Ieri 16 marzo ho partecipato ad una assemblea
organizzata dal Comitato di cittadini di Massorondinaio località nel Comune di
Scarperia e San Piero in provincia di Firenze, dove è attivo da molti anni un
impianto di produzione di conglomerato bituminoso che produce forti disagi ai
numerosi residenti della zona prodotti soprattutto da emissioni odorigene,
polverose oltre a quelle rumorose.
Quello che segue è il testo completo della
relazione da me tenuta alla Assemblea nella quale analizzo le lacune
istruttorie e autorizzatorie di questo impianto.
Sintetizzando questo impianto,
come mi accade di verificare spesso nelle varie vertenze che seguo in diverse
Regioni, non ha avuto al momento della sua collocazione:
1. una valutazione di impatto ambientale che
ne dimostrasse la compatibilità con il sito in cui collocato
2. una istruttoria che ai sensi della
normativa sulle industrie insalubri di prima classe ne verificasse la
compatibilità sanitaria
3. mancanza di monitoraggi e controlli
sistematici in grado di fornire risposte certe alle numerose segnalazioni dei
cittadini che subiscono i disagi prodotti dall’impianto
4. rinvio dei monitoraggi per ragioni
burocratiche ed organizzative interne agli enti di controllo a dimostrazione
della carenza strutturale degli stessi
5. un atteggiamento, da parte della
Amministrazione Comunale, non trasparente e soprattutto non coinvolgente verso
i cittadini nell'affrontare la questione dei disagi manifestati.
Questo caso conferma quello che sostengo da tempo nel giudizio sugli amministratori locali:
prima di agire non devono chiedersi cosa potrebbe succedere a loro ma cosa
succederebbe ai cittadini se loro non agissero!
Di seguito la mia relazione...
STORIA AMMINISTRATIVA IMPIANTO
La società Bitumi Mugello,
poi confluita nella Piandisieve, aveva (atto provinciale 1217 del 20/4/2010)
una autorizzazione in forma semplificata per il recupero di rifiuti (articolo
216 del 152/2006) costituiti sia da inerti da demolizione, terre e rocce da
scavo e fresato di asfalto per la produzione di conglomerato bituminoso a caldo
La quantità di fresato [NOTA 1]
di asfalto – classificato come rifiuto (CER 17302) – autorizzata era pari a
50.000 t/a ( e produzione di conglomerato bituminoso per 120 t/h) con un tasso
di sostituzione degli inerti nel
prodotto finale pari al 30%). In particolare si veda quanto riportato
nella conferenza dei servizi del 26/10/2010 per Bitumi Mugello, la quantità
annuale di materiali prevista era di:
1. inerti
(ghiaia e sabbia) : 116.700 t/a
2. bitume:
9.260 t/a
3. fresato
CER 17302 50.000 t/a
4. filler:
9.260 t/a
Successivamente sono state
rilasciate:
1. Autorizzazione
emissioni in atmosfera n. 3588 del 9/11/2010
per attività di produzione di conglomerato bituminoso
2. Presa
d’atto della Relazione di chiusura, da parte della Bitumu Mugello srl, per le attività di recupero di rifiuti
speciali non pericolosi in data 15/4/2015
3. Volturazione
autorizzazione emissioni n. 3588 del 9/11/2010 dalla Bitumi Mugello srl alla
Piandisieve srl, integrata nella AUA successiva
4. Autorizzazione
unica ambientale (AUA) n. 9705 del 7/2/2017 rilasciata a Piandisieve srl per
attività di trattamento produzione e vendita di inerti di cava
LA LOCALIZZAZIONE DELL’IMPIANTO:
LIMITROFA AL CENTRO ABITATO DI S. PIERO A PIEVE
A ridosso dell'impianto,
nei primi anni duemila, è stata consentita la creazione di una nuova area
residenziale con 38 abitazioni (ad opera peraltro dello stesso imprenditore su
un terreno di sua proprietà) ed è stato creato, come opera compensativa
dell’attraversamento della TAV, un ampio parco pubblico attrezzato per feste e
manifestazioni;
Si
veda questa foto che chiarisce le distanze tra l’impianto e il centro abitato.
RELATIVAMENTE ALLA OMESSA
VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE
Al momento del rilascio da parte della Provincia di
Firenze della Autorizzazione 1217 del 20/4/2010 e successivamente della Autorizzazione n.
3588 del 9/11/2010 l’impianto in oggetto era assoggettabile a procedura di
Verifica di assoggettabilità a VIA. In realtà questa procedura non venne espletata
e non è stata applicata neppure in sede di VIA postuma al momento del rilascio
della AUA e ancora prima della volturazione della autorizzazione alle emissioni
del 9/11/2010.
Secondo l’Allegato IV alla Parte II del DLgs 152/2006,
già in vigore al momento del rilascio della autorizzazione alle emissioni del
2010, l’impianto in oggetto rientrava
tra le categorie di progetti da sottoporre a Verifica di assoggettabilità di competenza delle
regioni. Si veda il punto 7 di tale allegato: “ 7. Progetti di infrastrutture: z.b) Impianti di smaltimento e recupero
di rifiuti non pericolosi, con capacità complessiva superiore a 10 t/giorno,
mediante operazioni di cui all'allegato C, lettere da R1 a R9, della parte
quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.”
Il Fresato di asfalto autorizzato come comunicazione di inizio attività nel
2010 era di 50.000 tonnellate/anno che corrispondono a 136 al giorno quindi ben
oltre il limite delle 10 fissato dalla normativa sopra citata per
l’applicabilità della procedura di verifica di assoggettabilità a VIA.
Quindi il fatto che
l’impianto fosse soggetto a semplice comunicazione di inizio attività ex
articolo 216 DLgs 152/2006 non escludeva la applicazione della VIA. Sul punto si è pronunciata, proprio in
riferimento alla normativa italiana in materia, la sentenza della Corte di Giustizia sez. V 21/9/1999 (causa C-
392/96). Quindi nel 2010 quando venne autorizzato l’impianto in oggetto tale
autorizzazione andava preceduta dalla VIA almeno nella modalità della verifica
di assoggettabilità
La procedura di VIA, anche
nella versione della verifica di
assoggettabilità (comma 2 articolo 4 Direttiva 85/337/CEE) applicando i criteri
per lo svolgimento della verifica avrebbe quasi certamente portato il progetto
a VIA ordinaria (comma 1 articolo 4 Direttiva 85/337/CEE) e avrebbe permesso
una valutazione adeguata, in questa fase
iniziale della installazione ed evoluzione gestionale dell’impianto, al sito in
cui era collocato. Come è noto i criteri
per la verifica di assoggettabilità a VIA sono:
2.la localizzazione
e quindi la sensibilità ambientale del sito interessato , tenendo conto in
particolare: dell’utilizzazione attuale del territorio, della ricchezza
relativa qualità e capacità di rigenerazione delle risorse naturali, della
capacità di carico dell’ambiente naturale;
3. gli impatti
potenzialmente significativi del progetto in relazione ai criteri dei punti
precedenti e tenendo conto in particolare: della estensione dell’impatto in
termini geografici e di popolazione, della grandezza e complessità
dell’impatto, della probabilità dell’impatto, della durata – frequenza -
reversibilità dell’impatto.
