Quelle che seguono sono
anche le condizioni che porrei se chiedessero a me di fare l’assessore all’ambiente,
voce che gira in città. Ma al sottoscritto non sono mai interessate le “careghe”
fine a se stesse ma essere messo in condizioni di risolvere i problemi dei
cittadini inquinati.
Vediamoli questi punti:
LA PRIMA
QUESTIONE, a mio avviso preliminare a
tutte le varie questioni di merito, è il ruolo delle politiche ambientali nella
organizzazione della Amministrazione Comunale. Un assessorato all’ambiente viste
le non rilevanti competenze del Comune in materia rischia di essere la solita
cenerentola degli assessorati e su questo credo di sapere di cosa parlo vista
la mia esperienza pregressa finita con le mie dimissioni dopo solo 9 mesi. In
sostanza l’assessorato all’Ambiente va superato e creato un assessorato alla
pianificazione ambientale che accorpi le competenze dell’urbanistica e dell’ambiente
come minimo. A fianco di questo neo assessorato occorre creare un Dipartimento per
la transizione ecologica che lavori su progetti trasversali ai vari settori sulla
base di protocolli operativi secondo il metodo della conferenza dei servizi
interna. Il Dipartimento deve avere certamente un suo dirigente ma allo stesso
tempo dovrà essere diretto politicamente dall’assessore alla Pianificazione
Ambientale.
LA SECONDA
QUESTIONE riguarda sempre il modello di governo ma qui sotto il
profilo dei controlli. Le competenze in questo caso devono coinvolgere chi ha
titolarità delle funzioni di controllo in materia ambientale: Arpal e ASL in
primo luogo. Qui va aperto un confronto con questi enti e con la Provincia (che
è titolare di funzioni importanti in questo senso) al fine di far funzionare i
Dipartimenti di Prevenzione in modo che la prevenzione diventi davvero il paradigma
di ogni scelta strategica sul territorio.
LA TERZA QUESTIONE riguarda
il tema delle bonifiche. Deve essere creato un ufficio bonifiche (da me
istituito 20 anni fa e poi cancellato dagli amministratori successivi. Il
territorio del Comune ha ancora ampi spazi di territorio da essere bonificati e
l’attuale struttura del Comune è totalmente inadeguata per seguire detta
problematica.
LA QUARTA
QUESTIONE comincia ad entrare nel
merito dei singoli problemi ambientali. La bonifica dell’area ex IP non è
finita e il fatto che si sostenga che manchi solo il 20-30% di terreno da
bonificare non è di per se una notizia positiva visto che quell’area ha
caratteristiche idrogeologiche che in questi anni possono avere tracimato l’inquinamento
residuo nelle aree che si suppone siano state bonificate. A questo occorre
aggiungere che la bonifica residua è bloccata dal 2015 da un contenzioso con la
ditta responsabile della bonifica e la società di assicurazioni, senza
considerare che in quell’area la bonifica fin dall’inizio è stata gestita in
modo confuso e poco trasparente.
Per questo occorrono tre
cose:
1. Avviare una indagine indipendente sul reale stato
della bonifica dell’area e sulla storia della bonifica
2. Affrontare
il blocco della restante bonifica dell’area determinato dal contenzioso tra il
Comune la ditta che doveva svolgere il resto della bonifica in relazione alle
garanzie fideiussorie, chiamando in causa il soggetto inquinatore e cioè ENI
3. Rivedere la attuale pianificazione dell’area alla
luce dei punti 1 e 2. Pianificazione che ad oggi ha visto trasformare un’area
strategica per la città in un contenitore per le più varie speculazioni
imprenditoriali mosse solo da interessi di singoli soggetti economici e non
dall’interesse generale della città
LA QUINTA
QUESTIONE: riguarda il porto e il suo
pesante inquinamento per buona parte della città. Qui occorrono iniziative ben
precise:
1. prima
di tutto affrontare la questione strategica del mancato rispetto delle
prescrizioni di VIA del Piano Regolatore Portuale del 2006 a cominciare dalla fascia
di rispetto ma soprattutto dalle inadeguate valutazioni ambientali nella attuazione
del PRP nei vari ambiti a cominciare da quelli 5 e 6.
