giovedì 13 febbraio 2020

Intesa della Regione su centrale a gas spezzina: come funziona secondo la Corte Costituzionale


Sulla Intesa Governo Regione Liguria relativamente alla autorizzazione finale al progetto di centrale a gas, continuo a leggere e sentire dichiarazioni molto confuse soprattutto da un punto di vista normativo.
Da un lato chi sostiene la attuale giunta di centro destra in Regione tende a minimizzare il potere di Intesa della Regione in questa materia, dall’altro chi si oppone alla Giunta Regionale avanza affermazioni e iniziative con scarsi e contraddittori fondamenti giuridici.

Sul primo aspetto nel centro destra si sostiene che l’atto di Intesa della Regione è un mero parere tecnico con scarso peso  giuridico. Non è così l’Intesa ha un valore giuridico importante perché senza l’Intesa il Ministero per lo Sviluppo Economico non può chiudere il procedimento e quindi rilasciare la autorizzazione finale (successiva alle procedure ambientali: VIA ed AIA). Non solo ma la decisione sulla Intesa approvata con Delibera di Giunta Regionale e non con Determina Dirigenziale. Sia sufficiente l’esempio del diniego di Intesa da parte della Regione Liguria all’ampliamento del rigassificatore di Panigaglia. Quel diniego non fu deliberato come  un parere tecnico tanto meno come atto dirigenziale ma con una Delibera di Giunta Regionale (DGR 393 del 3 aprile 2009 - QUI). Poi quel progetto si fermò non solo per il diniego di Intesa della Regione ma anche perché la stessa Snam ed il Governo di allora decisero di non preseguire nell’iter di autorizzazione di quel progetto.

Su questo ultimo aspetto vengono in rilievo invece alcune prese di posizione del centro sinistra spezzino tutte fondate sull’assunto che l’Intesa se negata fermerebbe definitivamente il progetto di centrale a gas. Le cose non stanno così ma evidentemente la logica di usare il diritto come arma politica in questo Paese ha una lunga storia. Così l’ultima trovata uscita dall’ambito del centro sinistra spezzino è quella di un disegno di legge regionale di iniziativa popolare (strumento previsto dalla legge statutaria della Regione Liguria all’articolo 7).


LA PROPOSTA DI LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE SULLA INTESA STATO REGIONE SULLE CENTRALI A FONTI FOSSILI
La proposta di legge contiene un unico articolo che è il seguente: “Art. 1 – La Regione esclude, per tutto il territorio della Liguria,la possibilità di intesa di cui alla Legge 55/2002, nel caso di nuovo costruzioni, ristrutturazioni, riconversione , modifiche o ripotenziamenti di centali elettriche a combustibili fossili, laddove tali strutture produttive vengono previste o insistono all’interno di aree individuate dai Comuni come centro urbano o centro abitato nei rispettivi Piani Urbanistici Comunali o strumenti urbanistici generali comunque denominati, ovvero in ogni caso all’interno dei centri abitati così come previsti dalla Legge n°765/1967”.
Quindi la proposta di legge contiene una affermazione assoluta e definitiva di negazione della Intesa a prescindere da qualsiasi ulteriori passaggio istituzionale.
Peccato che non sia così.  non per la Corte Costituzionale, non  per la legge in vigore in materia (confermata dalle numerose sentenze della Corte Costituzionale).

Per fondare la loro proposta di legge i proponenti citano la legge 55/2002 (QUI) confermata da legge successiva  (legge 290/2003  QUI  - [NOTA 1] )
Queste leggi sono stato oggetto di sentenze della Corte Costituzionali anche e soprattutto proprio sulla interpretazione della efficacia giuridica della Intesa della Regione su progetti di impianti energetici per fonti fossili.
Analizziamo sinteticamente cosa ha deciso la Corte Costituzionale in queste sentenze…


