giovedì 9 maggio 2019

Gli strumenti legali dei cittadini su Informazione, Partecipazione, Accesso alla Giustizia


Pubblico di seguito la relazione che ho tenuto al Convegno di Pietrasanta dello scorso 4 maggio, organizzato dalla Associazione per la Tutela Ambientale della Versilia / Acqua di tutti Comitato Tallio di ValdiCastello













PREMESSA: LA MATERIALITÀ DEI CONFLITTI CAMBIERÀ IL DIRITTO AMBIENTALE E NON SOLO…

Negli anni 90 del secolo scorso) un giurista di grande valore,  Federico Spantigati,  avanzava una visione [NOTA 1] del diritto ambientale  che usciva dalle logiche polverose dei seminari giuridici slegati dalla materialità dei conflitti ambientali che nei territori si svolgevano:

1. assicurare all’Amministrazione formazione del personale e strutture tecniche adeguate, invece che fare emanare norme sulla attività e codici etici di comportamento (CONTA L’ISTRUTTORIA Più DELL’ATTO FINALE O DEI PASSAGGI FORMALI PROCEDURALI MAGARI CON DECINE DI AUTORIZZAZIONI E NULLA OSTA FRAMMENTATI IN PIU ENTI) perché valutare non è decidere ma creare le condizioni per decidere sulla base di una completa e trasparente ponderazione degli interessi.
2. il potere di diritto è subordinato agli interessi diffusi dei cittadini  e quindi questi devono rendersi capaci  di organizzarsi per agire rendendo troppo costoso, o impossibile, perseguire il risultato con il diritto senza tenere conto della loro presenza

Insomma per una corretta politica ambientale è fondamentale il connubio tra una pubblica amministrazione competente, trasparente e che non si nasconda dietro la burocrazia e i limiti della legge, ed una cittadinanza attiva, informata.



LA PARTECIPAZIONE INFORMATA

Principi corte di giustizia sul concetto di informazione ambientale
La Corte di Giustizia con sentenza del  6 ottobre 2015 (causa C‑71/14) ha affermato i seguenti principi in materia di accesso alla informazione ambientale:
1. Distinguere la informazione ambientale dall’accesso all’atto e/o al documento: “L’articolo 5 paragrafi 1 e 2 distinguono tra la pubblicazione di  registri e banche dati generali sulle informazioni ambientali in possesso di una Amministrazione Pubblica dall’accesso alla singola informazione richiesta  specificamente dal cittadino e/o associazione comitato”. 
2. Definizione larga di accesso a registri e banche dati: “L’accesso alla singola informazione e/o documento differisce dall’atto di raccogliere, tenere e diffondere informazioni ambientali o di comunicare al pubblico dove trovare tali informazioni”. 
3. Definizione di accesso alla informazione e/o documento: “La informazione ambientale  su richiesta del singolo cittadino, associazione, comitato comprende sia i dati che diversi tipi di valutazione di tali dati (quali relazioni sull’attuazione o analisi economiche). Questa informazione/documento deve essere fornita nella forma chiesta dal cittadino”.
4. Pubblicazione informazioni ambientali a prescindere dalle singole richieste di accesso, attraverso Registri e Banche Dati: “Gli Stati membri devono pubblicare i registri o gli elenchi dell’informazione ambientale detenuta dalle autorità pubbliche o dai punti di informazione, con indicazioni chiare riguardo al luogo dove tale informazione deve essere reperita.  Si intende per registro un inventario delle informazioni ambientali detenute e mediante il quale tali informazioni possono essere ricercate e individuate. Per contro, la banca dati è il corpus effettivo delle informazioni ambientali detenute.”.


La giurisprudenza in materia di accesso agli atti endoprocedimentali in materia ambientale coerente con la visione ampia di informazione ambientale
Secondo il  Consiglio di Stato n. 2557/2014: “In linea generale si deve ricordare che, come è noto, la disciplina dell’accesso in materia ambientale è specificamente contenuta nel D. Lgs. 19 ottobre 2005, n. 195, che prevede un regime di pubblicità tendenzialmente integrale dell’informativa ambientale, sia per ciò che concerne la legittimazione attiva (ampliando notevolmente il novero dei soggetti legittimati all’accesso in materia ambientale) e sia per quello che riguarda il profilo oggettivo (prevedendosi un’area di accessibilità alle informazioni ambientali svincolata dai più restrittivi presupposti di cui agli artt. 22 e segg. della L. n.241).”

Si veda anche la sentenza del Consiglio di Stato  n. 3856 del 2016: non si giustificherebbe in alcun modo un’esclusione fondata sul fatto che l’informazione non si sia ancora tradotta nell’adozione di provvedimenti amministrativi conclusivi di specifici provvedimenti. Depone infatti in senso contrario a tale prospettazione l’amplissima nozione di ‘informazione ambientale’ di cui all’articolo 2, comma 1, lettera a) del richiamato decreto legislativo 195/2005.

