domenica 10 febbraio 2019

Corte Costituzionale i poteri delle Regioni nel disciplinare conferenza dei servizi e procedure di VIA


La Corte Costituzionale con sentenza n° 9 del 2019 (QUI) è intervenuta per chiarire le modalità di disciplina, da parte delle Regioni,  della conferenza dei servizi nelle procedure di VIA. Come vedremo, più analiticamente, nel proseguo del post la sintesi della sentenza è che le Regioni non disciplinare le procedure di VIA e relativa conferenza dei servizi purché rispettino gli elementi di fondo della disciplina statale.



LE NORME REGIONALI IMPUGNATE
Si contestano due norme da leggere in modo coordinato. Secondo queste norme regionali se all’interno di un procedimento di VIA occorra un provvedimento di competenza di un organo di indirizzo politico (giunta ad es.) da esprimersi nell’ambito della conferenza dei servizi, detto provvedimento è  acquisito prima della convocazione della conferenza di servizi o successivamente alla determinazione  motivata di conclusione  della stessa conferenza. In  caso di acquisizione successiva  del provvedimento di cui al  precedente periodo, l'efficacia della determinazione di conclusione della conferenza di servizi è  sospesa nelle more della formalizzazione dello stesso provvedimento.

Secondo l’Avvocatura di stato le norme impugnate violerebbero l'art. 117, secondo comma, lettera  s) della Costituzione (competenza di legislazione esclusiva statale in materia ambientale), perché  introdurrebbero  nel  procedimento di valutazione dell'impatto ambientale una fase integrativa dell'efficacia della determinazione motivata di conclusione della conferenza di servizi che non  troverebbe alcuna rispondenza nella disciplina statale in materia ambientale.
Come è noto, in materia ambientale, le Regioni sono abilitate a intervenire in materia «solo se e nella misura in cui esse rispettino i limiti inderogabilmente  posti  dal  legislatore statale e in particolare dal decreto legislativo 3 aprile  2006,  n. 152 (Norme in materia ambientale).

Le norme regionali  sono impugnate anche in riferimento, sempre nell’ambito della competenza legislativa esclusiva dello stato, all'art. 117, secondo comma, lettera m[NOTA 1] della Costituzione, in quanto in relazione alla prestazione amministrativa costituita dalla conferenza  di  servizi  -  definita come un modulo procedimentale di semplificazione  amministrativa -  emergerebbe l'esigenza di  definire e assicurare uno standard di garanzia e di tutela uniforme a livello territoriale.  
In particolare sarebbero violate le disposizioni statali in tema di silenzio assenso in sede di conferenza di  servizi in quanto si darebbe ai provvedimenti di indirizzo degli organi politici un peso maggiore tale da bloccare ogni decisione di efficacia delle conclusioni del procedimento di valutazione/autorizzazione (in particolare il provvedimento autorizzatorio unico regionale ex articolo 27-bis [NOTA 2] DLgs 152/2016)  



LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE
La sentenza afferma la incostituzionalità delle norme regionali impugnate dalla difesa statale.
 
Secondo la Corte Costituzionale sussiste un'esigenza unitaria che legittima l'intervento del legislatore statale anche in ordine alla disciplina di procedimenti complessi estranei alle sfere
di competenza esclusiva statale affidati alla conferenza di  servizi, in vista dell'obiettivo della accelerazione e  semplificazione dell'azione amministrativa;  dall'altro è ugualmente  agevole
escludere che l'intera disciplina della conferenza di servizi,  e dunque anche la disciplina del superamento del dissenso all'interno di essa, sia riconducibile ad una materia di competenza  statale esclusiva, tenuto conto della varietà dei settori  coinvolti,  molti dei quali sono innegabilmente relativi anche a  competenze  regionali (es.: governo del territorio, tutela della salute, valorizzazione dei beni culturali ed ambientali)» (sentenza n. 179 del 2012).

Quindi aggiunge la Corte Costituzionale non  si  puo'  escludere  che  «singoli profili  della  disciplina  della   conferenza   di   servizi   siano riconducibili alla  competenza  legislativa  statale  in  materia  di determinazione dei livelli essenziali» (sentenza n.  246  del  2018), coerentemente con quanto disposto dal citato art. 29, comma 2-quater, della legge n. 241 del 1990. Si tratta di capire se le norme regionali inteferiscano o meno con questi singoli profili di competenza esclusiva statale nella disciplina della conferenza dei servizi anche in procedure di autorizzazione rientranti nella materia ambiente.
Gli artt. 14-ter  e  14-quater (vedi QUI) della legge n.  241 del 1990, stabiliscono, dunque, le modalità di formazione della determinazione di conclusione della  conferenza, disciplinando, tra l'altro, i casi in cui deve considerarsi acquisito l'assenso senza condizioni dei partecipanti, la  portata della determinazione stessa (sostitutiva di tutti gli atti di assenso comunque denominati), i suoi effetti  (immediati) e le ipotesi di sospensione dell'efficacia.


