Pubblico di seguito la
relazione che ho tenuto al Convegno di Pietrasanta dello scorso 4 maggio, organizzato
dalla Associazione per la Tutela Ambientale della Versilia / Acqua di tutti
Comitato Tallio di ValdiCastello
PREMESSA: LA MATERIALITÀ DEI CONFLITTI
CAMBIERÀ IL DIRITTO AMBIENTALE E NON SOLO…
Negli anni 90 del secolo
scorso) un giurista di grande valore,
Federico Spantigati, avanzava una
visione [NOTA 1] del diritto
ambientale che usciva dalle logiche polverose dei seminari giuridici
slegati dalla materialità dei conflitti ambientali che nei territori si
svolgevano:
1.
assicurare all’Amministrazione formazione del personale e strutture tecniche
adeguate, invece che fare emanare norme sulla attività e codici etici di
comportamento (CONTA L’ISTRUTTORIA Più DELL’ATTO FINALE O DEI PASSAGGI FORMALI
PROCEDURALI MAGARI CON DECINE DI AUTORIZZAZIONI E NULLA OSTA FRAMMENTATI IN PIU
ENTI) perché valutare non è decidere ma creare le condizioni per decidere sulla
base di una completa e trasparente ponderazione degli interessi.
2. il potere di diritto è subordinato agli interessi diffusi dei
cittadini e quindi questi devono rendersi capaci di organizzarsi
per agire rendendo troppo costoso, o impossibile, perseguire il risultato con
il diritto senza tenere conto della loro presenza
Insomma per una corretta
politica ambientale è fondamentale il connubio tra una pubblica amministrazione
competente, trasparente e che non si nasconda dietro la burocrazia e i limiti
della legge, ed una cittadinanza attiva, informata.
LA PARTECIPAZIONE INFORMATA
Principi corte di giustizia sul concetto di
informazione ambientale
La Corte di Giustizia con
sentenza del 6 ottobre 2015 (causa C‑71/14)
ha affermato i seguenti principi in materia di accesso alla informazione
ambientale:
1.
Distinguere la informazione ambientale dall’accesso all’atto e/o al documento: “L’articolo 5 paragrafi 1 e 2 distinguono
tra la pubblicazione di registri e banche dati generali sulle
informazioni ambientali in possesso di una Amministrazione Pubblica dall’accesso alla
singola informazione richiesta specificamente dal cittadino e/o
associazione comitato”.
2.
Definizione larga di accesso a registri e banche dati: “L’accesso alla singola informazione e/o documento differisce dall’atto
di raccogliere, tenere e diffondere informazioni ambientali o di comunicare al
pubblico dove trovare tali informazioni”.
3.
Definizione di accesso alla informazione e/o documento: “La informazione ambientale su richiesta del singolo cittadino,
associazione, comitato comprende sia i dati che diversi tipi di valutazione di
tali dati (quali relazioni sull’attuazione o analisi economiche). Questa
informazione/documento deve essere fornita nella forma chiesta dal cittadino”.
4.
Pubblicazione informazioni ambientali a prescindere dalle singole richieste di
accesso, attraverso Registri e Banche Dati: “Gli Stati membri devono pubblicare i registri o gli elenchi
dell’informazione ambientale detenuta dalle autorità pubbliche o dai punti di
informazione, con indicazioni chiare riguardo al luogo dove tale informazione deve
essere reperita. Si intende per registro un inventario delle
informazioni ambientali detenute e mediante il quale tali informazioni possono
essere ricercate e individuate. Per contro, la banca dati è il corpus
effettivo delle informazioni ambientali detenute.”.
La giurisprudenza in materia di accesso agli atti
endoprocedimentali in materia ambientale coerente con la visione ampia di
informazione ambientale
Secondo il Consiglio di Stato n. 2557/2014: “In linea generale si deve ricordare che,
come è noto, la disciplina dell’accesso in materia ambientale è specificamente
contenuta nel D. Lgs. 19 ottobre 2005, n. 195, che prevede un regime di
pubblicità tendenzialmente integrale dell’informativa ambientale, sia per ciò
che concerne la legittimazione attiva (ampliando notevolmente il novero dei
soggetti legittimati all’accesso in materia ambientale) e sia per quello che
riguarda il profilo oggettivo (prevedendosi un’area di accessibilità alle
informazioni ambientali svincolata dai più restrittivi presupposti di cui agli
artt. 22 e segg. della L. n.241).”
Si veda anche la sentenza del
Consiglio di Stato n. 3856 del 2016: non si giustificherebbe
in alcun modo un’esclusione fondata sul fatto che l’informazione non si sia
ancora tradotta nell’adozione di provvedimenti amministrativi conclusivi di
specifici provvedimenti. Depone infatti in senso contrario a tale
prospettazione l’amplissima nozione di ‘informazione ambientale’ di cui
all’articolo 2, comma 1, lettera a) del richiamato decreto legislativo 195/2005.
Quindi si afferma una
visione amplissima del tipo di informazione ambientale accedibile ben oltre
l’atto autorizzatorio finale che conclude il procedimento a rilevanza
ambientale (AIA, AUA, VIA, VAS etc.)