Quindi si afferma una visione amplissima del tipo di informazione ambientale accedibile ben oltre l’atto autorizzatorio finale che conclude il procedimento a rilevanza ambientale (AIA, AUA, VIA, VAS etc.) 
Il tutto in coerenza con le indicazioni della Direttiva 2003/4/CE sull’accesso alle informazioni ambientale (recepita in Italia dal DLgs 195/2005). 


Oggetto della informazione ambientale
La nuova direttiva allarga la definizione rispetto alla abrogata Direttiva 90/313 ( e relativo DLgs 39/1997 che la attuava) in particolare con riferimento: 
1. la forma dell’informazione diventa anche quella elettronica
2. il paesaggio e i siti naturali, la diversità biologica e i suoi elementi costitutivi, ivi compresi gli organismi geneticamente modificati, 
3. le interazioni tra tutti i fattori ambientali 
4. c’è una specificazione delle tipologie di emissioni inquinanti sulle quali si possono avere informazioni e cioè: fattori quali le sostanze, l’energia, il rumore, le radiazioni o i rifiuti, compresi quelli radioattivi, che incidono o possono incidere sugli elementi di cui alla lettera a) e/o sulla salute e la sicurezza   umana; le emissioni, gli scarichi e altri rilasci nell’ambiente. Secondo l’articolo 8 comma 2 in tal caso le autorità pubbliche indicano al richiedente dove possono essere reperite le informazioni, se disponibili, relative al procedimento di misurazione,compresi i metodi di analisi,di prelievo di campioni e di preparazione degli stessi utilizzati per raccogliere l'informazione,ovvero fanno riferimento alla procedura normalizzata utilizzata.
5. le misure amministrative e i programmi che possono  incidere sull’ambiente sono meglio precisate comprendendo: le politiche, le disposizioni legislative, i piani, i programmi, gli accordi ambientali e le attività che incidono o possono incidere sugli elementi di cui alla lettera a) nonché le misure o attività intese a proteggere tali elementi;  
6. le analisi costi-benefici ed altre analisi e ipotesi economiche usate nell’ambito delle misure e attività di cui al punto 5; In questo modo sono dissipate le incertezze emerse in sede di riesame circa l’inclusione o meno delle informazioni economiche e finanziarie nella definizione.
7. lo stato della salute e della sicurezza umana, le condizioni della vita umana, i siti e gli edifici di interesse culturale nella misura in cui sono o possono essere influenzati dallo stato degli elementi dell'ambiente o attraverso tali elementi da qualsiasi fattore di impatto;


L’accesso agli atti edilizi
Ma non è finita qui perché la giurisprudenza amministrative  recentemente è intervenuta anche sul contenuto della definizione di informazione ambientale con particolare riferimento agli atti edilizi. Infatti spesso accade che di fronte alla richiesta di accesso ad un atto edilizio finalizzata anche a verificare eventuali impatti ambientali della realizzazione autorizzata, gli uffici dei Comuni rispondano che trattasi di atti non accedibili se non dimostrando un particolare interesse legittimo o diritto soggettivo (ad esempio  risiedere o avere una attività nelle dirette vicinanze dell’area interessata dall’atto da accedere). 
Il Tar Marche con sentenza 923/2014 ha ribadito con estrema chiarezza che: “l’art. 20, comma 6, del T.U. in materia edilizia  n. 380/2001, nella parte in cui stabilisce che dell’avvenuto rilascio di un titolo edilizio va dato avviso all’albo pretorio. Tale disposizione non può che essere interpretata nel senso che tale onere di pubblicazione è funzionale a consentire a qualsiasi soggetto interessato di visionare gli atti del procedimento, in ragione di quel controllo “diffuso” sull’attività edilizia che il legislatore ha inteso garantire (vedasi anche l’art. 27, comma 3, del DPR n. 380/2001).”

Non solo ma si è affermato che l’accesso agli atti su abusi edilizi: rientra nella nozione di informazione ambientale. La sentenza del TAR Campania (Napoli) Sez.VI n.2882 del 30 aprile 2018 (NON APPELLATA) Sulla nozione di informazione ambientale accedibile rispetto agli atti edilizi/urbanistici  Non deve essere limitate ad atti relativi alle matrici ambientali ma anche a quelli relativi  Alle  attività poste in essere dalla Regione per contrastare il fenomeno dell’abusivismo edilizio. Non può dubitarsi del fatto che quest’ultimo abbia un’incidenza diretta sul “territorio” e sul “suolo” (si pensi solo al dissesto idrogeologico) e, in generale, sia idoneo a compromettere l’ambiente.


