In
una intervista, al quotidiano Repubblica, il Ministro della Transizione
Ecologica ha affermato: "il vero problema è che abbiamo fatto crescere
in maniera ipertrofica la natura leguleia del nostro approccio. Noi pensiamo a
fare appalti perfetti, carte perfette, poi nessuna va a vedere se la cosa
funziona".
Magari fosse così semplice caro Ministro!
In realtà le "carte" come le chiama il Ministro spesso sono tutto meno che perfette, sia sufficiente seguire anche solo la giurisprudenza del Consiglio di Stato a meno che il Ministro non voglia eliminare il diritto ad impugnare ma non credo ovviamente.
Non solo ma il Ministro avendo svolto fino ad ora tutt’altro mestiere forse non sa, perché non conosce le strutture pubbliche che si occupano dei procedimenti ambientali, che questi sono sempre gestiti da tecnici non da giuristi.
Quanto alle leggi in questi anni soprattutto nel campo ambientale abbiamo assistito a decine di provvedimenti di semplificazione tutti votati ad accelerare le decisioni in chiave solo formalistica, vedi riduzione dei tempi, e questo ha prodotto (come dimostro QUI, ma è solo l'ultimo esempio) un abbassamento della qualità delle istruttorie ma non una accelerazione delle decisioni.
Insomma evitiamo di contrapporre alla corporazione degli amministrativi quella dei tecnocrati perché questo non aiuta ad affrontare i veri problemi della macchina pubblica ambientale che riguardano semmai:
1. la formazione del personale, soprattutto quello tecnico, nella gestione di procedure innovative ambientali come quelle di AIA - VIA - VAS;
2. la frammentazione delle competenze frutto anche di una legislazione regionale a macchia di leopardo;
3. l'abbandono delle strutture che gestiscono i procedimenti a livello locale (vogliamo parlare della stronzata del depotenziamento di risorse umane ed economiche delle Province? per non parlare dei Comuni);
4. la mancanza di adeguati modelli organizzativi che permettano di integrare lo svolgimento delle procedure decisionali ad esempio tra ambiente e salute pubblica, applicando quindi davvero i principi di diritto comunitario: integrazione, prevenzione, precauzione, massima tutela ambientale;
5. la mancanza di cultura comunicativa e partecipativa nella gestione dei conflitti ambientali, non solo del ceto politico amministrativo ma anche burocratico, tecnici in primo luogo (ingegneri, chimici, architetti etc.);
6. la mancata impostazione nei processi decisionali, almeno per le scelte più potenzialmente impattanti (centrali, impianti rifiuti, grandi infrastrutture) di una fase preventiva di confronto su scenari che affronti il tema decisivo (se si vuole coinvolgere la comunità interessata) della asimmetria informativa; per cui non solo le informazioni che contano sono in mano ai committenti delle opere ma quasi mai si spiega anticipatamente su quali analisi e dati si fondano certe proposte, progetti e soluzioni invece di altre;
7. la non adeguata autonomia economica e amministrativa del sistema dei controlli pubblici ambientali (il sistema delle Arpa) e quindi la mancanza in Italia di una vera Agenzia Ambientale sia a livello nazionale che regionale.
Affrontare questi temi favorirebbe processi decisionali di valorizzazione delle istruttorie sia ex ante che ex post altro che "eccesso leguleio” di cui parla il Ministro visto che sul versante legislativo quasi tutte le norme nazionali sono frutto di recepimento di norme UE e visto che il legislatore da anni cerca, semmai, di derogarle con la scusa della semplificazione!
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