Sentenza del Consiglio
di Stato n° 2895 del 22 marzo 2023 (QUI) ha
annullato una ordinanza di sospensione dell’attività di un azienda di recupero
rifiuti (R1: Utilizzazione principalmente come combustibile o come altro mezzo per produrre energia). L’ordinanza era
stata emanata per evitare il prosieguo delle emissioni di acido solfidrico
rilevate nella zona, aventi un forte impatto odorigeno.
La sentenza è interessante al di là del caso specifico perché chiarisce i fondamenti di una legittima ordinanza emanata da un Sindaco per la tutela dell’ambiente e, nel caso specifico, della salute pubblica.
La lettura della sentenza
peraltro, come spiego nella parte finale del post, suggerisce come nei casi
come quello qui trattato legati ad emissioni odorigene anomale la strada non
sia solo quella della ordinanza di urgenza ma piuttosto della revisione della
autorizzazione ai sensi del nuovo articolo 272-bis del Dlgs 152/2006 (QUI).
La sentenza è anche
interessante perché afferma esplicitamente che il Sindaco nell’esercitare il
suo potere di ordinanza a tutela della salute pubblica (sia ai sensi del Testo
unico enti locali QUI o del testo unico leggi sanitarie QUI visto che l’impianto in questione è una industria
insalubre di prima classe) non è obbligato ad attenersi al parere dell’Arpa
(Agenzia regionale per l’ambiente) competente territorialmente. Questo vale
come nel caso in esame quando detto parere gioca a favore della emanazione di
una ordinanza ma anche quando gioca contro a conferma di quello che sostengo da
anni (QUI e QUI) e cioè i Sindaci possono, se ci sono le condizioni,
emanare ordinanze utilizzando anche parere esterni ad Arpa e Asl perché la titolarità
della funzione di tutela della salute pubblica è loro e non degli enti tecnici
che hanno solo una funzione di supporto.
Vediamo intanto le motivazioni della sentenza ed i principi su cui, secondo il Consiglio di Stato, si deve fondare una legittima ordinanza di sospensione attività per emissioni inquinanti...
COME
INTENDERE IL CONCETTO DI EMERGENZA SANITARIA E IGIENE LOCALE PER FONDARE UNA
ORDINANZA DI SOSPENSIVA
L’ordinanza contestata
citava l’art. 50, comma 5, d.lgs. n. 267 del 2000, a tenore del quale “in
caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale
le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale
rappresentante della comunità locale”. Secondo il Consiglio di Stato, nella
sentenza qui esaminata, è dirimente, dunque, individuare l’ambito semantico
della locuzione “emergenze sanitarie o di igiene locale”.
Il Collegio, in proposito,
ritiene che l’espressione “emergenze sanitarie” non possa non rimandare,
stante il chiaro significato dell’aggettivo, a situazioni connotate dalla
propagazione di agenti patogeni dannosi per l’uomo o, comunque, a circostanze
di fatto in cui la salute fisica dei residenti sia messa in concreto, oggettivo
ed accertato pericolo.
La sentenza ritiene che
non può ampliarsi il concetto fino a ricomprendervi il “benessere fisico,
mentale e sociale della persona”, sia perché questo è un concetto giuridico
indeterminato che, a valle, renderebbe a sua volta evanescenti i confini della
legittimità dell’azione amministrativa extra ordinem del Sindaco, di
contro da contenersi entro un perimetro ben preciso proprio in ragione della
natura eccezionale di tali poteri, sia, comunque, perché la dizione della legge
è chiara nel riferirsi alla “sanità” pubblica, concetto ben più
ristretto del più ampio (ed indistinto) “benessere” collettivo.
Né, conclude sul punto il
Consiglio di Stato, può valere a fondare il provvedimento il riferimento alla
“igiene locale”, locuzione che afferisce alla salubrità dei luoghi, da
intendersi, anch’essa, come assenza di situazioni che possano degradare
l’ambiente e, conseguentemente, renderlo potenzialmente pericoloso per la vita
e la salute umana.
