Di seguito troverete una sintesi delle criticità più
significative emerse dalla Relazione. Nella seconda parte invece troverete una
ricostruzione ragionata delle parti principali della Relazione avendo sempre
come riferimento la normativa europea in materia.
SINTESI DELLE CRITICITÀ EMERSE DALLA RELAZIONE DELLA CORTE DEI CONTI UE
1. Le norme dell’UE in materia di inquinamento provocato
dalle navi stanno migliorando, ma che la loro attuazione e applicazione
presentavano debolezze e che i dati erano insufficienti per misurare i
risultati. Gli Stati membri spesso non hanno raggiunto le rispettive
percentuali-obiettivo obbligatorie per le ispezioni delle navi.
2. L’Agenzia europea per la sicurezza marittima ha
fornito agli Stati membri strumenti utili per contrastare l’inquinamento
provocato dalle navi, ma gli Stati membri non ne hanno sfruttato appieno il
potenziale.
3. Restano grossi limiti nel monitoraggio
dell’inquinamento provocato dalle navi, in particolare nel collegare la
contaminazione e i rifiuti marini alla rispettiva fonte.
4. La Corte e la Commissione non dispongono una visione
d’insieme dei risultati ottenuti né delle modalità con i fondi UE in materia e
su come possono essere utilizzati su scala più ampia.
5. Le perdite di container in mare continuano ad essere
significative. Le perdite sono ancora più gravi vista la non corretta
dichiarazione dei carichi di merci pericolose dimostrata da vari studi citati
dalla Relazione ma anche precedenti. Ovviamente i container recuperati corrispondono
a percentuali di qualche punto.
6. I container persi in mare, sottolinea la Relazione,
possono produrre dispersione di pellet in plastica. Detti pellet costituiscono
la terza principale fonte di microplastiche rilasciate involontariamente
nell’ambiente dell’UE.
7. Ci sono poi enormi quantità di munizioni abbandonate
sul fondo del mare.
8. Le segnalazioni sugli sversamenti in mare da navi, da
parte del sistema satellitare della Agenzia per la sicurezza marittima, sono
scarsamente controllati dagli stati membri e quando lo fanno avviene in ritardo
per cui solo per basse percentuale viene confermato lo sversamento, l’Italia è
tra gli stati peggiori con solo il 3% di conferme sul totale delle
segnalazioni. La conseguenza è sono pochissimi i casi di applicazioni di sanzioni
ai responsabili degli sversamenti
9. Gli stati non rispettano il tetto di almeno 15% di
controlli delle navi di approdo nei porti UE compresi i controlli sulle
emissioni aeriformi dai camini delle navi. Non solo ma a conferma degli scarsi controlli
ci sono la percentuale bassissima di fermi (non oltre il 3-4%) dopo l’accertamento
di carenze emerse dalle ispezioni.
10. Per gli impianti di raccolta rifiuti dalle navi nei
porti l’Italia non ha fornito alcuna comunicazione sui controlli effettuati.
11. Manca un sistema comunitario di sanzioni per scarichi
illegali.
12. Scarse e inadeguate sono le informazioni sulla
contaminazione delle acque marine e sui rifiuti marini riconducibili alle navi anche
per la difficoltà a reperire le fonti che producono le contaminazioni.
Occorre ricordare, sempre a premessa, che la Relazione del 2019 (QUI) dell’Agenzia Europea per l’Ambiente confermava le suddette criticità,
avendo in particolare constatato che l’80 % delle acque marine dell’UE era
costituito da “aree problematiche” in termini di contaminanti mentre il 75 %
circa era inquinato da rifiuti dispersi in ambiente marino. Come risulta dalla
mappa riportata dalla Relazione qui esaminata anche l’Italia ha vaste aree
delle proprie coste problematiche.
TUTTE LE TIPOLOGIE DI NAVI PRODUCONO SVERSAMENTI
INQUINANTI IN MARE
Le navi contribuiscono ai rifiuti dispersi in ambiente
marino, compresi i rifiuti di plastica e l’attrezzatura da pesca abbandonata,
persa o dismessa.