Il tutto in coerenza con
le indicazioni della Direttiva 2003/4/CE sull’accesso alle informazioni
ambientale (recepita in Italia dal DLgs 195/2005).
Oggetto della informazione ambientale
La nuova direttiva allarga
la definizione rispetto alla abrogata Direttiva 90/313 ( e relativo DLgs
39/1997 che la attuava) in particolare con riferimento:
1.
la forma dell’informazione diventa anche quella elettronica
2.
il paesaggio e i siti naturali, la diversità biologica e i suoi elementi
costitutivi, ivi compresi gli organismi geneticamente modificati,
3.
le interazioni tra tutti i fattori ambientali
4.
c’è una specificazione delle tipologie di emissioni inquinanti sulle quali si
possono avere informazioni e cioè: fattori quali le sostanze, l’energia, il
rumore, le radiazioni o i rifiuti, compresi quelli radioattivi, che incidono o
possono incidere sugli elementi di cui alla lettera a) e/o sulla salute e la
sicurezza umana; le emissioni, gli scarichi e altri rilasci
nell’ambiente. Secondo l’articolo 8 comma 2 in tal caso le autorità
pubbliche indicano al richiedente dove possono essere reperite le informazioni,
se disponibili, relative al procedimento di misurazione,compresi i metodi di
analisi,di prelievo di campioni e di preparazione degli stessi utilizzati per
raccogliere l'informazione,ovvero fanno riferimento alla procedura normalizzata
utilizzata.
5.
le misure amministrative e i programmi che possono incidere sull’ambiente
sono meglio precisate comprendendo: le politiche, le disposizioni legislative,
i piani, i programmi, gli accordi ambientali e le attività che incidono o
possono incidere sugli elementi di cui alla lettera a) nonché le misure o
attività intese a proteggere tali elementi;
6.
le analisi costi-benefici ed altre analisi e ipotesi economiche usate
nell’ambito delle misure e attività di cui al punto 5; In questo modo sono
dissipate le incertezze emerse in sede di riesame circa l’inclusione o meno
delle informazioni economiche e finanziarie nella definizione.
7.
lo stato della salute e della sicurezza umana, le condizioni della vita umana,
i siti e gli edifici di interesse culturale nella misura in cui sono o possono
essere influenzati dallo stato degli elementi dell'ambiente o attraverso tali
elementi da qualsiasi fattore di impatto;
L’accesso agli atti edilizi
Ma non è finita qui perché
la giurisprudenza amministrative recentemente è intervenuta anche sul contenuto
della definizione di informazione ambientale con particolare riferimento agli
atti edilizi. Infatti spesso accade che di fronte alla richiesta di accesso ad
un atto edilizio finalizzata anche a verificare eventuali impatti ambientali
della realizzazione autorizzata, gli uffici dei Comuni rispondano che trattasi
di atti non accedibili se non dimostrando un particolare interesse legittimo o
diritto soggettivo (ad esempio risiedere o avere una attività nelle
dirette vicinanze dell’area interessata dall’atto da accedere).
Il Tar Marche con sentenza 923/2014 ha
ribadito con estrema chiarezza che: “l’art.
20, comma 6, del T.U. in materia edilizia n. 380/2001, nella parte in cui
stabilisce che dell’avvenuto rilascio di un titolo edilizio va dato avviso
all’albo pretorio. Tale disposizione non può che essere interpretata nel senso
che tale onere di pubblicazione è funzionale a consentire a qualsiasi soggetto
interessato di visionare gli atti del procedimento, in ragione di quel
controllo “diffuso” sull’attività edilizia che il legislatore ha inteso
garantire (vedasi anche l’art. 27, comma 3, del DPR n. 380/2001).”
Non solo ma si è affermato
che l’accesso agli atti su abusi edilizi: rientra nella nozione di informazione
ambientale. La sentenza del TAR Campania
(Napoli) Sez.VI n.2882 del 30 aprile 2018 (NON APPELLATA) Sulla nozione di
informazione ambientale accedibile rispetto agli atti edilizi/urbanistici Non deve essere limitate ad atti relativi alle
matrici ambientali ma anche a quelli relativi Alle
attività poste in essere dalla Regione per contrastare il fenomeno
dell’abusivismo edilizio. Non può dubitarsi del fatto che quest’ultimo abbia
un’incidenza diretta sul “territorio” e sul “suolo” (si pensi solo al dissesto
idrogeologico) e, in generale, sia idoneo a compromettere l’ambiente.
Il Tribunale della UE con sentenza del 7 marzo 2019 ha annullato una
decisione della Autorità Europea per la sicurezza alimentare che concedeva solo
un accesso parziale a due studi di tossicità sulla sostanza attiva glifosato,
elaborati nell’ambito della procedura di rinnovo dell’approvazione di tale
sostanza attiva.
L’Autorità per la
sicurezza alimentare aveva motivato il parziale accesso sulla base di una causa
di esclusione dell’accesso (ex regolamento UE 1049/2001 QUI)
relativamente alla prevalente tutela degli interessi commerciali di una
persona fisica o giuridica, ivi compresa la proprietà intellettuale rispetto al
diritto di accesso.
