Dopo l'interessante Convegno, organizzato dall'Istituto di Biopsicologia applicata, su "il ruolo dei campi elettromagnetici e dell'inquinamento per la nostra salute nell'era del 5G" tenutosi a Spezia lo scorso 23 febbraio, in molti mi hanno chiesto chiarimenti sulla parte della mia relazione relativa al rinvio alla Corte di Giustizia della UE per decidere la conformità al diritto comunitaria della normativa italiana che prevede criteri che vincolino la localizzazione delle antenne da telefonia mobile a livello comunale.
Il testo della decisione del Consiglio di Stato lo trovate QUI. Di seguito un breve commento alla ordinanza del Consiglio di Stato che ne ricostruisce sinteticamente gli aspetti principali.
I dubbi comprendono l’interpretazione della norma da parte della prevalente giurisprudenza (condivisa dal Collegio, e qui richiamata anche ai sensi e per gli effetti di cui al punto 17 delle raccomandazioni della Corte di giustizia), a tenore della quale è consentito agli enti territoriali - nell’ambito delle proprie e rispettive competenze - individuare criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile (anche espressi sotto forma di divieto) quali ad esempio il divieto di collocare antenne su specifici edifici (ospedali, case di cura ecc.) mentre non è loro consentito introdurre limitazioni alla localizzazione, consistenti in criteri distanziali generici ed eterogenei (prescrizione di distanze minime, da rispettare nell’installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all’esercizio degli impianti stessi, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione sui beni storico-artistici o individuati come edifici di pregio storico-architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi).
Va altresì evidenziato come il favor legislativo posto a fondamento della normativa in materia, estrinsecatosi nella richiamata disciplina in tema di formazione del c.d. silenzio assenso sulle istanze di installazione delle infrastrutture di comunicazione per impianti radiolelettrici nonché nell’utilizzo degli istituti della denuncia inizio attività e della segnalazione certificata di inizio attività, si scontri con l’orientamento che, in linea generale, limita l’operatività di tali meccanismi di semplificazione all’ipotesi in cui l'istanza sia dotata di tutte le condizioni ed i presupposti richiesti dalla legge per poter essere accolta (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. V, 17 gennaio 2019, n.428 e sez. IV, 5 settembre 2016, n. 3805). Nelle controversie sorte in merito alla regolamentazione del Comune di Roma, ad esempio, pur dinanzi al possibile decorso in fatto del termine di formazione dell’assenso, il contrasto con la previsione regolamentare limitativa, così inteso, impedirebbe a monte il consolidarsi del titolo all’installazione, nei termini legislativamente previsti. Tale orientamento, pare porsi in contrasto con le finalità di semplificazione delle procedure in materia ed il favor normativo sopra richiamato.
Il testo della decisione del Consiglio di Stato lo trovate QUI. Di seguito un breve commento alla ordinanza del Consiglio di Stato che ne ricostruisce sinteticamente gli aspetti principali.
La ordinanza del Consiglio di Stato ha per oggetto la coerenza
con norme UE su reti e servizi di comunicazione elettronica con quelle
nazionali sui Limiti alla localizzazione degli impianti di telefonia mobile.
In particolare la domanda pregiudizialeposta alla Corte di Giustizia è se il diritto dell’Unione
europea osti a una normativa nazionale, come quella di cui all’art. 8, comma 6,
l. 22 febbraio 2001, n. 36, intesa ed applicata nel senso di consentire alle
singole amministrazioni locali criteri localizzativi degli impianti di
telefonia mobile, anche espressi sotto forma di divieto, quali il divieto di
collocare antenne in determinate aree ovvero ad una determinata distanza da
edifici appartenenti ad una data tipologia direttive in materia di reti e
servizi di comunicazione elettronica.
Infatti, in ambito europeo, con riferimento alla disciplina applicabile ratione temporis e nelle more dell’entrata in vigore a fine 2020 delle nuove regole, pare assumere rilievo la disciplina contenuta nella direttiva quadro 7/3/2002, n. 2002/21/CE, invocata da parte appellante, nonché nella connessa direttiva n. 2002/22 (direttiva servizio universale) che istituiscono un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica nonché per il servizio universale ed i diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica. Assume altresì rilievo la direttiva 2002/20/Ce recante la disciplina delle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica, c.d. direttiva autorizzazioni.
