venerdì 4 dicembre 2020

Inquinamento aria e COVID 19: gli ultimi studi internazionali pubblicati

Gli studi che di seguito riporto in sintesi e relativi link alla loro versione integrale riguardano:

1. uno studio della Società Europea di Cardiologia dove si conferma come l’inquinamento atmosferico aumento il rischio di mortalità da COVID (QUI)

2. la pubblicazione di una sezione apposita del sito della Agenzia Europea dell’Ambiente dove si risponde alle domande relative alla evoluzione delle conoscenze tra inquinamento e COVID19 (QUI)

3. Rapporto sulla qualità dell’aria in Europa elaborato dalla Agenzia Europea Ambiente che analizza tra l’altro anche gli effetti delle misure di lockdown sull’inquinamento dell’aria nelle aree più urbanizzate delle città europee ma non solo (QUI)

4. Uno Studio internazionale pubblicato su ScienceDirect che analizza quanto le particelle inquinanti trasportino o meno il virus COVID19 (QUI)   

5. Uno studio della Agenzia per la Protezione Ambientale di Bolzano che ha dimostrato come sotto il profilo del rischio anidride carbonica respirata con le mascherine non è così significativo come si poteva credere in teoria (QUI)

Di seguito presento una sintesi degli studi sopra elencati

 

Contributi regionali e globali dell'inquinamento atmosferico al rischio di morte per covid-19

Pubblicato su Cardiovascular Research (della società europea di cardiologia) uno studio sul rapporto tra  inquinamento atmosferico e aumento mortalità da COVID-19.  Lo studio è stato elaborato da un gruppo di ricercatori del Centro Internazionale di Fisica Teorica  di Trieste e Istituto Max-Planck per la Chimica.

Lo studio parte dalla analisi degli esiti della sindrome respiratoria acuta grave (SARS-CoV-1) nel 2003 e dalle indagini preliminari su quelli per la SARS-CoV-2 dal 2019. Questi esisti hanno fornito  la prova che l'incidenza e la gravità della mortalità da questi virus sono correlate all'inquinamento atmosferico ambientale. Lo studio ha quindi stimato la frazione di mortalità COVID-19 attribuibile all'esposizione a lungo termine all'inquinamento atmosferico da particolato fine ambientale.

Sotto il profilo della metodologia usata lo studio ha caratterizzato l'esposizione globale al particolato fine sulla base di dati satellitari e calcolato la frazione antropogenica con un modello di chimica atmosferica. Il grado in cui l'inquinamento atmosferico influenza la mortalità da COVID-19 è stato derivato dai dati epidemiologici negli Stati Uniti e in Cina.

I risultati di stima sono stati che l'inquinamento atmosferico da particolato (PM2,5)  abbia contribuito ∼15% (intervallo di confidenza del 95% 7-33%) alla mortalità COVID-19 in tutto il mondo, 27% (13 – 46%) nell'Asia orientale, 19% (8-41%) in Europa e il 17% (6-39%) in Nord America. A livello globale, ∼ il 50-60% della frazione attribuibile e antropogenica è correlato all'uso di combustibili fossili, fino al 70-80% in Europa, Asia occidentale e Nord America.

In particolare: Le conclusioni dello studio suggeriscono che l'inquinamento atmosferico è un importante fattore che aumenta il rischio di mortalità da COVID-19. Ciò fornisce una motivazione supplementare per combinare politiche ambiziose per ridurre l'inquinamento atmosferico con misure per controllare la trasmissione di COVID-19.

 

 

Sezione Covid-19 nel sito della Agenzia Europea dell’Ambiente

Dall'inquinamento atmosferico, dalle emissioni di gas a effetto serra alle politiche di vita urbana e di recupero, il modo in cui l'attuale crisi del coronavirus influisce sull'ambiente pone molte domande alle quali cerca di rispondere la AEA in una apposita sezione del proprio sito sulla base delle conoscenze detenute dall'AEA, da Eionet [NOTA 1] e da altri partner. Questa sezione sarà regolarmente aggiornata con nuove conoscenze condivise con noi.

Una delle domande a cui risponde AEA è In che modo la crisi covid-19 ha influenzato l'inquinamento atmosferico.