SENTENZA CORTE COSTITUZIONALE N° 6 DEL 2004  (QUI)
La sentenza ha riconosciuto la legittimità costituzionale della legge 55/2002. Questa legge prevede che progetti come quello della centrale a gas siano autorizzati dal Ministero dello Sviluppo Economico previa intesa con la Conferenza Stato Regioni.
La Corte Costituzionale dichiarando la legittimità costituzionale di questa legge ha avuto modo di affermare che l’Intesa regionale  è una intesa forte, quindi se negata comporta che il Ministero dello Sviluppo Economico non possa rilasciare la autorizzazione finale.
Apparentemente se uno si limita a leggere questo passaggio della sentenza sembrerebbe che la negazione della Intesa abbia un valore assoluto nel bloccare qualsiasi progetto di impianto non voluto dalla Regione territorialmente interessata.
Ma la sentenza non si limita a fare la suddetta affermazione spiega anche  la natura giuridica del potere di Intesa riconosciuto alla Regione. Afferma la Corte Costituzionale: “le singole amministrazioni regionali - che si volessero attributarie delle potestà autorizzatorie contemplate dalla disciplina impugnata - sfuggirebbe la valutazione complessiva del fabbisogno nazionale di energia elettrica e l'autonoma capacità di assicurare il soddisfacimento di tale fabbisogno“. In altri termini già nel 2004 la Corte Costituzionale chiarisce che il potere di Intesa della Regione non può trasformarsi in una sorta di sostituzione del Ministero dello Sviluppo Economico nella decisione su autorizzare o meno una centrale termoelettrica superiore a i 300 MW. L’Intesa va quindi vista all’interno del principio di leale collaborazione Stato Regioni, come affermato da una sentenza successiva sempre della Corte Costituzionale e sempre sulla materia Intesa regionale su impianti e infrastrutture energetiche


SENTENZA CORTE COSTITUZIONALE 383/2005 (QUI)
La sentenza giudica il ricorso della Regione Toscana che ha impugnato un comma di un articolo della legge 239/2003 (già citato in precedenza) secondo il quale per le autorizzazioni delle centrali sopra i 300MW si applica la procedura della legge 55/2002. Come abbiamo visto la sentenza n° 6 del 2004 aveva dichiarato la legittimità della norma del 2002 proprio perché prevede l’Intesa con la Regione, ma la nuova sentenza del 2005 ha precisato che: “la chiamata in sussidiarietà da parte dello Stato dei poteri amministrativi di determinazione delle linee generali di sviluppo della rete di trasmissione nazionale dell'energia elettrica debba essere accompagnata dalla previsione di idonei moduli collaborativi nella forma dell'intesa in senso forte fra gli organi statali e la Conferenza unificata, rappresentativa dell'intera pluralità degli enti regionali e locali. Analogamente si deve ritenere per i poteri statali concernenti la determinazione dei criteri generali per le nuove concessioni di distribuzione dell'energia elettrica e per il rilascio delle autorizzazioni relative alle grandi centrali di produzione, per i quali non può essere ritenuto sufficiente il semplice parere della Conferenza unificata previsto dalla norma impugnata”.
In sostanza secondo la Corte Costituzionale il percorso che porta alla decisione sulla Intesa da parte della Regione deve essere ispirato al principio di collaborazione tra Stato e Regione e non  deve quindi essere visto come una sorta di potere di veto della Regione a priori vale a dire da decidere autonomamente senza alcun confronto con lo Stato.

Come deve essere esercitata questa collaborazione?
Lo spiega un'altra sentenza della Corte Costituzionale    

  
SENTENZA CORTE COSTITUZIONALE DEL 2019 N° 224 (QUI)
La sentenza chiarisce come l’Intesa debba essere esercitata in chiave collaborativa Stato-Regione. Afferma la sentenza: “La natura dell’intesa fa sì che l’eventuale diniego non possa mai avere carattere generale”, altrimenti si porrebbe in contrasto “con la ratio stessa del principio di leale collaborazione, che esige il rispetto, caso per caso, di una procedura articolata, nonché l’enunciazione dei motivi di un eventuale diniego, il quale non può risolversi in un mero rifiuto (in tal senso anche le sentenze n. 114 del 2017 e n. 142 del 2016); in assenza di tale enunciazione, infatti, sarebbe frustrata la stessa fase di trattative tesa a superare il dissenso regionale, di cui non sarebbero desumibili le ragioni. L’atto d’intesa, quindi, è il risultato di un apposito procedimento, che trova nella legge e nei principi costituzionali la sua disciplina e i suoi limiti.”
Aggiunge la Corte Costituzionale: “Com'é noto, infatti, nel rispetto della potestà  legislativa concorrente Stato-Regioni in materia energetica, la Regione non gode di un potere di veto sui progetti in materia di idrocarburi (e' richiamata, ex multis, la sentenza di questa Corte n. 131 del 2016). Nel caso di specie, invece, la ricorrente avrebbe abusato del potere attribuitole dalla legge, pretendendo illegittimamente di esercitare un potere di veto sul progetto (si richiama la sentenza di questa Corte n. 239 del 2013). Infatti, il fatto che la Regione abbia opposto un rifiuto aprioristico e non abbia compiuto alcuna attività volta al raggiungimento dell'intesa avrebbe reso di per sé illegittima la deliberazione della Giunta regionale n. 1528 del 2016, considerata altresì la mancanza, nella relativa motivazione, di adeguate evidenze circa il necessario previo esperimento delle trattative imposte dall'indole bilaterale dell'intesa”.

