Con sentenza del Consiglio
di Stato n. 565 dello scorso 9 febbraio (vedi QUI) è stata riformata la
sentenza del TAR Emilia Romagna n. 123 del 2016 con la quale era stata
annullata la l’informativa antimafia del 21 gennaio
2015 e gli atti consequenziali o presupposti di una ditta di frantumazione e
lavorazioni inerti presente da anni nel Comune di Vezzano Ligure. Sulla base di
quella sentenza del TAR era quindi stata dichiarata illegittima anche la
decisione della Provincia della Spezia di non rilasciare Autorizzazione Unica
Ambientale (di seguito AUA) a questo impianto.
L’INTERPRETAZIONE GENERALE DELLA NORMATIVA
ANTIMAFIA NELLA SENTENZA DEL CONSIGLIO
DI STATO
La sentenza del TAR 123
del 2016 in sintesi, nell’accogliere
il ricorso della ditta di lavorazione inerti, aveva ritenuto che la Prefettura
di Reggio Emilia non potesse emettere, nei confronti di essa, l’informativa
antimafia, in base alla disciplina di cui al d. lgs. n. 159 del 2011, perché
l’autorizzazione da essa richiesta: “è
funzionale all’esercizio di una attività imprenditoriale privata estranea alle
ipotesi espressamente previste dalla illustrata normativa non comportando alcun
rapporto con la Pubblica Amministrazione: (p. 6 della sentenza del TAR impugnata).
In sostanze secondo il TAR
un conto sono i rapporti contrattuali, appalti, concessioni altra cosa sono le
autorizzazioni. Infatti secondo la interpretazione del TAR l’obbligo della
certificazione antimafia non è esistente per le Autorizzazione a rilevanza ambientale
come l’AUA strumentale all’esercizio di una attività privata.
Il Consiglio di Stato con
la sentenza in esame afferma che la normativa in materia (la legge delega 136/2010 e il successivo DLgs 159/2011 codice
leggi antimafia) mira al superamento della rigida bipartizione tra
comunicazioni antimafia, applicabili alle autorizzazioni, e informazioni
antimafia, applicabili ad appalti, concessioni, contributi ed elargizioni.
Il Consiglio di
Stato cita in particolare la lettera
c) comma 1 articolo 2 della legge delega secondo la quale si prevede: “c) istituzione di una banca di dati
nazionale unica della documentazione antimafia, con immediata
efficacia delle informative antimafia negative su tutto il territorio nazionale
e con riferimento a tutti i rapporti, anche già in essere, con la pubblica
amministrazione, finalizzata all'accelerazione delle procedure di rilascio
della medesima documentazione e al potenziamento dell'attività di prevenzione
dei tentativi di infiltrazione mafiosa nell'attività d'impresa, con previsione
della possibilità di integrare la banca di dati medesima con dati provenienti
dall'estero e secondo modalità di acquisizione da stabilirsi, nonché della
possibilità per il procuratore nazionale antimafia di accedere in ogni tempo
alla banca di dati medesima”.
Banca dati nazionale poi
disciplinata dal capo V del DLgs 159/2011 e che proprio perché fa riferimento
alla unificazione della documentazione antimafia chiaramente tende a non
distinguere più le autorizzazioni dalle concessioni e dai contratti. La Banca
Dati nazionale è stata resa operativa dal d.P.C.M. n. 193 del 2014
(vedi QUI). Inoltre il Consiglio di
Stato a sostegno della sua decisione cita anche:
- il primo comma dell’articolo 83 del Dlgs 159/2011 secondo il quale: “1. Le pubbliche amministrazioni e gli enti
pubblici….. devono acquisire la documentazione antimafia di cui all'articolo 84
prima …..di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell'articolo 67.
