Sia il progetto dell’area ex SIO nonchè l’altro
progetto urbanistico operativo (PUO) per trasformare due capannoni
fatiscenti di Acam, in via Fontevivo, in 3 edifici di 5 piani, e 2 strutture
commerciali possono essere fermati nonostante il nuovo Piano Urbanistico Comunale di Spezia sia decaduto. Questo per in motivi che illustro di seguito in questo post sia
pure sommariamente e in chiava divulgativa…
LA QUESTIONE DEI PROGETTI URBANISTICI
APPROVATI CON IL VECCHIO PIANO URBANISTICO COMUNALE VIGENTE E RELATIVI A NUOVI CENTRI COMMERCIALI
Occorre sgombrare il campo
da interpretazioni confuse tra quello che è già previsto dal Piano vigente (i
c.d. diritti quesiti) e quello che prevede , o non prevede più, il nuovo Piano decaduto recentemente.
Non è FONDATA LA INTERPRETAZIONE secondo cui nel caso
del progetto dell’area ex SIO, e dell’altro
progetto urbanistico operativo (PUO) per trasformare due capannoni
fatiscenti di Acam, in via Fontevivo, in 3 edifici di 5 piani, e 2 strutture
commerciali, essendo decaduto il nuovo PUC automaticamente i progetti verranno
realizzati. Questo per i seguenti motivi:
1.
Perché questi progetti riguardano aree da bonificare , quindi sarà il fine
bonifica (certificazione) a decidere la futura destinazione funzionale
dell’area
2.
Perché ad essi deve essere applicata la VAS (almeno come verifica di
assoggettabilità)ed ora questa procedura è di competenza del Comune come ho già
spiegato sopra. L’obbligo di applicazione della VAS agli strumenti urbanistici
attuativi come i PUO a prescindere dalle dimensioni areali degli stessi l’ho
spiegato QUI.
3.
perché il PUO per l’area ex SIO, approvato dallo scorso Consiglio Comunale, è
illegittimo in quanto non ha avuto il parere motivato di VAS. DLgs 152/2006
secondo la quale non è possibile adottare un Piano o uno strumento urbanistico
senza aver prima ottenuto il parere motivato di VAS. Recita l'articolo 16 del
DLgs 152/2006: " "1. Il piano o programma ed il rapporto
ambientale, insieme con il parere motivato e la documentazione acquisita
nell'ambito della consultazione, sono trasmessi all'organo competente
all'adozione o approvazione del piano o programma". Quindi prima la VAS
poi l'adozione. Il fatto che ora la VAS passerà alla competenza dei Comuni per
i piani urbanistici locali non cambia di una virgola quanto sopra anche perchè
una cosa è l'Autorità Procedente (che adotta e approva il Piano) altra è quella
Competente (che rilascia il Parere motivato di VAS).
4.
Comunque al di la della VAS prima di dare il via libera al centro commerciale
(variante o meno, nuovo PUC o meno) occorre la procedura di Valutazione di
Impatto Ambientale. Sul punto è intervenuta con chiarezza la stessa Corte
Costituzionale (sentenza n. 251 del 28/10/2013 vedi QUI) che ha
dimostrato come la stessa legge ligure sulla VIA sul punto sia superata dal
Testo Unico Ambientale (DLgs 152/2006).
In sostanze le soglie
dimensionali per l’applicabilità della VIA ai centri commerciali sono nettamente
più basse di quelle della legge ligure e farebbero sicuramente rientrare il
progetto in esame nella applicazione della VIA quanto meno a procedura di
Verifica di Assoggettabilità a VIA. Per una analisi di questa importantissima
sentenza della Corte Costituzionale vedi QUI.
IL RAPPORTO TRA PIANIFICAZIONE URBANISTICA E
APPROVAZIONE DI CENTRI COMMERCIALI
Ma torniamo alla questione
urbanistica peraltro come visto non certo slegata da quella ambientale.
Ebbene la giurisprudenza
dalla Corte di Giustizia UE fino alla Corte Costituzionale per arrivare al
Consiglio di Stato riconosce la possibilità ad un Comune con una variante di
modificare la destinazione di un area senza attendere una nuova pianificazione
complessiva (un nuovo PUC).