Infatti, in ambito europeo, con riferimento alla disciplina applicabile ratione temporis e nelle more dell’entrata in vigore a fine 2020 delle nuove regole, pare assumere rilievo la disciplina contenuta nella direttiva quadro 7/3/2002, n. 2002/21/CE, invocata da parte appellante, nonché nella connessa direttiva n. 2002/22 (direttiva servizio universale) che istituiscono un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica nonché per il servizio universale ed i diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica. Assume altresì rilievo la direttiva 2002/20/Ce recante la disciplina delle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica, c.d. direttiva autorizzazioni.
I dubbi comprendono l’interpretazione della norma da parte della prevalente giurisprudenza (condivisa dal Collegio, e qui richiamata anche ai sensi e per gli effetti di cui al punto 17 delle raccomandazioni della Corte di giustizia), a tenore della quale è consentito agli enti territoriali - nell’ambito delle proprie e rispettive competenze - individuare criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile (anche espressi sotto forma di divieto) quali ad esempio il divieto di collocare antenne su specifici edifici (ospedali, case di cura ecc.) mentre non è loro consentito introdurre limitazioni alla localizzazione, consistenti in criteri distanziali generici ed eterogenei (prescrizione di distanze minime, da rispettare nell’installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all’esercizio degli impianti stessi, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione sui beni storico-artistici o individuati come edifici di pregio storico-architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi).
Va altresì evidenziato come il favor legislativo posto a fondamento della normativa in materia, estrinsecatosi nella richiamata disciplina in tema di formazione del c.d. silenzio assenso sulle istanze di installazione delle infrastrutture di comunicazione per impianti radiolelettrici nonché nell’utilizzo degli istituti della denuncia inizio attività e della segnalazione certificata di inizio attività, si scontri con l’orientamento che, in linea generale, limita l’operatività di tali meccanismi di semplificazione all’ipotesi in cui l'istanza sia dotata di tutte le condizioni ed i presupposti richiesti dalla legge per poter essere accolta (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. V, 17 gennaio 2019, n.428 e sez. IV, 5 settembre 2016, n. 3805). Nelle controversie sorte in merito alla regolamentazione del Comune di Roma, ad esempio, pur dinanzi al possibile decorso in fatto del termine di formazione dell’assenso, il contrasto con la previsione regolamentare limitativa, così inteso, impedirebbe a monte il consolidarsi del titolo all’installazione, nei termini legislativamente previsti. Tale orientamento, pare porsi in contrasto con le finalità di semplificazione delle procedure in materia ed il favor normativo sopra richiamato.
La necessità
di un bilanciamento riconosciuta dallo stesso Consiglio di Stato.
In materia è emersa, anche alla luce della disciplina di maggior dettaglio, la necessità di un bilanciamento fra opposte esigenze ed interessi primari.
In materia è emersa, anche alla luce della disciplina di maggior dettaglio, la necessità di un bilanciamento fra opposte esigenze ed interessi primari.
La disciplina europea ha contribuito a far emergere
un duplice elemento che, seppur già ricavabile dalle norme interne (a partire
dagli artt. 15 e 21 Cost.), appare di fondamentale importanza nel predetto
bilanciamento: il diritto all'informazione dei cittadini e quello del cittadino
di effettuare e ricevere chiamate telefoniche (e comunicazioni di dati) in ogni
luogo, senza, quindi, limitazioni di carattere spaziale-territoriale (cfr.
altresì art. 4 direttiva servizio universale). In tale diritto è ricompresa,
anche se come contenuto accessorio, la facoltà di poter chiamare gratuitamente
i numeri d'emergenza e in particolare il numero d'emergenza unico europeo a
partire da qualsiasi apparecchio telefonico (cfr. Direttiva servizio
universale, considerando 12) e di essere localizzati, anche senza comunicare,
in situazioni in cui fosse necessario per la tutela della propria vita o della
sicurezza anche altrui (considerando 36).
Per rendere effettivo tale diritto la disciplina europea ha imposto specifici obblighi a coloro i quali gestiscono i servizi, prevedendo che gli operatori del servizio universale mantengano l'integrità della rete, come pure la continuità e la qualità del servizio (considerando 14), in modo tale da assicurare l'effettività del diritto in capo a tutti gli utenti omogeneamente su tutto il territorio dell'Unione europea.