La  sentenza  sopra riportata fa riferimento alle funzioni statali in materia di  prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, ivi comprese le funzioni di polizia mineraria ma il principio vale ovviamente anche per le altre funzioni in materia energetica su cui è richiesta intesa con la regione in coerenza con le precedenti sentenze sopra citate.



AD ULTERIORE CONFERMA SI VEDA LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE  N° 117 DEL 2013 CHE DICHIARA INCOSTITUZIONALE UNA LEGGE REGIONALE CHE OBBLIGA IN MODO PREVENTIVO E ASSOLUTO A NEGARE L’INTESA IN MATERIA ENERGETICA
La sentenza ha giudicato la legittimità costituzionale dell’articolo 37 della legge regionale della Basilicata che affermava: “ Articolo 37 - Provvedimenti urgenti in materia di governo del territorio e per la riduzione del consumo di suolo. 1. La Regione Basilicata nell’esercizio delle proprie competenze in materia di governo del territorio ed al fine di assicurare processi di sviluppo sostenibile, a far data dall’entrata in vigore della presente norma non rilascerà l’intesa, prevista dall'art. 1, comma 7, lettera n) della legge 23 agosto 2004, n. 239, di cui all’accordo del 24 aprile 2001, al conferimento di nuovi titoli minerari per la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi”.
Quindi si tratta di una legge che impegna la Regione e negare l’Intesa a priori a prescindere da ogni processo/procedimento collaborativo con lo Stato e  senza neppure dover motivare tale diniego.
La sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima questa norma  regionale perché: “si pone in contrasto con la ratio stessa del principio di leale collaborazione, che esige il rispetto, caso per caso, di una procedura articolata, nonché l’enunciazione dei motivi di un eventuale diniego, il quale non può risolversi in un mero rifiuto (in tal senso anche le sentenze n. 114 del 2017 e n. 142 del 2016); in assenza di tale enunciazione, infatti, sarebbe frustrata la stessa fase di trattative tesa a superare il dissenso regionale, di cui non sarebbero“ desumibili le ragioni.”



MA NON FINISCE QUI: PERCHE' LA LEGGE STESSA STABILISCE (IN COERENZA CON LE SENTENZE SOPRA ESPOSTE) CHE DOPO IL DINIEGO DI INTESA DA PARTE DELLA REGIONE NON SI BLOCCHI TUTTO
Qui occorre leggere il comma 8-bis articolo 1 legge 239/2004 (QUI) “Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia” introdotto dall'art. 38, comma 1, legge n. 134 del 2012.
Questo comma afferma: “8-bis. Fatte salve le disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale, nel caso di mancata espressione da parte delle amministrazioni regionali degli atti di assenso o di intesa, comunque denominati, inerenti alle funzioni di cui ai commi 7 e 8 del presente articolo, entro il termine di centocinquanta giorni dalla richiesta nonché nel caso di mancata definizione dell’intesa di cui al comma 5 dell’articolo 52-quinquies del testo unico di cui al d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, e nei casi di cui all’articolo 3, comma 4, del decreto legislativo 1º giugno 2011, n. 93, il Ministero dello sviluppo economico invita le medesime a provvedere entro un termine non superiore a trenta giorni. In caso di ulteriore inerzia da parte delle amministrazioni regionali interessate lo stesso Ministero rimette gli atti alla Presidenza del Consiglio dei ministri, la quale, entro sessanta giorni dalla rimessione, provvede in merito con la partecipazione della regione interessata. Le disposizioni del presente comma si applicano anche ai procedimenti amministrativi in corso e sostituiscono il comma 6 del citato articolo 52-quinquies del testo unico di cui al d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327.”

Rilevo che il suddetto comma 8-bis fa riferimento alle funzioni di cui al comma 8 articolo 1 della legge 239/2004 tra le quali rientrano al punto 7: “7) la definizione dei criteri generali per le nuove concessioni di distribuzione dell'energia elettrica e per l'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio degli impianti di generazione di energia elettrica di potenza termica superiore ai 300 MW”. Questo punto è tutt’ora in vigore in quanto la sentenza della Corte Costituzionale n° 383 del 2005 ha dichiarato incostituzionale solo la parte in cui al posto della Intesa si prevedeva solo un mero parere della Conferenza Stato Regioni.