“
- il primo comma dell’articolo 91 del DLgs 159/2011 laddove prevede che
detti soggetti devono acquisire l’informativa prima di rilasciare o consentire
anche i provvedimenti indicati nell’art. 67;
L’articolo 67 del DLgs 159/2011 fa
esplicito riferimento tra gli atti non rilasciabili senza documentazione
antimafia anche ad: “f)
altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio,
concessorio, o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali,
comunque denominati”
IL PROVVEDIMENTO DI INTERDITTIVA ANTIMAFIA
DEL PREFETTO COME INTERPRETATO DAL CONSIGLIO DI STATO
L’articolo 89-bis
del DLgs 159/2011, introdotto dal
Dlgs 153/2014, ha introdotto uno strumento integrativo nella lotta alle mafie e
alle infiltrazioni mafiose, prevedendo che: “1. Quando in esito alle verifiche di cui all'articolo 88, comma 2 (nota [1]), venga
accertata la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, il prefetto adotta comunque un'informazione antimafia interdittiva
e ne da' comunicazione ai soggetti richiedenti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2(nota [2]), senza emettere la comunicazione antimafia. 2.
L'informazione antimafia adottata ai sensi del comma 1 tiene luogo della
comunicazione antimafia richiesta.”
Quindi il Prefetto
utilizzando la Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia così
come sopra intesa e disciplinata può emettere interdittiva antimafia con
ricadute anche sui procedimenti autorizzatori e non solo sui rapporti
contrattuali con la Pubblica Amministrazione.
Si veda Consiglio di Stato
sez. I, nel parere n. 3088 del 17 novembre 2015 (vedi QUI) secondo il quale: “le perplessità di ordine sistematico e
teleologico sollevate in ordine all’applicazione di tale disposizione anche
alle ipotesi in cui non vi sia un rapporto contrattuale – appalti o concessioni
– con la pubblica amministrazione non hanno ragion d’essere, posto che anche in
ipotesi di attività soggette a mera autorizzazione l’esistenza di infiltrazioni
mafiose inquina l’economia legale, altera il funzionamento della concorrenza e
costituisce una minaccia per l’ordine e la sicurezza pubbliche”.
LA LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DELLA
NORMATIVA SOPRA DESCRITTA SECONDO LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO
Di grande rilievo è la
parte finale (Nota[3]) della sentenza del Consiglio di Stato in oggetto perché
conferma la costituzionalità della legislazione antimafia sopra descritta con
una motivazione di grande rilievo sotto il profilo degli stessi principi costituzionale
come pure di quelli di una società non fondata sulla sopraffazione dei diritti
dei cittadini e sulla contraffazione del libero mercato con gravi danni alla collettività e alla immagine
del nostro Paese.
IL CONSIGLIO DI STATO SUL CASO SPECIFICO
DELL’IMPIANTO INERTI NEL COMUNE DI VEZZANO LIGURE
Di rilievo e come logica
conseguenza delle motivazioni sopra esposte sono anche le conclusioni della
sentenza del Consiglio di Stato sul caso specifico della richiesta della ditta
in questione che affermava (in via incidentale) come sia per il valore che per il
tipo di attività svolta nel Comune di Vezzano Ligure, in relazione alla quale è
stata richiesta l’AUA, non doveva essere richiesta l’informazione antimafia.
Il Consiglio di Stato
conferma invece tale obbligo e ribadisce come per la ditta in questione: “L’informativa
prot. n. 2225/14/Area I – Comunicazione del 21 gennaio 2015 qui impugnata,
oltre ad evidenziare che l’impresa risulta gravata da provvedimento n. 1844/13
avente natura interdittiva antimafia di diniego di iscrizione nella c.d. white
list, si fonda sulla considerazione che -OMISSIS-, titolare della impresa, è
coniugata con -OMISSIS-, gravato da precedenti penali per violazioni in materia
della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro nonché da rapporti di
famiglia o contiguità con esponenti della malavita di stampo mafioso.”
