Sulla Intesa Governo
Regione Liguria relativamente alla autorizzazione finale al progetto di
centrale a gas, continuo a leggere e sentire dichiarazioni molto confuse
soprattutto da un punto di vista normativo.
Da un lato chi sostiene la
attuale giunta di centro destra in Regione tende a minimizzare il potere di
Intesa della Regione in questa materia, dall’altro chi si oppone alla Giunta
Regionale avanza affermazioni e iniziative con scarsi e contraddittori fondamenti
giuridici.
Sul primo aspetto nel
centro destra si sostiene che l’atto di Intesa della Regione è un mero parere
tecnico con scarso peso giuridico. Non è
così l’Intesa ha un valore giuridico importante perché senza l’Intesa il Ministero
per lo Sviluppo Economico non può chiudere il procedimento e quindi rilasciare
la autorizzazione finale (successiva alle procedure ambientali: VIA ed AIA).
Non solo ma la decisione sulla Intesa approvata con Delibera di Giunta
Regionale e non con Determina Dirigenziale. Sia sufficiente l’esempio del
diniego di Intesa da parte della Regione Liguria all’ampliamento del
rigassificatore di Panigaglia. Quel diniego non fu deliberato
come un parere tecnico tanto meno come atto dirigenziale ma con una
Delibera di Giunta Regionale (DGR 393 del 3 aprile 2009 - QUI). Poi quel progetto si fermò non solo per il diniego
di Intesa della Regione ma anche perché la stessa Snam ed il Governo di allora
decisero di non preseguire nell’iter di autorizzazione di quel progetto.
Su questo ultimo aspetto
vengono in rilievo invece alcune prese di posizione del centro sinistra
spezzino tutte fondate sull’assunto che l’Intesa se negata fermerebbe
definitivamente il progetto di centrale a gas. Le cose non stanno così ma
evidentemente la logica di usare il diritto come arma politica in questo Paese
ha una lunga storia. Così l’ultima trovata uscita dall’ambito del centro
sinistra spezzino è quella di un disegno di legge regionale di iniziativa
popolare (strumento previsto dalla legge statutaria della Regione Liguria
all’articolo 7).
LA PROPOSTA DI LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE SULLA
INTESA STATO REGIONE SULLE CENTRALI A FONTI FOSSILI
La proposta di legge
contiene un unico articolo che è il seguente: “Art. 1 – La Regione esclude, per tutto il territorio della Liguria,la
possibilità di intesa di cui alla Legge 55/2002, nel caso di nuovo costruzioni,
ristrutturazioni, riconversione , modifiche o ripotenziamenti di centali
elettriche a combustibili fossili, laddove tali strutture produttive vengono
previste o insistono all’interno di aree individuate dai Comuni come centro
urbano o centro abitato nei rispettivi Piani Urbanistici Comunali o strumenti
urbanistici generali comunque denominati, ovvero in ogni caso all’interno dei
centri abitati così come previsti dalla Legge n°765/1967”.
Quindi la proposta di legge contiene una affermazione
assoluta e definitiva di negazione della Intesa a prescindere da qualsiasi
ulteriori passaggio istituzionale.
Peccato che non sia così. non per la
Corte Costituzionale, non per la legge in
vigore in materia (confermata dalle numerose sentenze della Corte
Costituzionale).
Per fondare la loro
proposta di legge i proponenti citano la legge 55/2002 (QUI)
confermata da legge successiva (legge
290/2003 QUI - [NOTA 1] )
Queste leggi sono stato
oggetto di sentenze della Corte Costituzionali anche e soprattutto proprio
sulla interpretazione della efficacia giuridica della Intesa della Regione su
progetti di impianti energetici per fonti fossili.
Analizziamo sinteticamente
cosa ha deciso la Corte Costituzionale in queste sentenze…
La sentenza ha
riconosciuto la legittimità costituzionale della legge 55/2002. Questa legge
prevede che progetti come quello della centrale a gas siano autorizzati dal
Ministero dello Sviluppo Economico previa intesa con la Conferenza Stato
Regioni.
La Corte Costituzionale
dichiarando la legittimità costituzionale di questa legge ha avuto modo di
affermare che l’Intesa regionale è una
intesa forte, quindi se negata comporta che il Ministero dello Sviluppo
Economico non possa rilasciare la autorizzazione finale.
Apparentemente se uno si
limita a leggere questo passaggio della sentenza sembrerebbe che la negazione
della Intesa abbia un valore assoluto nel bloccare qualsiasi progetto di
impianto non voluto dalla Regione territorialmente interessata.
