Sentenza del Consiglio di Stato n° 305 del 10 gennaio 2023 (QUI) che interviene su una sentenza in primo grado e successivo appello relativamente alla controversia che vede l’annullamento di una autorizzazione integrata ambientale (AIA) ad un impianto di recupero rifiuti inerti che trattava anche scorie e ceneri senza avere per questa attività una AIA.
In termini più generali la sentenza afferma che in un impianto o attività assoggettata o assoggettabile ad AIA quest’ultima
assorbe anche le attività che prese separatamente non sarebbero assoggettabili
ad AIA.
La ditta appellante sostiene
che in realtà la attività di recupero inerti era legittima quindi non doveva
essere annullata l’AIA per tutta l’attività sia quella per inerti che quella
per scorie e ceneri.
Secondo il Consiglio di
Stato invece le disposizioni sono chiare in proposito e sorreggono la tesi dell’amministrazione
che ha annullato l’AIA e quindi fermato l’intera attività non solo quella
relativa alle scorie e ceneri. Infatti, l’attività IPPC descritta all’allegato
VIII punto 5.3 lett. b) DLgs 152/2006 (QUI) si riferisce a: “b) Il recupero, o una
combinazione di recupero e smaltimento, di rifiuti non pericolosi, con una
capacità superiore a 75 Mg. al giorno, che comportano il ricorso ad una o più
delle seguenti attività ed escluse le attività di trattamento delle acque
reflue urbane, disciplinate al paragrafo 1.1 dell'Allegato 5 alla Parte Terza:
(…) 3) trattamento di scorie e ceneri;”.
Ne consegue che tutta
l’attività di recupero rifiuti non pericolosi per la produzione di inerti per
l’edilizia nel suo complesso costituisce attività IPPC, poiché comporta il
trattamento di scorie e ceneri.
In presenza di un chiaro
dettato normativo non sussiste alcun difetto di motivazione del provvedimento
che su di esso si è basato.
Precisa
ulteriormente la sentenza del Consiglio di Stato che il titolo legittimante per
il recupero degli inerti non IPPC e per il trattamento delle scorie e delle
ceneri pesanti è sempre stato unitario poiché unitario è il processo produttivo
relativo al recupero degli inerti descritto e autorizzato dall’A.I.A. del 2013
e confermato dall’A.I.A. del 2018 dell’attività oggetto della sentenza.
Pertanto,
il titolo autorizzativo unico non può essere scisso ed essere ritenuto valido
solo per la parte di attività di recupero degli inerti non IPPC, poiché ciò
implicherebbe l’autorizzazione alla prosecuzione di un processo produttivo
differente rispetto a quello autorizzato dall’amministrazione con l’A.I.A.
Il
Consiglio di Stato a supporto ulteriore della suddetta tesi cita la
giurisprudenza della parte penale della controversia in oggetto. In particolare
la Corte di cassazione nella pronuncia n. 38753 del 21 agosto 2008 aveva affermato
che le specifiche finalità di prevenzione e riduzione dell’inquinamento
perseguite dal legislatore con il d.lgs. n. 46 del 2014 “impongono una
rigorosa e restrittiva interpretazione, tale da non vanificare gli effetti di
questa particolare disciplina e che, pare quasi superfluo precisarlo, non può
prescindere da una altrettanto rigorosa disamina dei contenuti del titolo
abilitativo e della corrispondenza fra quanto autorizzato e le condizioni
effettive di svolgimento dell’attività, senza che tale verifica possa
arrestarsi di fronte alla mera disponibilità dell’autorizzazione.”.
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