Il Consiglio Regionale ha
recentemente approvato (pubblicata sul Burl del 20 maggio 2015, vedi QUI) una nuova legge regionale
che modifica la legge statutaria n. 1 del 2005.
In particolare la nuova
legge innova la disciplina in materia di giudizio di ammissibilità della
presentazione delle leggi di iniziativa popolare e del referendum abrogativo.
La innova ma in modo da
porre sotto il controllo del livello politico la ammissibilità dei due
strumenti di democrazia diretta previsti dallo statuto regionale.
Vediamo perché….
LA DISCIPLINA DELLA AMMISSIBILITÀ DEGLI
STRUMENTI DI DEMOCRAZIA DIRETTA PRIMA DELLA NUOVA LEGGE
Secondo l’articolo 7 della
legge statutaria 1/2005 la presentazione delle leggi di iniziativa richiede la
sottoscrizione di almeno 5.000 elettori, mentre secondo l’articolo 8 di detta
legge il referendum abrogativo può
essere promosso da almeno il 3,5% degli iscritti alle liste elettorali delle
ultime elezioni regionali.
Secondo la versione
precedente all'ultima modifica qui trattata, l’articolo 10 della legge
statutaria 1/2005 prevedeva, al sostituito comma 3, che la ammissibilità della legge di iniziativa popolare e/o del referendum abrogativo fossero sottoposte al
vaglio della Consulta Statutaria.
La Consulta Statutaria
secondo l’articolo 74 della legge statutaria è: “organo autonomo e indipendente”
dalle strutture politiche della Regione (Consiglio e Giunta) ed è composto da 5
esperti eletti con una amplissima maggioranza, tre quarti, dal Consiglio Regionale che richiede
ovviamente la partecipazione anche delle minoranze.
Quindi pur essendo votato
da un organo politico la Consulta costituisce: per composizione, formazione
professionale, competenze e funzioni, organo non direttamente influenzabile dalle decisioni politiche (che lo possa essere indirettamente è altra questione che non riguarda i profili costituzionali qui esaminati).
Comunque la Consulta è organo che prende decisioni
motivandole, avendone titolo e professionalità, sotto il profilo tecnico
giuridico e non certo politico.
LA NOVITÀ DELLA NUOVA LEGGE REGIONALE
La nuova legge regionale
(la legge n. 1 del 18 maggio 2015) sostituisce il comma 3 dell’articolo 10
della legge 1/2005 affermando che: “3. Il
giudizio di ammissibilità dell’iniziativa popolare o del referendum, nonché
l’accertamento della chiarezza e dell’univocità del quesito referendario, sono
rimessi all’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale - Assemblea
Legislativa sulla base dell’istruttoria svolta dai competenti uffici.”.
Non è più quindi la Consulta Statutaria a decidere sull’ammissibilità
della legge di iniziativa dei cittadini
e della proposta di referendum abrogativo, ma un organo prettamente
politico quale l’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale. Infatti ex articolo 19 della legge statutaria
1/2005, l’Ufficio di Presidenza è eletto, tra i consiglieri regionali, dalla
maggioranza (prima qualificata ora non più come vedremo successivamente in questo post) del Consiglio stesso.
Quindi sarà un organo
politico a valutare se la legge di iniziativa dei cittadini ed il referendum
sono ammissibili rispetto ai criteri di ammissibilità previsti dai commi 1 e 2
dell’articolo 10 della legge regionale 1/2005. Criteri strettamente tecnico
giuridici in quanto si tratta di valutare se i due strumenti di democrazia
diretta riguardino o meno materie che li escludono e cioè: ordinamento degli
organi e degli uffici regionali, bilancio, tributi e finanze, vincoli
paesaggistici e ambientali, accordi internazionali e attuazione norme
comunitarie, statuti (quest’ultima esclusione solo per i referendum
abrogativi).
Premesso che le materie
escluse sopra elencate sono in alcuni casi discutibili e andrebbero eliminate
(vedi a esempio i vincoli ambientali) quello delineato dai citati commi 1 e 2, dell’articolo nuova versione, è un giudizio
tecnico che dovrebbe quindi essere rimesso ad un organo assolutamente
superpartes almeno per composizione e ruolo.
Invece la legge regionale
fa decidere alla politica senza definire neppure bene i vincoli che stanno in
questa decisione non facendo alcun riferimento il nuovo comma 3 ai commi 1 e 2
dell’articolo 10 della legge statutaria 1/2005, lasciando quindi una
discrezionalità amplissima al'Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale, quindi addirittura ad un organo politico molto ristretto. In particolare cosa significhi che l'Ufficio di Presidenza debba valutare"la chiarezza e la univocità" è questione frutto di interpretazioni della Corte Costituzionale in relazione ai referendum abrogativi nazionali e degli organi di giustizia amministrativa per i referendum regionali e locali, quindi non reinterpretabili di certo da un organo politico.