La Sentenza afferma invece
che questa causa di esclusione dell’accesso non può essere fatta valere per
opporsi alla divulgazione degli studi richiesti che sono considerati
informazioni riguardanti emissioni
nell’ambiente, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, del regolamento
n. 1367/2006
Quali costi per l’accesso alle informazioni ambientali
secondo la giurisprudenza comunitaria
La Corte di Giustizia con sentenza del 6 ottobre 2015 (causa C‑71/14) definisce
i costi dell’accesso alle informazioni ambientali partendo da quanto viene
affermato dalla Direttiva UE 2003/4 sull’accesso del pubblico all'informazione
ambientale. L’articolo 5, paragrafo 1, della Direttiva stabilisce il
principio secondo il quale l’accesso a tutti i registri o elenchi pubblici dell’informazione
ambientale e l’esame in situ di siffatta informazione sono gratuiti.
L’articolo 5, paragrafo 2, della Direttiva consente tuttavia alle autorità
pubbliche di applicare una tassa per la fornitura dell’informazione
ambientale su richiesta, purché tale tassa non superi un importo
ragionevole.
La sentenza della Corte di Giustizia in relazione ai due commi sopra citati afferma che 1. gli stessi distinguono tra la
pubblicazione di registri e banche dati generali sulle informazioni
ambientali in possesso di una Amministrazione Pubblica dall’accesso alla
singola informazione richiesta specificamente dal cittadino e/o
associazione comitato.
2. La pubblicazione deve essere gratuita.
3. L’Autorità Pubblica non
può applicare tasse per i costi necessari a tenere e a rendere disponibili tali
registri ed elenchi e le relative banche dati contenti il corpus delle
informazioni ambientali al quale tali registri o elenchi fanno riferimento o
che un richiedente chiede di esaminare in situ.
4. L’accesso può
prevedere un costo da pagare secondo i successivi principi di seguito
descritti.
5. Costi del personale
necessari ai fini della riproduzione dell’informazione ambientale richiesta (ad
esempio, mediante fotocopie o stampa dei documenti o invio degli stessi tramite
email) unitamente al costo, ad esempio, della carta, del toner e dell’uso di
una fotocopiatrice.
6. Il mero fatto che il
legislatore abbia riconosciuto, in considerazione del suo volume e della sua
complessità, che l’informazione richiesta non possa essere immediatamente
disponibile e quindi che il suo recupero nella forma richiesta possa comportare
(notevoli) oneri per l’autorità in termini di tempo e di risorse umane non
è un motivo sufficiente per applicare una tassa al richiedente per
siffatti oneri. Questi ultimi esistono anche quando non è richiesta alcuna
fornitura di informazioni e quando l’autorità adempie gli altri obblighi di cui
alla Direttiva.
In base ai parametri
di diritto UE ricostruiti dall’Avvocatura UE e poi acquisiti nella sentenza
della Corte di Giustizia viene considerata ragionevole la tassa che:
1. viene
fissata in base a fattori obiettivi che sono conosciuti e possono essere
controllati da un terzo;
2. viene
calcolata indipendentemente dal soggetto che chiede l’informazione e dal fine
per cui tale informazione è richiesta;
3. viene
fissata a un livello tale da garantire gli obiettivi del diritto di accesso
all’informazione ambientale su richiesta e quindi non dissuade le persone dal
chiedere l’accesso né limita il loro diritto di accesso;
4. non
è superiore a un importo adeguato al motivo per cui gli Stati membri sono
autorizzati ad applicare tale tassa (ossia, la presentazione da parte di un
membro del pubblico di una richiesta di fornitura dell’informazione ambientale)
e direttamente correlato all’atto di fornire tale informazione.
5. non
dipende dal soggetto che richiede la fornitura dell’informazione né il motivo
di tale richiesta, questo perché la richiesta di fornitura dell’informazione
non comporta l’obbligo per il richiedente di dichiarare il proprio
interesse
6. tiene conto
del fatto che l’accesso all’informazione ambientale, attraverso la fornitura di
tale informazione, contribuisce a sensibilizzare maggiormente il pubblico alle
questioni ambientali, a favorire il dibattito e la partecipazione del pubblico
al processo decisionale in materia e, infine, a migliorare l’ambiente
7. include
i costi delle ore lavorative del personale impiegate per la ricerca e per la
produzione dell’informazione richiesta nonché il costo della produzione di
quest’ultima nella forma richiesta (che può essere di vari tipi). Tuttavia, precisa
l’Avvocatura UE, non è ammissibile che una tassa sia anche finalizzata a
recuperare le spese generali quali il riscaldamento, l’elettricità e i servizi
interni. Sebbene una parte di tali spese generali possa essere effettivamente
attribuita al processo di creazione delle condizioni che consentono
all’autorità di dare accesso all’informazione ambientale su richiesta, dette
spese (al pari dei costi per il mantenimento e per l’accesso ai registri e agli
elenchi dell’informazione ambientale) non sono sostenute unicamente in
connessione con la fornitura dell’informazione in risposta a una richiesta
specifica.
Accesso Civico
L’articolo 5 DLgs 33/2013
distingue:
1. L'obbligo previsto dalla normativa vigente in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione. ACCESSO CIVICO SEMPLICE
1. L'obbligo previsto dalla normativa vigente in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione. ACCESSO CIVICO SEMPLICE
2.
Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle
funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere
la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai
dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori
rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel
rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti
secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis.
ACCESSO CIVICO GENERALIZZATO
La giurisprudenza
amministrativa ha ben definito la finalità dell’accesso civico. In particolare
secondo il TAR Lazio Sez. III bis del
24.11.2017: l’accesso ha la finalità di “favorire forme diffuse di
controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle
risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”
sicché sono oggetti di accesso generalizzato esclusivamente documenti attinenti
a tali finalità;
In relazione al rapporto
tra accesso civico e informazioni ambientali il DLgs 33/2013 all’articolo 40 (Pubblicazione e accesso alle
informazioni ambientali) afferma: “1. In materia di informazioni ambientali
restano ferme le disposizioni di maggior tutela già previste dall'articolo
3-sexies del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 [NOTA 2],
dalla legge 16 marzo 2001, n. 108, nonché
dal decreto legislativo 19 agosto
2005 n. 195. 2. Le amministrazioni di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b),
del decreto legislativo n. 195 del 2005, pubblicano, sui propri siti
istituzionali e in conformità a quanto previsto dal presente decreto, le
informazioni ambientali di cui all'articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto
legislativo 19 agosto 2005, n. 195, che detengono ai fini delle proprie
attività istituzionali, nonché le relazioni di cui all'articolo 10 del medesimo
decreto legislativo. Di tali informazioni deve essere dato specifico rilievo
all'interno di un'apposita sezione detta «Informazioni ambientali».
3. Sono fatti
salvi i casi di esclusione del diritto di accesso alle informazioni ambientali
di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195.
4. L'attuazione
degli obblighi di cui al presente articolo non è in alcun caso subordinata alla
stipulazione degli accordi di cui all'articolo 11 del decreto legislativo 19
agosto 2005, n. 195. Sono fatti salvi gli effetti degli accordi eventualmente
già stipulati, qualora assicurino livelli di informazione ambientale superiori
a quelli garantiti dalle disposizioni del presente decreto. Resta fermo il
potere di stipulare ulteriori accordi ai sensi del medesimo articolo 11, nel
rispetto dei livelli di informazione ambientale garantiti dalle disposizioni
del presente decreto.”
L’articolo 39 del DLgs 33/2913 sull’accesso civico relativo alla pianificazione del
Territorio afferma che non sono più
oggetto di pubblicazione obbligatoria gli schemi di provvedimento, le delibere
di adozione e approvazione e relativi allegati tecnici. Ma questa esclusione è
compensata dalla visione ampia di accesso alla informazione ambientale comprensiva
degli atti edilizi/urbanistici sopra esposta.
PARTECIPAZIONE : ANTICIPARE IL CONFLITTO – FAR PESARE
LA COLLETTIVITA’ NEL PROCESSO DECISIONALE FIN DALLA FASE DI IMPOSTAZIONE DELLE
RAGIONI PER CUI UN PROGETTO UN PIANO UN PROGRAMMA VENGONO IDEATI E PENSATI
La Convenzione di Aarhus
come pure la normativa specifica in materia di AIA per non parlare della
giurisprudenza della Corte di Giustizia hanno da tempo affermato la necessità
di un coinvolgimento sostanziale del pubblico nei processi decisionali fin
dall’avvio del procedimento.
Per tutte si veda si veda Corte di Giustizia 15 gennaio 2013
Causa C-416/10 : “la
partecipazione del pubblico comincia in una fase iniziale del procedimento, vale
a dire quando tutte le alternative sono
ancora praticabili e tale partecipazione può avere un’influenza effettiva, e,
dall’altro lato, che il pubblico deve avere accesso alle informazioni
pertinenti non appena siano disponibili”.
La partecipazione del pubblico
è insita nelle procedure di valutazione e autorizzazione di derivazione
comunitaria
Si veda ad esempio
la Valutazione di Impatto Ambientale. Secondo la giurisprudenza amministrativa la
VIA (intesa come procedura amministrativa) è una sintesi di valutazioni
tecniche - socio politiche compresa la partecipazione dei cittadini. Il Consiglio
di Stato Sez. V n.3254 del 31 maggio 2012 ha affermato che:
“Non può sostenersi pertanto che la valutazione di impatto ambientale sia un mero atto (tecnico) di gestione ovvero di amministrazione in senso stretto, rientrante come tale nelle attribuzioni proprie dei dirigenti, trattandosi piuttosto di un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico – amministrativo con particolare riferimento al corretto uso del territorio (in senso ampio), attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei (contrapposti) interessi, pubblici (urbanistici, naturalistici, paesistici, nonché di sviluppo economico – sociale) e privati, che su di esso insistono, come tale correttamente affidata all’organo di governo, nel caso di specie la Giunta regionale.”
“Non può sostenersi pertanto che la valutazione di impatto ambientale sia un mero atto (tecnico) di gestione ovvero di amministrazione in senso stretto, rientrante come tale nelle attribuzioni proprie dei dirigenti, trattandosi piuttosto di un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico – amministrativo con particolare riferimento al corretto uso del territorio (in senso ampio), attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei (contrapposti) interessi, pubblici (urbanistici, naturalistici, paesistici, nonché di sviluppo economico – sociale) e privati, che su di esso insistono, come tale correttamente affidata all’organo di governo, nel caso di specie la Giunta regionale.”