Il Tribunale della UE con sentenza del 7 marzo 2019 ha annullato una decisione della Autorità Europea per la sicurezza alimentare che concedeva solo un accesso parziale a due studi di tossicità sulla sostanza attiva glifosato, elaborati nell’ambito della procedura di rinnovo dell’approvazione di tale sostanza attiva.
L’Autorità per la sicurezza alimentare aveva motivato il parziale accesso sulla base di una causa di esclusione dell’accesso (ex regolamento UE 1049/2001 QUI) relativamente alla prevalente tutela  degli interessi commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresa la proprietà intellettuale rispetto al diritto di accesso.
La Sentenza afferma invece che questa causa di esclusione dell’accesso non può essere fatta valere per opporsi alla divulgazione degli studi richiesti che sono considerati informazioni  riguardanti emissioni nell’ambiente, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, del regolamento n. 1367/2006


Quali costi per l’accesso alle informazioni ambientali secondo la giurisprudenza comunitaria

La Corte di Giustizia con sentenza del 6 ottobre 2015 (causa C‑71/14) definisce i costi dell’accesso alle informazioni ambientali partendo da quanto viene affermato dalla Direttiva UE 2003/4 sull’accesso del pubblico all'informazione ambientale.  L’articolo 5, paragrafo 1, della Direttiva stabilisce il principio secondo il quale l’accesso a tutti i registri o elenchi pubblici dell’informazione ambientale e l’esame in situ di siffatta informazione sono gratuiti.
L’articolo 5, paragrafo 2, della Direttiva consente tuttavia alle autorità pubbliche di applicare una tassa per la fornitura dell’informazione ambientale su richiesta, purché tale tassa non superi un importo ragionevole.
La sentenza della Corte di Giustizia in relazione ai due commi sopra citati afferma che 1. gli stessi distinguono tra la pubblicazione di  registri e banche dati generali sulle informazioni ambientali in possesso di una Amministrazione Pubblica dall’accesso alla singola informazione richiesta  specificamente dal cittadino e/o associazione comitato.  
2. La pubblicazione deve essere gratuita.
3. L’Autorità Pubblica non può applicare tasse per i costi necessari a tenere e a rendere disponibili tali registri ed elenchi e le relative banche dati contenti il corpus delle informazioni ambientali al quale tali registri o elenchi fanno riferimento o che un richiedente chiede di esaminare in situ.
4. L’accesso  può prevedere un costo da pagare secondo i successivi principi di seguito descritti.
5. Costi del personale necessari ai fini della riproduzione dell’informazione ambientale richiesta (ad esempio, mediante fotocopie o stampa dei documenti o invio degli stessi tramite email) unitamente al costo, ad esempio, della carta, del toner e dell’uso di una fotocopiatrice.
6. Il mero fatto che il legislatore abbia riconosciuto, in considerazione del suo volume e della sua complessità, che l’informazione richiesta non possa essere immediatamente disponibile e quindi che il suo recupero nella forma richiesta possa comportare (notevoli) oneri per l’autorità in termini di tempo e di risorse umane non è  un motivo sufficiente per applicare una tassa al richiedente per siffatti oneri. Questi ultimi esistono anche quando non è richiesta alcuna fornitura di informazioni e quando l’autorità adempie gli altri obblighi di cui alla Direttiva.

In base ai  parametri di diritto UE ricostruiti dall’Avvocatura UE e poi acquisiti nella sentenza della Corte di Giustizia viene considerata ragionevole la tassa che:
1. viene fissata in base a fattori obiettivi che sono conosciuti e possono essere controllati da un terzo;
2. viene calcolata indipendentemente dal soggetto che chiede l’informazione e dal fine per cui tale informazione è richiesta;
3. viene fissata a un livello tale da garantire gli obiettivi del diritto di accesso all’informazione ambientale su richiesta e quindi non dissuade le persone dal chiedere l’accesso né limita il loro diritto di accesso;
4. non è superiore a un importo adeguato al motivo per cui gli Stati membri sono autorizzati ad applicare tale tassa (ossia, la presentazione da parte di un membro del pubblico di una richiesta di fornitura dell’informazione ambientale) e direttamente correlato all’atto di fornire tale informazione.
5. non dipende dal soggetto che richiede la fornitura dell’informazione né il motivo di tale richiesta, questo perché la richiesta di fornitura dell’informazione non comporta l’obbligo per il richiedente di dichiarare il proprio interesse 
6. tiene conto del fatto che l’accesso all’informazione ambientale, attraverso la fornitura di tale informazione, contribuisce a sensibilizzare maggiormente il pubblico alle questioni ambientali, a favorire il dibattito e la partecipazione del pubblico al processo decisionale in materia e, infine, a migliorare l’ambiente 
7. include i costi delle ore lavorative del personale impiegate per la ricerca e per la produzione dell’informazione richiesta nonché il costo della produzione di quest’ultima nella forma richiesta (che può essere di vari tipi). Tuttavia, precisa l’Avvocatura UE,  non è ammissibile che una tassa sia anche finalizzata a recuperare le spese generali quali il riscaldamento, l’elettricità e i servizi interni. Sebbene una parte di tali spese generali possa essere effettivamente attribuita al processo di creazione delle condizioni che consentono all’autorità di dare accesso all’informazione ambientale su richiesta, dette spese (al pari dei costi per il mantenimento e per l’accesso ai registri e agli elenchi dell’informazione ambientale) non sono sostenute unicamente in connessione con la fornitura dell’informazione in risposta a una richiesta specifica.


