sabato 6 marzo 2021

La Corte Costituzionale su fornitura e uso prodotti OGM negli appalti pubblici

La Corte Costituzionale con sentenza 17 febbraio 2021 n° 23 (QUI)interviene sulla legittimità costituzionale di una norma regionale secondo la quale  la Regione: “sostiene la fornitura e l'utilizzo dei prodotti provenienti dalla filiera corta e dagli organismi non geneticamente modificati negli appalti pubblici di servizi o di forniture di prodotti alimentari ed agroalimentari destinati alla ristorazione collettiva di scuole di ogni ordine e grado, università, ospedali, luoghi di cura, gestiti da enti pubblici o da soggetti privati convenzionati. Per tale motivo, la fornitura e l'utilizzo di prodotti provenienti dalla filiera corta in misura superiore al 50 per cento oppure l'utilizzo di prodotti non contenenti organismi geneticamente modificati, pur nel rispetto della normativa statale vigente in materia di contratti pubblici, costituiranno titolo preferenziale per l'aggiudicazione degli appalti di servizi e forniture destinati alle attività di ristorazione collettiva”.

 

IL QUADRO NORMATIVO EUROPEO E NAZIONALE DI RIFERIMENTO PER LA LEGISLAZIONE REGIONALE

La Corte Costituzionale nella sentenza in esame in primo luogo descrive la normativa di riferimento sulla quale valutare la costituzionalità della norma regionale impugnata.

L'art. 22 della direttiva 2001/18/CEE (QUI), come modificata dalla direttiva 2015/412/UE, stabilisce che «gli Stati membri non possono vietare, limitare o impedire l'immissione in commercio di OGM, come tali o contenuti in prodotti, conformi ai requisiti» previsti dal diritto europeo.

Il successivo art. 23 attribuisce sì agli Stati membri il potere di limitarne o vietarne temporaneamente la vendita o l'utilizzo in commercio, ma solo qualora «uno Stato membro, sulla base di nuove o ulteriori informazioni divenute disponibili dopo la data dell'autorizzazione e che riguardino la valutazione di rischi ambientali o una nuova valutazione delle informazioni esistenti basata su nuove o supplementari conoscenze scientifiche, abbia fondati motivi di ritenere che un OGM come tale o contenuto in un prodotto debitamente notificato e autorizzato per iscritto in base alla presente direttiva rappresenti un rischio per la salute umana o l'ambiente»; in tal caso, inoltre, lo Stato membro deve informare immediatamente la Commissione europea e gli altri Stati, motivando la propria scelta, sulla quale è adottata una decisione della stessa Commissione.

L'art. 26-ter, infine, prevede i casi in cui è possibile chiedere la limitazione o il divieto di coltivazione di OGM autorizzati, in base a peculiari esigenze ambientali, economiche e territoriali, stabilendo in ogni caso al paragrafo 8 che le conseguenti misure “non incidono sulla libera circolazione degli OGM autorizzati, come tali o contenuti in prodotti”.

Come già chiarito da questa Corte, la direttiva 2001/18/CE costituisce «il testo normativo fondamentale» per quanto concerne l'immissione in commercio degli alimenti contenenti organismi geneticamente modificati, nonché i relativi limiti ammissibili (sentenza n. 116 del 2006 QUI; in senso analogo, sentenza n. 150 del 2005 QUI).

 

Sulla limitazione alla libera circolazione degli OGM autorizzati in conformità al diritto europeo  

Secondo la sentenza della Corte Costituzionale qui esaminata dato il quadro normativo sopra descritto risulta evidente che l'intervento legislativo regionale, sebbene in via indiretta, reca una limitazione alla libera circolazione degli OGM autorizzati in conformità al diritto europeo. Infatti, pur considerando che il legislatore regionale ha previsto non un divieto alla somministrazione di prodotti contenenti OGM, bensì un criterio di punteggio aggiuntivo agli ulteriori criteri già fissati per l'aggiudicazione del servizio di ristorazione collettiva, è indubbio che i partecipanti alla procedura sarebbero comunque incentivati al soddisfacimento di tale criterio aggiuntivo.

