La Corte Costituzionale con sentenza n° 9 del 2019 (QUI)
è intervenuta per chiarire le modalità di disciplina, da parte delle Regioni, della conferenza dei servizi nelle procedure
di VIA. Come vedremo, più analiticamente, nel proseguo del post la sintesi
della sentenza è che le Regioni non disciplinare le procedure di VIA e relativa
conferenza dei servizi purché rispettino gli elementi di fondo della disciplina
statale.
LE NORME
REGIONALI IMPUGNATE
Si contestano due norme da leggere in modo coordinato.
Secondo queste norme regionali se all’interno di un procedimento di VIA occorra
un provvedimento di competenza di un organo di indirizzo politico (giunta ad
es.) da esprimersi nell’ambito della conferenza dei servizi, detto
provvedimento è acquisito prima della convocazione della
conferenza di servizi o successivamente alla determinazione motivata di conclusione della stessa conferenza. In caso di acquisizione successiva del provvedimento di cui al precedente periodo, l'efficacia della determinazione
di conclusione della conferenza di servizi è
sospesa nelle more della formalizzazione dello stesso provvedimento.
Secondo
l’Avvocatura di stato le norme impugnate violerebbero l'art. 117, secondo comma,
lettera s) della Costituzione (competenza
di legislazione esclusiva statale in materia ambientale), perché introdurrebbero nel
procedimento di valutazione dell'impatto ambientale una fase integrativa
dell'efficacia della determinazione motivata di conclusione della conferenza di
servizi che non troverebbe alcuna
rispondenza nella disciplina statale in materia ambientale.
Come
è noto, in materia ambientale, le Regioni sono abilitate a intervenire in
materia «solo se e nella misura in cui esse rispettino i limiti inderogabilmente posti
dal legislatore statale e in
particolare dal decreto legislativo 3 aprile
2006, n. 152 (Norme in materia
ambientale).
Le
norme regionali sono impugnate anche in riferimento,
sempre nell’ambito della competenza legislativa esclusiva dello stato, all'art.
117, secondo comma, lettera m) [NOTA 1]
della Costituzione, in quanto in relazione alla prestazione amministrativa
costituita dalla conferenza di servizi
- definita come un modulo
procedimentale di semplificazione
amministrativa - emergerebbe
l'esigenza di definire e assicurare uno standard
di garanzia e di tutela uniforme a livello territoriale.
In
particolare sarebbero violate le disposizioni statali in tema di silenzio assenso
in sede di conferenza di servizi in
quanto si darebbe ai provvedimenti di indirizzo degli organi politici un peso
maggiore tale da bloccare ogni decisione di efficacia delle conclusioni del
procedimento di valutazione/autorizzazione (in particolare il provvedimento autorizzatorio
unico regionale ex articolo 27-bis [NOTA 2]
DLgs 152/2016)
LA SENTENZA DELLA
CORTE COSTITUZIONALE
La sentenza afferma la incostituzionalità delle norme regionali impugnate
dalla difesa statale.
Secondo
la Corte Costituzionale sussiste un'esigenza unitaria che legittima
l'intervento del legislatore statale anche in ordine alla disciplina di
procedimenti complessi estranei alle sfere
di
competenza esclusiva statale affidati alla conferenza di servizi, in vista dell'obiettivo della accelerazione
e semplificazione dell'azione amministrativa; dall'altro è ugualmente agevole
escludere
che l'intera disciplina della conferenza di servizi, e dunque anche la disciplina del superamento
del dissenso all'interno di essa, sia riconducibile ad una materia di competenza statale esclusiva, tenuto conto della varietà
dei settori coinvolti, molti dei quali sono innegabilmente relativi
anche a competenze regionali (es.: governo del territorio,
tutela della salute, valorizzazione dei beni culturali ed ambientali)»
(sentenza n. 179 del 2012).
Quindi
aggiunge la Corte Costituzionale non
si puo' escludere
che «singoli profili della disciplina della
conferenza di servizi
siano riconducibili alla
competenza legislativa statale
in materia di determinazione dei livelli essenziali»
(sentenza n. 246 del
2018), coerentemente con quanto disposto dal citato art. 29, comma 2-quater,
della legge n. 241 del 1990. Si tratta di capire se le norme regionali
inteferiscano o meno con questi singoli profili di competenza esclusiva statale
nella disciplina della conferenza dei servizi anche in procedure di
autorizzazione rientranti nella materia ambiente.
Gli artt. 14-ter e
14-quater (vedi QUI)
della legge n. 241 del 1990, stabiliscono, dunque, le modalità di formazione della
determinazione di conclusione della
conferenza, disciplinando, tra l'altro, i casi in cui deve considerarsi
acquisito l'assenso senza condizioni dei partecipanti, la portata della determinazione stessa
(sostitutiva di tutti gli atti di assenso comunque denominati), i suoi
effetti (immediati) e le ipotesi di sospensione
dell'efficacia.