Non solo ma, come rilevavamo
nell’esposto predisposto per i cittadini residenti nella zona nella estate del
2016, il tentativo di trasferire la rappresentanza legale della ditta alla
moglie del titolare risultava un tentativo di aggiramento della normativa
antimafia. Ciò viene confermato dalla sentenza del Consiglio di Stato secondo
cui: “Né il rapporto di coniugio – al di
là della circostanza, irrilevante, che i coniugi, residenti in Comuni diversi,
avrebbero avviato le pratiche per separarsi (p. 24 dell’appello incidentale) –
né l’esistenza di tali rapporti tra -OMISSIS- (e la sua famiglia) e la
criminalità ‘ndranghetista, quali peraltro emergono, e in modo molto
consistente, dal già menzionato provvedimento di diniego di iscrizione nella white
list, sono stati efficacemente smentiti, nella loro indubbia oggettiva e
pregnante rilevanza sintomatica, dall’odierna appellante incidentale, che si è
limitata a censure generiche e, comunque, ininfluenti ai fini del decidere.”
LA QUESTIONE AMBIENTALE E SANITARIA DELL’IMPIANTO
DI LAVORAZIONE INERTI OGGETTO DELLA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO
Ma l’esposto sopra
ricordato firmato dai cittadini residenti solleva una questione di diritto
ambientale e di tutela della salute. La questione era che questo impianto
(soprattutto quello di lavorazione materiali lapidei) ha prodotto in questi
anni reiterate situazioni di inquinamento violando ripetutamente le poche
prescrizioni autorizzatorie come ho spiegato ampiamente nel mio blog. Non solo ma il protrarsi del contenzioso
sulla interdittiva antimafia ha comportato la mancata applicazione di quelle
poche prescrizioni migliorative prevista dalle conclusioni della Conferenza dei
Servizi del 8/10/2014 finalizzata a rilasciare l’AUA.
In particolare dal Verbale
di quella Conferenza dei Servizi si evince che la Provincia della Spezia richiede
(Nota del 8/10/2014 n.46985) la dimostrazione del rispetto delle sopra elencate
prescrizioni: “si informa che la voltura
della autorizzazione alle emissioni in atmosfera in capo alla nuova denominazione
sociale della ditta in questione sarà
rilasciata solo a seguito dell’acquisizione della certificazione analitica
delle emissioni in atmosfera previsto al punto 1”. Ora il punto 1 è quello della Diffida della
Provincia sopra citata con l’elenco delle prescrizioni da rispettare sopra
riportato.
Peccato che queste
prescrizioni secondo la detta Diffida avrebbero dovuto essere rispettate entro
il settembre 2014. Quindi la Provincia della Spezia ammette formalmente nella
sua Nota, e nessuna la contesta come risulta dal verbale della Conferenza dei
Servizi, che la ditta in questione aveva da oltre un mese violato anche la Diffida
della Provincia!
Ma c’è di più
perché queste prescrizioni, che vengono richiamata in sede di Conferenza
dei Servizi, sono in vigore dal 2009 (Determina Dirigenziale del 27/4/2009
n. 56) e poi riconfermate nel 2011 (determina dirigenziale n. 106 del
7/6/2011 vedi ALLEGATO n.3)
e sono state ripetutamente violate quindi anche precedentemente alla
stessa diffida della Provincia più volte citata in precedenza.
Questo nonostante che la stessa Provincia
della Provincia che per motivare la nuova autorizzazione del 2011 così
affermava: “le modifiche derivano dalla
esigenza di migliorare le condizioni di polverosità originate dal ciclo
lavorativo..”.
Non solo ma l’impianto in
oggetto nonostante le reiterate (e ad oggi continuate come vedremo a breve)
violazione delle prescrizioni autorizzatorie
non ha mai avuto una adeguata valutazione dell’impatto sanitario prodotto
dalle continuate emissioni polverose e rumorose.