In tal senso, il fatto che gli alimenti non trattati geneticamente non esaurirebbero il fabbisogno della ristorazione collettiva, come asserito dalla difesa regionale, non pare dirimente, atteso che le norme impugnate comportano in ogni caso un ostacolo alla libera circolazione degli OGM, anche se non tale da impedirne la commercializzazione (in tal senso si veda la sentenza n. 292 del 2013 QUI).

 

Le deroghe all’uso OGM non riguarda la questione della  libera circolazione

Secondo la Corte Costituzionale non si può giustificare la  limitazione  di circolazione facendo  appello alle deroghe consentite dall'art. 26-ter della direttiva 2001/18/CE - che concernono le restrizioni alla coltivazione, mentre nel caso di specie vengono in gioco limiti alla circolazione - e neppure a quelle di cui all'art. 23 della medesima direttiva. Da un lato, infatti, non vi sono acclarate evidenze scientifiche circa la presunta nocività degli OGM, fondandosi la valutazione del rischio argomentata dalla difesa regionale su considerazioni meramente ipotetiche (si veda, in tal senso, Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 23 settembre 2003, in causa C-192/2001 (QUI), Commissione delle Comunità europee contro Regno di Danimarca). Dall'altro lato, le restrizioni consentite dalle norme europee hanno carattere temporaneo, richiedono una decisione motivata dello Stato membro e una valutazione della Commissione europea (per cui si veda Corte di giustizia della Comunità europea, sentenza 16 luglio 2009, in causa C-165/08 (QUI), Commissione delle Comunità europee contro Repubblica di Polonia). Elementi, questi, tutti assenti nel caso di specie, in cui si prevede soltanto una misura volta a penalizzare il ricorso agli alimenti contenenti OGM.

 

Sulla possibilità di porre limiti alle importazioni giustificati da motivi, tra l'altro, di tutela della salute e di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale.

Secondo la sentenza della Corte Costituzionale qui esaminata le disposizioni impugnate non possono essere giustificate, come invece asserisce la difesa della Regione Molise, neanche sulla base dell'art. 36 TFUE, che consente agli Stati membri di apporre limiti alle importazioni giustificati da motivi, tra l'altro, di tutela della salute e di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale.

In primo luogo, come già sottolineato, le ragioni di tutela della salute sono fondate su valutazioni del tutto ipotetiche, ivi incluso il possibile pregiudizio alle colture tradizionali causato dalla diffusione degli OGM, che avverrebbe con mezzi di distribuzione commerciale ritenuti più potenti e quindi più efficaci.

In secondo luogo, non può essere accolto l'argomento secondo cui l'intervento legislativo oggetto di censura sarebbe legittimo in quanto recante misure a tutela del patrimonio culturale. Secondo tale argomento la tutela comprenderebbe anche i processi produttivi e il patrimonio genetico del cibo, la cui valorizzazione troverebbe specifica protezione anche in ambito sovranazionale, in specie nella Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, adottata a Parigi il 17 ottobre 2003 dalla XXXII sessione della Conferenza generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura (UNESCO), ratificata e resa esecutiva dalla legge 27 settembre 2007, n. 167.

A parte il fatto che le disposizioni impugnate riservano un trattamento deteriore agli OGM ma non proteggono per ciò stesso i prodotti e i processi produttivi tradizionali, la tutela del patrimonio culturale italiano, ivi compreso quello immateriale attinente agli alimenti, si ascrive alla potestà legislativa esclusiva statale di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. ed eccede, quindi, le competenze regionali.

Quanto previsto dalla norma regionale impugnata, in conclusione, oltre a determinare una violazione della direttiva 2001/18/CE, si risolve altresì in una misura ad effetto equivalente ai sensi dell'art. 34 TFUE, intesa quale normativa idonea a ostacolare, direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari (si vedano le sentenze Corte Costituzionale n. 66 del 2013 QUI e n. 191 del 2012  QUI).

 

 

   

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