Ma la sentenza non si
limita a fare la suddetta affermazione spiega anche la natura giuridica del potere di Intesa
riconosciuto alla Regione. Afferma la Corte Costituzionale: “le singole amministrazioni regionali - che
si volessero attributarie delle potestà autorizzatorie contemplate dalla
disciplina impugnata - sfuggirebbe la valutazione complessiva del fabbisogno
nazionale di energia elettrica e l'autonoma capacità di assicurare il
soddisfacimento di tale fabbisogno“. In altri termini già nel 2004 la Corte
Costituzionale chiarisce che il potere di Intesa della Regione non può
trasformarsi in una sorta di sostituzione del Ministero dello Sviluppo
Economico nella decisione su autorizzare o meno una centrale termoelettrica
superiore a i 300 MW. L’Intesa va quindi vista all’interno del principio di
leale collaborazione Stato Regioni, come affermato da una sentenza successiva
sempre della Corte Costituzionale e sempre sulla materia Intesa regionale su
impianti e infrastrutture energetiche
La sentenza giudica il
ricorso della Regione Toscana che ha impugnato un comma di un articolo della
legge 239/2003 (già citato in precedenza) secondo il quale per le autorizzazioni
delle centrali sopra i 300MW si applica la procedura della legge 55/2002. Come
abbiamo visto la sentenza n° 6 del 2004 aveva dichiarato la legittimità della
norma del 2002 proprio perché prevede l’Intesa con la Regione, ma la nuova
sentenza del 2005 ha precisato che: “la chiamata in sussidiarietà da parte
dello Stato dei poteri amministrativi di determinazione
delle linee generali di sviluppo della rete di trasmissione nazionale
dell'energia elettrica debba essere accompagnata dalla previsione di idonei
moduli collaborativi nella forma dell'intesa in senso forte fra gli organi
statali e la Conferenza unificata, rappresentativa dell'intera pluralità degli
enti regionali e locali. Analogamente si deve ritenere per i poteri statali
concernenti la determinazione dei criteri generali per le nuove concessioni di
distribuzione dell'energia elettrica e per il rilascio delle autorizzazioni
relative alle grandi centrali di produzione, per i quali non può essere
ritenuto sufficiente il semplice parere della Conferenza unificata previsto
dalla norma impugnata”.
In sostanza secondo la
Corte Costituzionale il percorso che porta alla decisione sulla Intesa da parte
della Regione deve essere ispirato al principio di collaborazione tra Stato e
Regione e non deve quindi essere visto
come una sorta di potere di veto della Regione a priori vale a dire da decidere
autonomamente senza alcun confronto con lo Stato.
Come deve essere
esercitata questa collaborazione?
Lo spiega un'altra sentenza
della Corte Costituzionale
SENTENZA CORTE COSTITUZIONALE DEL 2019 N°
224 (QUI)
La sentenza chiarisce come
l’Intesa debba essere esercitata in chiave collaborativa Stato-Regione. Afferma
la sentenza: “La natura dell’intesa fa sì
che l’eventuale diniego non possa mai avere carattere generale”, altrimenti
si porrebbe in contrasto “con la ratio stessa
del principio di leale collaborazione, che esige il rispetto, caso per caso, di
una procedura articolata, nonché l’enunciazione dei motivi di un eventuale
diniego, il quale non può risolversi in un mero rifiuto (in tal senso anche le
sentenze n. 114 del 2017 e n. 142 del 2016); in assenza di tale enunciazione,
infatti, sarebbe frustrata la stessa fase di trattative tesa a superare il
dissenso regionale, di cui non sarebbero desumibili le ragioni. L’atto
d’intesa, quindi, è il risultato di un apposito procedimento, che trova nella
legge e nei principi costituzionali la sua disciplina e i suoi limiti.”
Aggiunge la Corte
Costituzionale: “Com'é noto, infatti,
nel rispetto della potestà legislativa
concorrente Stato-Regioni in materia energetica, la Regione non gode di un
potere di veto sui progetti in materia di idrocarburi (e' richiamata, ex
multis, la sentenza di questa Corte n. 131 del 2016). Nel caso di specie,
invece, la ricorrente avrebbe abusato del potere attribuitole dalla legge,
pretendendo illegittimamente di esercitare un potere di veto sul progetto (si
richiama la sentenza di questa Corte n. 239 del 2013). Infatti, il fatto che la
Regione abbia opposto un rifiuto aprioristico e non abbia compiuto alcuna
attività volta al raggiungimento dell'intesa avrebbe reso di per sé illegittima
la deliberazione della Giunta regionale n. 1528 del 2016, considerata altresì
la mancanza, nella relativa motivazione, di adeguate evidenze circa il
necessario previo esperimento delle trattative imposte dall'indole bilaterale
dell'intesa”.