Quindi non è vero che la
delibera di giunta regionale (o degli enti locali nelle Regioni dove la
decisione di VIA è subdelegata per alcune categorie di opere) non può che
limitarsi a prendere atto della istruttoria tecnica svolta dagli uffici della
Pubblica Amministrazione Autorità Competente nella VIA (Regione, Provincia,
Comune, Ente Parco).
La Consultazione Pubblica
Con Direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministeri
(Dipartimento della Funzione Pubblica) si sono definiti le linee guida) del 31 maggio 2017 sulla consultazione
pubblica. Si tratta di una procedura derivante dalla adesione dell’Italia, il 5
settembre 2011, all'iniziativa internazionale dell'OGP - Open Government Partnership, sottoscrivendo l'Open Government Declaration, che
include la promozione di processi
di apertura e partecipazione da parte
delle pubbliche amministrazioni. Considerato che il terzo piano di azione italiano dell'Open Government Partnership, realizzato in collaborazione con l'Open Government Forum a seguito di
pubblica consultazione e presentato in ambito internazionale, prevede,
nell'azione 14, di
definire linee guida per la
conduzione di consultazioni
e la individuazione di idonee soluzioni tecnologiche;
Tali linee guida si
applicano sia
nei casi di consultazioni pubbliche previste per legge o
altrimenti obbligatorie, sia nei casi in cui si voglia liberamente ricorrere
a questa pratica o corrispondere
alle sollecitazioni della
società civile.
Il Dibattito Pubblico in Italia
È stato introdotto nel nostro ordinamento giuridico dall’articolo 22 del Codice degli Appalti
(Trasparenza nella partecipazione di portatori di interessi e dibattito
pubblico). Tale articolo rinvia ad un
Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri per rendere operativo il
Dibattito Pubblico. Con DPCM n° 76/2018
è stato regolamentato il Dibattito Pubblico
Il Dibattito Pubblico
può essere richiesto a livello locale:
“c) di uno
o più consigli
comunali o di
unioni di comuni territorialmente interessati
dall'intervento, se complessivamente rappresentativi di almeno
100.000 abitanti;
d) di almeno
50.000 cittadini elettori nei territori
in cui e' previsto l'intervento;
e) di almeno un
terzo dei cittadini elettori per gli interventi che interessano le isole con
non piu'
di 100.000 abitanti
e per il territorio di comuni di montagna.”
Il coordinatore del
dibattito pubblico è individuato, su richiesta dell'amministrazione
aggiudicatrice o dell'ente aggiudicatore, dal Ministero competente per materia
tra i suoi dirigenti.
Invece il
dibattito pubblico francese scelto il presidente
tra i commissari nazionali per il dibattito pubblico quindi organo più
indipendente rispetto ad un burocrate del Ministero competente come avviene nel
sistema italiano.
Non solo Il Consiglio di
Stato, infatti, pronunciando parere in
sede di approvazione del DPCM aveva
affermato con chiarezza che le soglie economiche fissate dal decreto
erano “di importo così elevato da
finire per rendere, nella pratica, minimale il ricorso a tale istituto”.
Ciò nonostante, il
monito del Consiglio di Stato è rimasto sostanzialmente inascoltato e così
le soglie sono rimaste pressoché identiche a quelle previste nello schema di
decreto: basti pensare che, per le più rilevanti categorie di autostrade e
strade extraurbane principali (superiori a 15 km) e ferrovie (superiori ai 30
km), continuano a essere fissate in un importo pari superiore a 500 milioni di
euro al netto di IVA del complesso dei contratti previsti.
GLI STRUMENTI DI DIFESA PER IL CITTADINO DOPO IL
FALLIMENTO/RIMOZIONE DELLA PARTECIPAZIONE
Come presentare una denuncia
alla Commissione europea
Occorre
utilizzare il modulo di denuncia standard, che ci aiuterà a capire meglio il
tuo problema.
Occorre
descrivere esattamente in che modo ritieni che le autorità nazionali abbiano
violato il diritto dell'UE e specifica la norma in questione. Inoltre devono
essere descritte le eventuali misure già intraprese per ottenere giustizia.
Cosa fa la Commissione
europea con la denuncia?
Le denunce presentate alla
Commissione europea seguono l'iter seguente:
- entro
15 giorni lavorativi la Commissione europea confermerà di averla ricevuta
la Commissione europea ti
inviterà a ripresentare la denuncia se non hai utilizzato il modulo standard
- nei
12 mesi successivi, valuterà la denuncia per decidere se avviare una procedura
formale di infrazione nei confronti dello Stato membro in questione
- se
il problema sollevato è particolarmente complesso, o se la Commissione europea
deve ottenere maggiori informazioni e precisazioni da parte tua o di terzi,
potrebbero occorrere più di 12 mesi per giungere a una decisione. Qualora la
valutazione richieda più di 12 mesi, ne sarai informato
- se
la Commissione europea decide che la denuncia è fondata e avvia la procedura
formale di infrazione nei confronti dello Stato membro in questione, ti
informerà e ti invierà aggiornamenti sull'avanzamento del caso
- se
la Commissione europea ritiene che il problema possa essere risolto più
efficacemente mediante uno dei servizi di risoluzione informale o
extragiudiziale disponibili, potrebbe proporti di trasferire loro il tuo
dossier
- se
la Commissione decide che il problema sollevato non comporta una violazione del
diritto dell'Unione, ti informerà mediante lettera prima di procedere
all'archiviazione del caso
in qualsiasi momento
potrai fornire alla Commissione europea ulteriore materiale concernente la
denuncia o chiedere di incontrare i suoi rappresentanti.