Il modello di conferenza dei
servizi disciplinato dalla legge 241/1990
Per
la Corte Costituzionale si tratta di un modello a struttura unitaria,
il quale -
nella prospettiva seguita
dal legislatore di riforma - bilancia l'esigenza di semplificazione (che trova concreta realizzazione nel
principio dell'assenso implicito e nella previsione dell'immediata efficacia
della determinazione in caso
di approvazione unanime),
quella di salvaguardia delle competenze delle amministrazioni e
dei gestori di
beni o servizi pubblici interessati (che e'
assicurata attraverso la
possibilità loro offerta di partecipare
alla conferenza e
la previsione dei rimedi per le amministrazioni
dissenzienti portatrici di interessi
sensibili ex art. 14-quinquies
della legge n. 241 del
1990), l'interesse del privato
proponente o istante,
che può essere invitato alla conferenza (art. 14-ter,
comma 6, della legge n. 241
del 1990), e il controinteresse dei privati
che si oppongono
alla conclusione positiva del procedimento, i quali anche possono
essere invitati alla conferenza (art. 14-ter, comma 6, della legge
n. 241 del 1990).
Conclusioni della Corte
Costituzionale
Rispetto
al modello sopra delineato dalla legge 241/1990 (ultima versione) si tratta, allora,
di verificare se le disposizioni impugnate rechino un livello di maggiore
tutela o costituiscano almeno uno sviluppo coerente della tutela offerta da
quelle statali.
Nel
caso delle norme regionali impugnate, secondo la Corte Costituzionale è agevole constatare che il legislatore regionale - escludendo
dalla conferenza la
valutazione dell'organo politico inscindibilmente legata alla determinazione da assumere, in quanto quest'ultima presuppone
o implica la prima – si pone in una logica che, lungi dal potenziare o
sviluppare il disegno di semplificazione e accelerazione definito dal
legislatore statale, finisce con il vanificare il senso stesso
della conferenza e l'efficacia della sua determinazione
conclusiva.
In
particolare, secondo la Corte Costituzionale, la norma
regionale impugnata non assicura
livelli ulteriori di tutela,
e anzi chiaramente
sacrifica le finalità di
semplificazione e velocità
alla cui protezione è orientata la disciplina statale.
Essa configura inoltre un modello di conferenza di servizi del tutto
squilibrato e contraddittorio: squilibrato, perché assegna una netta prevalenza alla valutazione degli organi di
indirizzo politico (senza precisare inoltre che
cosa avvenga in caso di coinvolgimento di più organi politici); contraddittorio, perché,
sebbene la decisione da assumere in conferenza presupponga o implichi un
provvedimento di questi organi, la loro valutazione è separata da quella degli
altri soggetti interessati. Sicché si deve parimenti escludere che il modello
così prefigurato costituisca sviluppo coerente e armonioso del quadro definito
dalle norme statali interposte.
Casi di normative
statali dove la conferenza dei servizi possa concludersi con un necessario
successivo intervento di un organo politico
La difesa della Regione cita due norme statali che dimostrebbero come la
conclusione della conferenza dei servizi possa essere seguita da un ulteriore
pronunciato di organi di indirizzo politico.
In
particolare quando la conferenza dei servizi approva un progetto che richiede
una variante alla pianificazione urbanistica vigente e quindi un successivo
pronunciamento del consiglio comunale interessato (articolo 8 dpr 160/2010 - QUI ) oppure dove l’accordo di
programma che comporti varianti deve essere seguito dal pronunciamento del
Consiglio Comunale (art. 34, comma 5,
del decreto legislativo
18 agosto 2000, n. 267 QUI).
In
realtà secondo la Corte Costituzionale nella sentenza in esame nessuna delle
due fattispecie (citate dalla difesa della Regione) risulta pertinente nel caso in esame. Secondo la Corte Costituzionale la circostanza che l'esito della conferenza
prevista all'art. 8 del d.P.R. 160 del 2010 richieda un
successivo procedimento di variante urbanistica, nel
quale interverrà la relativa
determinazione dell'organo politico, non altera la struttura della
conferenza, alla quale l'organo
politico nondimeno partecipa.
Semplicemente la determinazione finale della conferenza assume anche
la valenza di atto
di iniziativa per l'attivazione del
relativo distinto procedimento di
variante. Per questa
ragione, la giurisprudenza amministrativa è costante nel ritenere
che, rispetto a tale procedimento, l'atto conclusivo
del procedimento che si articola nella
Conferenza non ha
carattere decisorio ma
costituisce una proposta di variante
dello strumento urbanistico. la deliberazione del
Consiglio comunale non costituisce affatto una fase ulteriore
del medesimo procedimento ma
inerisce, come detto, a un procedimento distinto, il quale del resto non elide la necessità della partecipazione dello stesso organo
politico alla previa conferenza di servizi.
In
altri termini la conferenza dei servizi si chiude comunque con una decisione e
la sua efficacia non è fermata in attesa della decisione dell’organo politico
come invece avviene nella norma regionale oggetto della sentenza in esame.
Invece
la fattispecie dell’articolo 34 del DLgs 267/2000, sempre citata dalla difesa
della Regione, addirittura confonde due
istituti diversi: accordo di programma e conferenza dei servizi e comunque
anche in questo caso la fattispecie
disciplinata nella disposizione invocata riguarda ancora una volta
l'attivazione di un distinto procedimento amministrativo diretto
alla variazione
dello
strumento urbanistico.
[NOTA 1] “m) determinazione dei livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti su tutto il territorio nazionale;…”
[NOTA 2] “…la
determinazione motivata di conclusione della conferenza di servizi costituisce
il provvedimento autorizzatorio unico
regionale e comprende il provvedimento di VIA e i titoli abilitativi rilasciati
per la realizzazione e l’esercizio del progetto recandone l’indicazione
esplicita.”
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