2. sui monitoraggi alle emissioni dal porto occorre
attuare quanto previsto a pagina 54 nel Decreto VIA 11 aprile 2006, sul Piano
Regolatore del Porto di Spezia: “Per l’acquisizione di dati rappresentativi
dell’inquinamento prodotto sulla qualità dell’aria dal traffico diretto ed
indotto dall’attività propriamente
portuale sulla fascia di probabile
propagazione degli impatti dovrà essere posto in atto un programma di
monitoraggio esteso a tutta la fascia
urbana di possibile coinvolgimento
in accordo con l’ARPAL;detto monitoraggio -da effettuarsi in continuo con
postazioni fisse integrate da postazioni mobili gestite dal Proponente a titolo
compensativo, individuate con particolare attenzione ai siti dove si
prevede incremento delle emissioni-dovrà verificare l’attuale situazione
ambientale della componente atmosfera nonché l’evolversi delle possibili
variazioni determinate dall’attuazione del PRP per l’adozione delle eventuali
misure di mitigazione;”
3. relativamente al rumore da attività portuale, attraverso
un apposito protocollo tecnico con Comune, Arpal, ASL e Regione e ovviamente
Autorità di sistema Portuale, occorre applicare quanto previsto dalla nuova
Direttiva UE 2020/367 (QUI - rettifica QUI) ,
entrata in vigore da poco vedi QUI. La
nuova Direttiva ha modificato l’allegato III della direttiva 2002/49/CE
relativa alla determinazione e alla gestione che permette di valutare gli
effetti nocivi del rumore nell’ambiente esterno. Uno strumento utile, per
imporre prescrizioni alle emissioni rumorose una volta dimostrato
specificamente il danno alla salute anche solo potenziale delle stesse ma soprattutto
utile per rivedere la zoonizzazione acustica predisposta dalla Amministrazione
Comunale che mette, in modo inaccettabile per salute pubblica, la zona
residenziale est della città in parte in classe V come fosse zona industriale e per il resto in classe IV come fosse solo area portuale e non solo residenziale come invece è.
LA SESTA QUESTIONE riguarda la stazione crocieristica per cui occorre:
1. superare
l’indirizzo attuale che pensa di realizzarla in pieno centro città senza
adeguate valutazioni non solo ambientali (magari con il giochino
dell’adeguamento tecnico funzionale molto di moda a Spezia (QUI) ma
anche socio-economiche. Invece, come peraltro prevedevano le prescrizioni della
Regione Liguria quando venne approvato il PRP nel 2006, occorrerebbe applicare
la valutazione ambientale strategica anche alle realizzazioni dell’ambito
portuale interessato dalla stazione
2. sulle emissioni
da navi da crociera che attraccano sempre più numerose a poche decine
di metri in linea d’aria dal centro città i protocolli volontari non servono
ad un tubo (come ho già dimostrato QUI). In
attesa della elettrificazione, e sempre che sia davvero così decisiva, ci sono
scelte da fare ora nel corso del 2022: ad esempio ridurre immediatamente il
numero di navi da crociera che arrivano e soprattutto arriveranno nei prossimi
mesi, il tutto per evitare un altro anno nero per la qualità della salute
pubblica degli spezzini (come dimostrano questi dati QUI)
LA SETTIMA
QUESTIONE riguarda i previsti dragaggi del porto di Spezia. Qui occorre:
1. predisporre un protocollo operativo che imponga
tecniche di dragaggio non invasive attraverso un confronto trasparente tra
soluzioni impiantistiche diverse come prevedeva già il progetto di bonifica
dell’Icram (ora Ispra).
2. impedire
che i fanghi di dragaggio, a prescindere dal livello di inquinanti in essi
contenuti, venga sversato al largo del golfo di Spezia perché anche l’opacità prodotta
dai fanghi sui fondali marini può rovinare l’ecosistema golfo come ammesso
dallo stesso documento Icram sopra citato
3. inserire nella valutazione del dragaggio anche la
presenza nel nostro golfo di aree protette riconosciute dalla normativa
nazionale ed europea nonché internazionale al fine di imporre una valutazione
di incidenza come previsto dalla normativa sulla biodiversità
L'OTTAVA
QUESTIONE riguarda il rischio di incidenti nel porto sicuramente
in aumento visti i nuovi progetti di ampliamento della attività del
rigassificatore, nonché del pontile che accoglie le navi con i carburanti da inviare agli
aereoporti militari del nord Italia. Occorre:
1. avviare con apposito protocollo che coinvolga le varie
autorità competenti (Autorità di Sistema Portuale, Capitaneria, Vigili del
Fuoco, Arpal e in generale Comitato Tecnico Regionale per la Seveso III) al
fine di approvare un Piano di Emergenza Esterna di tutta l’area portuale basato
su un Rapporto di Sicurezza.