La sentenza sopra riportata fa riferimento alle funzioni
statali in materia di prospezione,
ricerca e coltivazione di idrocarburi, ivi comprese le funzioni di polizia
mineraria ma il principio vale ovviamente anche per le altre funzioni in
materia energetica su cui è richiesta intesa con la regione in coerenza con le
precedenti sentenze sopra citate.
AD ULTERIORE CONFERMA SI VEDA LA SENTENZA
DELLA CORTE COSTITUZIONALE N° 117 DEL
2013 CHE DICHIARA INCOSTITUZIONALE UNA LEGGE REGIONALE CHE OBBLIGA IN MODO
PREVENTIVO E ASSOLUTO A NEGARE L’INTESA IN MATERIA ENERGETICA
La sentenza ha giudicato la legittimità costituzionale dell’articolo 37
della legge regionale della Basilicata che affermava: “ Articolo 37 - Provvedimenti
urgenti in materia di governo del territorio e per la riduzione del consumo di
suolo. 1. La Regione Basilicata nell’esercizio delle proprie competenze in
materia di governo del territorio ed al fine di assicurare processi di sviluppo
sostenibile, a far data dall’entrata in vigore della presente norma non
rilascerà l’intesa, prevista dall'art. 1, comma 7, lettera n) della legge
23 agosto 2004, n. 239, di cui all’accordo del 24 aprile 2001, al conferimento
di nuovi titoli minerari per la prospezione, ricerca e coltivazione di
idrocarburi liquidi e gassosi”.
Quindi si tratta di una legge che impegna la Regione e
negare l’Intesa a priori a prescindere da ogni processo/procedimento
collaborativo con lo Stato e senza
neppure dover motivare tale diniego.
La sentenza della Corte
Costituzionale ha dichiarato illegittima questa norma regionale perché: “si
pone in contrasto con la ratio stessa del principio di leale collaborazione,
che esige il rispetto, caso per caso, di una procedura articolata, nonché
l’enunciazione dei motivi di un eventuale diniego, il quale non può risolversi
in un mero rifiuto (in tal senso anche le sentenze n. 114 del 2017 e n. 142 del
2016); in assenza di tale enunciazione, infatti, sarebbe frustrata la stessa
fase di trattative tesa a superare il dissenso regionale, di cui non sarebbero“
desumibili le ragioni.”
MA NON FINISCE QUI: PERCHE' LA LEGGE STESSA STABILISCE
(IN COERENZA CON LE SENTENZE SOPRA ESPOSTE) CHE DOPO IL DINIEGO DI INTESA DA
PARTE DELLA REGIONE NON SI BLOCCHI TUTTO
Qui occorre leggere il
comma 8-bis articolo 1 legge 239/2004 (QUI) “Riordino del settore energetico,
nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia
di energia” introdotto dall'art. 38, comma 1, legge n. 134 del 2012.
Questo comma afferma: “8-bis. Fatte salve le disposizioni in
materia di valutazione di impatto ambientale, nel caso di mancata espressione
da parte delle amministrazioni regionali degli atti di assenso o di intesa,
comunque denominati, inerenti alle funzioni di cui ai commi 7 e 8 del presente
articolo, entro il termine di centocinquanta giorni dalla richiesta nonché nel caso
di mancata definizione dell’intesa di cui al comma 5 dell’articolo
52-quinquies del testo unico di cui al d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, e nei casi
di cui all’articolo 3, comma 4, del decreto legislativo 1º giugno 2011, n. 93,
il Ministero dello sviluppo economico invita le medesime a provvedere entro un
termine non superiore a trenta giorni. In caso di ulteriore inerzia da parte
delle amministrazioni regionali interessate lo stesso Ministero rimette gli
atti alla Presidenza del Consiglio dei ministri, la quale, entro sessanta
giorni dalla rimessione, provvede in merito con la partecipazione della regione
interessata. Le disposizioni del presente comma si applicano anche ai
procedimenti amministrativi in corso e sostituiscono il comma 6 del
citato articolo 52-quinquies del testo unico di cui al d.P.R. 8 giugno
2001, n. 327.”
Rilevo che il suddetto
comma 8-bis fa riferimento alle funzioni di cui al comma 8 articolo 1 della legge
239/2004 tra le quali rientrano al punto 7: “7) la definizione dei criteri
generali per le nuove concessioni di distribuzione dell'energia elettrica e per
l'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio degli impianti di generazione
di energia elettrica di potenza termica superiore ai 300 MW”. Questo punto è
tutt’ora in vigore in quanto la sentenza della Corte Costituzionale n° 383 del
2005 ha dichiarato incostituzionale solo la parte in cui al posto della Intesa
si prevedeva solo un mero parere della Conferenza Stato Regioni.
