La
Corte Costituzionale con sentenza n° 27 del 23 febbraio 2023 (QUI) ha
giudicato la legittimità costituzionale di una norma regionale che prorogava la
approvazione del piano regionale per la definizione delle aree per realizzare
impianti da fonti rinnovabili, di fatto spostando temporalmente anche la
sospensione delle autorizzazioni ai singoli progetti.
La
Corte Costituzionale dichiara la norma regionale incostituzionale (peraltro
confermando la sentenza n° 77 del 2022 QUI) per le
seguenti ragioni di fondo:
1. La moratoria sui singoli progetti in
attesa della pianificazione viola i principi delle direttive UE in materia di
fonti rinnovabili che affermano la necessità che le norme nazionali “siano
proporzionate e necessarie” e che “siano razionalizzate e accelerate al
livello amministrativo adeguato e siano fissati termini prevedibili”
2. la moratoria viola il divieto della normativa nazionale di imporre
moratorie ai singoli progetti con la scusa che manca la pianificazione per l’individuazione
delle aree idonee
3. le Regioni non possono delegare i Comuni nella individuazione
delle aree idonee ad installare impianti da fonti rinnovabili.
4. le Regioni non possono porre aprioristicamente limiti alle
autorizzazioni degli impianti da fonti rinnovabili ma devono valutare ogni singolo
progetto specificamente.
Riassumo di seguito le motivazioni della Corte Costituzionale nella sentenza 27/2023
IL QUADRO NORMATIVO IN MATERIA DI PIANIFICAZIONE DELLE
LOCALIZZAZIONI DEGLI IMPIANTI DA FONTI RINNOVABILI
La
Corte nella sua sentenza ricorda il quadro normativo nazionale che sottende
alla disciplina regionale contestata:
1. comma 6 articolo 20 del DLgs 199/2021 (QUI) recita:
“nelle more dell’individuazione delle aree idonee, non possono essere
disposte moratorie ovvero sospensioni dei termini dei procedimenti di
autorizzazione”.
2. comma 7 articolo 20 DLgs 199/2021
chiarisce che “le aree non incluse tra le aree idonee non possono essere
dichiarate non idonee all’installazione di impianti di produzione di energia
rinnovabile, in sede di pianificazione territoriale ovvero nell’ambito di
singoli procedimenti, in ragione della sola mancata inclusione nel novero delle
aree idonee”.
4. il comma 2 dell’art. 18 del d.lgs. n. 199 del 2021, indica gli articoli che regolano i “regimi di autorizzazione per la costruzione e l’esercizio degli impianti a fonti rinnovabili”, deputando a regolare l’autorizzazione unica l’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2011 (QUI) che a sua volta rimanda all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 (QUI) come modificato dallo stesso art. 5.
REALIZZARE PROCEDURE DI AUTORIZZAZIONE IN TERMINI PREVEDIBILI PER GLI IMPIANTI DA FONTI RINNOVABILI
Non
solo ma la norma regionale contestata appare in contrasto anche con l’art.
15, paragrafo 1, della Direttiva 2018/2001/UE (QUI) secondo
il quale gli Stati membri devono assicurare che le norme nazionali in materia
di procedure autorizzative “siano proporzionate e necessarie” e che “siano
razionalizzate e accelerate al livello amministrativo adeguato e siano fissati
termini prevedibili” (paragrafo 1, lettera a). Analoghe esigenze erano, del
resto, già affermate dall’art. 6, paragrafo 1, della direttiva 2001/77/CE,
modificata dalla Direttiva 2009/28/CE, il cui art. 13, paragrafo 1,
lettera c), ha ribadito la necessità che le “procedure amministrative
siano semplificate e accelerate” (entrambe le direttive suddette del 2001 e
del 2009 sono state abrogate dalla Direttiva 2018/2001/UE).
Di
conseguenza, la nuova norma regionale impugnata, nel prorogare un meccanismo di
moratoria delle procedure di autorizzazione degli impianti di produzione di
energia da fonti rinnovabili, vìola i citati impegni assunti dallo Stato
italiano nei confronti dell’Unione europea e a livello internazionale.
INCOSTITUZIONALITÀ DELLA ASSEGNAZIONE AI COMUNI NELLA
INDIVIDUAZIONE DEI SITI PER IMPIANTI DA FONTI RINNOVABILI
Inoltre
la norma regionale è incostituzionale anche relativamente all’assegnazione
delle competenze di individuare i siti degli impianti da parte dei Comuni.
Tanto
l’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003 (secondo cui in “attuazione
delle linee guida, le regioni possono procedere alla indicazione di aree e siti
non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti”), quanto
il punto 17.1 delle linee guida ministeriali del 2010 assegnano
alle regioni (e alle province autonome) – e non ai comuni – il compito di
individuare le aree non idonee “attraverso un’apposita istruttoria”, i
cui esiti devono contenere per “ciascuna area individuata come non idonea in
relazione a specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, la descrizione
delle incompatibilità riscontrate con gli obiettivi di protezione individuati
nelle disposizioni esaminate”. In particolare, spetta alle regioni e alle
province autonome – secondo il punto 17.2 delle linee guida ministeriali
del 2010 – conciliare “le politiche di tutela dell’ambiente e del paesaggio
con quelle di sviluppo e valorizzazione delle energie rinnovabili attraverso
atti di programmazione congruenti con la quota minima di produzione di energia
da fonti rinnovabili loro assegnata (burden sharing)”.
La
disciplina appena evocata disvela in maniera cristallina che, fermo restando il
possibile coinvolgimento dei comuni nella definizione dell’atto di
programmazione, la regione non può per legge demandare a essi un compito che le
è stato assegnato dai principi statali al fine di garantire, nell’ambito dei
singoli territori regionali, il delicato contemperamento dei vari interessi
implicati e il rispetto dei vincoli imposti alle regioni (e analogamente alle
province autonome) per il raggiungimento della quota minima di incremento dell’energia
prodotta da fonti rinnovabili.
DIVIETO DI PRECLUSIONI A PRIORI NELLA AUTORIZZAZIONE DI
IMPIANTI DA FONTI RINNOVABILI
Ancora
la norma regionale sopra citata quando afferma che “decorso il termine
previsto dal comma 1, non possono essere posti limiti ulteriori alla facoltà
autorizzatoria della Regione in materia”, secondo la sentenza della Corte
Costituzionale lascia inferire che l’individuazione delle aree e dei siti non
idonei si traduce nella previsione di un limite alla facoltà di autorizzazione,
laddove – nella prospettiva statale – serve, viceversa, solo a segnalare, a
fini acceleratori e di semplificazione, un probabile esito negativo della
procedura autorizzativa.
Anche
di recente, ricorda la sentenza qui esaminata, la Corte ha ribadito che l’atto
di pianificazione opera una «valutazione di “primo livello”», “con finalità
acceleratorie” (sentenza n. 77 del 2022; nello stesso senso, sentenze
n. 11 del 2022 (QUI) e n.
177 del 2021 QUI), ma non
può «creare preclusioni assolute e aprioristiche che inibiscano ogni
accertamento in concreto da effettuare in sede autorizzativa (sentenze
n. 106 del 2020 QUI e n.
286 del 2019 QUI)” (sentenza
n. 216 del 2022 QUI).
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