Intanto i blocchi durante la fase acuta della emergenza COVID19 ha dimostrato i benefici sanitari e ambientali che possono derivare da una drastica riduzione dell’inquinamento atmosferico. Ad esempio i dati AEA dimostrano una riduzione fino al 70 % degli ossidi di azoto nei centri urbani nei paesi più colpiti dal COVID-19 nella primavera del 2020, vale a dire Spagna, Italia e Francia.

Relativamente alla domanda esiste un legame tra l'esposizione all'inquinamento atmosferico e le infezioni da COVID-19 , l’AEA così risponde:  ci si potrebbe attendere che l'esposizione a lungo termine all'inquinamento atmosferico aumenti la suscettibilità al COVID-19 negli individui, come peraltro  studi precedenti che hanno  dimostrato un ruolo per l'esposizione al particolato (PM) nel peggiorare l'impatto dei virus respiratori. Alcuni studi recenti hanno esplorato le prove dei legami tra l'inquinamento atmosferico e gli alti tassi di mortalità per covid-19. Uno studio italiano ha sostenuto che poiché l'esposizione a lungo termine all'inquinamento atmosferico, tra cui PM, ozono (O3) e anidride solforosa (SO2), indebolisce le difese immunitarie delle vie aeree superiori, ciò faciliterebbe l'ingresso della SARS-CoV-2 nelle vie aeree inferiori con conseguente infezione da COVID-19 (Conticini, et al., 2020). Vi sono, tuttavia, una serie di limitazioni significative con questi primi studi e quindi i risultati devono essere interpretati con attenzione.

Un'ulteriore questione di salute pubblica, attualmente in fase di ricerca, è se il particolato possa trasportare il virus. In Italia, il materiale genetico del virus SARS-CoV-2 è stato rilevato su campioni di PM della città di Bergamo nel Nord Italia (Setti, et al., 2020). Mentre ci sono alcune preoccupazioni che l'inquinamento atmosferico potrebbe trasportare il virus su distanze più lunghe e guidare l'infezione, in questa fase non è noto se il virus rimanga vitale sulle particelle inquinanti. Anche in questo caso sono necessarie ulteriori ricerche.

Le altre domande riguardano:  Prodotti chimici, Clima, consumo e uso delle risorse, Natura, inquinamento acustico, politiche di ripristino, vita urbana, inquinamento delle acque.


 

Qualità aria in Europa (documentazione comunitaria)

Rapporto Agenzia Europea Ambiente sulla qualità dell’aria in Europa dove si rileva come:

1. Ci sono prove precoci che suggeriscono che l'esposizione all'inquinamento atmosferico può influenzare la vulnerabilità umana e la suscettibilità alla malattia. L'utilizzo di dati preliminari aggiornati consente un'analisi dell'effetto delle misure adottate per evitare la diffusione del COVID-19 sulle concentrazioni di alcuni inquinanti durante la primavera 2020. Il rapporto descrive anche le prime ricerche che indagano su un possibile ruolo dell'inquinamento atmosferico nell'influenzare la trasmissione di nuovo coronavirus, "sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2" (SARS-CoV-2) e la sua malattia associata, COVID-19, e gli esiti per la salute dell'infezione.

2. Le misure di lockdown introdotte dalla maggior parte dei paesi europei per ridurre la trasmissione del COVID-19 nella primavera del 2020 hanno portato a significative riduzioni delle emissioni di inquinanti atmosferici, in particolare dal trasporto su strada, dall'aviazione e dalla navigazione internazionale. La presente relazione valuta i successivi impatti sulla qualità dell'aria sulla base di dati di monitoraggio aggiornati comunicati dai membri dell'AEA e dai paesi che cooperano e di modelli di supporto intrapresi dal Copernicus Atmospheric Monitoring Service (CAMS). La valutazione distingue i cambiamenti nelle concentrazioni derivanti dalle misure di blocco da eventuali cambiamenti causati dalle condizioni meteorologiche.

3. In particolare, le concentrazioni di biossido di azoto (NO2) sono state significativamente ridotte nell'aprile 2020, indipendentemente dalle condizioni meteorologiche. L'entità delle riduzioni variava considerevolmente all'interno delle città e tra città e paesi, tuttavia in alcuni casi sono state osservate riduzioni superiori al 60 %. Anche le concentrazioni di PM10 (particolato con un diametro di 10 μm o meno) sono state complessivamente inferiori in tutta Europa a seguito delle misure di blocco e indipendentemente dalle condizioni meteorologiche, sebbene l'impatto sia stato meno pronunciato che per l'NO2. Tuttavia, ha raggiunto fino al 30 % in alcuni paesi.

