giovedì 27 aprile 2023

Emissioni odori quali attività amministrative del Sindaco per fermarle

Sentenza del Consiglio di Stato n° 2895 del 22 marzo 2023 (QUI) ha annullato una ordinanza di sospensione dell’attività di un azienda di recupero rifiuti (R1: Utilizzazione principalmente come combustibile o come altro  mezzo per produrre energia). L’ordinanza era stata emanata per evitare il prosieguo delle emissioni di acido solfidrico rilevate nella zona, aventi un forte impatto odorigeno.

La sentenza è interessante al di là del caso specifico perché chiarisce i fondamenti di una legittima ordinanza emanata da un Sindaco per la tutela dell’ambiente e, nel caso specifico, della salute pubblica.

La lettura della sentenza peraltro, come spiego nella parte finale del post, suggerisce come nei casi come quello qui trattato legati ad emissioni odorigene anomale la strada non sia solo quella della ordinanza di urgenza ma piuttosto della revisione della autorizzazione ai sensi del nuovo articolo 272-bis del Dlgs 152/2006 (QUI).

La sentenza è anche interessante perché afferma esplicitamente che il Sindaco nell’esercitare il suo potere di ordinanza a tutela della salute pubblica (sia ai sensi del Testo unico enti locali QUI o del testo unico leggi sanitarie QUI visto che l’impianto in questione è una industria insalubre di prima classe) non è obbligato ad attenersi al parere dell’Arpa (Agenzia regionale per l’ambiente) competente territorialmente. Questo vale come nel caso in esame quando detto parere gioca a favore della emanazione di una ordinanza ma anche quando gioca contro a conferma di quello che sostengo da anni (QUI e QUI) e cioè i Sindaci possono, se ci sono le condizioni, emanare ordinanze utilizzando anche parere esterni ad Arpa e Asl perché la titolarità della funzione di tutela della salute pubblica è loro e non degli enti tecnici che hanno solo una funzione di supporto.

Vediamo intanto le motivazioni della sentenza ed i principi su cui, secondo il Consiglio di Stato, si deve fondare una legittima ordinanza di sospensione attività per emissioni inquinanti... 

 

 

COME INTENDERE IL CONCETTO DI EMERGENZA SANITARIA E IGIENE LOCALE PER FONDARE UNA ORDINANZA DI SOSPENSIVA

L’ordinanza contestata citava l’art. 50, comma 5, d.lgs. n. 267 del 2000, a tenore del quale “in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale”. Secondo il Consiglio di Stato, nella sentenza qui esaminata, è dirimente, dunque, individuare l’ambito semantico della locuzione “emergenze sanitarie o di igiene locale”.

Il Collegio, in proposito, ritiene che l’espressione “emergenze sanitarie” non possa non rimandare, stante il chiaro significato dell’aggettivo, a situazioni connotate dalla propagazione di agenti patogeni dannosi per l’uomo o, comunque, a circostanze di fatto in cui la salute fisica dei residenti sia messa in concreto, oggettivo ed accertato pericolo.

La sentenza ritiene che non può ampliarsi il concetto fino a ricomprendervi il “benessere fisico, mentale e sociale della persona”, sia perché questo è un concetto giuridico indeterminato che, a valle, renderebbe a sua volta evanescenti i confini della legittimità dell’azione amministrativa extra ordinem del Sindaco, di contro da contenersi entro un perimetro ben preciso proprio in ragione della natura eccezionale di tali poteri, sia, comunque, perché la dizione della legge è chiara nel riferirsi alla “sanità” pubblica, concetto ben più ristretto del più ampio (ed indistinto) “benessere” collettivo.

Né, conclude sul punto il Consiglio di Stato, può valere a fondare il provvedimento il riferimento alla “igiene locale”, locuzione che afferisce alla salubrità dei luoghi, da intendersi, anch’essa, come assenza di situazioni che possano degradare l’ambiente e, conseguentemente, renderlo potenzialmente pericoloso per la vita e la salute umana.

 

 


IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE NELLE ORDINANZE DI SOSPENSIONE DI UNA ATTIVITÀ INQUINANTE

Nel provvedimento si fa esplicito richiamo al “principio di precauzione”, che, appunto, legittimerebbe “apposite misure a tutela della salute dei cittadini del Comune”.

Secondo il Consiglio di Stato per la stessa logica invocata dal provvedimento, sarebbe stata necessaria l’individuazione - di contro mancata - dei possibili profili di rischio per la “salute umana" conseguenti alle emissioni dell’attività in questione.

Tali profili, oltretutto, avrebbero dovuto basarsi su specifici limiti di legge o, quanto meno, su riconosciuti studi scientifici, posto che, come noto, la “precauzione” di cui all’omonimo principio è finalizzata alla “tutela anticipata della salute dell’uomo e del suo ambiente” in relazione a rischi dei quali, pur in assenza di una precisa prova, comunque “si sospetta l’esistenza”.

Ne consegue che:

- di tale qualificato “sospetto” il provvedimento che lo invoca a proprio fondamento deve dare compiuta contezza, in assenza della quale è palese il vizio della funzione;

- di converso, il carattere non qualificato di tale “sospetto” può rappresentare il vizio della funzione, posto che la legittimità della “tutela anticipata della salute dell’uomo e del suo ambiente” (evidentemente a scapito di altri interessi) deve fondarsi su una base scientifica, per quanto controversa e non unanimemente condivisa, esondando altrimenti nell’inammissibile auto-fondamento dell’azione amministrativa su un postulato posto dalla stessa Amministrazione (sul punto, da ultimo, Corte cost., 9 febbraio 2023, n. 14 QUIid., 18 gennaio 2018, n. 5 QUI).