Possono inoltre inquinare i mari con contaminanti quali
petrolio, composti organici, metalli pesanti e sostanze pericolose provenienti
dalle seguenti fonti:
1. sversamenti accidentali o scarichi operativi (ad
esempio, da sentine, dagli astucci di uscita degli assi portaelica e dalla
pulizia delle cisterne);
2. scarico di acque reflue e acque “grigie” (da pozzi,
docce e lavatrici);
3. perdita di composti tossici da vernici antivegetative
(rivestimenti dello scafo per impedire l’accumulo di organismi marini);
4. rilascio di sostanze nocive dalla demolizione delle
navi, dalle perdite di container, dai relitti di navi e da munizioni sommerse;
5. scarico di acque inquinate e residui di “scrubber”
(sistemi di depurazione dei gas di scarico).
IL QUADRO NORMATIVO SULLA DISCIPLINA DELL’INQUINAMENTO
MARINO DALLE NAVI
La Relazione ricostruisce la normativa in materia in
particolare dimostrando, come risulta dal riquadro sotto riportato, il
coordinamento tra le Convenzioni Internazionale e le Direttive UE.
In particolare:
1. la Direttiva 2005/35/CE “Direttiva SSP” e successive
modifiche in fase di approvazione (QUI)
2. la Direttiva 2009/16/CE (“direttiva PSC”- QUI)
3. la Direttiva (UE) 2019/883 (QUI) relativa
agli impianti portuali di raccolta (“Direttiva IPR”) e norme attuative (QUI).
4. Regolamento 1257/2013 (QUI):
riciclaggio delle navi.
SMANTELLAMENTO E RICICLO DELLE NAVI: LE CRITICITÀ NELLA
APPLICAZIONE DEL REGOLAMENTO UE 1257/2013
Gli armatori possono eludere tale
obbligo sostituendo la bandiera dello Stato membro dell’UE con la bandiera di
uno Stato non-UE prima di procedere alla demolizione delle proprie navi. Nel
2022 il 14,2 % della flotta mondiale batteva bandiera di uno Stato membro
dell’UE, ma solo il 6,1 % delle navi a fine vita batteva bandiera di uno Stato
dell’UE.
Non è mai stato
approvato uno strumento finanziario atto ad agevolare il riciclaggio delle navi
sicuro e compatibile con l’ambiente”, come previsto da una, ormai vecchia,
relazione della Commissione UE (QUI).
Sul riciclo delle navi vedi anche questa indagine (QUI)
sul mio blog Note di Grondacci.
CONTAINER PERSI IN MARE
I container persi in mare possono inquinare il mare o
essere causa di incidenti. Le perdite continuano ad essere significative anche
se variano da anno in anno come risulta dal seguente riportato dalla Relazione.
Esistono obblighi di comunicazione delle perdite a carico
del comandante della nave (QUI),
obbligo confermato da IMO (QUI)
per tutte le perdite a partire dal 2026. Non solo: la Direttiva 2002/59/CE (QUI)
impone agli Stati membri di far sì che il comandante di una nave notifichi
immediatamente i container persi al pertinente Stato costiero. Inoltre, a norma
della Direttiva 2009/18/CE (ora modificata: QUI),
gli Stati membri devono registrare nella piattaforma europea d’informazione sui
sinistri marittimi i container persi in mare nelle proprie acque o da navi
battenti la loro bandiera.
Nonostante i suddetti obblighi normativi, la Relazione conferma che non vi è alcuna garanzia
che tutte le perdite siano dichiarate.
Secondo un articolo su TRG (QUI)
il carico è dichiarato erroneamente quando i beni fisici e la descrizione di
tali beni non sono gli stessi. Secondo il Cargo Incident Notification System,
il 27% degli incidenti sulle navi da carico può essere attribuito all'errata
dichiarazione delle merci.