2. applicare
la Valutazione di Impatto Ambientale e la revisione della Autorizzazione
integrata ambientale nonché del nulla osta della Seveso III alle previste nuove
bettoline di gnl che dovrebbero arrivare dal porto di Barcellona al
rigassificatore di Panigaglia
3. imporre
al Prefetto la pubblicazione dei dati sulle infrastrutture critiche del nostro
golfo (rigassificatore impianti militari centrale enel fino a che ci sarà) come
previsto dalla vigente normativa al fine di verificare se esiste un coordinamento
tra la pianificazione contro attentati terroristici e quella della normativa Seveso
sugli incidenti rilevanti.
LA NONA QUESTIONE riguarda
la presenza dell’Arsenale Militare e dell’impatto anche ambientale che produce
sulla città ed in particolare su alcuni quartieri in particolare come Marola. Qui occorre uscire dai discorsi estemporanei e
costruire un modello di governo delle problematiche ambientali fondato sulla
concertazione paritaria tra Autorità Militari e Comune.
In particolare:
con Delibera n° 947 del 16/11/2018 (QUI)
della Giunta Regionale della Liguria è stata prevista la istituzione
dell’Osservatorio ambientale regionale sui poligoni militari.
Al fine di affrontare davvero in modo
sistematico e trasparente le problematiche del rischio ambientale da aree
militari ed in particolare dell’Arsenale Militare spezzino, avrebbe un grande
valore attraverso apposito regolamento attuativo della Delibera di istituzione
dell’Osservatorio prevedere:
1. di
estendere all’interno Arsenale Militare e ad altri presidi militari presenti
nella Regione Liguria le attività dell’Osservatorio
2. che
l’Osservatorio elabori in accordo con le Autorità Militari e il Ministero della
Difesa, dei protocolli che precisino le attività di monitoraggio continuo sull’inquinamento
delle aree militari
3. di elaborare in accordo con le Autorità Militari un protocollo
per definire una metodologia per applicare la Valutazione del Danno
Ambientale e Sanitario da attività di aree militari.
4. di
promuovere sempre in accordo con Autorità Civili e Militari progetti e fonti di
finanziamento per affrontare le problematiche ambientali delle aree militari e
dell’Arsenale spezzino sia sufficiente pensare alla questione amianto e alla
questione bonifiche. Ricordo che nell’Agosto del 2015 il
Consiglio Regionale approvò una mozione con la quale si impegnava il
Presidente e l’Assessore Regionale all’Ambiente tra
l’altro a: “promuovere la elaborazione ed approvazione di apposito accordo
di programma per l’avvio della caratterizzazione delle aree militari interne al
sito di Pitelli, verificando anche l’opportunità di utilizzare nel caso di
mancata risposta da parte dei Ministeri competenti (Difesa ed Ambiente) nonché
delle autorità militari competenti anche i poteri di ordinanza che la legge
riconosce (anche alla Regione come pure ai Sindaci territorialmente competente
nonché alla Provincia della Spezia) anche per l’inquinamento delle aree
militari nel momento in cui questo possa produrre un danno all’ambiente e alla
salute del territorio comunale circostante”.
5. costituire una struttura di supporto operativa ai lavori dell’Osservatorio
in modo che lo stesso non diventi un Osservatorio passacarte con alcuna reale
efficacia concreta nel contribuire a capire il livello di inquinamento prodotte
dalle aree militari e cosa fare per risolverlo.
LA DECIMA QUESTIONE riguarda il progetto Basi Blù presentato dal Ministero
della Difesa. Progetto che prevede interventi significativi nell’Arsenale Militare
tutti in una logica di efficientamento dello stesso ma senza minimamente tenere
conto del contesto urbanistico socio economico e residenziale in cui il
progetto verrà realizzato.