Accesso Civico
L’articolo 5 DLgs 33/2013 distingue:
1. L'obbligo previsto dalla normativa vigente in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione. ACCESSO CIVICO SEMPLICE
2. Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis.  ACCESSO CIVICO GENERALIZZATO

La giurisprudenza amministrativa ha ben definito la finalità dell’accesso civico. In particolare secondo il TAR Lazio Sez. III bis del 24.11.2017: l’accesso ha la finalità di “favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico” sicché sono oggetti di accesso generalizzato esclusivamente documenti attinenti a tali finalità;

In relazione al rapporto tra accesso civico e informazioni ambientali il DLgs 33/2013 all’articolo 40 (Pubblicazione e accesso alle informazioni ambientali) afferma:  1. In materia di informazioni ambientali restano ferme le disposizioni di maggior tutela già previste dall'articolo 3-sexies del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 [NOTA 2], dalla legge 16 marzo 2001, n. 108, nonché dal decreto legislativo 19 agosto 2005 n. 195.  2. Le amministrazioni di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 195 del 2005, pubblicano, sui propri siti istituzionali e in conformità a quanto previsto dal presente decreto, le informazioni ambientali di cui all'articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, che detengono ai fini delle proprie attività istituzionali, nonché le relazioni di cui all'articolo 10 del medesimo decreto legislativo. Di tali informazioni deve essere dato specifico rilievo all'interno di un'apposita sezione detta «Informazioni ambientali».
3. Sono fatti salvi i casi di esclusione del diritto di accesso alle informazioni ambientali di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195.
4. L'attuazione degli obblighi di cui al presente articolo non è in alcun caso subordinata alla stipulazione degli accordi di cui all'articolo 11 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195. Sono fatti salvi gli effetti degli accordi eventualmente già stipulati, qualora assicurino livelli di informazione ambientale superiori a quelli garantiti dalle disposizioni del presente decreto. Resta fermo il potere di stipulare ulteriori accordi ai sensi del medesimo articolo 11, nel rispetto dei livelli di informazione ambientale garantiti dalle disposizioni del presente decreto.”

L’articolo 39  del DLgs 33/2913 sull’accesso civico relativo alla pianificazione del Territorio  afferma che non sono più oggetto di pubblicazione obbligatoria gli schemi di provvedimento, le delibere di adozione e approvazione e relativi allegati tecnici. Ma questa esclusione è compensata dalla visione ampia di accesso alla informazione ambientale comprensiva degli atti edilizi/urbanistici sopra esposta.



PARTECIPAZIONE : ANTICIPARE IL CONFLITTO – FAR PESARE LA COLLETTIVITA’ NEL PROCESSO DECISIONALE FIN DALLA FASE DI IMPOSTAZIONE DELLE RAGIONI PER CUI UN PROGETTO UN PIANO UN PROGRAMMA VENGONO IDEATI E PENSATI
La Convenzione di Aarhus come pure la normativa specifica in materia di AIA per non parlare della giurisprudenza della Corte di Giustizia hanno da tempo affermato la necessità di un coinvolgimento sostanziale del pubblico nei processi decisionali fin dall’avvio del procedimento.
Per tutte si veda si veda Corte di Giustizia 15 gennaio 2013 Causa C-416/10 : “la partecipazione del pubblico comincia in una fase iniziale del procedimento, vale a dire quando tutte le alternative sono ancora praticabili e tale partecipazione può avere un’influenza effettiva, e, dall’altro lato, che il pubblico deve avere accesso alle informazioni pertinenti non appena siano disponibili”.



La partecipazione del pubblico è insita nelle procedure di valutazione e autorizzazione di derivazione comunitaria
Si veda ad esempio la Valutazione di Impatto Ambientale. Secondo la giurisprudenza amministrativa la VIA (intesa come procedura amministrativa) è una sintesi di valutazioni tecniche - socio politiche compresa la partecipazione dei cittadini. Il Consiglio di Stato Sez. V n.3254 del 31 maggio 2012 ha affermato che:
Non può sostenersi pertanto che la valutazione di impatto ambientale sia un mero atto (tecnico) di gestione ovvero di amministrazione in senso stretto, rientrante come tale nelle attribuzioni proprie dei dirigenti, trattandosi piuttosto di un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico – amministrativo con particolare riferimento al corretto uso del territorio (in senso ampio), attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei (contrapposti) interessi, pubblici (urbanistici, naturalistici, paesistici, nonché di sviluppo economico – sociale) e privati, che su di esso insistono, come tale correttamente affidata all’organo di governo, nel caso di specie la Giunta regionale.”
Quindi non è vero che la delibera di giunta regionale  (o degli enti locali nelle Regioni dove la decisione di VIA è subdelegata per alcune categorie di opere) non può che limitarsi a prendere atto della istruttoria tecnica svolta dagli uffici della Pubblica Amministrazione Autorità Competente nella VIA (Regione, Provincia, Comune, Ente Parco).