Senza considerare che la
applicazione della VIA avrebbe comportato una specifica valutazione degli
aspetti di impatto sanitario dell’impianto in oggetto fin dal momento della sua
iniziale autorizzazione. All’epoca era in vigore (e lo è stato fino all’anno
scorso) il Dpcm 27/12/1988 (che
definisce il contenuto degli studi di impatto ambientale che devono accompagnare
il progetto sottoposto a VIA , all’allegato
2 contiene una sezione F Salute Pubblica [NOTA 3].
Comunque il parametro
salute deve essere valutato anche in sede di screening (verifica di
assoggettabilità a VIA) come risulta dall’allegato V Parte II del DLgs 152/2006
sui “disturbi ambientali”,
mentre la nuova
Direttiva del 2014 ha modificato la Direttiva quadro 2011/92/UE
introducendo all’allegato III anche “il
rischio per la salute umana (ad esempio, quelli dovuti alla contaminazione
dell'acqua o all'inquinamento atmosferico)” tra i parametri da valutare per
decidere se applicare o meno la procedura ordinaria di VIA
Su come definire questo
Parametro salute si vedano le linee guida per la Valutazione Integrata di
Impatto Ambientale e Sanitario (VIIAS) nei procedimenti di VIA-VAS-AIA del
sistema delle Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente e
dell’Ispra pubblicata nel 2015.
Le linee guida fanno
riferimento alla sezione F (Salute Pubblica [NOTA 4]) all’allegato 2 al Dpcm
27/12/1988. QUINDI COSTITUISCONO
PARAMETRO ISTRUTTORIO per valutare il parametro salute pubblica nelle
procedura di VIA VAS e AIA.
In particolare due sono i punti di dette linee guida
non presi in considerazione nel caso in esame
a)
la caratterizzazione dal punto di vista della salute umana, dell'ambiente e
della comunità potenzialmente coinvolti, nella situazione in cui si presentano
prima dell'attuazione del progetto;
b) l'identificazione e la classificazione delle cause
significative di rischio per la salute umana da microrganismi patogeni, da
sostanze chimiche e componenti di natura biologica, qualità di energia, rumore,
vibrazioni, radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, connesse con l'opera
Nella AUA del 2017 si parla apparentemente solo di trattamento e recupero di inerti da
cava ma non si esclude che la attività dell’impianto abbia assorbito anche
quella di cui era titolare la Bitumi
Mugello srl. In questo caso l’impianto rimane sottoponibile a VIA
(verifica di assoggettabilità) secondo quanto sopra esposto in quanto tratta
materiale, o può trattarlo potenzialmente, classificato come rifiuti: fresato.
A tal fine si sottolinea
che secondo il comma 4 articolo 3 Dpr
59/2013:
“4. Nei casi in cui si procede alla verifica di cui all'articolo 20
del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,
l'autorizzazione unica ambientale può essere richiesta solo dopo che l'autorità
competente a tale verifica abbia valutato di non assoggettare alla VIA i
relativi progetti.”
A conferma di quanto sopra
la Regione Toscana ha rilasciato con adozione n. 9705 in data 7/7/2017 alla
ditta Piandisieve l'Autorizzazione Unica Ambientale avente validità di 15 anni,
con il parere favorevole dell'Amministrazione Comunale di Scarperia e San Piero
(ALLEGATO 7). Nel parere favorevole del
Comune di Scarperia al rinnovo della
autorizzazione allo scarico delle acque
reflue in fognatura bianca, si fa rinvio alla precedente autorizzazione
rilasciata in data 12/11/2012 “tenuto
conto delle dichiarazioni di non modifica degli impianti” e quindi
confermando la attività di produzione di conglomerato bituminoso pur non
essendo dichiarata esplicitamente nel ciclo produttivo sottoposto al rilascio
di AUA dl 17 luglio 2017.
IL FRESATO È RIFIUTO
La Corte di Cassazione [NOTA 5],
con sentenza n. 37168 del 09/06/2016
ha ribadito che il fresato è classificabile come
rifiuto (CER 17.03.01 oppure 17.03.02, il primo pericoloso il secondo solo
speciale). Nel caso specifico non una delle condizioni era stata
soddisfatta, in particolare: la società condannata svolgeva un’attività che
aveva anche come oggetto la produzione del fresato, il concreto riutilizzo del
fresato non era certo, il fresato era rilavorato nello stabilimento della
società ed infine il processo produttivo non garantiva la tutela
dell’ambiente e della salute umana.
La sentenza della
Cassazione in commento richiama un’altra pronuncia (sentenza Cassazione n. 46227 del 23 ottobre 2013) che ha escluso anche la classificazione
dei materiali bituminosi, provenienti da escavazione o demolizione stradale,
come “terre e rocce da scavo” in quanto queste ultime sono costituite da
materiali naturali, mentre i materiali bituminosi provengono da lavorazione del
petrolio e presentano un evidente potere di contaminazione.
Ora la
documentazione presentata in sede sia di istanza di AUA che di rilascio della
stessa non ha dimostrato assolutamente che il suddetto fresato possa essere
definito come sottoprodotto.
VIA EX POST
Alla luce di quanto sopra
analizzato risulta con chiarezza che all’impianto in questione andava applicata
la VIA anche al momento dell’ultima autorizzazione (AUA del 2017) nella forma
della VIA ex post o VIA postuma, cosa che invece non è stata fatta da parte
della Regione Toscana.
In cosa consiste la VIA ex post peraltro normata dalla
stessa legge Toscana sulla VIA ex articolo 43 legge regionale 10/2010?
La Corte di Giustizia, in una nuova sentenza del 28 febbraio 2018 (causa
C117-017),
partendo dal caso di un impianto a biomasse ha ribadito i seguenti principi fondanti di una corretta applicazione della VIA ex
post che non violi il diritto
comunitario ed in particolare la Direttiva
2011/92, se l’impianto o progetto
non hanno avuto la VIA al momento della loro prima autorizzazione ed invece
avrebbero dovuto averla. Vediamo i principi:
1. “in
caso di omissione di una VIA prescritta dal diritto dell’Unione, gli Stati
membri hanno l’obbligo di eliminare le conseguenze illecite di detta omissione”
2. non
osta a che tale impianto/progetto formi oggetto, dopo la sua realizzazione …
“, di una nuova procedura di valutazione da parte delle
autorità competenti al fine di verificare la conformità ai requisiti di tale
direttiva e, eventualmente, di sottoporlo a VIA, purché le norme nazionali che
consentono tale regolarizzazione non forniscano agli interessati l’occasione di
eludere le norme di diritto dell’Unione o di esimersi dall’applicarle.”
3. “Occorre
altresì tenere conto dell’impatto ambientale intervenuto a partire dalla
realizzazione del progetto.
