Come
mi è spesso accaduto di sentire o leggere: gli enti spezzini preposti ai
controlli ambientali (Arpal , ASL), di fronte ad emissioni odorigene fastidiose
per i cittadini residenti, originate da attività di vario genere (industrie,
attività artigianali, discariche, attività di bonifica come quella
dell’ex area
IP), affermavano e affermano: non ci sono limiti di legge per gli odori e
quindi non è facile stabilire la pericolosità di dette omissioni, di
conseguenza non è facile stabilire prescrizioni o divieti per tutelare la
salute pubblica da dette emissioni.
Premesso che in realtà in alcune Regioni italiane limiti ci sono (Lombardia e Puglia ad es.) e quindi semmai è la nostra Regione ad essere in difetto, le affermazioni degli enti spezzini rimuovono anche la migliore giurisprudenza in materia. Si veda, peraltro sul punto TAR Emilia Romagna, sentenza n.4454/2008, ha ritenuto applicabili i limiti di un altra Regione, la Lombardia: "Linee guida per la costruzione e l'esercizio degli impianti di compostaggio" approvate con Dgr 16 aprile 2003 n. 7/12764 che ha fissato il limite per le emissioni di sostanze odorigene in 300 u.o./m3.
Come ho spiegato QUI e QUI, la
giurisprudenza amministrativa (es. TAR
Veneto Sez. III n. 741 del 3 maggio
2011) e penale (es. Cassazione n. 37037 del 26 settembre 2012) avevano da tempo
spiegato che:
1. per dimostrare la pericolosità delle emissioni odorigene sono
sufficienti: "le dichiarazioni di testi, specie se ...... consistano nei
riferimenti a quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiaranti";
2. per ridurre/eliminare le
emissioni odorigene si possono utilizzare le migliori tecnologie/tecniche
disponibili per ottenere
le massime performance ambientali esigibili.
Non solo ma il TAR Toscana con sentenza 187/2010 aveva cercato di applicare, alle emissioni di un impianto di compostaggio rifiuti, i limiti del Decreto del Ministero del
lavoro delle politiche sociali 26 febbraio 2004 che stabilisce i “valori limite
indicativi di esposizione professionale agli agenti chimici"; deducendo che se erano superati tali limiti all'interno dell'impianto: "“appare del tutto
logico inferire che anche le emissioni che si propagavano all’esterno
dell’impianto esorbitavano il limite della tollerabilità in relazione alle
caratteristiche dell’attività svolta”.
Ma
ora con la sentenza del TAR Friuli ( n.
2 del 2 gennaio 2013, confermata da Consiglio di Stato QUI) si
fa un salto di qualità nella prevenzione contro gli odori di origine
industriale.
In altri termini se anche in precedenza era possibile intervenire, di
fronte alle emissioni odorigene intollerabili,
applicando i due principi sopra rilevati, ora cade anche l’ultimo alibi
per i controllori “gaudenti” del nostro territorio quello della mancanza dei
limiti di emissioni odorigene nel nostro ordinamento giuridico applicabili su scala nazionale e quindi a prescindere dalla esistenza o meno di norme o linee guida regionali.
LA SENTENZA
DEL TAR FRIULI E I LIMITI ALLE EMISSIONI
ODORIGENE DELL’ENTE USA SUI CONTROLLI AMBIENTALI (EPA)
La
sentenza, riprendendo la giurisprudenza penale sul caso in oggetto, afferma che
nel caso di emissioni odorigene ripetute e che superano la normale
tollerabilità si possono applicare i limiti previsti dalla normativa USA
(predisposti dalla agenzia statunitense
per i controlli ambientali: EPA), anche se non previsti dalla normativa
italiana; il tutto in base al principio di precauzione.
Il
principio di precauzione è previsto dallo articolo 191 del Trattato di funzionamento
delle Istituzioni della UE. Secondo questo principio c'è il dovere di ridurre
le emissioni inquinanti alla fonte, anche in assenza di prove sufficienti a
dimostrare l'esistenza di un nesso causale tra le emissioni e gli effetti
ambientali negativi (punto 15 Dichiarazione di Rio de Janeiro). Ma soprattutto il principio di precauzione
come interpretato dai documenti ufficiali della UE nonché dalla giurisprudenza
della Corte di Giustizia potrebbe costituire il principio quadro per sostenere
una partecipazione attiva al processo valutativo interno al processo di formazione
– approvazione di ogni decisione a rilevanza ambientale e sanitaria: “dal
momento che la promozione della valutazione dei rischi deve inserirsi in un
dispositivo di negoziato sociale. Il suo vero ruolo sociale è quello di fornire
le basi del dialogo” (parere Comitato Economico Sociale della UE sul principio di precauzione del
12/7/2000 punto 2.14). Quindi l’applicazione di questo
principio alle questioni di inquinamento da emissioni odorigene rafforza quanto
affermato dalla citata giurisprudenza della Cassazione sulla importanza delle
dichiarazioni su quanto effettivamente percepito dai cittadini soggetti a dette
emissioni.
Sulla
scorta di quanto sopra la sentenza del TAR Friuli afferma che: “non è più lecito dubitare che un
significativo e perdurante scostamento dai limiti EPA possa essere consentito
anche in Italia, dove tali limiti non sono stabiliti per legge, perché
altrimenti si consentirebbero emissioni tossiche.”
SENTENZA DEL TAR
FRIULI E AUTORIZZAZIONE INTEGRATA AMBIENTALE (AIA)
La
sentenza in esame fornisce spunti interessanti anche ai fini del rilascio o
meno della Autorizzazione Integrata Ambientale
(la c.d. AIA famosa a Spezia per la vicenda della centrale Enel).
Secondo
il TAR Friuli :
1. nel caso in esame non
rispettando i limiti di emissione dell’EPA
ma solo quelli delle legge nazionale (non quelli sugli odori peraltro), l’attività oggetto della domanda
di AIA produce un danno alla salute e quindi non può essere continuata; oppure l’azienda
deve rimuovere il vulnus alla salute dei cittadini e presentare quindi un nuovo
progetto completamente di verso dal precedente.
2. per ottenere il rilascio
dell’AIA non è sufficiente che l’azienda dimostri il rispetto delle BAT
(migliori tecnologie disponibili esistenti), se non è:
“ in grado di evitare le conseguenze
derivanti, data la vicinanza di abitazioni, dalla natura delle emissioni
prodotte e dalla idoneità delle stesse ad assumere, in determinati casi,
carattere tossico”.
CONCLUSIONI
In
generale non è vero che non esistono limiti alle emissioni odorigene.
In
secondo luogo se l’istruttoria svolta
dalle autorità competenti dimostra un rischio alla salute dei cittadini l’AIA
può non essere rilasciata e può essere
richiesto un nuovo progetto o addirittura l’avvio di una attività diversa dalla
precedente anche lontano dal centro abitato al fine di applicare limiti e
migliori tecnologie adeguate a rimuovere
il suddetto rischio!
E pensare che a Spezia ci sono dei dirigenti e tecnici della Pubblica Amministrazione che continuano a sostenere che non si possa chiudere il gruppo a carbone della centrale Enel all'interno del rilascio dell'AIA!
Nessun commento:
Posta un commento