La Consultazione Pubblica
Con Direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministeri (Dipartimento della Funzione Pubblica) si sono definiti le linee guida) del 31 maggio 2017 sulla consultazione pubblica. Si tratta di una procedura derivante dalla adesione dell’Italia, il 5 settembre 2011, all'iniziativa internazionale dell'OGP - Open Government  Partnership, sottoscrivendo l'Open  Government Declaration,  che  include  la promozione di processi di apertura e partecipazione  da  parte  delle pubbliche amministrazioni.  Considerato  che il terzo piano di azione italiano  dell'Open Government  Partnership, realizzato in  collaborazione  con l'Open Government Forum a seguito di pubblica consultazione e presentato in ambito internazionale, prevede, nell'azione  14,  di  definire  linee guida per la conduzione  di  consultazioni  e  la  individuazione  di idonee soluzioni tecnologiche;
Tali linee guida  si applicano sia nei casi di consultazioni pubbliche previste per legge  o  altrimenti obbligatorie, sia nei casi in cui si voglia liberamente  ricorrere  a questa pratica o corrispondere  alle  sollecitazioni  della  società civile.


Il Dibattito Pubblico in Italia
È stato introdotto nel nostro ordinamento giuridico dall’articolo 22 del Codice degli Appalti (Trasparenza nella partecipazione di portatori di interessi e dibattito pubblico).  Tale articolo rinvia ad un Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri per rendere operativo il Dibattito Pubblico. Con DPCM n° 76/2018 è stato regolamentato il Dibattito Pubblico
Il Dibattito Pubblico può essere richiesto a livello locale:
c)  di  uno  o  più  consigli  comunali  o  di  unioni  di  comuni territorialmente  interessati  dall'intervento,  se  complessivamente rappresentativi di almeno 100.000 abitanti;
 d) di almeno 50.000 cittadini elettori  nei  territori  in  cui  e' previsto l'intervento;
 e) di almeno un terzo dei cittadini elettori per gli interventi che interessano le isole con non  piu'  di  100.000  abitanti  e  per  il territorio di comuni di montagna.”

Il coordinatore del dibattito pubblico è individuato, su richiesta dell'amministrazione aggiudicatrice o dell'ente aggiudicatore, dal Ministero competente per materia tra i suoi dirigenti.

Invece il dibattito pubblico francese  scelto il presidente  tra i commissari nazionali per il dibattito pubblico quindi organo più indipendente rispetto ad un burocrate del Ministero competente come avviene nel sistema italiano.
Non solo Il Consiglio di Stato, infatti,  pronunciando parere in sede di approvazione del  DPCM aveva affermato con chiarezza che le soglie economiche fissate dal decreto erano “di importo così elevato da finire per rendere, nella pratica, minimale il ricorso a tale istituto”.
Ciò nonostante, il monito del Consiglio di Stato è rimasto sostanzialmente inascoltato e così le soglie sono rimaste pressoché identiche a quelle previste nello schema di decreto: basti pensare che, per le più rilevanti categorie di autostrade e strade extraurbane principali (superiori a 15 km) e ferrovie (superiori ai 30 km), continuano a essere fissate in un importo pari superiore a 500 milioni di euro al netto di IVA del complesso dei contratti previsti.



GLI STRUMENTI DI DIFESA PER IL CITTADINO DOPO IL FALLIMENTO/RIMOZIONE DELLA PARTECIPAZIONE

Come presentare una denuncia alla Commissione europea
Occorre utilizzare il modulo di denuncia standard, che ci aiuterà a capire meglio il tuo problema.
Occorre descrivere esattamente in che modo ritieni che le autorità nazionali abbiano violato il diritto dell'UE e specifica la norma in questione. Inoltre devono essere descritte le eventuali misure già intraprese per ottenere giustizia.

Cosa fa la Commissione europea con la denuncia?
Le denunce presentate alla Commissione europea seguono l'iter seguente:
- entro 15 giorni lavorativi la Commissione europea confermerà di averla ricevuta
la Commissione europea ti inviterà a ripresentare la denuncia se non hai utilizzato il modulo standard
- nei 12 mesi successivi, valuterà la denuncia per decidere se avviare una procedura formale di infrazione nei confronti dello Stato membro in questione
- se il problema sollevato è particolarmente complesso, o se la Commissione europea deve ottenere maggiori informazioni e precisazioni da parte tua o di terzi, potrebbero occorrere più di 12 mesi per giungere a una decisione. Qualora la valutazione richieda più di 12 mesi, ne sarai informato
- se la Commissione europea decide che la denuncia è fondata e avvia la procedura formale di infrazione nei confronti dello Stato membro in questione, ti informerà e ti invierà aggiornamenti sull'avanzamento del caso
- se la Commissione europea ritiene che il problema possa essere risolto più efficacemente mediante uno dei servizi di risoluzione informale o extragiudiziale disponibili, potrebbe proporti di trasferire loro il tuo dossier
- se la Commissione decide che il problema sollevato non comporta una violazione del diritto dell'Unione, ti informerà mediante lettera prima di procedere all'archiviazione del caso
in qualsiasi momento potrai fornire alla Commissione europea ulteriore materiale concernente la denuncia o chiedere di incontrare i suoi rappresentanti.