Insomma la legge è chiara,
anche per le centrali termoelettriche sopra i 300 MW, se la Regione nega l’Intesa
la questione va in Consiglio dei Ministri. Questo significa che la vecchia
legge 55 del 2002 (citata all’inizio quando ho scritto della sentenza della
Corte Costituzionale n° 6 del 2004) quando afferma la necessaria Intesa non
vuole significare che se questa viene negata ogni decisione si ferma, ma
piuttosto si avvia un confronto collaborativo tra Governo e Regione secondo le
indicazioni delle sentenze della Corte Costituzionale sopra descritte.
LA PROPOSTA DI LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE
PER BLOCCARE PREVENTIVAMENTE OGNI INTESA DELLA REGIONE LIGURIA SULLE CENTRALI
TERMOELETTRICHE FA RIFERIMENTO ALLE
DESTINAZIONI URBANISTICHE DELL’AREA INTERESSATA DAL PROGETTO DI CENTRALE : LA
CORTE COSTITUZIONALE HA CHIARITO ANCHE SU QUESTO PUNTO QUALI SONO I POTERI DI
REGIONE ED ENTI LOCALI
La proposta di legge di iniziativa popolare afferma che l’Intesa è negata a priori se il progetto
di centrale termoelettrica è previsto o insiste: “all’interno di aree individuate dai Comuni come centro urbano o centro
abitato nei rispettivi Piani Urbanistici Comunali o strumenti urbanistici
generali comunque denominati, ovvero in ogni caso all’interno dei centri
abitati”
Sul punto la Corte Costituzionale n° 383 del 2005 afferma: “ L'ambito
materiale cui ricondurre le competenze relative ad attività che presentano una
diretta od indiretta rilevanza in termini di impatto territoriale, va ricercato
non secondo il criterio dell'elemento materiale consistente nell'incidenza
delle attività in questione sul territorio, bensì attraverso la valutazione
dell'elemento funzionale, nel senso della individuazione degli interessi
pubblici sottesi allo svolgimento di quelle attività, rispetto ai quali
l'interesse riferibile al “governo del territorio” e le connesse competenze non
possono assumere carattere di esclusività, dovendo armonizzarsi e coordinarsi
con la disciplina posta a tutela di tali interessi differenziati.”
Insomma la destinazione urbanistica
dell’area non è sufficiente per giustificare un no a priori alla Intesa da
parte della Regione tanto più se deciso con una legge in termini assoluti e
definitivi!
QUINDI COSA FARE ALLORA PER CAMBIARE
ILPROGETTO DI CENTRALE A GAS CHE AD OGGI SI PRESENTA COME UNA NUOVA SERVITù
ENERGETICA PER IL TERRITORIO SPEZZINO?
Nonostante il Piano Nazionale
Integrato Energia e Clima (Pniec) affermi che le centrali a gas dovranno essere
realizzate per la transizione al 2025 come ho spiegato più diffusamente QUI,
restano due spazi non banali che i territori possono usare per trasformare
progetti, che ad oggi sembrano solo nuove servitù energetiche (viste dal
locale), in progetti territorio ambiente fondati non sulle fonti fossili
Il PNIEC prevede una attività di concertazione
relativamente ai singoli siti
Un elemento di novità
significativo proprio in relazione ai siti dove sono previste chiusura di
impianti a carbone lo troviamo a PAGINA 111 del PNIEC, dove si afferma: “Le
valutazioni delle modifiche infrastrutturali eventualmente necessarie ai fini
della concreta attuazione del phase out del carbone dalla produzione elettrica
si baseranno sul confronto in appositi tavoli settoriali (per zone di mercato
elettrico, per singolo sito e specifico per la Sardegna), con gli operatori, le
autonomie locali, Terna, le parti sociali e le associazioni ambientaliste e di
categoria. I tavoli hanno lo scopo di valutare le condizioni tecniche e
normative, le infrastrutture necessarie, nonché le modalità di salvaguardia
dell’occupazione (per la quale sono state stanziate apposite risorse)”.
Fondo tutela occupazione per territori con centrali a
carbone da dismettere: priorità a riconversione con fonti non fossili
Infine il PNIEC prevede
che: “ Dal punto di vista normativo,
mediante il Decreto Legge 101 del 3 settembre 2019 si è stabilito che la quota
eccedente i 1.000 mln€ dei proventi derivanti dalle aste di allocazione delle
quote EU ETS, per un ammontare massimo di 20 mln€ annui, dal 2020 al 2024 è
indirizzata al “Fondo per la riconversione occupazionale nei territori in cui
sono ubicate centrali a carbone” da istituire presso il Ministero dello
Sviluppo Economico.”