La Commissione e le
procedure di infrazione
I denuncianti sono una
preziosa fonte di informazioni per il rilevamento di eventuali casi di
infrazione. La Commissione non è tenuta ad avviare la procedura formale di
infrazione, anche quando la denuncia rivela la presenza di un'infrazione (essa
gode di un potere discrezionale nel decidere se e quando avviare la procedura).
Inoltre, se la Commissione deferisce un paese dell'UE alla Corte di giustizia e
vince la causa, tale paese dovrà adottare tutte le misure necessarie per porre
rimedio all'infrazione. Tuttavia, ciò non significa che i denuncianti abbiano
automaticamente diritto a un indennizzo o al risarcimento dei danni. Per
chiedere un risarcimento, devono adire un tribunale nazionale entro i tempi
stabiliti dal diritto nazionale.
Petizione al Parlamento Europeo
A differenza della
Denuncia che viene presentata alla Commissione, la Petizione si presenta al
Parlamento UE e in particolare alla apposita Commissione Petizioni (QUI)
Si tratta di uno strumento
utile per far pervenire da parte dei cittadini le violazioni delle normative ambientali nei
singoli territori. Con un Comunicazione la Commissione del 21/12/2016
ha limitato questo strumento adducendo motivazioni discutibili.
Come redigere e gestire un
Esposto per reati ambientali
L'esposto
deve essere firmato da persone residenti nella zona o comunque che subiscono
danni dalla attività e/o fatti contestata/i in modo che possano un domani
se l'inchiesta andrà avanti risultare come persone offese.
Non
importa che siano tante firme l'importante è che sia chiara la correlazione (ad
esempio anche solo per residenza o attività lavorativa etc. ) con l'attività o
i fatti contestati.
Se siamo di fronte ad un impianto, una attività
complessa (vedi ad esempio un porto commerciale, una centrale termoelettrica,
un impianto di rifiuti etc.) allora è utile farsi aiutare da un esperto (
a volte non è sufficiente un legale ambientale ma possono essere utili anche
competenze tecniche e scientifiche).
L'esposto
soprattutto se riguarda una attività da fonti inquinanti complesse e
differenziate deve essere così strutturato:
1. una relazione dove viene
descritta la normativa violata, i fatti e documenti che giustificano questa
violazione
2. l'esposto vero e proprio nel
quale sulla base della relazione si evidenzino i profili delle fattispecie di
reato
Occorre
indicare alla fine del testo dell’Esposto una frase in cui si dichiara di
riservarsi di depositare ulteriori memorie difensive.
L’avvocato
diventa quasi indispensabile dal deposito dell’Esposto in poi.
Dopo
qualche settimana dal deposito si può fare una verifica ex articolo 355 del Codice
di Procedura Penale al fine di verificare se esistono fascicoli aperti sulla
base del vostro esposto. La verifica si può fare online dal sito del Tribunale
territorialmente competente.
Occorre
una volta presentato l’esposto continuare ad alimentare il fascicolo, una volta
che dall’accesso ex articolo 355 CPP si è saputo che è stato aperto. Si tratta
di inviare ulteriori memorie integrative composte anche da fotografie, video,
documenti, atti della pubblica amministrazione utili per il proseguimento delle
indagini. Allo stesso tempo è fondamentale chiedere un incontro con il PM al
quale è stato assegnato il fascicolo magari facendosi accompagnare dal legale
scelto.
La Corte di Giustizia sul diritto di cittadini e
comitati ad impugnare le decisioni di VIA
La Convenzione di Aarhus
da cui è nata la Direttiva UE sull’accesso alle informazioni ambientale non
riguarda solo l’accesso alle informazioni ambientali e la partecipazione del
pubblico ai processi decisionali a rilevanza ambientale ma anche l’accesso alla
giustizia.
La Corte di Giustizia con sentenza del 16 aprile 2015 (Causa C-570/13)
ha affermato una serie di principi in materia di accesso alla giustizia in
materia ambientale:
1.
Definizione di pubblico interessato ad impugnare le decisioni in materia di VIA:
anche i vicini sono membri del pubblico interessato e pertanto, quando
subiscono o quantomeno valutazione di impatto ambientale. Precisa l’Avvocatura
UE, come recepito dalla sentenza, che per vicini non si devono intendere
solo coloro che vivono nelle vicinanza geografiche del sito dove dovrà essere
collocato il progetto per il quale è stata esclusa la VIA , infatti:
“potrebbe essere sufficiente che gli
eventuali effetti ambientali del progetto sull’immobile colpissero il singolo
non nella sua persona, bensì soltanto nel suo patrimonio”.
2.