4. Ci sono altre due relazioni tra inquinamento atmosferico e COVID-19: • il possibile effetto dell'inquinamento atmosferico sulla vulnerabilità e suscettibilità al COVID-19 (attraverso la precedente esposizione a lungo termine agli inquinanti atmosferici);• il possibile ruolo dell'inquinamento atmosferico nella diffusione della SARS-CoV-2, il virus che causa covid-19

5. Alcuni primi studi hanno esplorato i legami tra l'inquinamento atmosferico e l'elevata incidenza, gravità o tassi di mortalità per COVID-19 e, sebbene abbiano trovato una coincidenza spaziale tra questi elementi della pandemia e alti livelli di inquinamento atmosferico, la causalità non è chiara e sono necessarie ulteriori ricerche epidemiologiche. D'altro canto, anche se la trasmissione di aerosol a corto raggio della SARS-CoV-2 sembra plausibile, in particolare in specifiche località interne, il ruolo dell'inquinamento atmosferico esterno nella diffusione del virus è molto più incerto e saranno necessarie ulteriori ricerche anche su questo argomento.

6. L’inquinamento atmosferico continua ad avere un impatto significativo sulla salute della popolazione europea, in particolare nelle aree urbane. Gli inquinanti più gravi d'Europa, in termini di danni alla salute umana, sono il particolato (PM), il NO2 e l'ozono a livello del suolo (O3). Alcuni gruppi di popolazione sono più colpiti dall'inquinamento atmosferico di altri, perché sono più esposti o suscettibili ai rischi ambientali. I gruppi socioeconomici più poveri tendono ad essere più esposti all'inquinamento atmosferico, mentre gli anziani, i bambini e coloro che hanno condizioni di salute preesistenze sono sicuramente i più suscettibili. L'inquinamento atmosferico ha anche un notevole impatto economico, riducendo l'aspettativa di vita, aumentando i costi medici e riducendo la produttività attraverso giornate lavorative perse in vari settori economici.

7. Le stime dell'impatto dell'esposizione all'inquinamento atmosferico sulla salute indicano che nel 2018 l'esposizione a lungo termine al particolato con un diametro di 2,5 μm o meno (PM2,5) in Europa (compresi 41 paesi) è stata responsabile di circa 417 000 decessi prematuri, di cui circa 379 000 nell'UE-28. Ciò rappresenta una riduzione del 13 % dei decessi prematuri sia in Europa che nell'UE-28, rispetto ai 477 000 decessi prematuri in Europa (437 000 nell'UE-28) stimati, utilizzando la stessa metodologia per il 2009 (i dati sulla qualità dell'aria del 2009 sono stati presentati nella prima edizione della serie di relazioni sulla qualità dell'aria in Europa dell'AEA).

8. L'impatto stimato attribuibile all'esposizione della popolazione a NO2 in questi 41 paesi europei nel 2018 è stato di circa 55 000 decessi prematuri (circa 54 000 nell'UE-28). Per quanto riguarda l'NO2, il confronto con gli impatti del 2009 (120 000 decessi prematuri in Europa e 117 000 nell'UE-28) mostra che i decessi prematuri si sono più che dimezzati, con una riduzione del 54 %

9. Infine, si stima che l'esposizione all'O3 (ozono) a livello del suolo abbia causato 20 600 decessi prematuri nel 2018 in Europa e 19 400 nell'UE-28. Contrariamente ai risultati relativi al PM2,5 e all'NO2, ciò rappresenta un aumento del 20 % per l'Europa e del 24 % per l'UE-28 sulla base dei dati del 2009 (17 100 decessi prematuri in Europa e 15 700 nell'UE-28). Questo aumento tra questi due anni specifici può essere attribuito alla forte influenza delle alte temperature sulle concentrazioni di O3 nell'estate del 2018. 