La Commissione e le procedure di infrazione
I denuncianti sono una preziosa fonte di informazioni per il rilevamento di eventuali casi di infrazione. La Commissione non è tenuta ad avviare la procedura formale di infrazione, anche quando la denuncia rivela la presenza di un'infrazione (essa gode di un potere discrezionale nel decidere se e quando avviare la procedura). Inoltre, se la Commissione deferisce un paese dell'UE alla Corte di giustizia e vince la causa, tale paese dovrà adottare tutte le misure necessarie per porre rimedio all'infrazione. Tuttavia, ciò non significa che i denuncianti abbiano automaticamente diritto a un indennizzo o al risarcimento dei danni. Per chiedere un risarcimento, devono adire un tribunale nazionale entro i tempi stabiliti dal diritto nazionale.


Petizione al Parlamento Europeo
A differenza della Denuncia che viene presentata alla Commissione, la Petizione si presenta al Parlamento UE e in particolare alla apposita Commissione Petizioni  (QUI)
Si tratta di uno strumento utile per far pervenire da parte dei cittadini le  violazioni delle normative ambientali nei singoli territori.  Con un Comunicazione la Commissione del 21/12/2016 ha limitato questo strumento adducendo motivazioni discutibili.


Come redigere e gestire un Esposto per reati ambientali
L'esposto deve essere firmato da persone residenti nella zona o comunque che subiscono danni dalla attività e/o fatti contestata/i  in modo che possano un domani se l'inchiesta andrà avanti risultare come persone offese. 

Non importa che siano tante firme l'importante è che sia chiara la correlazione (ad esempio anche solo per residenza o attività lavorativa etc. ) con l'attività o i fatti contestati.

Se  siamo di fronte ad un impianto, una attività complessa (vedi ad esempio un porto commerciale, una centrale termoelettrica, un impianto di rifiuti etc.) allora è utile farsi aiutare da un esperto ( a volte non è sufficiente un legale ambientale ma possono essere utili anche competenze tecniche e scientifiche).

L'esposto soprattutto se riguarda una attività da fonti inquinanti complesse e differenziate deve essere così strutturato: 
1. una relazione dove viene descritta la normativa violata, i fatti e documenti che giustificano questa violazione 
2. l'esposto vero e proprio nel quale sulla base della relazione si evidenzino i profili delle fattispecie di reato

Occorre indicare alla fine del testo dell’Esposto una frase in cui si dichiara di riservarsi di depositare ulteriori memorie difensive.

L’avvocato diventa quasi indispensabile dal deposito dell’Esposto in poi.

Dopo qualche settimana dal deposito si può fare una verifica ex articolo 355 del Codice di Procedura Penale al fine di verificare se esistono fascicoli aperti sulla base del vostro esposto. La verifica si può fare online dal sito del Tribunale territorialmente competente.

Occorre una volta presentato l’esposto continuare ad alimentare il fascicolo, una volta che dall’accesso ex articolo 355 CPP si è saputo che è stato aperto. Si tratta di inviare ulteriori memorie integrative composte anche da fotografie, video, documenti, atti della pubblica amministrazione utili per il proseguimento delle indagini. Allo stesso tempo è fondamentale chiedere un incontro con il PM al quale è stato assegnato il fascicolo magari facendosi accompagnare dal legale scelto. 


La Corte di Giustizia sul diritto di cittadini e comitati ad impugnare le decisioni di VIA

La Convenzione di Aarhus da cui è nata la Direttiva UE sull’accesso alle informazioni ambientale non riguarda solo l’accesso alle informazioni ambientali e la partecipazione del pubblico ai processi decisionali a rilevanza ambientale ma anche l’accesso alla giustizia.
La Corte di Giustizia con sentenza del 16 aprile 2015 (Causa C-570/13) ha affermato una serie di principi in materia di accesso alla giustizia in materia ambientale:
1. Definizione di pubblico interessato ad impugnare le decisioni in materia di VIA: anche i vicini sono membri del pubblico interessato e pertanto, quando subiscono o quantomeno valutazione di impatto ambientale. Precisa l’Avvocatura UE, come recepito dalla sentenza,  che per vicini non si devono intendere solo coloro che vivono nelle vicinanza geografiche del sito dove dovrà essere collocato il progetto per il quale è stata esclusa la VIA , infatti:  “potrebbe essere sufficiente che gli eventuali effetti ambientali del progetto sull’immobile colpissero il singolo non nella sua persona, bensì soltanto nel suo patrimonio”.
2. Relativamente ai margini di discrezionalità degli Stati membri nel definire l’interesse sufficiente o le violazioni di un diritto ai fini della impugnazione delle decisioni in materia di VIA, le norme della Convenzione di Aarhus e della Direttiva VIA che prevedono il diritto di accesso alla giustizia  devono essere interpretata in modo ampio.
3. No a limitazione soggettivi del diritto di impugnare ( quindi non solo enti pubblici e chi chiede la autorizzazione e/o valutazione).
4. No a limitazioni oggettive del diritto di impugnare per cui non si impugna solo la autorizzazione finale ma anche la decisione di non sottoporre a VIA il progetto.
5. Diritto di impugnare la decisione della VIA anche in sede di impugnazione della autorizzazione finale al progetto.
6. Partecipazione al procedimento di autorizzazione/valutazione e diritto ad impugnare si mantengono e non possono essere considerate alternative. Quindi anche diritto di impugnare la decisione di VIA anche se non si è partecipato al procedimento di decisione.  