30 anni fa, quando gli standard di spedizione erano più
permissivi, sarebbe stato sufficiente etichettare le merci come forniture per
la cucina o articoli sportivi. Tuttavia, le attuali navi portacontainer possono
ospitare 18.000 container da 20 piedi a bordo. Se le merci stoccate all'interno
di tali contenitori non sono adeguatamente etichettate, l'equipaggio della nave
non sarà in grado di prendere le dovute precauzioni di sicurezza durante il
carico e lo stoccaggio. Ciò è particolarmente importante se le merci
immagazzinate rientrano nella categoria di pericolose o pericolose, come nel
caso del 10% di tutti i contenitori.
Secondo il Rapporto etichettare un carico come pericoloso
è più costoso. Per questo motivo, alcune aziende cercano di aggirare il
problema identificando, ad esempio, i fuochi d’artificio come giocattoli o le
batterie agli ioni di litio come parti di computer”. Diverse grandi compagnie
di trasporto container utilizzano la tecnologia per affrontare questo problema,
servendosi di software di controllo del carico per individuare registrazioni e
dettagli del carico sospetti e i grandi operatori di container stanno
cominciando ad imporre sanzioni.
Quanto sopra è aggravato dal quanto rilevato dalla
Relazione che riporta dati stimati dallo stato francese per cui dei 1200
container persi nelle zone dell’Atlantico e della Manica/Mare del Nord tra il
2003 e il 2014 sono stati recuperati solo 49, il che rappresenta circa il 4 %.
La questione dei pellet in plastica persi in mare
I container persi in mare,
sottolinea la Relazione, possono produrre dispersione di pellet in plastica.
Secondo la valutazione d’impatto della Commissione sull’inquinamento da
microplastiche (QUI),
i pellet di plastica dispersi in mare o sulla terraferma costituiscono
la terza principale fonte di microplastiche rilasciate involontariamente
nell’ambiente dell’UE.
La Relazione ricorda che nel marzo 2024, il comitato per
la sicurezza marittima dell’IMO (QUI)
ha approvato Raccomandazioni (QUI) per
il trasporto di pellet di plastica via mare.
RELITTI DI NAVI
La Relazione ricorda che la Convenzione di Nairobi (QUI) del 2007
stabilisce norme sulla rimozione dei relitti che possono avere ripercussioni
negative sull’ambiente marino. Al 30 settembre 2024, detta convenzione era
stata ratificata da 15 Stati membri dell’UE, 14 costieri e uno non costiero. La
Direttiva PSC (QUI),
così come modificata nel novembre 2024, incorpora la Convenzione di Nairobi nel
quadro normativo dell’UE.
La Relazione sottolinea come di molti relitti non si
conosce il carico al momento dell’affondamento (Germania, zone del Baltico e
Francia).
MUNIZIONI IN MARE
Ci sono poi enormi quantità di munizioni abbandonate sul fondo del mare. La Relazione cita la Germania dove si stima che nei mari tedeschi vi siano 1,6 milioni di tonnellate di munizioni convenzionali e circa 5 100 tonnellate di munizioni chimiche. La relazione 2020 (QUI) della Corte dei Conti precedente a quella qui esaminata sull’attuazione del piano d’azione riveduto della strategia per la sicurezza marittima dell’Unione europea menzionava azioni quali eventi di sensibilizzazione e dava avvio alla cooperazione e a due progetti di ricerca. Tuttavia, non è stato menzionato alcun risultato specifico in termini di quantità di munizioni recuperate.
RIFIUTI IN MARE
La Relazione ricorda che la Convenzione di Londra del
1972 (QUI)
vieta in generale lo scarico in mare di rifiuti, comprese le armi chimiche. A
livello dell’UE, né la convenzione né il protocollo sono stati integrati nel
diritto dell’UE.
TENORE DI ZOLFO NEI COMBUSTIBILI MARITTIMI
La Relazione sottolinea che la norma più rigorosa in
materia di tenore di zolfo per i combustibili delle navi (0,1 %) rimane 100
volte meno rigorosa di quella, in vigore nell’UE dal 2009, per il diesel da
autotrazione e la benzina (0,001 %).