 

 

Il COVID19 si trasmette poco attraverso le particelle inquinanti (Documentazione Nazionale)

Studio pubblicato su ScienceDirect  ha analizzato come la malattia covid-19 si è diffusa a tassi diversi nei diversi paesi e in diverse regioni dello stesso paese, come è accaduto in Italia. La trasmissione per contatto o a distanza ravvicinata a causa di grandi goccioline respiratorie è ampiamente accettata, tuttavia, il ruolo della trasmissione aerea a causa di piccole goccioline respiratorie emesse da individui infetti (anche asintomatici) è controverso. È stato suggerito che la trasmissione aerea all'aperto potrebbe svolgere un ruolo nel determinare le differenze osservate nel tasso di diffusione. Le concentrazioni di aerosol cariche di virus sono ancora poco conosciute e vengono riportati risultati contrastanti, specialmente per gli ambienti esterni. Sono state analizzate le concentrazioni esterne e le distribuzioni delle dimensioni dell'aerosol carico di virus raccolte simultaneamente durante la pandemia, a maggio 2020, nelle regioni settentrionali (Venete) e meridionali (Puglia) d'Italia. Le due regioni hanno mostrato una prevalenza significativamente diversa del COVID-19. Il materiale genetico del SARS-CoV-2 (RNA) è stato determinato, utilizzando campioni d'aria raccolti utilizzando campionatori PM10. Campioni d'aria testati negativamente per la presenza di SARS-CoV-2 in entrambi i siti, concentrazioni di particelle virali erano di <0,8 copie m−3 in PM10 e <0,4 copie m−3 in ogni intervallo di dimensioni studiato. L'aria esterna nelle aree residenziali e urbane non era generalmente contagiosa e  quindi era sicura per il pubblico sia nel nord che nel sud Italia, con la possibile esclusione di siti molto affollati. Pertanto, è probabile che la trasmissione aerea all'aperto non spieghi la differenza nella diffusione del COVID-19 osservata nelle due regioni italiane.


 

Qualità dell’aria durante l’utilizzo di dispositivi di copertura di naso e bocca

Studio Arpa Bolzano che ha dimostrato :

1.   È stata quantificata la concentrazione di CO2 inspirata (come indicatore unico della qualità dell’aria) per diverse tipologie di dispositivi di copertura del naso e della bocca.

2.   È stata quantificata la percentuale di CO2 reinalata rispetto a quella dell´espirato per diverse tipologie di dispositivi di copertura del naso e della bocca.

3.   Per tutti i dispositivi analizzati le concentrazioni di CO2 inspirate sono ampiamente inferiori rispetto a quelle espirate.

4.   Anche senza dispositivi di copertura una parte di aria espirata viene reinalata. Tale effetto è maggiore in condizioni di aria ferma e minore con aria in movimento.

5.   Il movimento d’aria riduce la CO2 reinalata, anche con i dispositivi.

6.   Le concentrazioni inspirate sono più elevate rispetto ai valori guida per gli ambienti indoor.

7.   Le concentrazioni inspirate non sono significativamente diverse da quelle rilevate in ambienti nei quali si soggiorna (scuole, macchina, ufficio, casa).

8.   Le prove non evidenziano significative differenze tra le concentrazioni misurate da seduto e sotto leggero sforzo (step).

9.   L’aumento di temperatura superficiale della pelle e la conseguente maggiore sudorazione sono la principale causa del disagio percepito.

10.  I dispositivi non assorbono quantità significative di umidità.

11.  Alcuni dispositivi, appena aperta la confezione, rilasciano quantità significative di composti organici volatili. Una volta esposti all’aria per qualche ora la situazione migliora sensibilmente.

12.  L’ambiente nel quale viene indossato un dispositivo di copertura deve avere caratteristiche di ventilazione ottimali, ovvero la concentrazione di CO2 deve essere inferiore a 1000 ppm. Altrimenti la concentrazione di CO2 inspirata indossando i dispositivi può aumentare sensibilmente.


 


 



[NOTA 1] La rete europea di informazione e osservazione sull'ambiente (Eionet) è una rete di partenariato dell'Agenzia europea dell'ambiente (AEA) e dei suoi 38 paesi membri e cooperanti. L'AEA è responsabile dello sviluppo di Eionet e del coordinamento delle sue attività insieme ai punti focali nazionali (NNF) nei paesi. https://www.eionet.europa.eu/

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