Relativamente ai margini di discrezionalità degli Stati membri nel definire
l’interesse sufficiente o le violazioni di un diritto ai fini della
impugnazione delle decisioni in materia di VIA, le norme della Convenzione di
Aarhus e della Direttiva VIA che prevedono il diritto di accesso alla
giustizia devono essere interpretata in
modo ampio.
3.
No a limitazione soggettivi del diritto di impugnare ( quindi non solo enti pubblici
e chi chiede la autorizzazione e/o valutazione).
4.
No a limitazioni oggettive del diritto di impugnare per cui non si impugna solo
la autorizzazione finale ma anche la decisione di non sottoporre a VIA il
progetto.
5.
Diritto di impugnare la decisione della VIA anche in sede di impugnazione della
autorizzazione finale al progetto.
6.
Partecipazione al procedimento di autorizzazione/valutazione e diritto ad
impugnare si mantengono e non possono essere considerate alternative. Quindi
anche diritto di impugnare la decisione di VIA anche se non si è partecipato al
procedimento di decisione.
A conferma di questo
indirizzo si vedano anche Corte di Giustizia (sentenza 15/10/2009 causa C263/08)
ordinanza Corte di Giustizia
del 11/3/2010 causa C24-09 secondo le quali:
1.
il diritto di impugnare la decisione di VIA da parte di una associazione e/o
comitato non può dipendere dal numero di aderenti ad essa/o;
2.
sussiste il diritto di impugnare le decisioni di VIA da parte di Associazioni
per far valere, non solo interessi dei cittadini residenti vicini al sito del
progetto contestato ma anche il contrasto della decisione impugnata con il diritto
comunitario.
Corte di Giustizia (con sentenza 12/5/2011
causa C115/09): I cittadini (pubblico interessato) hanno
diritto ad essere informati adeguatamente delle modalità con le quali possono
impugnare le decisioni di VIA (sentenza della Corte di Giustizia 16/7/2009)
Gli ambientalisti possono impugnare atti
urbanistici-edilizi
Con sentenza
n° 839 del 2015 il Consiglio di Stato ha affermato che la pianificazione urbanistica e la disciplina
della attività edilizia non sono limitate all'ordinato sviluppo dell'uso del
territorio ma alla tutela di interessi plurimi compreso l'ambiente. Quindi si
chiarisce la portata degli atti urbanistici ed edilizi impugnabili dalle
associazioni ambientaliste. Afferma la sentenza: “Proprio per questo,
gli atti che costituiscono esercizio di pianificazione urbanistica, la
localizzazione di opere pubbliche, gli atti autorizzatori di interventi
edilizi, nella misura in cui possano comportare danno per l'ambiente ben
possono essere oggetto di impugnazione da parte delle associazioni ambientaliste,
in quanto atti latamente rientranti nella materia "ambiente", in
relazione alla quale si definisce (e perimetra) la legittimazione delle
predette associazioni.”
Se
tutti gli atti urbanistici che riguardano interventi di una certa dimensione areale
sono quindi impugnabili dagli ambientalisti è altrettanto vero che occorre nei
casi in cui la dimensione non è amplissima una valutazione del giudice sulla
legittimazione delle associazioni ambientaliste
Nel caso specifico
trattato dalla sentenza in esame: “il profilo dimensionale, che qualifica la
rilevanza anche ambientale, appare evincibile dall’esito realizzato, ossia la
trasformazione di una vasta area a destinazione agricola, in area a
destinazione residenziale, mediante la costruzione di dieci palazzine, di
quattro piani ciascuna, oltreché di un ristorante.”
L’Avvocatura UE definisce i costi dell’accesso alle
informazioni ambientali ma anche alla giustizia
Con l’ultima riforma del processo amministrativo sono aumentati
notevolmente i costi per i ricorsi alla giustizia amministrativa. Basti pensare
che il contributo è stato portato dai 340 euro agli attuali 650 con un aumento
di 325 se c’è l’impugnazione al Consiglio di Stato ed un ulteriore
contributo di 650 euro se si perde il ricorso, con la possibilità di una
ulteriore contribuzione fino a 3250 euro se il ricorso viene considerato come
temerario cioè non adeguatamente motivato nei profili di illegittimità
sollevati.
Ovviamente queste spese già significative per dei semplici cittadini si
vanno ad aggiungere a quelle dei legali anche della controparte visto
che è si sta affermando sempre più la tendenza a non compensare le spese e a
farle pagare tutte alla parte soccombente.
La Corte di Giustizia
della UE è intervenuta a tutela degli eccessi costi a carico dei cittadini che
ricorrono alla giustizia negli Stati membri per tutela diritti alla tutela di
ambiente e salute. Si tratta della sentenza 11 Aprile 2013
La questione specifica da cui è partito il ricorso
alla Corte di Giustizia
Il caso esaminato dalla sentenza della Corte di Giustizia, qui trattata,
riguarda il ricorso in appello effettuato da una cittadina inglese contro
la mancata applicazione della VIA ad un cementificio che avrebbe dovuto
bruciare anche rifiuti. La cittadina si è vista respingere il ricorso dalla Corte
di Appello inglese ed è stata condannata al pagamento delle spese giudiziali
comprese quindi quelle della controparte di 25.000 sterline. La cittadina
attraverso vari passaggi della giustizia inglese, che non riporto perché
ininfluenti dal punto di vista del nostro diritto nazionale, è arrivata alla
Supreme Court of the United Kingdom, dove ha chiesto se la condanna al
pagamento delle spese così onerose non fosse contraria alle norme delle
Direttive AIA e VIA sopra riportate.