Per rendere effettivo tale diritto la disciplina europea ha imposto specifici obblighi a coloro i quali gestiscono i servizi, prevedendo che gli operatori del servizio universale mantengano l'integrità della rete, come pure la continuità e la qualità del servizio (considerando 14), in modo tale da assicurare l'effettività del diritto in capo a tutti gli utenti omogeneamente su tutto il territorio dell'Unione europea.
Sotto questo profilo, secondo una impostazione
dottrinale di origine europea, il diritto dell'utente a poter chiamare, essere
chiamato e trasmettere dati sempre e dovunque costituisce un diritto a soddisfazione
necessaria che non può essere compresso o limitato arbitrariamente né da
normazioni di livello statale né tantomeno da normazioni di livello inferiore
Tali diritti possono peraltro all’evidenza porsi in conflitto con quelli alla tutela dell'ambiente, della salute e del corretto assetto del territorio. Quelli appena richiamati danno vita ad interessi che, in materia, si muovono nella medesima direzione: la massimizzazione della tutela dell'ambiente esigerebbe che non vi fosse alcuna emissione elettromagnetica artificiale e pertanto nessun apparato/antenna idonea a produrlo; quella del corretto assetto del territorio che non vi fossero pali, tralicci o altre strutture più o meno impattanti; quella della salute imporrebbe, sulla scorta del principio di precauzione, di evitare qualsiasi tipo di emissione elettromagnetica in quanto potenzialmente dannosa.
In via astratta l’iter conflittuale in esame, oggetto di attenta ricostruzione a livello nazionale di riparto di competenza fra enti nella giurisprudenza costituzionale (nei termini con chiarezza espressi dalla Corte costituzionale, in specie a partire dalla sentenza 307 del 2003), è stato così efficacemente riassunto anche a livello dottrinale: posto che i dati scientifici attualmente a disposizione non dimostrano in modo certo che le emissioni elettromagnetiche siano dannose per la salute; posto che il principio di precauzione impone comunque di adottare ogni cautela in vista di danni ipoteticamente possibili, allora occorre definire i limiti oltre i quali, precauzionalmente, non sono legittime le emissioni.
Tali diritti possono peraltro all’evidenza porsi in conflitto con quelli alla tutela dell'ambiente, della salute e del corretto assetto del territorio. Quelli appena richiamati danno vita ad interessi che, in materia, si muovono nella medesima direzione: la massimizzazione della tutela dell'ambiente esigerebbe che non vi fosse alcuna emissione elettromagnetica artificiale e pertanto nessun apparato/antenna idonea a produrlo; quella del corretto assetto del territorio che non vi fossero pali, tralicci o altre strutture più o meno impattanti; quella della salute imporrebbe, sulla scorta del principio di precauzione, di evitare qualsiasi tipo di emissione elettromagnetica in quanto potenzialmente dannosa.
In via astratta l’iter conflittuale in esame, oggetto di attenta ricostruzione a livello nazionale di riparto di competenza fra enti nella giurisprudenza costituzionale (nei termini con chiarezza espressi dalla Corte costituzionale, in specie a partire dalla sentenza 307 del 2003), è stato così efficacemente riassunto anche a livello dottrinale: posto che i dati scientifici attualmente a disposizione non dimostrano in modo certo che le emissioni elettromagnetiche siano dannose per la salute; posto che il principio di precauzione impone comunque di adottare ogni cautela in vista di danni ipoteticamente possibili, allora occorre definire i limiti oltre i quali, precauzionalmente, non sono legittime le emissioni.
Tali limiti segnano la misura dell'incomprimibilità
del diritto alla salute. La massimizzazione del diritto alla comunicazione
troverebbe quindi in essi un primo confine invalicabile: le emissioni delle
antenne dovranno essere sempre inferiori ai limiti cautelativi posti sulla base
delle risultanze scientifiche anzidette. D'altra parte, dato che il diritto
alla comunicazione non può essere arbitrariamente e ingiustificatamente
compresso o limitato, le amministrazioni preposte al corretto governo del
territorio dovranno trovare le soluzioni che di volta in volta meglio
consentano il minor sacrificio dello stesso e, allo stesso tempo, la massima
tutela del diritto alla comunicazione.
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