Insomma la legge è chiara, anche per le centrali termoelettriche sopra i 300 MW, se la Regione nega l’Intesa la questione va in Consiglio dei Ministri. Questo significa che la vecchia legge 55 del 2002 (citata all’inizio quando ho scritto della sentenza della Corte Costituzionale n° 6 del 2004) quando afferma la necessaria Intesa non vuole significare che se questa viene negata ogni decisione si ferma, ma piuttosto si avvia un confronto collaborativo tra Governo e Regione secondo le indicazioni delle sentenze della Corte Costituzionale sopra descritte.


LA PROPOSTA DI LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE PER BLOCCARE PREVENTIVAMENTE OGNI INTESA DELLA REGIONE LIGURIA SULLE CENTRALI TERMOELETTRICHE  FA RIFERIMENTO ALLE DESTINAZIONI URBANISTICHE DELL’AREA INTERESSATA DAL PROGETTO DI CENTRALE : LA CORTE COSTITUZIONALE HA CHIARITO ANCHE SU QUESTO PUNTO QUALI SONO I POTERI DI REGIONE ED ENTI LOCALI
La proposta di legge di iniziativa popolare afferma che l’Intesa è negata a priori se il progetto di centrale termoelettrica è previsto o insiste: “all’interno di aree individuate dai Comuni come centro urbano o centro abitato nei rispettivi Piani Urbanistici Comunali o strumenti urbanistici generali comunque denominati, ovvero in ogni caso all’interno dei centri abitati”

Sul punto la Corte Costituzionale n° 383 del 2005 afferma: “ L'ambito materiale cui ricondurre le competenze relative ad attività che presentano una diretta od indiretta rilevanza in termini di impatto territoriale, va ricercato non secondo il criterio dell'elemento materiale consistente nell'incidenza delle attività in questione sul territorio, bensì attraverso la valutazione dell'elemento funzionale, nel senso della individuazione degli interessi pubblici sottesi allo svolgimento di quelle attività, rispetto ai quali l'interesse riferibile al “governo del territorio” e le connesse competenze non possono assumere carattere di esclusività, dovendo armonizzarsi e coordinarsi con la disciplina posta a tutela di tali interessi differenziati.”
Insomma la destinazione urbanistica dell’area non è sufficiente per giustificare un no a priori alla Intesa da parte della Regione tanto più se deciso con una legge in termini assoluti e definitivi!


QUINDI COSA FARE ALLORA PER CAMBIARE ILPROGETTO DI CENTRALE A GAS CHE AD OGGI SI PRESENTA COME UNA NUOVA SERVITù ENERGETICA PER IL TERRITORIO SPEZZINO?
Nonostante il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pniec) affermi che le centrali a gas dovranno essere realizzate per la transizione al 2025 come ho spiegato più diffusamente QUI, restano due spazi non banali che i territori possono usare per trasformare progetti, che ad oggi sembrano solo nuove servitù energetiche (viste dal locale), in progetti territorio ambiente fondati non sulle fonti fossili

Il PNIEC prevede una attività di concertazione relativamente ai singoli siti 
Un elemento di novità significativo proprio in relazione ai siti dove sono previste chiusura di impianti a carbone lo troviamo a PAGINA 111 del PNIEC, dove si afferma: “Le valutazioni delle modifiche infrastrutturali eventualmente necessarie ai fini della concreta attuazione del phase out del carbone dalla produzione elettrica si baseranno sul confronto in appositi tavoli settoriali (per zone di mercato elettrico, per singolo sito e specifico per la Sardegna), con gli operatori, le autonomie locali, Terna, le parti sociali e le associazioni ambientaliste e di categoria. I tavoli hanno lo scopo di valutare le condizioni tecniche e normative, le infrastrutture necessarie, nonché le modalità di salvaguardia dell’occupazione (per la quale sono state stanziate apposite risorse)”.