Nel frattempo a rafforzare
il ruolo di controllo della maggioranza politica istituzionale su questi strumenti di
democrazia diretta c’è anche la riforma
dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale (vedi nuovi commi 2 e 3 dell’articolo 19 della
legge statutaria 1/2005) che viene ridotto a 3 persone solo ma soprattutto
cambiando la maggioranza che lo elegge. Nella versione precedente si parlava
almeno nella prima votazione di maggioranza di 2/3, nella nuova versione non c’è
alcun riferimento a maggioranze qualificata, quindi si ammette la possibilità
di elezione a maggioranza semplice.
CONCLUSIONI
La riforma della ammissibilità della legge di iniziativa dei cittadini e del referendum abrogativo appare, soprattutto per il secondo, in palese contraddizione con quanto previsto per il referendum abrogativo nazionale disciplinato dalla nostra Costituzione all'articolo 75 . Infatti in questo caso prima si pronuncia sulla regolarità della richiesta l’Ufficio centrale del referendum presso la Cassazione, mentre competente a giudicare sull’ammissibilità del referendum abrogativo è la Corte costituzionale (art. 2 legge cost. 11 marzo 1953, n. 11). Il motivo è quello di evitare contraddizioni tra l’oggetto del referendum e i principi costituzionali, il tutto secondo i canoni interpretativi del diritto fissati dalla stessa corte costituzionale come pure dalla dottrina giuridica vedi ad esempio interpretazione logica sistematica della materia in cui rientra l’oggetto del referendum Così dovrebbe essere anche per i referendum regionali, nel senso che l’ammissibilità andrebbe lasciata ad un organismo tecnico o della magistratura amministrativa o un organismo simile a quello previste dalla legge regionale precedente, vedi Consulta Statutaria, od altro ancora ma con quelle caratteristiche.
Quanto sopra non è questione formale ma di principi di livello costituzionale.
Nel senso che strumenti di democrazia diretta come le leggi di iniziativa dei cittadini e il referendum abrogativo proposto da un numero determinato di elettori non possono essere sottoposti al giudizio di amminissibilità di organi di democrazia rappresentativa. L’unico limite deve essere quello delle norme costituzionali e delle leggi ordinarie nazionali nonché regionali, limite che deve essere valutato in sede tecnico giuridica.
La democrazia diretta sottoposta al vaglio politico della democrazia rappresentativa è una contraddizione in termini!
P.S. IL MODELLO SPEZZINO DI
CONTROLLO POLITICO DEL REFERENDUM
Spezia oltre che a
esportare una candidata alla Presidenza della Regione per il PD, possiamo dire
che esporta quindi anche un modello di controllo “politico” da parte della
maggioranza delle assemblee elettive.
Basti vedere l’ormai
vecchio ma sempre vigente regolamento del Comune di Spezia sul regolamento
consultivo proposto da un determinato numero di cittadini elettori.
L’articolo 6 del
Regolamento (per il testo completo vedi QUI) recita: “….. Il Sindaco, quindi, entro
10 giorni, sottopone la richiesta di referendum ad una Commissione
composta da: Presidente del Tribunale della Spezia; Presidente -
pro-tempore - degli Avvocati e Procuratori Tribunale della Spezia; Segretario
Generale del Comune della Spezia; La Commissione esprime il proprio
parere sull'ammissibilità del Referendum entro 30 giorni. Nei successivi
60 giorni il Consiglio Comunale, si pronuncia in via definitiva
sull'ammissibilità della richiesta di referendum.”
In questo articolo va bene il vaglio di legittimità della commissione composta da Presidente del Tribunale della Spezia; Presidente - pro-tempore - degli Avvocati e Procuratori Tribunale della Spezia; Segretario Generale del Comune della Spezia, ma il tutto dovrebbe finire qui. Invece il voto finale decisivo, viene lasciato ad un organo politico: il consiglio comunale. Inoltre non viene definita una maggioranza qualificata, quindi può essere sufficiente una maggioranza semplice, dando la possibilità alla maggioranza che governa di impedire con risibili interpretazioni politiche la tenuta del referendum.
Che questa non sia questione di scuola lo dimostra la proposta di referendum sull’accordo Enel Comune sulla riapertura della centrale nella metà degli anni 90 (il c.d. secondo referendum Enel), referendum mai tenuto per scelta politica della maggioranza di centro sinistra di allora).
In altri termini se dopo la ammissione di legittimità il referendum si può tenere e si raccolgono le 3.500 firme di cittadini elettori nel comune non si vede perché il consiglio comunale che vota su motivazioni politiche, e non di legittimità formale, debba impedire il referendum.
La Signora Paita quindi
insieme con il suo mèntore Burlando hanno portato il modello spezzino di
controllo politico di tutto, perfino dei pochi strumenti di democrazia diretta, anche in Regione Liguria…………. Complimenti
per la coerenza!
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