CONCLUSIONI
L’ottima sentenza del
Consiglio di Stato sotto il profilo della applicabilità della normativa
antimafia anche alle autorizzazioni ambientali, speriamo produca la soluzione
anche dell’impatto ambientale di un impianto che non avrebbe mai dovuto essere
collocato in stretta vicinanza con abitazioni civili e che comunque, antimafia o meno o forse proprio per questo, avrebbe meritato in questi anni una maggiora attenzione da parte delle Pubbliche Amministrazione competenti in materia di autorizzazioni e controlli ambientali.
NOTE
[1] “2. Quando
dalla consultazione della banca dati emerge la sussistenza di cause di
decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67, il prefetto
effettua le necessarie verifiche e accerta la corrispondenza dei motivi
ostativi emersi dalla consultazione della banca dati nazionale unica alla
situazione aggiornata del soggetto sottoposto agli accertamenti.”
[2] “1. Le
pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, anche costituiti in stazioni
uniche appaltanti, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente
pubblico e le società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro
ente pubblico nonché i concessionari di opere pubbliche, devono acquisire la
documentazione antimafia di cui all'articolo 84 prima di stipulare, approvare o
autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture
pubblici, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati
nell'articolo 67. 2. La disposizione di cui al comma 1 si applica ai contraenti
generali di cui all'articolo 176 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163,
di seguito denominati «contraente generale”.
[3] Afferma il Consiglio di Stato: “ Deve
questo Collegio solo qui aggiungere, per completezza, che non ritiene che la
nuova disciplina contrasti con gli artt. 3, 24, 27, comma secondo, 41 e 42
Cost.
10.1. Lo Stato non riconosce dignità e statuto di
operatori economici, e non più soltanto nei rapporti con la pubblica
amministrazione, a soggetti condizionati, controllati, infiltrati ed
eterodiretti dalle associazioni mafiose.
10.2. Questa valutazione, che ha natura preventiva e
non sanzionatoria ed è, dunque, avulsa da qualsivoglia logica penale o lato
sensu punitiva (Cons. St., sez. III, 3 maggio 2013, n. 1743), costituisce
un severo limite all’iniziativa economica privata, che tuttavia è giustificato
dalla considerazione che il metodo mafioso, per sua stessa ragion di essere,
costituisce un «danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana» (art.
41, comma secondo, Cost.), già sul piano dei rapporti tra privati (prima ancora
che in quello con le pubbliche amministrazioni), oltre a porsi in contrasto,
ovviamente, con l’utilità sociale, limite, quest’ultimo, allo stesso esercizio
della proprietà privata.
10.3. Il metodo mafioso è e resta tale, per un
essenziale principio di eguaglianza sostanziale prima ancora che di logica
giuridica, non solo nelle contrattazioni con la pubblica amministrazione, ma
anche tra privati, nello svolgimento della libera iniziativa economica.
10.4. Non si può ignorare, e la legislazione antimafia
più recente non ha di certo ignorato, che tra economia pubblica ed economia
privata sussista un intreccio tanto profondo, anche nell’attuale contesto di
una economia globalizzata, che non è pensabile e possibile contrastare
l’infiltrazione della mafia “imprenditrice” e i suoi interessi nell’una senza
colpire anche gli altri e che tale distinzione, se poteva avere una
giustificazione nella società meno complessa di cui la precedente legislazione
antimafia era specchio, viene oggi a perdere ogni valore, ed efficacia
deterrente, per entità economiche che, sostenute da ingenti risorse finanziarie
di illecita origine ed agevolate, rispetto ad altri operatori, da modalità
criminose ed omertose, entrino nel mercato con una aggressività tale da eliminare
ogni concorrenza e, infine, da monopolizzarlo.
10.5. La tutela della trasparenza e della concorrenza,
nel libero esercizio di una attività imprenditoriale rispettosa della sicurezza
e della dignità umana, è un valore che deve essere preservato nell’economia sia
pubblica che privata.”
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