Si tratta del Fondo che
sarà finanziato da quanto previsto dall’articolo 13 della Legge 128/2019 (conversione
Decreto Legge 101/2019 - QUI)
che ha modificato l’articolo 19 DLgs 30/2013 (attuazione Direttiva
2003/87/CE sullo scambio quote di emissione gas serra). L’articolo in questione
prevede che la quota annua dei proventi derivanti dalle aste,
eccedente il valore di 1000
milioni di euro, è destinata, nella
misura massima di 100 milioni di euro per il 2020 e di 150 milioni di euro
annui a decorrere dal 2021, al Fondo per la transizione energetica nel settore
industriale, per finanziare
interventi di decarbonizzazione e di efficientamento
energetico del settore industriale e, per una quota
fino ad un massimo di 20 milioni di euro annui per gli anni dal 2020
al 2024, al "Fondo per la riconversione occupazionale nei territori
in cui sono ubicate centrali a carbone" da istituire presso il
Ministero dello sviluppo economico,
con decreto adottato entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente
disposizione dal Ministro dello sviluppo economico.
In particolare detto
articolo 13 della legge 128/2019 istituendo il Fondo per la transizione
energetica nel settore industriale", prevede che per
l’utilizzo delle risorse ivi previste sia data priorità a interventi
di riconversione sostenibili, caratterizzati da processi di decarbonizzazione che escludono l'utilizzo
di ulteriori combustibili fossili diversi dal carbone.
CONCLUSIONI
Quanto sopra conferma che
occorre evitare scorciatoie normative (di dubbia costituzionalità) e utilizzare
gli spazi veri che anche la normativa riconosce al livello regionale e locale. Certo
tutto questo conferma la necessità di far uscire la vertenza sul progetto di
centrale a gas spezzino dalle ristrette visioni della polemica politica locale.
Ci riusciranno i nostri rappresentanti locali ?
P.S. ATTENZIONE!
A
COLORO CHE CERCANO SOLUZIONI FORZATE SOTTO IL PROFILO NORMATIVO VOGLIO ALTRESì
RICORDARE CHE LA CORTE COSTITUZIONALE HA RICONOSCIUTO LA LEGITTIMITà
COSTITUZIONALE DI UNA NORMATIVA CHE PERMETTA ALLO STATO DI DEROGARE AI LIMITI
DI EMISSIONI TEMPORANEAMENTE PER RAGIONI DI SICUREZZA DEL
SISTEMA ELETTRICO
Si tratta di una sentenza
già esaminata sopra per motivi diversi e cioè la sentenza n° 383 del 2005.
Al punto 17 delle
motivazioni leggete cosa afferma questa sentenza: “I
previsti poteri di deroga temporanei ineriscono, contrariamente a quanto
ritiene la ricorrente, alla materia della “tutela dell'ambiente” di cui
all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., con la conseguenza che la loro previsione e la loro
disciplina spettano alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, senza che
ricorra la necessità di quegli specifici meccanismi di collaborazione con le
Regioni che questa Corte ha ritenuto indispensabili nelle ipotesi della
“chiamata in sussidiarietà” cui si è fatto riferimento nel precedente par. 15.
Quanto poi alla concreta allocazione in capo ad organi statali dei poteri di
deroga contemplati dalle norme impugnate, va osservato che i citati poteri risultano
indissolubilmente connessi con il potere principale attribuito al Ministro di
autorizzare «l'esercizio temporaneo di singole centrali termoelettriche di
potenza superiore a 300 MW» per le finalità di «garantire la sicurezza di
funzionamento del sistema elettrico nazionale, assicurando la produzione in
misura necessaria alla copertura del fabbisogno nazionale». Anche sulla
base di quanto già rilevato nella sentenza n. 6 del 2004, risulta pertanto non
implausibile l'attribuzione di tali poteri ad organi statali ad opera delle
norme impugnate. Starà poi al normale ed opportuno coordinamento fra le diverse
istituzioni che sono chiamate ad operare nei medesimi settori, pur nella
diversità delle rispettive competenze, la creazione di idonei strumenti di
reciproca informazione, in questo caso fra Ministero e Regione interessata.”
[NOTA 1] Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo
del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia
elettrica. Deleghe al Governo in materia di remunerazione della capacità
produttiva di energia elettrica e di espropriazione per pubblica utilità
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