Quello che invece occorre
fare è imporre da subito (il Codice dell’Ordinamento Militare lo consente) la
valutazione di Basi Blù come un progetto urbanistico da
sottoporre a valutazione ambientale strategica per scenari alternativi,
considerando quindi anche gli spazi da recuperare ad usi civile e di possibile
accesso al mare come nel caso di Marola. Un vero e proprio masterplan
dell’Arsenale futuro costruito insieme Autorità Militari Autorità Civili Forze
sociali e imprenditoriali.
LA UNDICESIMA QUESTIONE riguarda l’area enel e il suo futuro ma anche
il suo presente.
Relativamente al presente
il rischio più immediato è la possibile riapertura della centrale a carbone con
limiti di emissione in deroga a quelli più stringenti della normativa vigente per gli impianti nuovi.
Quindi occorre, in primo
luogo, impegnare il governo a verificare quali centrali a carbone sono
veramente necessarie alla stabilità del sistema elettrico nazionale.
In secondo luogo il Sindaco nuovo dovrà impegnarsi, nel caso si prevedesse una riapertura della centrale a carbone ad istruire un percorso tecnico scientifico per dimostrare che, considerato il livello di inquinamento in atto nell’area est della città - le particolari condizioni meteo climatiche - il pregresso dell’inquinamento e lo stato sanitario della popolazione interessata, la possibilità di predisporre misure anche amministrative per impedire la riapertura della centrale a carbone.
Sul futuro
occorre riprendere il metodo del Progetto
Futur-E di Enel relativo alla dismissione di siti con impianti energetici
convenzionali (a carbone, olio e gas) non definisce una soluzione a
priori ma definisce un metodo in tre fasi:
- ascolto del territorio,
- manifestazione di
interesse,
- invio di proposte
progettuali comprensive di offerte vincolanti per l’acquisizione del sito.
Sempre sul futuro va superata la rigidità della variante imposta dalla Amministrazione uscente che non potrà impedire nuove centrali in caso di autorizzazione ministeriale, tanto è vero che dopo la VIA positiva al progetto di turbogas il Comune è stato costretto a fare ricorso al Tar del Lazio per bloccare il processo autorizzativo, se bastava la variante il ricorso sarebbe stato inutile. Non solo ma la variante, così come è oggi costruita, crea un elemento di rigidità nella gestione dell’area in questione visto che vieta ogni attività insalubre, come è noto per attività insalubri si intendono perfino le lavanderie o l’attività di torrefazione del caffè. Tutto questo in una area con presenza di industrie limitrofe, di un porto, di un traffico automobilistico significativo.
Quindi la variante non serve a fermare eventuali nuove centrali e irrigidisce preventivamente i rapporti con Enel proprietaria dell’area per avviare un confronto sul futuro di questa.
Quello che invece occorre
fare oltre riaprire il confronto con Enel e Governo con il metodo Futur-E è produrre
un bilancio ambientale e sanitario dell’area est della città per capire gli
scenari sostenibili per il futuro dell’area Enel. Si tratta di avviare uno
studio che svolga un bilancio ambientale e sanitario oltre che economico sociale
su tutta l’area est della città per capire prima di tutto il livello di
inquinamento complessivo ma anche la gerarchia delle fonti inquinanti. Lo
studio è fondamentale per andare ad un confronto sul futuro dell’area Enel su
una posizione di forza dentro le funzioni del Sindaco che sono quelle prima di
tutto di tutela della salute pubblica.
Invece il Sindaco uscente si
è limitato ad uno studio sul rischio emissioni del progetto di centrale a gas
facilmente smontato dal Parere dell’Istituto Superiore di Sanità nel
procedimento di VIA rimuovendo le ben più pericolose emissioni dell’attività
portuale.
Per fortuna il progetto di
centrale a gas si è arrestato solo perché con la nuova tassonomia verde della
UE non avrebbe potuto garantire i limiti di emissioni di CO2 da essa previsti. È
chiaro che però visto quello che sta succedendo a livello internazionale sulla
energia tutto questo non può bastare per garantire la salute degli spezzini.
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