venerdì 22 maggio 2015

Regione Liguria: una legge contro la partecipazione dei cittadini

Il Consiglio Regionale ha recentemente approvato (pubblicata sul Burl del 20 maggio 2015, vedi QUIuna nuova legge regionale che modifica la legge statutaria n. 1 del 2005.

In particolare la nuova legge innova la disciplina in materia di giudizio di ammissibilità della presentazione delle leggi di iniziativa popolare e del referendum abrogativo.  

La innova ma in modo da porre sotto il controllo del livello politico la ammissibilità dei due strumenti di democrazia diretta previsti dallo statuto regionale.

Vediamo perché…. 



LA DISCIPLINA DELLA AMMISSIBILITÀ DEGLI STRUMENTI DI DEMOCRAZIA DIRETTA PRIMA DELLA NUOVA LEGGE
Secondo l’articolo 7 della legge statutaria 1/2005 la presentazione delle leggi di iniziativa richiede la sottoscrizione di almeno 5.000 elettori, mentre secondo l’articolo 8 di detta legge  il referendum abrogativo può essere promosso da almeno il 3,5% degli iscritti alle liste elettorali delle ultime elezioni regionali.

Secondo la versione precedente all'ultima modifica qui trattata, l’articolo 10 della legge statutaria 1/2005 prevedeva, al sostituito comma 3, che la ammissibilità della legge di iniziativa popolare e/o del referendum abrogativo fossero sottoposte al vaglio della Consulta Statutaria.

La Consulta Statutaria secondo l’articolo 74 della legge statutaria è: “organo autonomo e indipendente” dalle strutture politiche della Regione (Consiglio e Giunta) ed è composto da 5 esperti eletti con una amplissima maggioranza, tre quarti,  dal Consiglio Regionale che richiede ovviamente la partecipazione anche delle minoranze.

Quindi pur essendo votato da un organo politico la Consulta costituisce: per composizione, formazione professionale, competenze e funzioni, organo non direttamente influenzabile dalle decisioni politiche (che lo possa essere indirettamente è altra questione che non riguarda i profili costituzionali qui esaminati).  
Comunque la Consulta è organo che prende decisioni motivandole, avendone titolo e professionalità, sotto il profilo tecnico giuridico e non certo politico.




LA NOVITÀ DELLA NUOVA LEGGE REGIONALE
La nuova legge regionale (la legge n. 1 del 18 maggio 2015) sostituisce il comma 3 dell’articolo 10 della legge 1/2005 affermando che: “3. Il giudizio di ammissibilità dell’iniziativa popolare o del referendum, nonché l’accertamento della chiarezza e dell’univocità del quesito referendario, sono rimessi all’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale - Assemblea Legislativa sulla base dell’istruttoria svolta dai competenti uffici.”.

Non è più quindi la Consulta Statutaria a decidere sull’ammissibilità della legge di iniziativa dei cittadini  e della proposta di referendum abrogativo, ma un organo prettamente politico quale l’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale.  Infatti ex articolo 19 della legge statutaria 1/2005, l’Ufficio di Presidenza è eletto, tra i consiglieri regionali, dalla maggioranza (prima qualificata ora non più come vedremo successivamente in questo post)  del Consiglio stesso.
Quindi sarà un organo politico a valutare se la legge di iniziativa dei cittadini ed il referendum sono ammissibili rispetto ai criteri di ammissibilità previsti dai commi 1 e 2 dell’articolo 10 della legge regionale 1/2005. Criteri strettamente tecnico giuridici in quanto si tratta di valutare se i due strumenti di democrazia diretta riguardino o meno materie che li escludono e cioè: ordinamento degli organi e degli uffici regionali, bilancio, tributi e finanze, vincoli paesaggistici e ambientali, accordi internazionali e attuazione norme comunitarie, statuti (quest’ultima esclusione solo per i referendum abrogativi).

Premesso che le materie escluse sopra elencate sono in alcuni casi discutibili e andrebbero eliminate (vedi a esempio i vincoli ambientali) quello delineato dai citati commi 1 e 2, dell’articolo  nuova versione, è un giudizio tecnico che dovrebbe quindi essere rimesso ad un organo assolutamente superpartes almeno per composizione e ruolo.

Invece la legge regionale fa decidere alla politica senza definire neppure bene i vincoli che stanno in questa decisione non facendo alcun riferimento il nuovo comma 3 ai commi 1 e 2 dell’articolo 10 della legge statutaria 1/2005, lasciando quindi una discrezionalità amplissima al'Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale, quindi addirittura ad un organo politico molto ristretto. In particolare cosa significhi che l'Ufficio di Presidenza debba valutare"la chiarezza e la univocità" è questione frutto di interpretazioni della Corte Costituzionale in relazione ai referendum abrogativi nazionali e degli organi di giustizia amministrativa per i referendum regionali e locali, quindi non reinterpretabili di certo da un organo politico. 

