 2008/50 debbano essere interpretati alla
luce del regime generale e della finalità della normativa di cui tali
disposizioni fanno parte, nel senso che, per stabilire che un valore limite
stabilito nell’allegato XI di tale direttiva è stato superato rispetto alla
media calcolata per anno civile, è sufficiente che un livello di inquinamento
superiore a tale valore sia misurato presso un singolo punto di campionamento
[sentenze del 26 giugno 2019, Craeynest e a., C‑723/17, EU:C:2019:533,
punti 60, 66 e 68, nonché del 30 aprile 2020, Commissione/Romania (Superamento
dei valori limite per le PM10), C‑638/18, non pubblicata, EU:C:2020:334, punto
73]. Pertanto, da questa giurisprudenza risulta che non esiste una soglia «de
minimis» per quanto riguarda il numero di zone nelle quali può essere
constatato un superamento, o relativo al numero di stazioni di rilevamento di
una determinata zona per le quali sono registrati superamenti [sentenza del 30
aprile 2020, Commissione/Romania (Superamento dei valori limite per le PM10), C‑638/18,
non pubblicata, EU:C:2020:334, punto 74]. Inoltre, dal fascicolo risulta che, nelle
zone interessate dal ricorso di cui trattasi, si trovano i più grandi
agglomerati d’Italia, i quali contano diverse decine di milioni di abitanti.
Ignorare tale circostanza si risolverebbe nel violare gli obiettivi perseguiti
dalla direttiva 2008/50, segnatamente quello della protezione della salute
umana e dell’ambiente nel suo complesso.
PARTE 2: RELATIVAMENTE ALLA NECESSITA’ CHE IL PERIODO DI SUPERAMENTO DEI VALORI LIMITE SIA IL PIU BREVE POSSIBILE
Significato
articolo 23 paragrafo 1 Direttiva 2008/50
La Corte di Giustizia
ricorda che all’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva
2008/50 risulta che, qualora il superamento dei valori limite per le PM10 abbia
luogo dopo il termine previsto per il loro raggiungimento, lo Stato membro
interessato è tenuto a predisporre un piano per la qualità dell’aria che
soddisfi taluni requisiti.
n tal senso, detto
piano deve stabilire misure appropriate affinché il periodo di superamento dei
valori limite sia il più breve possibile e può inoltre includere misure
specifiche volte a tutelare gruppi sensibili di popolazione, compresi
segnatamente i bambini. Inoltre, ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 1, terzo
comma, della direttiva 2008/50, tale piano deve contenere almeno le informazioni
di cui all’allegato XV, punto A, di tale direttiva e può includere misure a
norma dell’articolo 24 di quest’ultima. Detto piano deve essere, inoltre,
comunicato alla Commissione senza indugio e al più tardi entro due anni dalla
fine dell’anno in cui è stato rilevato il primo superamento.
Come risulta dalla
giurisprudenza costante della Corte, l’articolo 23, paragrafo 1, della
direttiva 2008/50 ha portata generale, dato che si applica, senza limiti di
tempo, ai superamenti di qualsiasi valore limite di inquinante fissato da tale
direttiva, dopo il termine previsto per la sua applicazione, indipendentemente
dal fatto che sia fissato da detta direttiva o dalla Commissione in forza
dell’articolo 22 di quest’ultima [sentenze del 5 aprile 2017, Commissione/Bulgaria,
C‑488/15, EU:C:2017:267, punto 104, e del 30 aprile 2020, Commissione/Romania
(Superamento dei valori limite per le PM10), C‑638/18, non pubblicata,
EU:C:2020:334, punto 114 e giurisprudenza ivi citata].
La necessità di
valutare caso per caso il parametro del “più breve tempo possibile”
L’articolo 23 della
direttiva 2008/50 stabilisce un nesso diretto tra, da un lato, il superamento
dei valori limite fissati per il PM10, come stabilito dall’articolo 13,
paragrafo 1, della direttiva 2008/50 in combinato disposto con l’allegato XI
della stessa e, dall’altro, la predisposizione di piani per la qualità
dell’aria [sentenze del 5 aprile 2017, Commissione/Bulgaria, C‑488/15,
UE:C:2017:267, punto 83, e del 30 aprile 2020, Commissione/Romania (Superamento
dei valori limite per le PM10), C‑638/18, non pubblicata, EU:C:2020:334, punto
115 e giurisprudenza ivi citata].
Tali piani possono
essere predisposti solo sulla base dell’equilibrio tra l’obiettivo della
riduzione del rischio di inquinamento e i diversi interessi pubblici e privati
in gioco [sentenze del 5 aprile 2017, Commissione/Bulgaria, C‑488/15,
EU:C:2017:267, punto 106, e del 30 aprile 2020, Commissione/Romania
(Superamento dei valori limite per le PM10), C‑638/18, non pubblicata,
EU:C:2020:334, punto 116 e giurisprudenza ivi citata].