4. “Le
autorità nazionali chiamate a pronunciarsi in tale contesto devono altresì
tenere conto dell’impatto ambientale generato dall’impianto a partire dalla
realizzazione dei lavori”.
La ratio di questi principi è quella di evitare che la VIA venga evasa
ulteriormente magari in sede di nuove autorizzazioni e che una volta applicata
la VIA ex post (fino ad allora la mancante) questa rispetti le finalità della
Direttiva comunitaria sula VIA secondo la quale:
1. La
VIA deve valutare preventivamente l’impatto ambientale di un
progetto
2. Per
valutare l’impatto ambientale del progetto occorre considerare tutti i criteri
per misurare tale impatto a cominciare da quello della localizzazione.
In
sostanza la VIA applicata postuma non può limitarsi a valutare le modifiche
intervenute in un progetto ma l’impatto dell’intero progetto fin da quando
venne realizzato.
Solo così si colma si sana la violazione della mancata VIA iniziale.
Solo così si capisce se l’impianto e il progetto sono stati collocati in un
sito adeguato e sostenibile ambientalmente e sotto il profilo sanitario.
Solo così si possono prevedere a conclusione della VIA ex post, condotta
secondo i suddetti principi, le prescrizioni da applicare all’impianto e al
progetto che lo rendano compatibile con il sito oppure che ne avviino la
dismissione.
Il TAR TOSCANA (sentenza n. 156 pubblicata lo
scorso 30 gennaio 2018) partendo da un caso di mancata di Valutazione di
Incidenza (VINCA) ad un progetto edilizio che impattava su un area tutelata
dalla normativa UE sulla biodiversità (SIC) riafferma i principi
della VIA ex post parificando la VINCA ex post con la VIA ex post.
Interessante
è l’ulteriore precisazione che porta la sentenza del TAR. Dove si afferma che
se la VIA o VINCA ex post dimostrino un rilevante impatto ambientale
dell’impianto/progetto si può arrivare anche ad annullare in sede di autotutela
la autorizzazione allo stesso. Aggiunge il TAR che questo può avvenire solo se
si dimostra l’esistenza di un superiore interesse pubblico (ambientale
sanitario) a quello imprenditoriale nel caso specifico. Questo può avvenire
(come è avvenuto nel caso trattato dalla sentenza del TAR Toscana qui
esaminata) solo svolgendo una corretta e completa istruttoria di VIA/VINCA ex
post secondo i principi sopra esaminati.
RESTA COMUNQUE UN FATTO GRAVISSIMO SOTTO IL
PROFILO DELLA TUTELA SANITARIA
Per i residenti interessati dagli impatti dell’impianto quest’ultimo è stato
autorizzato senza una adeguata valutazione (all’epoca obbligatoria sicuramente)
della compatibilità dello stesso con un sito a forte presenza di residenza
civile.
Questo avrebbe richiesto,
al di la della questione formale di applicazione della VIA una applicazione
rigorosa della normativa sulle industrie insalubri di prima classe anche alla
luce delle reiterate segnalazioni sui fenomeni odorigeni e di emissioni
polverose e rumorose.
Prima di continuare nella lettura del post guardate questi video
LE EMISSIONI ODORIGENE , POLVERULENTE E
RUMOROSE DALL’IMPIANTO IN OGGETTO
Innumerevoli sono stati da
anni ad oggi gli esposti e le segnalazioni alle autorità per l’irrespirabilità
dell’aria a causa della produzione di conglomerato bituminoso oltreché per le
polveri e il rumore generato dalla lavorazione di inerti presso lo stabilimento
Piandisieve di via Massorondinaio 12 in S. Piero a Sieve.
La nuova linea di
produzione di conglomerato bituminoso da fresato autorizzata nel 2010 rese
l’aria ancora più mefitica, tanto che in data 17 maggio 2011 fu presentato un
esposto indirizzato al Sindaco di S. Piero a Sieve, alla P.O. Qualità
Ambientale della Provincia di Firenze, al Servizio Igiene e Sanità Pubblica
dell’ASL Mugello e all’ARPAT zona Mugello, a firma di n. 37 cittadini abitanti
nella zona circostante l’impianto.
Nel 2017 dopo alcuni anni di attività ridotta durante l’estate
si è avuta una impennata della produzione di conglomerato bituminoso con
accensione quotidiana degli impianti per parecchie ore. Ciò ha provocato una
nuova ondata di proteste ed esposti da parte della popolazione circostante per
l'irrespirabilità dell'aria;
Quindi la questione degli
impatti odorigeni è un tema presente agli enti autorizzatori (Provincia prima e
ora Regione).
Nella autorizzazione alle
emissioni n. 3588 del 2010 si affermava alla prescrizione n. 8: “8) di stabilire in caso di maleodoranza,
esposti o qualora si ravvisino problemi di carattere igienico sanitario e/o
alto, che questo Ente si riserva la facoltà di rivedere in qualunque momento la
presente autorizzazione”.
Le emissioni odorigene
sono continuate senza che questa prescrizione venisse mai attuata. Non solo ma
il fenomeno odorigeno è stato del tutto
rimosso proprio nell’ultima autorizzazione (AUA del 2017)
RELATIVAMENTE ALLA MANCATA APPLICAZIONE
DELLA NORMATIVA SULLE INDUSTRIE INSALUBRI DI PRIMA CLASSE
L’impianto in oggetto rientra nell’elenco delle industrie insalubri di prima classe ai sensi del D.M. 5 settembre
1994, sia perché tratta materiali come i conglomerati bituminosi (si veda il
punto 13 sezione B Parte I allegato al DM 5/9/1994) sia perché effettua
macinazione e frantumazione di minerali e rocce (si veda il punto 83 sezione B
Parte I allegato al DM 5/9/1994);
L’impianto
in oggetto ha una localizzazione limitrofa
ad aree a forte presenza residenziale questo dato oggettivo avrebbe
richiesto una adeguata applicazione della normativa sulle industrie insalubri
che non è avvenuta nel caso in esame
Il Piano strutturale del
Comune di S. Piero a Sieve (approvato con delibera c.c. 23 del 14.05.2007) alla
Tabella 14.1 relativamente alla zona dell’impianto in oggetto: ”vicinanza al centro abitato, in prossimità
di aree e strutture di interesse pubblico (parco) e artistico-monumentale
(Fortezza di S. Martino) destinazione d’uso incongrua con il contesto.”
Nella lettera
del 4/8/2011 il Sindaco del Comune di S. Piero a Sieve, in considerazione del
mutato contesto urbanistico intorno all’impianto ha definito una “anomalia nel tessuto edilizio ed ambientale
circostante”, invitando la ditta Piandisieve a un tavolo di lavoro per
ridefinire le linee di gestione dello stabilimento al fine di attenuarne
l’impatto sul territorio, prospettando anche una eventuale dismissione
dell’attività.
La lettera del 27 luglio
2011 (ALLEGATO 11) della ASL U.F. Igiene e Sanità Pubblica Zona Mugello con la
quale, in risposta all’esposto sottoscritto dai cittadini del 16.05.2011, si
individuavano tre problematiche precise:
1.l’attività emette
odori che disturbano diversi cittadini sia in prossimità della ditta, in zona
Massorondinaio, sia in località Scaffaia, al di là del fiume Sieve.