Ecco come stanno le cose
giuridicamente parlando:
Come ha
affermato la Corte di
Giustizia della UE (Sentenza 24 marzo 2011 n.C400/08) all'interno degli stati membri, l'apertura dei
grandi centri commerciali non può essere subordinata a valutazioni di carattere
economico. Non si può, cioè, impedire l'insediamento degli ipermercati e/o
centri commerciali tipo grandi strutture di vendita perché potrebbero
danneggiare il commercio al dettaglio o sulla base del fatto che l'impresa già
detenga una fetta consistente del mercato.
Invece le
amministrazioni interessate , in primo luogo il Comune, potevano e possono
intervenire utilizzando gli strumenti di pianificazione urbanistica, non a caso
a presupposto della procedura di autorizzazione di qualsiasi centro
commerciale. Infatti la Corte di Giustizia nella sentenza sopra
riportata afferma che restrizioni alla libertà di stabilimento di grandi centri
commerciali: “possono essere
giustificate da motivi imperativi di interesse generale, a condizione che siano
atte a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non vadano
oltre quanto necessario al raggiungimento dello stesso. Fra tali motivi
imperativi figurano, tra gli altri, la protezione dell’ambiente,
la razionale gestione del territorio, nonché la tutela dei consumatori.”
.
Nella stessa direzione si
veda Corte Costituzionale (sentenza
n. 430 del 2007, nel solco di una giurisprudenza più volte confermata: n.
80 del 2006, n. 242 del 2005): precisa che: ”limitazioni all’apertura di nuovi esercizi commerciali sono
astrattamente possibili purché non si fondino su quote di mercato predefinite o
calcolate sul volume delle vendite, ossia, in altri termini, sull’apprezzamento
autoritativo dell’adeguatezza dell’offerta alla presunta entità della domanda.
I principi del Trattato e del nostro ordinamento costituzionale impongono che i
poteri pubblici non interferiscano sul libero gioco della concorrenza,
astenendosi dallo stabilire inderogabilmente il numero massimo degli esercenti
da autorizzare in una determinata area.”
Quindi non solo la Regione
ma ancora più semplicemente una Amministrazione Comunale poteva e può, con
apposita variante di indirizzo al PUC, introdurre i criteri di
esclusione come delineati dalla Corte di Giustizia fermando la
realizzazione di nuovi centri commerciali, certo avrebbe dovuto motivare
bene questo provvedimento con apposita istruttoria ma sotto il profilo
formale la legge riconosce questo potere se esercitato nella chiave interpretativa
della Corte di Giustizia.
Relativamente ai poteri comunali in materia di pianificazione urbanistica in rapporto ai diritti dei privati, soccorre anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato (ad esempio sentenza n. 02843/2010): “In sede di adozione di un nuovo strumento urbanistico, l'Amministrazione pubblica può validamente introdurre innovazioni atte a migliorare e ad aggiornare le vigenti prescrizioni urbanistiche alle nuove esigenze anche quando ciò imponga sacrifici ai proprietari interessati e li differenzi rispetto ad altri che abbiano già proceduto all'utilizzazione edificatoria dell'area secondo la previgente destinazione di zona. I piani regolatori, infine, possono dettare norme a tutela dell'ambiente rientrando nell’ampia discrezionalità del Comune la facoltà di orientare gli insediamenti urbani e produttivi in determinate direzioni, ovvero di salvaguardare determinati equilibri dell'assetto territoriale.”
Si veda anche Consiglio di Stato sentenza n.1202
del 27 febbraio 2013,relativa alla procedura di approvazione di
una variante al piano di fabbricazione finalizzata alla realizzazione di una
media struttura di vendita alimentare-misto, che conferma l’indirizzo
giurisprudenziale sopra riportato. Indirizzo peraltro confermato dalla
articolo 31 della stessa legge di liberalizzazione del commercio (Legge
214/2011) secondo il quale l’attività commerciale è liberalizzata ma
nel rispetto della tutela dell’ambiente e dell’ambiente urbano, concetto
nel quale è ricompreso anche la razionale gestione del territorio citata anche
dalla giurisprudenza comunitaria.