Pertanto, il fatto che
uno Stato membro superi i valori limite fissati per il PM10 non è sufficiente,
di per sé, per ritenere che tale Stato membro sia venuto meno agli obblighi
previsti dall’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2008/50
[sentenze del 5 aprile 2017, Commissione/Bulgaria, C‑488/15, EU:C:2017:267,
punto 107, nonché del 30 aprile 2020, Commissione/Romania (Superamento dei
valori limite per le PM10), C‑638/18, non pubblicata, EU:C:2020:334, punto 117
e giurisprudenza ivi citata].
Tuttavia,
dall’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2008/50 risulta
che, sebbene gli Stati membri dispongano di un certo margine di manovra per la
determinazione delle misure da adottare, queste ultime devono, in ogni caso,
consentire che il periodo di superamento dei valori limite sia il più breve
possibile [sentenze del 5 aprile 2017, Commissione/Bulgaria, C‑488/15,
EU:C:2017:267, punto 109, e del 30 aprile 2020, Commissione/Romania
(Superamento dei valori limite per le PM10), C‑638/18, non pubblicata,
EU:C:2020:334, punto 118 e giurisprudenza ivi citata].
In tali circostanze,
occorre verificare, mediante un’analisi caso per caso, se i piani per la
qualità dell’aria predisposti dallo Stato membro interessato siano conformi
all’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2008/50 [sentenze
del 5 aprile 2017, Commissione/Bulgaria, C‑488/15, EU:C:2017:267, punto 108, e
del 30 aprile 2020, Commissione/Romania (Superamento dei valori limite per le
PM10), C‑638/18, non pubblicata, EU:C:2020:334, punto 119 e giurisprudenza ivi
citata].
Il mancato rispetto
da parte della Repubblica Italiana del parametro “più breve tempo possibile”
Secondo la Corte di
Giustizia nella sentenza qui esaminata l’obbligo di predisporre, in caso
di superamento dei valori limite previsti dalla direttiva 2008/50, piani per la
qualità dell’aria contenenti misure appropriate affinché il periodo di
superamento sia il più breve possibile grava sullo Stato membro interessato
dall’11 giugno 2010. Poiché siffatti superamenti erano già stati constatati in
tale data o addirittura prima di quest’ultima nella quasi totalità delle zone e
degli agglomerati interessati dal ricorso di cui trattasi e, in ogni caso, almeno
in una zona o agglomerato rientrante in ciascun piano regionale per la qualità
dell’aria presentato nell’ambito del procedimento per inadempimento di cui
trattasi a partire da tale data, la Repubblica italiana, che doveva mettere in
vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie
per conformarsi alla direttiva 2008/50, ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 1,
di quest’ultima, era tenuta ad adottare e rendere esecutive il più rapidamente
possibile misure appropriate, conformemente all’articolo 23, paragrafo 1, di
quest’ultima.
Orbene, dagli elementi
del fascicolo risulta, in primo luogo, che il piano per la qualità dell’aria
per la Regione Sicilia è stato adottato il 18 luglio 2018, ossia dopo la data
di scadenza del termine impartito nel parere motivato fissato al 28 giugno
2017, come confermato dalla Repubblica italiana nel suo controricorso, mentre
sono stati constatati superamenti del valore limite giornaliero fissato per il
PM10 in una zona appartenente a tale regione dal 2008. Per quanto riguarda le
altre regioni nelle quali rientrano le zone e gli agglomerati interessati
previsti dal ricorso di cui trattasi, si può dedurre da tali elementi che, al
momento della scadenza di detto termine, la Repubblica italiana ha effettivamente
adottato piani per la qualità dell’aria nonché diverse misure destinate a
migliorarne la qualità.
In secondo luogo,
occorre sottolineare che, in virtù dell’articolo 23, paragrafo 1, terzo comma,
della direttiva 2008/50, i piani relativi alla qualità dell’aria devono
contenere almeno le informazioni di cui all’allegato XV, punto A, di detta
direttiva. Orbene, dai dati contenuti nel fascicolo risulta che i piani
regionali per l’Umbria, il Lazio, la Campania e la Puglia non contengono
indicazioni sul termine previsto per il raggiungimento degli obiettivi relativi
alla qualità dell’aria. Inoltre, per quanto riguarda numerose misure menzionate
dalla Repubblica italiana, tali dati non consentono sempre di stabilire se
riguardino le zone e gli agglomerati interessati dal ricorso di cui trattasi,
quale sia il loro scadenzario o il loro impatto sul miglioramento della qualità
dell’aria prevista.