Peraltro ricorda la sentenza del Consiglio di Stato che il rappresentante della locale USL ha sostenuto che le emissioni in oggetto procurino un “nocumento alla popolazione che insiste sulla zona abitativa”, sì che sarebbe “opportuno, in base al principio di precauzione, sospendere l’attività di che trattasi”; siffatto “nocumento”, tuttavia, non è stato altrimenti precisato, così come, a monte, la relazione dell’ARPA non aveva chiarito quali fossero le “specifiche caratteristiche di pericolosità” chimica della molecola di acido solfidrico.

 

 

QUALE RUOLO DI ARPA NELL’ESERCIZIO DEI POTERI SINDACALI DI ORDINANZA PER LA SALUTE PUBBLICA

Né vale osservare che il Sindaco ha agito in base ad una segnalazione dell’ARPA, giacché il potere sindacale extra ordinem, teso a tutelare l’interesse pubblico primario (la salute dei cittadini) nel necessario ed equilibrato contemperamento con tutti gli altri concomitanti, concorrenti e confliggenti interessi coinvolti nella vicenda, è libero nell’an e nel quomodo e non è vincolato dal parere di Autorità tecnico-specialistiche di settore, come l’ARPA.

 

 

LIMITI AL POTERE DI ORDINANZA DI SOSPENSIONE AD UNA ATTIVITÀ REGOLARMENTE AUTORIZZATA

L’Autorizzazione unica ambientale (AUA) del 2015 applicata alla attività in questione, autorizzava il conferimento nell’impianto, fra l’altro, proprio di fanghi di cartiera, dai quali, secondo le stesse Amministrazioni, deriverebbero le emissioni odorigene.

Ora, l’esercizio da parte di privati di attività economiche debitamente autorizzate e svolte entro i limiti fissati in via amministrativa preclude l’esercizio dei poteri sindacali contingibili e urgenti (Cons. Stato, Sez. IV, 23 giugno 2021, n. 4802 QUI), proprio perché il contemperamento degli interessi è stato già operato a monte, nell’opportuna sede procedimentale delineata dalla legge.

Del resto, l’iniziativa economica privata, “libera” per principio costituzionale (art. 41 Cost.), può certo essere conformata, indirizzata e financo impedita dalla legge per la tutela di prioritari valori costituzionali, fra cui in primis quello della salute umana: a tale specifico fine, invero, la legge individua opportune sedi procedimentali (fra cui quelle deputate a rilasciare l’AUA) ove modulare a monte l’ambito entro il quale l’iniziativa imprenditoriale può svolgersi.

Una volta, tuttavia, che l’autorizzazione venga concessa (ed il relativo provvedimento resti inoppugnato), il privato che vi si attenga non può essere attinto da provvedimenti extra ordinem che gli impediscano de facto l’attività: in tali casi, invero, l’ordo c’è ed è quello perimetrato dall’autorizzazione, il rispetto della quale delinea un ambito di liceità (anche per evidenti esigenze di certezza del diritto) che non può essere travalicato con provvedimento di un’Autorità terza quale il Sindaco, ma solo, se del caso, rimodulato, ridotto o tout court eliminato mediante un contrarius actus emesso in autotutela dalle competenti Amministrazioni all’esito di un rituale procedimento.

 


 

QUANDO IL POTERE DI ORDINANZA PUÒ ESSERE SOSTITUITO DA UNA REVISIONE DELLA AUTORIZZAZIONE ANCHE RELATIVAMENTE ALLE EMISSIONI ODORIGENE

Afferma il Consiglio di Stato, nella sentenza qui esaminata, posto che secondo l’ARPA le emissioni odorigene derivavano in maniera preponderante dalla lavorazione dei fanghi di cartiera, era evidentemente sufficiente inibire all’appellante il conferimento di tale tipologia di rifiuto, consentendo per il resto il funzionamento dell’impianto.

 

L’articolo 272-bis del DLgs 152/2006

Nel 2017 è stato introdotto nel DLgs 152/2006 l’articolo 272-bis che disciplina le modalità con le quali le Regioni (con apposite linee guida) possono definire i parametri affinché le autorità  competenti a rilasciare le autorizzazioni alle emissioni possano imporre prescrizioni e limiti specifici alle emissioni odorigene.

Infine con il Decreto Legislativo 30 luglio 2020, n.102 le emissioni odorigene sono entrate pienamente nelle definizioni del DLgs 152/2006 articolo 268: “f-bis) emissioni odorigene: emissioni convogliate o diffuse aventi effetti di natura odorigena;”.

In questo modo se fino a questa ultima norma, molto dipendeva dalle interpretazioni della giurisprudenza oppure dalla discrezionalità delle Regioni Province nell’applicare l’articolo 272-bis ora non ci sono più scuse!

Le emissioni odorigene sono inquinamento atmosferico per legge e vanno sempre disciplinate in qualsiasi autorizzazione su emissioni aereiformi e non farlo può comportare un comportamento omissivo da parte della Pubblica Amministrazione competente. Non solo ma una volta disciplinate dette emissioni se le prescrizioni sono violate le autorità competenti devono attivarsi per farle rispettare senza scuse come “la difficoltà di misurare gli odori o stabilire limiti agli odorigeni”.

Per una analisi puntuale di questa nuova normativa vedi QUI.

 

Quindi tornando al caso in esame se è vero che l’AUA era del 2015 quindi prima dell’entrata in vigore della nuova normativa sopra descritta, è altrettanto vero che le Amministrazioni competente e in primo luogo il Sindaco attraverso il SUAP con il supporto di Arpa e ASL avrebbero dovuto avviare la revisione dell’AUA applicando la suddetta nuova normativa e le eventuali linee guida regionali se esistenti, queste ultime comunque non indispensabile per avviare detta revisione. 


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