2. non è stata effettuata
alcuna verifica sull’entità del disturbo, quindi sugli effetti che tali
emissioni possono aver prodotto e continuare a produrre sulla salute dei
cittadini interessati. Questo a prescindere dal rispetto dei limiti di
emissioni stabiliti nella autorizzazione in vigore per l’impianto in oggetto.
3. la necessità
di regolamentare il rapporto dell’impianto in oggetto e di altri impianti con
la sempre maggiore presenza di edifici residenziali, sotto il profilo delle
emissioni aeriformi e rumorose.
Nella lettera
del 27 gennaio 2014 di ARPAT dove si evidenzia un problema di natura
urbanistica; “Questa Agenzia ha compiuto
gli accertamenti di competenza in esito a precedenti esposti e riferito l’esito
anche al Comune, al quale rinnoviamo l’invito ad una riflessione sullo sviluppo
territoriale come anche evidenziato dalla ASL nel parere prot. n. 1586/1625 del
27/7/2011”.
Nella Nota del 29/8/2017
2017 Arpat in risposta alle segnalazione
dei cittadini del 9 giugno 2017 e del 4 agosto 2017conferma il legame tra le
emissioni odorigene intollerabili con l’impianto in oggetto: “In riferimento alla sua segnalazione
pervenuta il 2/8/2017 prot.n. 54711 per “aria puzzolente irrespirabile e forte
odore di bitume” provocato presumibilmente dall’impianto produttivo della Bitumi
Piandisieve sito in via Massorondianio, comunichiamo che questo settore
predisporrà un controllo compatibilmente con
le risorse a disposizione e con gli impegni già programmati”.
Ora è noto come il T.U.LL.SS.
art. 216 comma 2 reciti: “La prima classe
comprende quelle che debbono essere isolate nelle campagne e tenute lontane
dalle abitazioni;...”
Il comma 5 articolo 216
del T.U.LL.SS. recita: “Una industria o
manifattura la quale sia inserita nella prima classe, può essere permessa
nell'abitato, quante volte l'industriale che l'esercita provi che, per
l'introduzione di nuovi metodi o speciali cautele, il suo esercizio non reca
nocumento alla salute del vicinato.”
Il comma 1 articolo 217
del T.U.LL.SS. recita: “Quando vapori,
gas o altre esalazioni, scoli di acque, rifiuti solidi o liquidi provenienti da
manifatture o fabbriche, possono riuscire di pericolo o di danno per la salute
pubblica, il podestà prescrive le norme da applicare per prevenire o impedire
il danno o il pericolo e si assicura della loro esecuzione ed efficienza.”
A sua volta la Circolare del 19 marzo 1982, n. 19, prot. n.
403/8.2/459, Ministero della Sanità - Direzione Generale dei Servizi di Igiene
Pubblica Div. III, pag. 2 u.c. secondo cui: “…la classificazione delle lavorazioni insalubri non può e non deve
rimanere fine a sé stessa esaurendosi in un mero automatismo burocratico” ma
occorre: “… un esame specifico e puntuale (il quale) non può essere
realisticamente effettuato - in dettaglio - che dall’autorità locale… È
evidente che qualora da tale esame risulti che le cause d’insalubrità
potenziale, che hanno determinato l’inclusione dell’attività nella Prima classe
dell’elenco, sono state eliminate o quantomeno ridotte in termini accettabili
si applica il caso previsto dal 5° comma dell’art. 216 T.U.LL.SS.”.
E’ altresì noto che la
normativa sulle industrie insalubri sopra esposta debba essere inserita nella
pianificazione comunale come peraltro confermato da una recente sentenza
del Consiglio di
Stato (sentenza 2751/2014) secondo la quale se è vero che normativa
nazionale sulle industrie insalubri (articolo 216 del T.U. n.1265/1934) non
prevede un divieto assoluto di collocazione di queste negli
abitati, non è precluso né illogico fissare con norme regolamentari
parametri più rigorosi di quelli rinvenibili nell’art.216 del T.U.LL.SS. n.1265/1934
al fine di conseguire una più intensa tutela della salute pubblica (vedi anche Cons. Stato, V n.338/1996).
In particolare la sentenza
del Consiglio di Stato 2751/2014
sopra citata afferma autorevolmente:
1.
l’opportunità di una diversa ubicazione se l’impianto è sotto i 500 metri dagli
abitati
2. la
possibilità di ricollocare l’impianto se non corrisponde ad un adeguato livello
occupazionale comparabile con i rischi ambientali sanitari e i danni economici
alle abitazioni e ai residenti
3. la
possibilità di utilizzare le norme tecniche attuative di un piano urbanistico
comunale per stabilire distanze di
sicurezza adeguate (la sentenza fa riferimento a distanze sopra i 100 metri)
per le industrie insalubri di 1^ classe
rispetto ai confini di zone residenziali o da preesistenti edifici
destinati a residenza
Sempre nella direzione di
definire poteri e ruoli di Sindaci e Comuni nella pianificazione della
localizzazione delle industrie insalubri di prima classe :
1.Consiglio di Stato Sez. III, n. 4687, del 24
settembre 2013: “Legittimità ordine di chiusura di attività pericolosa per la salute.
Spetta al sindaco, all’uopo ausiliato dall’unità sanitaria locale, la
valutazione della tollerabilità o meno delle lavorazioni provenienti dalle
industrie classificate “insalubri”, e l’esercizio di tale potestà può avvenire
in qualsiasi tempo e, quindi, anche in epoca successiva all'attivazione
dell’impianto industriale e può estrinsecarsi con l’adozione in via cautelare
di interventi finalizzati ad impedire la continuazione o l’evolversi di
attività che presentano i caratteri di possibile pericolosità, per effetto di
esalazioni, scoli e rifiuti e ciò per contemperare le esigenze di pubblico
interesse con quelle dell'attività produttiva “
2. Consiglio di Stato, Sez, V, n. 6264, del 27
dicembre 2013: “Legittimità ordinanza sindacale d’immediata chiusura di impianto e
attività pericolosa per la salute.
Spetta al Sindaco, all'uopo ausiliato dalla struttura sanitaria
competente, il cui parere tecnico ha funzione consultiva ed endoprocedimentale,
la valutazione della tollerabilità, o meno, delle lavorazioni provenienti dalle
industrie cosiddette "insalubri", l'esercizio della cui potestà
potendo avvenire in ogni tempo e potendo esplicarsi mediante l'adozione, in via
cautelare, di interventi finalizzati ad impedire la continuazione o l'evolversi
di attività aventi carattere di pericolosità”.
Risulta che
l’Amministrazione Comunale competente nel caso in esame non abbia esercitato i
poteri riconosciuti al Sindaco alla Giunta e alla struttura dirigenziale da
detta normativa anche in contraddizione con quanto affermato nel Piano
Strutturale (sopra riportato).