In terzo luogo, per
quanto riguarda i piani regionali che hanno previsto i termini per la
realizzazione degli obiettivi relativi alla qualità dell’aria, detti piani
annunciano un periodo di realizzazione che può protrarsi per più anni o
talvolta addirittura per due decenni dopo l’entrata in vigore dei valori limite
fissati per il PM10. Infatti, per l’Emilia Romagna e la Toscana, il termine per
la realizzazione degli obiettivi relativi alla qualità dell’aria è stato
stimato nel 2020, per il Veneto e la Lombardia nel 2025 e per la Regione
Piemonte nel 2030.
In quarto luogo,
dall’esame del contenuto dei piani regionali relativi alla qualità dell’aria
presentati nell’ambito del procedimento per inadempimento di cui trattasi, che
attestano, certamente, un processo diretto a raggiungere i valori limite
attualmente in corso nella Repubblica italiana, risulta che le misure ivi previste,
in particolare quelle intese a comportare cambiamenti strutturali
specificamente alla luce dei fattori principali di inquinamento nelle zone e
negli agglomerati che conoscono superamenti di detti valori limite dal 2008,
sono state previste, per una grande maggioranza di esse, solo in aggiornamenti
recenti di detti piani e, pertanto, appena prima della scadenza del termine di
risposta al parere motivato, se non anche dopo la scadenza di detto termine o
sono ancora in corso di adozione e di pianificazione. Pertanto, non solo tali
misure sono state adottate almeno sei anni dopo l’entrata in vigore
dell’obbligo di prevedere misure appropriate che consentano di porre fine a
detti superamenti nel periodo più breve possibile, ma, inoltre, spesso esse
prevedono periodi di realizzazione particolarmente lunghi.
Quindi, afferma la
Corte di Giustizia occorre rilevare che la Repubblica italiana non ha
manifestamente adottato in tempo utile misure appropriate che consentano di
garantire che il periodo di superamento dei valori limite fissati per il PM10
fosse il più breve possibile nelle zone e negli agglomerati interessati.
Pertanto, il superamento dei valori limite giornaliero e annuale fissati per il
PM10 è rimasto sistematico e continuato per almeno otto anni in dette zone,
nonostante l’obbligo incombente a tale Stato membro di adottare tutte le misure
appropriate ed efficaci per conformarsi al requisito secondo cui il periodo di
superamento deve essere il più breve possibile.
Orbene, tale
situazione dimostra di per sé, senza che sia necessario esaminare in modo più
dettagliato il contenuto dei piani per la qualità dell’aria predisposti dalla
Repubblica italiana, che, nel caso di specie, detto Stato membro non ha attuato
misure appropriate ed efficaci affinché il periodo di superamento dei valori
limite per il PM10 fosse «il più breve possibile», ai sensi dell’articolo 23,
paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2008/50 [v., in tal senso, sentenze
del 5 aprile 2017, Commissione/Bulgaria, C‑488/15, EU:C:2017:267, punto 117,
nonché del 30 aprile 2020, Commissione/Romania (Superamento dei valori limite
per le PM10), C-638/18, non pubblicata, EU:C:2020:334, punto 123 e
giurisprudenza ivi citata].
I tempi di rientro
dal superamento dei valori limite non possono corrispondere a durate eccessive
nonostante la Direttiva non stabilisca calendari specifici
Per quanto riguarda
l’argomento addotto dalla Repubblica italiana secondo cui è indispensabile che
lo Stato membro interessato abbia ampi orizzonti temporali per consentire alle
misure previste nei singoli piani per la qualità dell’aria di produrre effetto,
poiché la direttiva 2008/50 non prevede un calendario predefinito al riguardo,
si deve ritenere che tale considerazione non possa, in ogni caso, giustificare un
periodo particolarmente lungo per porre fine al superamento dei valori limite,
come quelli previsti nella presente causa, che devono essere valutati, in ogni
caso, alla luce dei riferimenti temporali previsti dalla direttiva 2008/50 per
adempiere ai suoi obblighi, o, come nella presente causa, tenendo conto della
sentenza del 19 dicembre 2012, Commissione/Italia (C‑68/11, EU:C:2012:815), e
quindi il 1° gennaio 2008 per i valori limite fissati per il PM10 e l’11
giugno 2010 per l’adozione dei piani di qualità dell’aria, e dell’importanza
degli obiettivi di protezione della salute umana e dell’ambiente perseguiti da
tale direttiva.
Occorre rilevare a tal
riguardo che, secondo la formulazione stessa dell’articolo 23, paragrafo 1,
secondo comma, della direttiva 2008/50, l’adeguatezza delle misure previste in
un piano per la qualità dell’aria deve essere valutata in relazione alla
capacità di tali misure di garantire che il periodo di superamento sia «il più
breve possibile», requisito che è più rigoroso di quello applicabile in vigenza
della direttiva 96/62, che si limitava ad imporre agli Stati membri di
adottare, «entro un termine ragionevole», misure volte a rendere la qualità
dell’aria conforme ai valori limite fissati per il PM10 (v., in tal senso,
sentenza del 5 aprile 2017, Commissione/Bulgaria, C‑488/15, EU:C:2017:267,
punti da 88 a 90).