La Relazione critica l’uso degli scrubber che catturano
l’ossido di zolfo dai gas di scarico utilizzando acqua, che però si trasforma
in acqua di lavaggio contaminata, spesso scaricata in mare dalle navi. Comunque,
ai sensi della normativa aggiornata dell’UE in materia di inquinamento
provocato dalle navi, è vietato scaricare le acque di lavaggio contenenti zolfo
(vedi Normative vigente europea e nazionale e proposta di nuova Direttiva (QUI).
LE CRITICITÀ SULLA SORVEGLIANZA SATELLITARE DEGLI
SCARICHI E SVERSAMENTI DALLE NAVI
L’Agenzia per la sicurezza marittima (EMSA - QUI) assiste gli Stati membri fornendo la sorveglianza satellitare (QUI) delle navi, un drone sperimentale per individuare le navi ad alte emissioni e navi di intervento.
Secondo la Relazione dai monitoraggi e dal Documento (QUI)
della Commissione sulla valutazione di impatto della proposta di modifica della
Direttiva 2005/35 sull’inquinamento da navi emerge:
1. La maggior parte dell’inquinamento da sversamento di
idrocarburi proveniva da scarichi deliberati, come le operazioni di pulizia
delle cisterne e gli scarichi di rifiuti.
2. Notevoli lacune nelle informazioni sull’inquinamento
da idrocarburi provocato dalle navi in tutta l’UE.
3. I satelliti catturano solo immagini delle aree che
stanno sorvolando. Inoltre, possono verificarsi malfunzionamenti.
4. Gli inquinanti chimici sono più difficili da
individuare, in quanto sono spesso invisibili. L’EMSA ha creato una rete di
esperti (Marine Intervention in Chemical Emergencies Network – MAR-ICE QUI)
che fornisce informazioni e consulenza sulle sostanze chimiche coinvolte in
emergenze marittime.
5. La proposta di Direttiva che modifica la Direttiva
2005/35 introduce novità importanti sulla gestione delle informazioni dal
sistema sopra richiamato. Per una analisi di queste novità vedi la seconda
parte di questo post (QUI)
nel mio blog Note di Grondacci.
6. Gli Stati membri hanno controllato meno della metà
delle segnalazioni di CleanSeaNet, confermando l’inquinamento solo nel 7 % dei
casi. l’Italia ha confermato l’inquinamento rilevato da CleanSeaNet molto
raramente (3% sul totale delle segnalazioni del sistema CleanSeaNet),
nonostante abbia effettuato il maggior numero di controlli in loco (1 046 su un
totale di 1 188). Secondo la versione finale della valutazione d’impatto del
2023 (QUI)
sulla modifica della direttiva SSP elaborata dalla Commissione, le probabilità
di conferma dell’inquinamento dipendono dall’intervallo tra l’acquisizione
dell’immagine satellitare ed il controllo dell’inquinamento da parte di uno
Stato membro.
La conseguenza di queste basse percentuali è che rari
sono stati i casi in cui i responsabili degli sversamenti sono stati
sanzionati.
Il basso tasso di conferme dell’Italia rispetto alle
segnalazioni è confermato dal seguente grafico tratto dalla Relazione.
I CONTROLLI E LE ISPEZIONI DELLE NAVI NON SONO
SUFFICIENTI
Secondo la Relazione tra il 2012 e il 2022, la
Commissione ha chiesto all’EMSA di concentrarsi sulla direttiva sul controllo
da parte dello Stato di approdo e di ispezionare due volte, nel corso del
periodo, ciascuno Stato membro costiero dell’UE. Tuttavia, l’EMSA non ha
effettuato visite in merito alla direttiva sull’inquinamento provocato dalle
navi.
Impianti portuali di raccolta rifiuti
Dal 2024 EMSA ha avviato controlli su questi impianti
negli Stati membri.