Ne tale comportamento
omissivo può essere giustificato dal rilascio delle autorizzazioni nel tempo
tanto meno per l’AUA del 2017. Infatti il DPR 133/3/2013 n. 59 (Regolamento
recante la disciplina dell'autorizzazione unica ambientale) all’articolo 3
elenca le autorizzazioni settoriali assorbite dall’AUA:
a) autorizzazione agli
scarichi di cui al capo II del titolo IV della sezione II della Parte
terza del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
b) comunicazione
preventiva di cui all'articolo 112 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152, per l'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, delle acque
di vegetazione dei frantoi oleari e delle acque reflue provenienti dalle
aziende ivi previste;
c) autorizzazione alle
emissioni in atmosfera per gli stabilimenti di cui all'articolo 269 del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
d) autorizzazione generale
di cui all'articolo 272 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
e) comunicazione o nulla
osta di cui all'articolo 8, commi 4 o comma 6, della legge 26 ottobre 1995, n.
447;
f) autorizzazione
all'utilizzo dei fanghi derivanti dal processo di depurazione in agricoltura di
cui all'articolo 9 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99;
g) comunicazioni in
materia di rifiuti di cui agli articoli 215 e 216 del decreto legislativo
3 aprile 2006, n. 152.
Risulta chiaramente dal
suddetto elenco come la lettera della legge non faccia alcun riferimento ai poteri del Sindaco come
Autorità Sanitaria ai sensi dell’articolo più volte citato
sopra. Quindi restano pienamente i poteri del Sindaco in materia di
industrie insalubri anche dopo il rilascio della AUA!
Peraltro la stessa Regione
Toscana al punto 8 dell’Autorizzazione Unica Ambientale del 2017
precedentemente citata decreta “di fare
salve tutte le altre disposizioni legislative, normative e regolamentari
comunque applicabili all’attività autorizzata con il presente atto ed in
particolare le disposizioni in materia igienico-sanitaria,
edilizio-urbanistica, prevenzione incendi ed infortuni, precisando pertanto che
la presente autorizzazione non esonera dalla necessità di conseguimento di
altre autorizzazioni o provvedimenti comunque denominati non ricompresi in AUA,
previsti dalla normativa vigente per l'esercizio della attività di cui trattasi;”
La suddetta normativa
avrebbe quindi richiesto di valutare sin dalla installazione dell’impianto e
poi dalle successive modifiche la compatibilità sanitaria dello stesso , questo
non è avvenuto attraverso un gioco di rimpallo tra i vari enti come si dimostra
di seguito.
Questo comportamento
omissivo è ancor più aggravato dal fatto che i fenomeni di disagio continuano
ad oggi come già riportato in precedenza
e come dimostra la lettera a firma di 56 cittadini fatta pubblicare online sui
media territoriali nel mese di settembre del 2017.
Si veda la lettera
di Arpat Dipartimento di Firenze – Settore Mugello del 29 agosto 2017 con quale
detto ente: ”predisporrà un controllo
compatibilmente con le risorse a disposizione e con gli impegni già programmati.”.
Inoltre la lettera della Amministrazione Comunale settore Edilizia ed
Urbanistica, del 15 settembre 2017, con la quale si afferma
genericamente che:
1.L’impianto ha una
autorizzazione alle emissioni n. 3588 del 9/11/2010;
2.I controlli Arpat
svolti in passato non hanno riscontrato violazioni delle emissioni riferite
comunque alla autorizzazione vigente.
Risulta con chiarezza come
la risposta di Arpat che della Amministrazione Comunale risultino non
soddisfacenti sia in riferimento al protrarsi di una problematica che dura da
decine di anni sia ai generici impegni di eventuali monitoraggi non definiti
nella tipologia e nella tempistica;
SIGNIFICATIVITÀ SANITARIA DELLE EMISSIONI
ODORIGE
Le emissioni odorigene
protratte nel tempo, a prescindere dal rispetto dei limiti di legge dei valori
degli inquinanti emessi, possono produrre in sé danni alla salute.
Si veda in particolare
Visto quanto afferma Arpat nel suo bollettino informativo Arpat news del
11/11/2011 n. 217: “la percezione del
disagio è esclusivamente di natura personale e può anche diventare una
componente di sofferenza psicologica. Una possibile riflessione generale,
potrebbe portare a pensare che una prolungata esposizione ad un disturbo, può
provocare una sensibilizzazione nella popolazione esposta, generando anche
importanti stati d'ansia, che a lungo andare, scalzano il problema stesso,
diventando la principale fonte di disturbo. Il tempestivo
intervento è quindi da auspicare per contenere questa
possibile risposta ansiogena, limitando la deriva e contendo così il
problema all'origine."
La stessa Associazione
Italiana Bitume Asfalto e Autostrade (SITEB) in una recente pubblicazione “Conglomerati bituminosi : Caratterizzazione
e contenimento delle emissioni odorigene e atmosferiche”ha individuato
specificità precise in relazione alle emissioni odorigene distinguendole da
quelle diffuse e da particolato. In particolare la pubblicazione individua una
serie di prescrizioni per limitare o addirittura eliminare le emissioni
odorigene nelle attività di produzione dei conglomerati bituminosi,
prescrizioni e cautele non prese in considerazione dalla nuova AUA
RIMOZIONE DELLA NORMATIVA E GIURISPRUDENZA CHE IMPONGONO DI
INTERVENIRE PER IMPORRE PRESCRIZIONI AL FINE DI LIMITARE LE EMISSIONI ODORIGENE
La lettera a) comma
1 articolo 268 del D.Lgs. 152/2006 così definisce l’inquinamento atmosferico “a) inquinamento atmosferico: ogni
modificazione dell'aria atmosferica, dovuta all'introduzione nella stessa di
una o di più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da ledere o da
costituire un pericolo per la salute umana o per la qualità dell'ambiente
oppure tali da ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi
dell'ambiente;”. Quindi non vi è dubbio che le emissioni odorigene
rientrano in tale definizione in quanto possono costituire pericolo per la
salute o per l’ambiente e/o compromettere gli usi legittimi dell’ambiente
stesso;
Alla luce della
sopra citata normativa nelle autorizzazioni a nuove attività, che possono
potenzialmente produrre emissioni odorigene, si possono inserire limiti alle
emissioni odorigene (sia direttamente da parte del Comune se di competenza
comunale o su richiesta del Comune) all’interno del procedimento di revisione
delle autorizzazioni vigenti anche all’impianto in oggetto;
In materia è
significativa la sentenza della Cassazione
sezione penale n. 36905 del 14/9/2015 che in materia di emissioni
odorigene e della loro rilevanza penale ha affermato i seguenti principi:
1.
Costituisce principio consolidato di questa Suprema Corte (che va qui
ribadito) che la contravvenzione di cui all'art. 674 cod. pen. è
reato configurabile in presenza anche di "molestie olfattive"
promananti da impianto munito di autorizzazione, in quanto non esiste una
normativa statale che prevede disposizioni specifiche e valori limite in
materia di odori, con conseguente individuazione del criterio della
"stretta tollerabilità" quale parametro di legalità dell'emissione,
attesa l'inidoneità ad approntare una protezione adeguata all'ambiente ed alla
salute umana di quello della "normale tollerabilità";
2.