E’ quindi in
quest’ottica che l’articolo 23 della direttiva 2008/50 impone che, qualora sia
stato accertato un superamento dei valori limite fissati per il PM10, tale situazione
dovrebbe condurre il più rapidamente possibile lo Stato membro interessato non
solo ad adottare, ma anche a dare esecuzione a misure appropriate in un piano
relativo alla qualità dell’aria, e il margine di manovra di cui dispone tale
Stato membro in caso di superamento di detti valori limite è dunque, in tale
contesto, limitato da tale requisito.
Le difficoltà socio
economico e tradizionali locali non possono giustificare i tempi eccessivamente
lunghi di rientro nei valori degli inquinanti previsti dalla Direttiva 2008/50
Per quanto riguarda
l’argomento della Repubblica italiana secondo cui i termini da essa fissati
sono pienamente adeguati all’ampiezza delle trasformazioni strutturali
necessarie per porre fine ai superamenti dei valori limite fissati per il PM10
nell’aria ambiente, ponendo in evidenza, in particolare, difficoltà relative
alla sfida socioeconomica e finanziaria degli investimenti da realizzare e alle
tradizioni locali, occorre ricordare che tale Stato membro deve dimostrare che
le difficoltà da esso invocate per porre fine ai superamenti dei valori limite
fissati per il PM10 sarebbero idonee a escludere che sarebbe stato possibile
stabilire termini più brevi (v., in tal senso, sentenza del 22 febbraio 2018,
Commissione/Polonia, C‑336/16, EU:C:2018:94, punto 101).
Orbene, la Corte ha
già dichiarato, rispondendo ad argomenti del tutto simili a quelli invocati
dalla Repubblica italiana nella specie, che difficoltà strutturali, connesse
alla sfida socioeconomica e finanziaria dei vasti investimenti da realizzare,
non rivestivano, di per sé, carattere eccezionale e non erano idonee a
escludere che sarebbe stato possibile stabilire termini più brevi [v., in tal
senso, sentenze del 24 ottobre 2019, Commissione/Francia (Superamento dei
valori limite per il biossido di azoto), C‑636/18, EU:C:2019:900, punto 85, e,
per analogia, del 22 febbraio 2018, Commissione/Polonia, C‑336/16,
EU:C:2018:94, punto101]. Non può ragionarsi diversamente per le tradizioni
locali.
Occorre parimenti
respingere, in tale contesto, alla luce di quanto suesposto, l’argomentazione
della Repubblica italiana fondata sui principi di proporzionalità, di
sussidiarietà e di equilibrio tra gli interessi pubblici e gli interessi
privati, che, a suo avviso, consentirebbero di autorizzare proroghe, anche di
un periodo molto lungo, quanto al rispetto dei valori limite previsti dalla
direttiva 2008/50. La Corte ha già precisato che, ai sensi dell’articolo 23,
paragrafo 1, di detta direttiva, i piani per la qualità dell’aria devono essere
predisposti solo sulla base del principio dell’equilibrio tra l’obiettivo della
riduzione del rischio di inquinamento e i diversi interessi pubblici e privati
in gioco [v., in tal senso, sentenze del 5 aprile 2017, Commissione/Bulgaria, C‑488/15,
EU:C:2017:267, punto 106, e del 24 ottobre 2019, Commissione/Francia
(Superamento dei valori limite per il biossido di azoto), C‑636/18,
EU:C:2019:900, punto 79].
Se è vero che detto
articolo 23, paragrafo 1, non può quindi esigere, in caso di superamento dei
valori limite previsti dalla direttiva 2008/50, che le misure adottate da uno
Stato membro in applicazione di tale equilibrio garantiscano il rispetto
immediato di tali valori limite affinché possano essere considerate
appropriate, da ciò non deriva tuttavia che, interpretato alla luce di detto
principio, tale articolo 23, paragrafo 1, possa costituire un’ipotesi
aggiuntiva di proroga generale, se del caso, sine die, del termine per
rispettare tali valori, che mirano a proteggere la salute umana, dato che l’articolo
22 di detta direttiva, come è stato rilevato al punto 81 della presente
sentenza, è l’unica disposizione che prevede una possibilità di prorogare detto
termine.
Alla luce di tutto
quanto precede, si deve constatare che gli argomenti dedotti dalla Repubblica
italiana non possono, in quanto tali, giustificare lunghi periodi per porre
fine ai superamenti dei valori limite constatati alla luce dell’obbligo diretto
a garantire che il periodo di superamento sia il più breve possibile.
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