Nel frattempo a rafforzare il ruolo di controllo della maggioranza politica istituzionale su questi strumenti di democrazia diretta c’è anche la riforma dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale (vedi  nuovi commi 2 e 3 dell’articolo 19 della legge statutaria 1/2005) che viene ridotto a 3 persone solo ma soprattutto cambiando la maggioranza che lo elegge. Nella versione precedente si parlava almeno nella prima votazione di maggioranza di 2/3, nella nuova versione non c’è alcun riferimento a maggioranze qualificata, quindi si ammette la possibilità di elezione a maggioranza semplice.




CONCLUSIONI
La riforma della ammissibilità della legge di iniziativa dei cittadini e del referendum abrogativo appare, soprattutto per il secondo, in palese contraddizione con quanto previsto per il referendum abrogativo nazionale disciplinato dalla nostra Costituzione all'articolo 75 . Infatti in questo caso prima si pronuncia sulla regolarità della richiesta l’Ufficio centrale del referendum presso la Cassazione, mentre competente a giudicare sull’ammissibilità del referendum abrogativo è la Corte costituzionale (art. 2 legge cost. 11 marzo 1953, n. 11). Il motivo è quello di evitare contraddizioni tra l’oggetto del referendum e i principi costituzionali, il tutto secondo i canoni interpretativi del diritto fissati dalla stessa corte costituzionale come pure dalla dottrina giuridica vedi ad esempio interpretazione logica sistematica della materia in cui rientra l’oggetto del referendum


Così dovrebbe essere anche per i referendum regionali, nel senso che l’ammissibilità andrebbe lasciata ad un organismo tecnico o della magistratura amministrativa o un organismo simile a quello previste dalla legge regionale precedente, vedi Consulta Statutaria, od altro ancora ma con quelle caratteristiche.


Quanto sopra non è questione formale ma di principi di livello costituzionale.
Nel senso che strumenti di democrazia diretta come le leggi di iniziativa dei cittadini e il referendum abrogativo proposto da un numero determinato di elettori non possono essere sottoposti al giudizio di amminissibilità di organi di democrazia rappresentativa. L’unico limite deve essere quello delle norme costituzionali e delle leggi ordinarie nazionali nonché regionali, limite che deve essere valutato in sede tecnico giuridica.

La democrazia diretta sottoposta al vaglio politico della democrazia rappresentativa è una contraddizione in termini!



P.S. IL MODELLO SPEZZINO DI CONTROLLO POLITICO DEL REFERENDUM
Spezia oltre che a esportare una candidata alla Presidenza della Regione per il PD, possiamo dire che esporta quindi anche un modello di controllo “politico” da parte della maggioranza delle assemblee elettive.

Basti vedere l’ormai vecchio ma sempre vigente regolamento del Comune di Spezia sul regolamento consultivo proposto da un determinato numero di cittadini elettori.  
L’articolo 6 del Regolamento (per il testo completo vedi QUI) recita:  “….. Il Sindaco, quindi, entro 10 giorni, sottopone la richiesta di referendum ad una  Commissione composta da:  ­Presidente del Tribunale della Spezia;  ­Presidente - pro-tempore - degli Avvocati e Procuratori Tribunale della  Spezia;  ­Segretario Generale del Comune della Spezia; La Commissione esprime il proprio parere sull'ammissibilità del Referendum entro 30 giorni.  Nei successivi 60 giorni il Consiglio Comunale, si pronuncia in via definitiva  sull'ammissibilità della richiesta di referendum.”
In questo articolo va bene il vaglio di legittimità della commissione composta da ­Presidente del Tribunale della Spezia; ­Presidente - pro-tempore - degli Avvocati e Procuratori Tribunale della Spezia; ­Segretario Generale del Comune della Spezia, ma il tutto dovrebbe finire qui. Invece il voto finale decisivo, viene lasciato ad un organo politico: il consiglio comunale.
Inoltre non viene definita una maggioranza qualificata, quindi può essere sufficiente una maggioranza semplice, dando la possibilità alla maggioranza che governa di impedire con risibili interpretazioni politiche la tenuta del referendum.
Che questa non sia questione di scuola lo dimostra la proposta di referendum sull’accordo Enel Comune sulla riapertura della centrale nella metà degli anni 90 (il c.d. secondo referendum Enel), referendum mai tenuto per scelta politica della maggioranza di centro sinistra di allora).
In altri termini se dopo la ammissione di legittimità il referendum si può tenere e si raccolgono le 3.500 firme di cittadini elettori nel comune non si vede perché il consiglio comunale che vota su motivazioni politiche, e non di legittimità formale, debba impedire il referendum.

La Signora Paita quindi insieme con il suo mèntore Burlando hanno portato il modello spezzino di controllo politico di tutto, perfino dei pochi strumenti di democrazia diretta, anche in Regione Liguria………….  Complimenti per la coerenza!










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