Per la realizzazione del reato ex articolo 674 del Codice Penale
è sufficiente l'apprezzamento diretto delle conseguenze moleste da parte
anche solo di alcune persone, dalla cui testimonianza il giudice può
logicamente trarre elementi per ritenere l'oggettiva sussistenza del reato, a
prescindere dal fatto che tutte le persone siano state interessate o meno dallo
stesso fenomeno o che alcune non l'abbiano percepito affatto. Ne è necessario
un accertamento tecnico;
3. Laddove
trattandosi di odori manchi la possibilità di accertare obiettivamente, con
adeguati strumenti, l'intensità delle emissioni, il giudizio sull'esistenza e
sulla non tollerabilità delle emissioni stesse ben può basarsi sulle
dichiarazioni dei testi, soprattutto se si tratta di persone a diretta
conoscenza dei fatti, come i vicini, o particolarmente qualificate, come gli
agenti di polizia e gli organi di controllo della USL;
4.
Ove risulti l'intollerabilità, non rileva, al fine di escludere l'elemento
soggettivo del reato, l'eventuale adozione di tecnologie dirette a limitare le
emissioni, essendo evidente che non sono state idonee o sufficienti ad
eliminare l'evento che la normativa intende evitare e sanziona;
5.
La definizione di odori “normali”, quali quelli provenienti da un impianto di
rifiuti, affermata dai testimoni favorevole alla ditta condannata, sottende
questa sì un giudizio soggettivo e non si pone in logico contrasto con il fatto
che un elevato numero di altre persone fosse concretamente esposta a esalazioni
nauseabonde;
6.
Qualsiasi monitoraggio delle emissioni odorigene non può fondarsi su modelli
astratti ma sull’applicazione dei modelli in uso alla concreta realtà;
A sua volta il Consiglio di Stato (sentenza n. 4588 del 10/9/2014) ha
affermato il principio di precauzione per cui a prescindere dal rispetto dei
limiti inquinanti previsti dalla normativa sulle emissioni atmosferiche, se,
sulla base di adeguata documentazione scientifica, si dimostra persistere un
probabile rischio sanitario per i cittadini residenti, l’autorità competente
può negare l’autorizzazione o revocarla in fase di revisione/adeguamento od
imporre prescrizioni che eliminino il problema delle emissioni odorigene.
Sul rapporto tra principio di precauzione e possibilità di non
rilasciare o addirittura di revocare un autorizzazione da parte delle autorità
competenti, si veda TAR Piemonte Sez. I n. 99 del 22 gennaio 2018. Secondo questa sentenza: Il principio
di precauzione implica l’esistenza di un rischio potenziale per la salute e per
l’ambiente, ma non richiede l’esistenza di evidenze scientifiche consolidate
sul collegamento tra la causa, fonte del rischio, e l’effetto negativo. La sua
applicazione comporta dunque che, ogni qual volta non vi sia certezza dei
rischi di un'attività potenzialmente pericolosa, l'azione delle Autorità
competenti deve tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al
consolidamento delle conoscenze scientifiche, anche nei casi in cui i danni
siano poco conosciuti, o solo potenziali. La valutazione di tali rischi
deve essere seria e prudenziale, condotta alla stregua dell'attuale stato delle
conoscenze scientifiche disponibili, e può anche condurre a non autorizzare
l’attività pericolosa nel caso in cui, anche utilizzando le migliori tecniche
disponibili, non sia possibile scongiurare con ragionevole certezza l’insorgere
di danni per l’ambiente e per la salute umana. Questo, specialmente davanti
all’evidente sproporzione tra l’utilità (pubblica e privata) derivante
dall’attività pericolosa (nella specie, la possibilità di conferire rifiuti
pericolosi in un nuovo sito di discarica) e gli effetti potenzialmente
disastrosi derivanti dall’ipotetico realizzarsi dei rischi ad essa sottesi
(nella specie, la contaminazione di sistemi acquiferi profondi, in un’area in
cui sono presenti pozzi a servizio dei Comuni).”
Quindi anche alla luce
della suddetta normativa e giurisprudenza si può affermare che in situazioni di
manifesti e perduranti disagi sanitari prodotti da un impianto non risulta
sufficiente, dalle esperienze sul campo delle varie Arpa, valutare il progetto
in termini “classici” di rispondenza tecnico impiantistica degli impianti di
abbattimento alle migliori Tecniche disponibili, ma anche e soprattutto in
termini di resa di abbattimento degli odori e che quindi occorre individuare
uno STRUMENTO che permetta agli Enti e all’azienda, il controllo ed il
monitoraggio degli odori una volta autorizzato il progetto, che non sia la mera
fissazione di un valore limite dei singoli inquinanti come invece viene fatto
nella recente AUA. Lo strumento può essere quello di fissare limiti in unità
odometriche (U.O.) e modelli di monitoraggio periodici delle emissioni
odorigene
Questo obiettivo è
confermato dalla nuova normativa nazionale (DLGS 183/2017 che ha introdotto
l’articolo 272-bis nel DLgs 152/2006) che conferma la necessità di imporre prescrizioni e limiti di emissioni
odorigene all’interno delle autorizzazioni alle emissioni anche di impianti
come quello in oggetto
Di fronte a tutto ciò,
come già riportato in precedenza nel presente esposto, la nuova AUA rilasciata
in data 7 luglio 2017 rimuove completamente la problematica delle emissioni
odorigene nonostante nella documentazione allegata si ammette la non modifica
dell’impianto rispetto al modello gestione precedente.
A questo occorre
aggiungere, come già riportato in precedenza nel presente esposto, la
violazione sistematica del punto 8 delle prescrizioni della Autorizzazione alle
emissioni del 2010
DIFFIDA DEL COMITATO E RISPOSTA DEL SINDACO
A conferma di
comportamenti omissivi da parte delle Autorità competenti si veda la risposta
che il Comune ha dato alla Diffida presentata da una serie di cittadini dello
scorso 30/12/2017.
In particolare il
Comune nella persona del Sindaco in data
8/3/2018 rispondendo a detta Diffida ripete quanto già scritto nelle lettera
del 15 settembre 2017 in risposta alle segnalazione dei cittadini su emissioni
odorigene persistenti presentata nella date del 9 giugno 2017 e del 4 agosto
2017. Tra le altre cose afferma che sarebbero state monitoraggi non ancora
conclusi da parte di Arpat.
A sua volta Arpat con
lettera del 14/3/2018 conferma che i monitoraggi relativamente alle
problematiche odorigene saranno svolti senza definirne tempi e modalità, non
solo ma smentisce quanto affermato nella lettera del Sindaco nella lettera di
risposta alla Istanza dei cittadini.