A conferma di questo indirizzo si vedano anche  Corte di Giustizia (sentenza 15/10/2009 causa C263/08)  ordinanza Corte di Giustizia del 11/3/2010  causa C24-09 secondo le quali:
1. il diritto di impugnare la decisione di VIA da parte di una associazione e/o comitato non può dipendere dal numero di aderenti ad essa/o;
2. sussiste il diritto di impugnare le decisioni di VIA da parte di Associazioni per far valere, non solo interessi dei cittadini residenti vicini al sito del progetto contestato ma anche il contrasto della decisione impugnata con il diritto comunitario.

Corte di Giustizia (con sentenza 12/5/2011 causa C115/09):  I cittadini (pubblico interessato) hanno diritto ad essere informati adeguatamente delle modalità con le quali possono impugnare le decisioni di VIA (sentenza della Corte di Giustizia 16/7/2009)



Gli ambientalisti possono impugnare atti urbanistici-edilizi

Con sentenza n° 839 del 2015 il Consiglio di Stato ha affermato che la pianificazione urbanistica e la disciplina della attività edilizia non sono limitate all'ordinato sviluppo dell'uso del territorio ma alla tutela di interessi plurimi compreso l'ambiente. Quindi si chiarisce la portata degli atti urbanistici ed edilizi impugnabili dalle associazioni ambientaliste. Afferma la sentenza: “Proprio per questo, gli atti che costituiscono esercizio di pianificazione urbanistica, la localizzazione di opere pubbliche, gli atti autorizzatori di interventi edilizi, nella misura in cui possano comportare danno per l'ambiente ben possono essere oggetto di impugnazione da parte delle associazioni ambientaliste, in quanto atti latamente rientranti nella materia "ambiente", in relazione alla quale si definisce (e perimetra) la legittimazione delle predette associazioni.
Se tutti gli atti urbanistici che riguardano interventi di una certa dimensione areale sono quindi impugnabili dagli ambientalisti è altrettanto vero che occorre nei casi in cui la dimensione non è amplissima una valutazione del giudice sulla legittimazione delle associazioni ambientaliste
Nel caso specifico trattato dalla sentenza in esame: “il profilo dimensionale, che qualifica la rilevanza anche ambientale, appare evincibile dall’esito realizzato, ossia la trasformazione di una vasta area a destinazione agricola, in area a destinazione residenziale, mediante la costruzione di dieci palazzine, di quattro piani ciascuna, oltreché di un ristorante.”


L’Avvocatura UE definisce i costi dell’accesso alle informazioni ambientali ma anche alla giustizia

Con l’ultima riforma del processo amministrativo sono aumentati notevolmente i costi per i ricorsi alla giustizia amministrativa. Basti pensare che il contributo è stato portato dai 340 euro agli attuali 650 con un aumento di 325 se c’è l’impugnazione al  Consiglio di Stato ed un ulteriore contributo di 650 euro se si perde il ricorso, con la possibilità di una ulteriore contribuzione fino a 3250 euro se il ricorso viene considerato come temerario cioè non adeguatamente motivato nei profili di illegittimità sollevati.

Ovviamente queste spese già significative per dei semplici cittadini si vanno ad aggiungere a quelle dei legali anche della controparte visto che è si sta affermando sempre più la tendenza a non compensare le spese e a farle pagare tutte alla parte soccombente.

La Corte di Giustizia della UE è intervenuta a tutela degli eccessi costi a carico dei cittadini che ricorrono alla giustizia negli Stati membri per tutela diritti alla tutela di ambiente e salute. Si tratta della sentenza 11 Aprile 2013

La questione specifica da cui è partito il ricorso alla Corte di Giustizia  
Il caso esaminato dalla sentenza della Corte di Giustizia, qui trattata, riguarda il ricorso in appello effettuato da una cittadina inglese contro  la mancata applicazione della VIA ad un cementificio che avrebbe dovuto bruciare anche rifiuti. La cittadina si è vista respingere il ricorso dalla Corte di Appello inglese ed è stata condannata al pagamento delle spese giudiziali comprese quindi quelle della controparte di 25.000 sterline. La cittadina attraverso vari passaggi della giustizia inglese, che non riporto perché ininfluenti dal punto di vista del nostro diritto nazionale, è arrivata alla Supreme Court of the United Kingdom, dove ha chiesto se la condanna al pagamento delle spese così onerose non fosse contraria alle norme delle Direttive AIA e VIA sopra riportate.