Il modello di conferenza dei servizi disciplinato dalla legge 241/1990
Per la Corte Costituzionale si tratta di un modello a struttura  unitaria,  il  quale  -  nella  prospettiva  seguita   dal legislatore di riforma - bilancia l'esigenza di semplificazione  (che trova concreta realizzazione nel principio dell'assenso  implicito  e nella previsione dell'immediata  efficacia  della  determinazione  in caso  di  approvazione  unanime),  quella   di   salvaguardia   delle competenze delle amministrazioni e dei  gestori  di  beni  o  servizi pubblici interessati (che e' assicurata  attraverso  la  possibilità loro offerta di partecipare  alla  conferenza  e  la  previsione  dei rimedi per le amministrazioni dissenzienti  portatrici  di  interessi sensibili  ex  art.  14-quinquies  della  legge  n.  241  del  1990), l'interesse  del  privato  proponente  o  istante,  che  può  essere invitato alla conferenza (art. 14-ter, comma 6, della  legge  n.  241 del 1990), e il controinteresse dei privati  che  si  oppongono  alla conclusione positiva del procedimento, i quali anche  possono  essere invitati alla conferenza (art. 14-ter, comma 6, della  legge  n.  241 del 1990).


Conclusioni della Corte Costituzionale
Rispetto al modello sopra delineato dalla legge 241/1990 (ultima versione) si tratta, allora, di verificare se le disposizioni impugnate rechino un livello di maggiore tutela o costituiscano almeno uno sviluppo coerente della tutela offerta da quelle statali.
Nel caso delle norme regionali impugnate, secondo la Corte Costituzionale è  agevole constatare  che il legislatore regionale - escludendo dalla  conferenza  la  valutazione dell'organo politico inscindibilmente legata alla  determinazione  da assumere, in quanto quest'ultima presuppone o implica la prima – si pone in una logica che, lungi dal potenziare o sviluppare il disegno di semplificazione e accelerazione definito dal legislatore statale, finisce con il vanificare il senso  stesso  della  conferenza  e l'efficacia della sua determinazione conclusiva.
In particolare, secondo la Corte Costituzionale, la  norma  regionale  impugnata  non assicura
livelli ulteriori  di  tutela,  e  anzi  chiaramente  sacrifica  le finalità di semplificazione  e  velocità  alla  cui  protezione è orientata la disciplina statale. Essa configura inoltre un modello di conferenza di servizi del tutto squilibrato e contraddittorio: squilibrato, perché assegna una netta  prevalenza alla valutazione degli organi di indirizzo politico (senza precisare inoltre che  cosa avvenga in caso di coinvolgimento di più  organi politici); contraddittorio,  perché,  sebbene  la  decisione da assumere  in conferenza presupponga o implichi un provvedimento di questi organi, la loro valutazione è separata da quella degli altri soggetti interessati. Sicché si deve parimenti escludere che il modello così prefigurato costituisca sviluppo coerente e armonioso del quadro definito dalle norme statali interposte.


Casi di normative statali dove la conferenza dei servizi possa concludersi con un necessario successivo intervento di un organo politico
La difesa della Regione cita due norme statali che dimostrebbero come la conclusione della conferenza dei servizi possa essere seguita da un ulteriore pronunciato di organi di indirizzo politico.
In particolare quando la conferenza dei servizi approva un progetto che richiede una variante alla pianificazione urbanistica vigente e quindi un successivo pronunciamento del consiglio comunale interessato (articolo 8 dpr 160/2010 - QUI ) oppure dove l’accordo di programma che comporti varianti deve essere seguito dal pronunciamento del Consiglio Comunale (art. 34,  comma  5,  del  decreto  legislativo  18 agosto 2000, n. 267 QUI).

In realtà secondo la Corte Costituzionale nella sentenza in esame nessuna  delle  due  fattispecie  (citate dalla difesa della Regione)  risulta pertinente nel caso in esame.  Secondo la Corte  Costituzionale  la circostanza che l'esito della  conferenza  prevista all'art.  8  del d.P.R. 160 del 2010 richieda un successivo procedimento di variante urbanistica,  nel  quale  interverrà  la    relativa   determinazione dell'organo politico, non altera la struttura della conferenza,  alla quale  l'organo  politico  nondimeno  partecipa.  Semplicemente la determinazione finale della  conferenza assume  anche  la  valenza  di atto  di  iniziativa per l'attivazione del relativo distinto procedimento di  variante.  Per  questa  ragione,  la  giurisprudenza amministrativa è costante nel  ritenere  che,  rispetto  a tale procedimento, l'atto conclusivo del  procedimento che si articola nella Conferenza  non  ha  carattere  decisorio  ma  costituisce  una proposta di variante dello  strumento  urbanistico. la  deliberazione   del   Consiglio comunale non costituisce affatto una fase  ulteriore  del  medesimo procedimento ma inerisce, come detto, a un procedimento distinto,  il quale del resto non elide la necessità  della partecipazione dello stesso organo politico alla previa conferenza di servizi.
In altri termini la conferenza dei servizi si chiude comunque con una decisione e la sua efficacia non è fermata in attesa della decisione dell’organo politico come invece avviene nella norma regionale oggetto della sentenza in esame.  

Invece la fattispecie dell’articolo 34 del DLgs 267/2000, sempre citata dalla difesa della Regione,  addirittura confonde due istituti diversi: accordo di programma e conferenza dei servizi e comunque anche in questo caso la  fattispecie  disciplinata nella disposizione invocata riguarda ancora una  volta  l'attivazione di un distinto procedimento amministrativo  diretto  alla  variazione
dello  strumento urbanistico.




[NOTA 1] m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
[NOTA 2] “…la determinazione motivata di conclusione della conferenza di servizi costituisce il  provvedimento autorizzatorio unico regionale e comprende il provvedimento di VIA e i titoli abilitativi rilasciati per la realizzazione e l’esercizio del progetto recandone l’indicazione esplicita.”


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