OMISSIONE DA PARTE DELLE AUTORITÀ COMPETENTI NELL’APPLICARE
LE SANZIONI AMMINISTRATIVE IN CASO DI VIOLAZIONE DELLE PRESCRIZIONI
AUTORIZZATORIE
L’Autorizzazione unica
ambientale assorbe tra le altre la autorizzazione alle emissioni in atmosfera
per gli stabilimenti di cui all'articolo 269 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152
(lettera c) comma 1 articolo 3 Dpr 59/2013). Quindi sotto il profilo
istruttorio ma anche sanzionatorio si applicano le procedure e le sanzioni di
previste in relazione a detta autorizzazione ammissioni aeriformi.
In particolare il comma 4 articolo 268 del DLgs 152/2006 recita:
“4. L'autorizzazione
stabilisce, ai sensi degli articoli 270 e 271: a) per le emissioni che
risultano tecnicamente convogliabili, le modalità di captazione e di
convogliamento;
b) per le emissioni convogliate o di cui è stato disposto il convogliamento, i valori limite di emissione, le prescrizioni, i metodi di campionamento e di analisi, i criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai valori limite e la periodicità dei controlli di competenza del gestore, la quota dei punti di emissione individuata tenuto conto delle relative condizioni tecnico-economiche, il minimo tecnico per gli impianti soggetti a tale condizione e le portate di progetto tali da consentire che le emissioni siano diluite solo nella misura inevitabile dal punto di vista tecnologico e dell'esercizio; devono essere specificamente indicate le sostanze a cui si applicano i valori limite di emissione, le prescrizioni ed i relativi controlli; c) per le emissioni diffuse, apposite prescrizioni finalizzate ad assicurarne il contenimento.”
b) per le emissioni convogliate o di cui è stato disposto il convogliamento, i valori limite di emissione, le prescrizioni, i metodi di campionamento e di analisi, i criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai valori limite e la periodicità dei controlli di competenza del gestore, la quota dei punti di emissione individuata tenuto conto delle relative condizioni tecnico-economiche, il minimo tecnico per gli impianti soggetti a tale condizione e le portate di progetto tali da consentire che le emissioni siano diluite solo nella misura inevitabile dal punto di vista tecnologico e dell'esercizio; devono essere specificamente indicate le sostanze a cui si applicano i valori limite di emissione, le prescrizioni ed i relativi controlli; c) per le emissioni diffuse, apposite prescrizioni finalizzate ad assicurarne il contenimento.”
Sotto il profilo delle
misure amministrative in caso di violazioni delle prescrizioni agli impianti
assoggettati ad AUA si applica quindi anche l’articolo 278 del DLgs 152/2006
sui poteri di ordinanza che recita: “1.
In caso di inosservanza delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione, ferma
restando l'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 279 e delle misure
cautelari disposte dall'autorità giudiziaria, l'autorità competente procede,
secondo la gravità dell'infrazione:
a)
alla diffida, con l'assegnazione di un termine entro il quale le irregolarità
devono essere eliminate;
b) alla diffida ed alla contestuale temporanea sospensione dell'autorizzazione con riferimento agli impianti e alle attività per i quali vi è stata violazione delle prescrizioni autorizzative, ove si manifestino situazioni di pericolo per la salute o per l'ambiente;
c) alla revoca dell'autorizzazione con riferimento agli impianti e alle attività per i quali vi è stata violazione delle prescrizioni autorizzative, in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida o qualora la reiterata inosservanza delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione determini situazioni di pericolo o di danno per la salute o per l'ambiente.”
b) alla diffida ed alla contestuale temporanea sospensione dell'autorizzazione con riferimento agli impianti e alle attività per i quali vi è stata violazione delle prescrizioni autorizzative, ove si manifestino situazioni di pericolo per la salute o per l'ambiente;
c) alla revoca dell'autorizzazione con riferimento agli impianti e alle attività per i quali vi è stata violazione delle prescrizioni autorizzative, in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida o qualora la reiterata inosservanza delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione determini situazioni di pericolo o di danno per la salute o per l'ambiente.”
Peraltro lo stesso comma 5 articolo 5 Dpr 5972013 (regolamento che
disciplina l’AUA applicata anche all’impianto in oggetto) recita: “5. L'autorità competente può comunque
imporre il rinnovo dell'autorizzazione, o la revisione delle prescrizioni
contenute nell'autorizzazione stessa, prima della scadenza quando:
a)
le prescrizioni stabilite nella stessa impediscano o pregiudichino il
conseguimento degli obiettivi di qualità ambientale stabiliti dagli strumenti
di pianificazione e programmazione di settore;
b) nuove disposizioni legislative comunitarie, statali o regionali lo esigono.”
b) nuove disposizioni legislative comunitarie, statali o regionali lo esigono.”
NOTE
[NOTA 1]
Con il termine “fresato d'asfalto” si intende
generalmente “il conglomerato bituminoso recuperato mediante fresatura degli
strati del rivestimento stradale, che può essere utilizzato come materiale
costituente per miscele bituminose prodotte in impianto a caldo” (citazione
tratta dalla norma tecnica UNI EN 13108-8).
Il conglomerato bituminoso (o asfalto), che costituisce il tappeto
di usura delle strade o di altre strutture viabilistiche. La definizione
condivisa è la seguente: “l’asfalto ( o conglomerato bituminoso) è una miscela
dosata a peso o a volume di pietrisco, pietrischetto, graniglia, sabbia, filler
e legante bituminoso.
Con il termine filler viene indicato l'aggregato di dimensioni ridottissime
(< 0,063 mm) che ha la funzione di riempitivo poiché le ridotte
dimensioni permettono di ridurre la percentuale di vuoti di un conglomerato
artificiale.
Viene utilizzato in diversi campi dell'ingegneria civile e in special modo per il confezionamento di, malte, conglomerati cementizie e bituminosi.
I filler sono costituiti da granuli lapidei prevalentemente passanti allo staccio da 0.063 mms e sono classificati in funzione dei trattenuti sugli stacci 2, 0.125, 0.063.
Viene utilizzato in diversi campi dell'ingegneria civile e in special modo per il confezionamento di, malte, conglomerati cementizie e bituminosi.
I filler sono costituiti da granuli lapidei prevalentemente passanti allo staccio da 0.063 mms e sono classificati in funzione dei trattenuti sugli stacci 2, 0.125, 0.063.