IL PRINCIPIO
DI PRECAUZIONE NELLE ORDINANZE DI SOSPENSIONE DI UNA ATTIVITÀ INQUINANTE
Nel provvedimento si fa
esplicito richiamo al “principio di precauzione”, che, appunto, legittimerebbe
“apposite misure a tutela della salute dei cittadini del Comune”.
Secondo il Consiglio di
Stato per la stessa logica invocata dal provvedimento, sarebbe
stata necessaria l’individuazione - di contro mancata - dei possibili
profili di rischio per la “salute umana" conseguenti alle emissioni dell’attività
in questione.
Tali profili, oltretutto,
avrebbero dovuto basarsi su specifici limiti di legge o, quanto meno, su
riconosciuti studi scientifici, posto che, come noto, la “precauzione” di cui
all’omonimo principio è finalizzata alla “tutela anticipata della salute
dell’uomo e del suo ambiente” in relazione a rischi dei quali, pur in assenza
di una precisa prova, comunque “si sospetta l’esistenza”.
Ne consegue che:
- di tale qualificato
“sospetto” il provvedimento che lo invoca a proprio fondamento deve dare
compiuta contezza, in assenza della quale è palese il vizio della funzione;
- di converso, il
carattere non qualificato di tale “sospetto” può rappresentare il vizio della
funzione, posto che la legittimità della “tutela anticipata della salute
dell’uomo e del suo ambiente” (evidentemente a scapito di altri interessi) deve
fondarsi su una base scientifica, per quanto controversa e non unanimemente
condivisa, esondando altrimenti nell’inammissibile auto-fondamento dell’azione
amministrativa su un postulato posto dalla stessa Amministrazione (sul punto,
da ultimo, Corte cost., 9 febbraio 2023, n. 14 QUI; id., 18 gennaio 2018, n. 5 QUI).
Peraltro ricorda la
sentenza del Consiglio di Stato che il rappresentante della locale USL ha
sostenuto che le emissioni in oggetto procurino un “nocumento alla popolazione
che insiste sulla zona abitativa”, sì che sarebbe “opportuno, in base al
principio di precauzione, sospendere l’attività di che trattasi”; siffatto
“nocumento”, tuttavia, non è stato altrimenti precisato, così come, a monte, la
relazione dell’ARPA non aveva chiarito quali fossero le “specifiche
caratteristiche di pericolosità” chimica della molecola di acido solfidrico.
QUALE RUOLO
DI ARPA NELL’ESERCIZIO DEI POTERI SINDACALI DI ORDINANZA PER LA SALUTE PUBBLICA
Né vale osservare che il
Sindaco ha agito in base ad una segnalazione dell’ARPA, giacché il potere
sindacale extra ordinem, teso a tutelare l’interesse pubblico primario (la
salute dei cittadini) nel necessario ed equilibrato contemperamento con tutti
gli altri concomitanti, concorrenti e confliggenti interessi coinvolti nella
vicenda, è libero nell’an e nel quomodo e non è vincolato dal
parere di Autorità tecnico-specialistiche di settore, come l’ARPA.
LIMITI AL
POTERE DI ORDINANZA DI SOSPENSIONE AD UNA ATTIVITÀ REGOLARMENTE AUTORIZZATA
L’Autorizzazione unica
ambientale (AUA) del 2015 applicata alla attività in questione, autorizzava il
conferimento nell’impianto, fra l’altro, proprio di fanghi di cartiera, dai
quali, secondo le stesse Amministrazioni, deriverebbero le emissioni odorigene.
Ora, l’esercizio da parte
di privati di attività economiche debitamente autorizzate e svolte entro i
limiti fissati in via amministrativa preclude l’esercizio dei poteri sindacali
contingibili e urgenti (Cons. Stato, Sez. IV, 23 giugno 2021, n. 4802 QUI), proprio perché il contemperamento degli interessi è
stato già operato a monte, nell’opportuna sede procedimentale delineata dalla
legge.