La Direttiva IPR (gestione rifiuti nei porti) impone agli
Stati membri di ispezionare il 15 % di tutte le navi che fanno scalo nei loro
porti. Per la evoluzione della normativa UE e italiana vedi QUI
e QUI.
Dalla analisi dei dati dell'EMSA effettuata nella Relazione emerge che solo sei Stati membri hanno rispettato l’obiettivo del 15 % nel 2023. Due Stati membri non hanno comunicato dati: Italia e Svezia).
I Controlli sul rispetto della normativa su ispezioni alle navi da parte degli Stati di approdo
Si tratta della Direttiva PSC (QUI)
modificata dal Regolamento Fuel EU (QUI)
Dalla Relazione emerge che si è riscontrato che 11 Stati
membri non hanno raggiunto i rispettivi valori-obiettivo in materia di
ispezioni nel 2023.
Gli Stati membri possono decidere di mantenere le navi in
porto fino a quando non siano state affrontate e colmate le gravi carenze
individuate durante le ispezioni di cui alla direttiva PSC. Si tratta del
cosiddetto “fermo”. La Relazione mostra che il tasso di fermo a seguito delle
ispezioni di cui alla direttiva PSC è compreso tra il 3 % e il 4 %.
Sanzioni per scarichi illegali
Si fa riferimento alla Direttiva SSP (Direttiva 2005/35 e
proposta di modifica) sull’inquinamento da navi e relative sanzioni penali e
amministrative.
La Relazione ricorda che dal Documento della Commissione (QUI),
già citato in precedenza, sulla valutazione di impatto della
proposta di modifica della Direttiva 2005/35 sull’inquinamento da navi si
sottolineava che le navi che scaricano illegalmente in mare sostanze inquinanti
sono raramente soggette a sanzioni efficaci o dissuasive e che l’azione penale
è rara. La direttiva SSP modificata introduce uno strumento obbligatorio
tramite il quale gli Stati membri sono tenuti a comunicare le sanzioni
applicate.
Però rileva la Relazione, la Direttiva SSP e proposte di
modifica non introduce un sistema sanzionatorio a livello dell’UE armonizzato.
I FONDI DELL’UE HANNO SOSTENUTO PROGETTI PERTINENTI, MA HANNO INCONTRATO DIFFICOLTÀ A ESTENDERE I RISULTATI
A pagina 38 la Relazione elenca i fondi utilizzabili per
finanziare progetti volti a contrastare l’inquinamento provocato dalle navi.
Secondo la Relazione gli auditor della Corte hanno
chiesto alle direzioni generali competenti della Commissione, alle agenzie
esecutive e agli Stati membri visitati un elenco dei progetti dell’UE volti a
contrastare l’inquinamento provocato dalle navi nei mari dell’UE dal 2014 al
2023. In base alle informazioni ricevute, i finanziamenti dell’UE per tali
progetti ammontano a oltre 216 milioni di euro nel periodo 2014-2023, destinati
principalmente a migliorare gli impianti portuali di raccolta dei rifiuti, ma
anche per la raccolta delle reti da pesca e per la ricerca. Tali informazioni
sono tuttavia incomplete, in quanto la Corte ha riscontrato altri progetti
pertinenti finanziati dall’UE non inclusi nei dati della Commissione. Le
autorità francesi e tedesche hanno inoltre fornito solo dati parziali.
La Direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino
(QUI)
impone (Per una sintesi di questa Direttiva vedi QUI)
agli Stati membri di determinare il conseguimento di un buono stato ecologico
sulla base di “descrittori” qualitativi (allegato 1 QUI),
fra cui i contaminanti (“descrittore 8: Le concentrazioni dei contaminanti
presentano livelli che non danno origine a effetti inquinanti.”) e rifiuti
marini (“descrittore 10: Le proprietà e le quantità di rifiuti marini non
provocano danni all’ambiente costiero e marino”). Detta Direttiva impone
inoltre agli Stati membri di ridurre l’immissione nell’ambiente marino di
sostanze provenienti da fonti specifiche, come le navi.