In italiano, il termine filler è anche usato in un senso più ampio
per descrivere sostanze che possono essere aggiunte ad una miscela per
migliorare le sue proprietà. Per esempio, la sabbia o fibre negli intonaci
potrebbero essere chiamati "filler", sebbene sabbia e fibre di
normali dimensioni superino le dimensioni di < 0,063 mm
[NOTA 2] Secondo la Relazione della Commissione UE sullo stato di applicazione della
VIA (2003 punto 4.6.4.) Il criterio "rischio di incidenti, per quanto
riguarda, in particolare, le sostanze o le tecnologie utilizzate" rientra
nelle "caratteristiche dei progetti"
[NOTA 3] F. Salute pubblica. Obiettivo della caratterizzazione
dello stato di qualità dell'ambiente, in relazione al benessere ed alla salute
umana, è quello di verificare la compatibilità delle conseguenze dirette ed
indirette delle opere e del loro esercizio con gli standards ed i criteri per
la prevenzione dei rischi riguardanti la salute umana a breve, medio e lungo
periodo. Le analisi sono effettuate attraverso: a) la caratterizzazione dal
punto di vista della salute umana, dell'ambiente e della comunità potenzialmente
coinvolti, nella situazione in cui si presentano prima dell'attuazione del
progetto; b) l'identificazione e la classificazione delle cause significative
di rischio per la salute umana da microrganismi patogeni, da sostanze chimiche
e componenti di natura biologica, qualità di energia, rumore, vibrazioni,
radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, connesse con l'opera; c) la
identificazione dei rischi eco-tossicologici (acuti e cronici, a carattere
reversibile ed irreversibile) con riferimento alle normative nazionali,
comunitarie ed internazionali e la definizione dei relativi fattori di
emissione; d) la descrizione del destino degli inquinanti considerati,
individuati attraverso lo studio del sistema ambientale in esame, dei processi
di dispersione, diffusione, trasformazione e degradazione e delle catene
alimentari; e) l'identificazione delle possibili condizioni di esposizione
delle comunità e delle relative aree coinvolte; f) l'integrazione dei dati
ottenuti nell'ambito delle altre analisi settoriali e la verifica della
compatibilità con la normativa vigente dei livelli di esposizione previsti; g)
la considerazione degli eventuali gruppi di individui particolarmente sensibili
e dell'eventuale esposizione combinata a più fattori di rischio. Per quanto
riguarda le infrastrutture di trasporto, l'indagine dovrà riguardare la
definizione dei livelli di qualità e di sicurezza delle condizioni di
esercizio, anche con riferimento a quanto sopra specificato.
[NOTA 4] F. Salute pubblica. Obiettivo della caratterizzazione dello stato di
qualità dell'ambiente, in relazione al benessere ed alla salute umana, è quello
di verificare la compatibilità delle conseguenze dirette ed indirette delle
opere e del loro esercizio con gli standards ed i criteri per la prevenzione
dei rischi riguardanti la salute umana a breve, medio e lungo periodo. Le
analisi sono effettuate attraverso: a)
la caratterizzazione dal punto di vista della salute umana, dell'ambiente e
della comunità potenzialmente coinvolti, nella situazione in cui si presentano
prima dell'attuazione del progetto; b) l'identificazione e la classificazione
delle cause significative di rischio per la salute umana da microrganismi
patogeni, da sostanze chimiche e componenti di natura biologica, qualità di
energia, rumore, vibrazioni, radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, connesse
con l'opera; c) la identificazione dei rischi eco-tossicologici (acuti e
cronici, a carattere reversibile ed irreversibile) con riferimento alle
normative nazionali, comunitarie ed internazionali e la definizione dei
relativi fattori di emissione; d) la descrizione del destino degli inquinanti considerati,
individuati attraverso lo studio del sistema
ambientale in esame, dei processi di dispersione, diffusione, trasformazione e
degradazione e delle catene alimentari; e) l'identificazione delle possibili
condizioni di esposizione delle comunità e delle relative aree coinvolte; f)
l'integrazione dei dati ottenuti nell'ambito delle altre analisi settoriali e
la verifica della compatibilità con la normativa vigente dei livelli di
esposizione previsti; g) la considerazione degli eventuali gruppi di individui
particolarmente sensibili e dell'eventuale esposizione combinata a più fattori
di rischio. Per quanto riguarda le infrastrutture di trasporto, l'indagine
dovrà riguardare la definizione dei livelli di qualità e di sicurezza delle
condizioni di esercizio, anche con riferimento a quanto sopra specificato.
[NOTA 5]
E’ ormai pacifico che I materiali
bituminosi provenienti da lavori di manutenzione stradale siano da considerarsi
rifiuti speciali a tutti gli effetti e non sottoprodotti né terre o rocce da
scavo.
La Corte di Appello di Firenze condannava il legale rappresentante
di una società ad una rilevante pena pecuniaria per violazione dell’art. 256
d.lgs. 152/2006 (attività di gestione di rifiuti non autorizzata).
La linea di difesa seguita dalla società sosteneva che la fresa
d’asfalto, materiale oggetto delle contestazioni, era da considerarsi come
sottoprodotto, diversamente da quanto sostenuto dall’accusa che riteneva tale
materiale, a tutti gli effetti, rifiuto speciale. Inevitabile il ricorso in
Cassazione contro la sentenza di condanna.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 37168 del 09/06/2016,
rigettava il ricorso ritenendolo infondato.
Le argomentazioni della sentenza richiamano il concetto stesso di
sottoprodotto, la cui definizione è riportata dall’art. 184 bis del d.lgs.
152/2006.
Tale articolo stabilisce che è un sottoprodotto e
non un rifiuto, qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti
condizioni:
a) la sostanza o l'oggetto è originato da un processo di
produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è
la produzione di tale sostanza od oggetto; b) è certo che la sostanza o
l'oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo
di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; c) la
sostanza o l'oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento
diverso dalla normale pratica industriale; d) l'ulteriore utilizzo è legale,
ossia la sostanza o l'oggetto soddisfa, per l'utilizzo specifico, tutti i
requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e
dell'ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o la
salute umana.
Nel caso specifico non una delle condizioni era stata soddisfatta,
in particolare: la società condannata svolgeva un’attività che aveva anche come
oggetto la produzione del fresato, il concreto riutilizzo del fresato non era
certo, il fresato era rilavorato nello stabilimento della società ed infine il
processo produttivo non garantiva la tutela dell’ambiente e della salute umana.
Correttamente la Corte di Appello aveva sancito che il fresato d’asfalto andava
considerato “rifiuto speciale” e che il comportamento della società aveva
violato il succitato art. 256 d.lgs. 152/2006 ed in particolare il comma 1
lett. a), il comma 2 e il comma 4.
La sentenza della Cassazione in commento richiama un’altra
pronuncia (sentenza n. 46227 del 23 ottobre 2013) che ha escluso anche la
classificazione dei materiali bituminosi, provenienti da escavazione o
demolizione stradale, come “terre e rocce da scavo” in quanto queste ultime
sono costituite da materiali naturali, mentre i materiali bituminosi provengono
da lavorazione del petrolio e presentano un evidente potere di contaminazione.
Entrambe le sentenze eliminano ogni dubbio sulla natura di rifiuto
speciale del fresato di asfalto proveniente da lavori di manutenzione
straordinaria.
In realtà basta leggere con un minimo di attenzione le condizioni
di cui all’art 184 bis del DLvo 152/06 per escludere questa possibilità.
Infatti
l’art. 2, c. 1, lett. b), definisce residuo di produzione “ogni materiale o
sostanza che non è deliberatamente prodotto in un processo di produzione e che
può essere o non essere un rifiuto”, con ciò confermando che il
sottoprodotto deve scaturire da un processo produttivo (con conseguente
esclusione dei residui di consumo o, per esempio,
del fresato d’asfalto).
Nessun commento:
Posta un commento