Del resto, l’iniziativa
economica privata, “libera” per principio costituzionale (art. 41 Cost.),
può certo essere conformata, indirizzata e financo impedita dalla legge per la
tutela di prioritari valori costituzionali, fra cui in primis quello
della salute umana: a tale specifico fine, invero, la legge individua opportune
sedi procedimentali (fra cui quelle deputate a rilasciare l’AUA) ove modulare a
monte l’ambito entro il quale l’iniziativa imprenditoriale può svolgersi.
Una volta, tuttavia, che
l’autorizzazione venga concessa (ed il relativo provvedimento resti
inoppugnato), il privato che vi si attenga non può essere attinto da
provvedimenti extra ordinem che gli impediscano de
facto l’attività: in tali casi, invero, l’ordo c’è ed è quello
perimetrato dall’autorizzazione, il rispetto della quale delinea un ambito di
liceità (anche per evidenti esigenze di certezza del diritto) che non può
essere travalicato con provvedimento di un’Autorità terza quale il Sindaco, ma
solo, se del caso, rimodulato, ridotto o tout court eliminato mediante
un contrarius actus emesso in autotutela dalle competenti
Amministrazioni all’esito di un rituale procedimento.
QUANDO IL
POTERE DI ORDINANZA PUÒ ESSERE SOSTITUITO DA UNA REVISIONE DELLA AUTORIZZAZIONE
ANCHE RELATIVAMENTE ALLE EMISSIONI ODORIGENE
Afferma il Consiglio di
Stato, nella sentenza qui esaminata, posto che secondo l’ARPA le emissioni
odorigene derivavano in maniera preponderante dalla lavorazione dei fanghi di
cartiera, era evidentemente sufficiente inibire all’appellante il conferimento
di tale tipologia di rifiuto, consentendo per il resto il funzionamento
dell’impianto.
L’articolo 272-bis del
DLgs 152/2006
Nel 2017 è stato
introdotto nel DLgs 152/2006 l’articolo 272-bis che disciplina le
modalità con le quali le Regioni (con apposite linee guida) possono definire i
parametri affinché le autorità competenti a rilasciare le
autorizzazioni alle emissioni possano imporre prescrizioni e limiti specifici
alle emissioni odorigene.
Infine con il Decreto
Legislativo 30 luglio 2020, n.102 le emissioni odorigene sono entrate
pienamente nelle definizioni del DLgs 152/2006 articolo 268: “f-bis)
emissioni odorigene: emissioni convogliate o diffuse aventi effetti
di natura odorigena;”.
In questo modo se fino a
questa ultima norma, molto dipendeva dalle interpretazioni della giurisprudenza
oppure dalla discrezionalità delle Regioni Province nell’applicare
l’articolo 272-bis ora non ci sono più scuse!
Le emissioni odorigene
sono inquinamento atmosferico per legge e vanno sempre disciplinate in
qualsiasi autorizzazione su emissioni aereiformi e non farlo può comportare
un comportamento omissivo da parte della Pubblica
Amministrazione competente. Non solo ma una volta disciplinate dette
emissioni se le prescrizioni sono violate le autorità competenti devono attivarsi
per farle rispettare senza scuse come “la difficoltà di misurare gli odori o
stabilire limiti agli odorigeni”.
Per una analisi puntuale
di questa nuova normativa vedi QUI.
Quindi tornando al caso in
esame se è vero che l’AUA era del 2015 quindi prima dell’entrata in vigore
della nuova normativa sopra descritta, è altrettanto vero che le
Amministrazioni competente e in primo luogo il Sindaco attraverso il SUAP con
il supporto di Arpa e ASL avrebbero dovuto avviare la revisione dell’AUA
applicando la suddetta nuova normativa e le eventuali linee guida regionali se
esistenti, queste ultime comunque non indispensabile per avviare detta
revisione.
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