Dalla Relazione, in relazione agli obblighi della Direttiva sulla stategia per l'ambiente marisno si ricava:
1. Raramente è possibile collegare la percentuale di
contaminanti monitorati alle fonti perché sono molteplici
2. L’80 % dei rifiuti marini proviene dalla terra e il 20
% dal mare
3. Gli Stati membri erano tenuti a preparare, entro
ottobre 2024, una nuova serie di dati su rifiuti e contaminanti per il periodo
di sei anni che va dal 2016 al 2021; al dicembre 2024, cinque Stati membri
avevano trasmesso la propria serie di dati.
4. metodologie confuse applicate dagli Stati membri per
valutare lo stato buono delle aree marine nonostante nel 2017 sia stata emanata
apposita Decisione (QUI).
5. Nel 2019, l’Agenzia europea dell’ambiente ha riferito
(QUI)
che gli Stati membri stavano ancora utilizzando soglie differenti per valutare
la concentrazione dei contaminanti.
6. Non esistono dati coerenti sui quantitativi annui di
fuoriuscite di petrolio dalle navi nei mari dell’UE anche perché nella vigente
normativa comunitaria mancano i livelli che definiscano quanto l’inquinamento
sia considerato significativo (vedi definizione generica di inquinamento punto
8 articolo 3 Direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino.
7. La Relazione ricorda un documento (QUI)
del Centro di Ricerca della UE (JRC) sulla necessità di un’intesa comune sulle
soglie minime per la comunicazione degli sversamenti di petrolio ai fini della
direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino.
La Commissione agevola il dibattito tra esperti
nazionali, ma non verifica i dati di base sullo stato ecologico dei mari degli
Stati membri e la metodologia utilizzati dalle autorità nazionali.
STRUMENTI DELL’UE CHE FORNISCONO INFORMAZIONI PUBBLICAMENTE
DISPONIBILI SULL’INQUINAMENTO MARINO
La Relazione a conclusione ricorda:
1. il sistema d’informazione sulle acque marine per
l’Europa (Marine Water Information System for Europe – WISE-Marine-QUI), ospitato dall’Agenzia europea
dell’ambiente, è un portale per la condivisione di informazioni sull’ambiente
marino a livello europeo. WISE Marine mostra i dati che ai sensi della
direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino sono comunicati dagli
Stati membri su Reportnet, nonché dati provenienti da altre fonti:
2. La rete europea di osservazione e di dati
dell’ambiente marino (EMODnet QUI),
finanziata e gestita dalla Commissione, è una fonte di dati, metadati e
relativi prodotti di dati sui mari.
La Relazione sottolinea che i portatori di interessi,
come le autorità degli Stati membri, possono inserire dati marini in EMODnet su
base volontaria. La natura non obbligatoria della comunicazione a EMODnet
genera lacune nei dati di quest’ultima.
Non vi è uno scambio sistematico di dati tra EMODnet e
WISE-Marine come risulta:
RELAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO E AL
CONSIGLIO Sull'attuazione della direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente
marino (QUI)
COMMISSION STAFF WORKING DOCUMENT EVALUATION of the
European Marine Observation and Data Network - EMODnet (QUI).
RACCOMANDAZIONI FINALI DALLA RELAZIONE
Raccomandazione 1
– Migliorare il funzionamento e l’efficacia degli strumenti di allerta
anti-inquinamento dell’EMSA
Raccomandazione 2
– Rafforzare il monitoraggio dei controlli che gli Stati membri sono tenuti ad
effettuare a norma delle direttive dell’UE
Raccomandazione
3– Dar seguito alle problematiche relative all’estensione dei progetti
finanziati dall’UE che affrontano l’inquinamento prodotto da navi
Raccomandazione 4
– Migliorare la rendicontazione e il monitoraggio sullo stato ecologico delle
acque marine.
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