Rapporti tra principio comunitaria di non eccessiva onerosità  e diritto degli Stati Membri
Secondo la Corte di Giustizia sussiste un diretto rapporto tra la  nozione di procedimento «non eccessivamente oneroso» ai sensi delle direttive sulla via e l’ aia e il diritto nazionale degli stati membri, quindi essendo il riferimento alla non eccessiva onerosità contenuto in norme di diritto comunitario che non fanno riferimento esplicito a norme nazionali di recepimento specifiche, la questione sul concetto di eccessiva onerosità non rientra nel solo diritto nazionale,
poter accedere alla giustizia da parte dei cittadini è uno degli strumenti attivi per garantire una migliore tutela dell’ambiente. Quindi le spese di un ricorso ai sensi della convenzione o per fare applicare il diritto nazionale dell’ambiente non devono essere tanto elevate da impedire ai membri del pubblico di proporre ricorso ove lo reputino necessario

La corte di giustizia si pronuncia su quali criteri per valutare  il concetto di “non eccessivamente oneroso
il giudice nazionale chiamato a statuire sulle spese deve assicurarsi del rispetto di tale  concetto  tenendo conto contemporaneamente:
1. dell’interesse della persona che desidera difendere i propri diritti
2. dell’interesse generale connesso alla tutela dell’ambiente.
In tal senso, le spese di un procedimento:
a) non devono superare le capacità finanziarie dell’interessato
b) non devono apparire, ad ogni modo, oggettivamente irragionevoli
c) non devono essere valutate avendo come riferimento un ricorrente mediopoiché siffatti dati possono avere soltanto un esile collegamento con la situazione dell’interessato.

Altri parametri di valutazione , che dovranno però rispettare quelli prioritari, sono:
d) situazione delle parti in causa,
e) ragionevoli possibilità di successo del richiedente,
f) importanza della posta in gioco per il richiedente nonché per la tutela dell’ambiente,
g) la complessità del diritto e della procedura applicabili,
h) il carattere eventualmente temerario del ricorso nelle varie sue fasi.

La Corte di Giustizia rileva che nella normativa citata sulla Convenzione di Aarhus e delle Direttive su AIA e VIA  non c’è alcuna distinzione tra primo e successivi gradi di giudizio.


[NOTA 1]  F. Spantigati   "Valutazione giuridica dell'ambiente.  Di che cosa parliamo quando parliamo di diritto dell'ambiente" (ed. CEDAM 2002)

[NOTA 2] 3-sexies. Diritto di accesso alle informazioni ambientali e di partecipazione a scopo collaborativo
1. In attuazione della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, e delle previsioni della Convenzione di Aarhus, ratificata dall'Italia con la legge 16 marzo 2001, n. 108, e ai sensi del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, chiunque, senza essere tenuto a dimostrare la sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante, può accedere alle informazioni relative allo stato dell'ambiente e del paesaggio nel territorio nazionale.
1-bis. Nel caso di piani o programmi da elaborare a norma delle disposizioni di cui all’allegato 1 alla direttiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003, qualora agli stessi non si applichi l’articolo 6, comma 2, del presente decreto, l’autorità competente all’elaborazione e all’approvazione dei predetti piani o programmi assicura la partecipazione del pubblico nel procedimento di elaborazione, di modifica e di riesame delle proposte degli stessi piani o programmi prima che vengano adottate decisioni sui medesimi piani o programmi.
1-ter. Delle proposte dei piani e programmi di cui al comma 1-bis l’autorità procedente dà avviso mediante pubblicazione nel proprio sito web. La pubblicazione deve contenere l’indicazione del titolo del piano o del programma, dell’autorità competente, delle sedi ove può essere presa visione del piano o programma e delle modalità dettagliate per la loro consultazione.
1-quater. L’autorità competente mette altresì a disposizione del pubblico il piano o programma mediante il deposito presso i propri uffici e la pubblicazione nel proprio sito web.
1-quinquies. Entro il termine di sessanta giorni dalla data di pubblicazione dell’avviso di cui al comma 1-ter, chiunque può prendere visione del piano o programma ed estrarne copia, anche in formato digitale, e presentare all’autorità competente proprie osservazioni o pareri in forma scritta.
1-sexies. L’autorità procedente tiene adeguatamente conto delle osservazioni del pubblico presentate nei termini di cui al comma 1-quinquies nell’adozione del piano o programma.
1-septies. Il piano o programma, dopo che è stato adottato, è pubblicato nel sito web dell’autorità competente unitamente ad una dichiarazione di sintesi nella quale l’autorità stessa dà conto delle considerazioni che sono state alla base della decisione. La dichiarazione contiene altresì informazioni sulla partecipazione del pubblico.

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