In particolare secondo
la sentenza del Consiglio di Stato
n. 1202 del 2013
1. il
potere di pianificazione urbanistica si pone su un piano di prevalenza rispetto
agli atti di gestione attinenti la materia commerciale (cfr. Consiglio Stato
sez. V 12 luglio 2004 n. 5057 ). Si veda anche più recentemente TAR
Toscana sentenza n. 1783 del 2012 secondo cui: “Il principio di contestualità tra procedimento urbanistico-edilizio,
preordinato alla costruzione di medie e grandi strutture di vendita, e
procedimento di rilascio delle connesse autorizzazioni commerciali è
finalizzato ad evitare insediamenti commerciali in contrasto con le previsioni
urbanistiche”.
2. l'art.
6, DLgs. 31 marzo 1998 n. 114 (riforma della disciplina del commercio,
vedi QUI),
è comunque finalizzato ad assicurare l'integrazione tra la pianificazione
territoriale ed urbanistica e la programmazione commerciale, in quanto pone la
stretta correlazione tra titoli edilizi e autorizzazioni all'esercizio, nel
novero dei criteri di programmazione riferiti al settore commerciale
(cfr. Consiglio Stato, sez. IV 08 giugno 2007 n. 3027). Infatti e non a
caso tra i criteri che garantiscono tale integrazione c’è anche quello di
tenere conto dei centri storici, al fine di salvaguardare e
qualificare la presenza delle attività commerciali e artigianali in grado di
svolgere un servizio di vicinato, di tutelare gli esercizi aventi valore
storico e artistico ed evitare il processo di espulsione delle attività
commerciali e artigianali.
3. le
prescrizioni e le disposizioni del piano urbanistico sono sempre prevalenti su
quelle del piano commerciale, in quanto rispondono all'esigenza di assicurare
un ordinato assetto del territorio, e le relative disposizioni possono
legittimamente porre limiti alla libertà di iniziativa economica (cfr.
Consiglio di Stato, Sez. VI 10 aprile 2012 n. 2060, vedi QUI).
POTERI DI PIANIFICAZIONE DEL COMUNE IN
GENERALE
Con sentenza del 11.10.2017
n. 4707 il Consiglio di Stato ha
ribadito un indirizzo univoco della giurisprudenza secondo cui: “sul piano generale, e relativamente ai
poteri del giudice, si è ribadito come le scelte di pianificazione urbanistica
costituiscano esercizio di ampia discrezionalità da parte dell’amministrazione. con
possibilità di censurare le scelte effettuate solo quando queste si presentino
come manifestamente illogiche o contraddittorie “
La
giurisprudenza ha chiarito che: “gli atti
di pianificazione urbanistica, in quanto contrassegnati da ampia
discrezionalità, non richiedono una particolare motivazione, conformemente –
del resto – all’amplissima previsione di cui al comma 2 dell’articolo 3 della
l. 241 del 1990 (Cons. Stato, 21 maggio
2015, n. 2668 ma anche Consiglio di
Stato sezione V 23 maggio 2017).
Ne
consegue che, in vista dell’adozione di atti di pianificazione incombe
sull’amministrazione l’onere di valutare in modo adeguato il complesso delle
circostanze e dei presupposti sottesi all’esercizio della pianificazione,
attraverso un iter logico e procedurale scevro da profili di irragionevolezza e
abnormità.
Ma
una volta che i principi generali della pianificazione siano stati
correttamente delineati e impostati, non grava poi sull’amministrazione l’onere
di motivare ulteriormente le statuizioni microsettoriali relative a ciascuna
posizione individuale (laddove si opinasse in tal senso, l’attività di
pianificazione perderebbe il suo carattere di generalità e si tradurrebbe nella
sommatoria di un numero inestricabile di situazioni puntuali).”
In questo senso: “una
destinazione di zona precedentemente impressa non determina l’acquisizione, una
volta e per sempre, di una aspettativa di edificazione non più mutabile,
essendo appunto questa modificabile (oltre che in variante) con un nuovo PRG,
conseguenza di una nuova e complessiva valutazione del territorio, alla luce
dei mutati contesti e delle esigenze medio tempore sopravvenute … La
motivazione delle scelte urbanistiche, sufficientemente espressa in via
generale, è desumibile sia dai documenti di accompagnamento all’atto di
pianificazione urbanistica, sia dalla coerenza complessiva delle scelte effettuate
dall’Amministrazione Comunale” (Cons. Stato, sez. IV, 26 marzo
2014 n. 1459).
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