Fondo tutela occupazione per territori con centrali a carbone da dismettere: priorità a riconversione con fonti non fossili
Infine il PNIEC prevede che: “ Dal punto di vista normativo, mediante il Decreto Legge 101 del 3 settembre 2019 si è stabilito che la quota eccedente i 1.000 mln€ dei proventi derivanti dalle aste di allocazione delle quote EU ETS, per un ammontare massimo di 20 mln€ annui, dal 2020 al 2024 è indirizzata al “Fondo per la riconversione occupazionale nei territori in cui sono ubicate centrali a carbone” da istituire presso il Ministero dello Sviluppo Economico.”
Si tratta del Fondo che sarà finanziato da quanto previsto dall’articolo 13 della Legge 128/2019 (conversione Decreto Legge 101/2019 - QUI) che ha  modificato l’articolo 19 DLgs 30/2013 (attuazione Direttiva 2003/87/CE sullo scambio quote di emissione gas serra). L’articolo in questione prevede che la  quota  annua  dei  proventi  derivanti  dalle  aste, eccedente il valore di 1000 milioni di euro, è destinata, nella misura massima di 100 milioni di euro per il 2020 e di 150 milioni di euro annui a decorrere dal 2021, al Fondo per la transizione energetica nel settore industriale,  per finanziare interventi  di  decarbonizzazione e di efficientamento energetico del settore industriale e, per  una  quota fino ad un massimo di 20 milioni di euro annui per gli anni dal  2020 al 2024, al "Fondo per la riconversione occupazionale  nei  territori in cui sono ubicate centrali a carbone"  da istituire presso il Ministero  dello sviluppo  economico,  con  decreto adottato entro novanta  giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione dal Ministro dello sviluppo  economico.
In particolare detto articolo 13 della legge 128/2019 istituendo il Fondo per la transizione energetica nel  settore  industriale", prevede che per l’utilizzo delle risorse ivi previste sia data priorità a interventi di riconversione sostenibili,  caratterizzati  da processi di decarbonizzazione  che escludono l'utilizzo di ulteriori combustibili fossili diversi dal carbone.



CONCLUSIONI
Quanto sopra conferma che occorre evitare scorciatoie normative (di dubbia costituzionalità) e utilizzare gli spazi veri che anche la normativa riconosce al livello regionale e locale. Certo tutto questo conferma la necessità di far uscire la vertenza sul progetto di centrale a gas spezzino dalle ristrette visioni della polemica politica locale. Ci riusciranno i nostri rappresentanti locali ?


P.S.  ATTENZIONE! 
A COLORO CHE CERCANO SOLUZIONI FORZATE SOTTO IL PROFILO NORMATIVO VOGLIO ALTRESì RICORDARE CHE LA CORTE COSTITUZIONALE HA RICONOSCIUTO LA LEGITTIMITà COSTITUZIONALE DI UNA NORMATIVA CHE PERMETTA ALLO STATO DI DEROGARE AI LIMITI DI EMISSIONI   TEMPORANEAMENTE PER RAGIONI DI SICUREZZA DEL SISTEMA ELETTRICO
Si tratta di una sentenza già esaminata sopra per motivi diversi e cioè la sentenza n° 383 del 2005.
Al punto 17 delle motivazioni leggete cosa afferma questa sentenza:  I previsti poteri di deroga temporanei ineriscono, contrariamente a quanto ritiene la ricorrente, alla materia della “tutela dell'ambiente” di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., con la conseguenza che la loro previsione e la loro disciplina spettano alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, senza che ricorra la necessità di quegli specifici meccanismi di collaborazione con le Regioni che questa Corte ha ritenuto indispensabili nelle ipotesi della “chiamata in sussidiarietà” cui si è fatto riferimento nel precedente par. 15. Quanto poi alla concreta allocazione in capo ad organi statali dei poteri di deroga contemplati dalle norme impugnate, va osservato che i citati poteri risultano indissolubilmente connessi con il potere principale attribuito al Ministro di autorizzare «l'esercizio temporaneo di singole centrali termoelettriche di potenza superiore a 300 MW» per le finalità di «garantire la sicurezza di funzionamento del sistema elettrico nazionale, assicurando la produzione in misura necessaria alla copertura del fabbisogno nazionale». Anche sulla base di quanto già rilevato nella sentenza n. 6 del 2004, risulta pertanto non implausibile l'attribuzione di tali poteri ad organi statali ad opera delle norme impugnate. Starà poi al normale ed opportuno coordinamento fra le diverse istituzioni che sono chiamate ad operare nei medesimi settori, pur nella diversità delle rispettive competenze, la creazione di idonei strumenti di reciproca informazione, in questo caso fra Ministero e Regione interessata.”






[NOTA 1] Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica. Deleghe al Governo in materia di remunerazione della capacità produttiva di energia elettrica e di espropriazione per pubblica utilità


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