Rapporti tra principio comunitaria di non eccessiva onerosità e diritto degli Stati Membri
Secondo
la Corte di Giustizia sussiste un diretto rapporto tra la nozione di
procedimento «non eccessivamente oneroso» ai sensi delle direttive
sulla via e l’ aia e il diritto nazionale degli stati membri, quindi essendo il riferimento alla non eccessiva onerosità
contenuto in norme di diritto comunitario che non fanno riferimento esplicito a
norme nazionali di recepimento specifiche, la questione sul concetto di
eccessiva onerosità non rientra
nel solo diritto nazionale,
poter
accedere alla giustizia da parte dei cittadini è uno degli strumenti attivi per
garantire una migliore tutela dell’ambiente.
Quindi le spese di un ricorso ai sensi della convenzione o per fare applicare
il diritto nazionale dell’ambiente non devono essere tanto elevate da impedire ai membri del pubblico di proporre
ricorso ove lo reputino necessario
La corte di giustizia si pronuncia su quali criteri per valutare il
concetto di “non eccessivamente oneroso
il giudice nazionale
chiamato a statuire sulle spese deve assicurarsi del rispetto di tale
concetto tenendo conto contemporaneamente:
1. dell’interesse della persona che desidera difendere i
propri diritti
2. dell’interesse generale connesso alla tutela
dell’ambiente.
In tal senso, le spese di
un procedimento:
a) non devono superare le capacità
finanziarie dell’interessato
b) non devono apparire, ad ogni modo, oggettivamente
irragionevoli
c) non devono essere valutate avendo come
riferimento un ricorrente mediopoiché siffatti dati possono avere
soltanto un esile collegamento con la situazione dell’interessato.
Altri parametri di valutazione , che dovranno però rispettare
quelli prioritari, sono:
d) situazione delle parti in causa,
e) ragionevoli possibilità di successo del
richiedente,
f) importanza della posta in gioco per il
richiedente nonché per la tutela dell’ambiente,
g) la complessità del diritto e della procedura
applicabili,
h) il carattere eventualmente temerario del ricorso
nelle varie sue fasi.
La Corte di Giustizia
rileva che nella normativa citata sulla Convenzione di Aarhus e delle Direttive su AIA e VIA non c’è alcuna distinzione tra
primo e successivi gradi di giudizio.
[NOTA 1] F. Spantigati
"Valutazione giuridica dell'ambiente. Di che cosa parliamo
quando parliamo di diritto dell'ambiente" (ed. CEDAM 2002)
[NOTA 2] 3-sexies. Diritto di accesso
alle informazioni ambientali e di partecipazione a scopo collaborativo
1. In attuazione della
legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, e delle previsioni
della Convenzione di Aarhus, ratificata dall'Italia con la legge 16 marzo 2001,
n. 108, e ai sensi del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, chiunque,
senza essere tenuto a dimostrare la sussistenza di un interesse giuridicamente
rilevante, può accedere alle informazioni relative allo stato dell'ambiente e
del paesaggio nel territorio nazionale.
1-bis. Nel caso di piani o
programmi da elaborare a norma delle disposizioni di cui all’allegato 1 alla
direttiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio
2003, qualora agli stessi non si applichi l’articolo 6, comma 2, del presente
decreto, l’autorità competente all’elaborazione e all’approvazione dei predetti
piani o programmi assicura la partecipazione del pubblico nel procedimento di
elaborazione, di modifica e di riesame delle proposte degli stessi piani o
programmi prima che vengano adottate decisioni sui medesimi piani o programmi.
1-ter. Delle proposte dei
piani e programmi di cui al comma 1-bis l’autorità procedente dà avviso
mediante pubblicazione nel proprio sito web. La pubblicazione deve contenere
l’indicazione del titolo del piano o del programma, dell’autorità competente,
delle sedi ove può essere presa visione del piano o programma e delle modalità
dettagliate per la loro consultazione.
1-quater. L’autorità
competente mette altresì a disposizione del pubblico il piano o programma
mediante il deposito presso i propri uffici e la pubblicazione nel proprio sito
web.
1-quinquies. Entro il
termine di sessanta giorni dalla data di pubblicazione dell’avviso di cui al
comma 1-ter, chiunque può prendere visione del piano o programma ed estrarne
copia, anche in formato digitale, e presentare all’autorità competente proprie
osservazioni o pareri in forma scritta.
1-sexies. L’autorità
procedente tiene adeguatamente conto delle osservazioni del pubblico presentate
nei termini di cui al comma 1-quinquies nell’adozione del piano o programma.
1-septies. Il piano o
programma, dopo che è stato adottato, è pubblicato nel sito web dell’autorità
competente unitamente ad una dichiarazione di sintesi nella quale l’autorità
stessa dà conto delle considerazioni che sono state alla base della decisione.
La dichiarazione contiene altresì informazioni sulla partecipazione del
pubblico.
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